Definizione e natura della rendita vitalizia mista con donazione
Qualora la fattispecie negoziale presenti elementi di onerosità e di gratuità si è a lungo discusso se tale tipologia di contratto rientri nello schema della donazione modale o del negotium mixtum cum donatione, a seconda che il corrispettivo irrisorio sia concepito come modus o semplicemente come corrispettivo inadeguato.
A favore della tesi della donazione modale[1]in passato si sosteneva l’applicazione analogica dell’art. 1861, comma 2, c.c. in tema di rendita perpetua, dove la rendita è qualificata come onere di un trasferimento patrimoniale e questa è qualificata come rendita gratuita tipica[2].
Tuttavia, la tesi è stata contrastata evidenziando la differenza strutturale e funzionale tra il modus ed il corrispettivo, in quanto, anche se inadeguata, la rendita, nel caso in esame, è pur sempre corrispettivo la cui sproporzione (esattamente come avviene per la vendita a prezzo irrisorio) consente di inquadrare la fattispecie negoziale nell’ambito del negotium mixtum cum donatione[3].
Infatti, nel negozio indiretto le parti impiegano lo schema di un negozio con piena consapevolezza della sua funzione per uno scopo ulteriore, diverso da quello tipico del negozio voluto, cioè le parti utilizzano la causa di un negozio per scopi che ad essa sono estranei o che con essa contrastano. Dunque, nello specifico, siamo di fronte ad un negozio unico, la cui causa è quella tipica del negozio diretto e soggetto alla disciplina per questo dalla legge prevista, ma caratterizzato da uno scopo ulteriore, quello di donare, che rimane estraneo all’elemento causale, benché si tratti di un intento assolutamente prevalente su quello dello scambio. Perciò il negotium mixtum cum donatione deve sempre considerarsi un negozio oneroso[4].
La giurisprudenza, nel riconoscere la piena legittimità della rendita vitalizia mista con donazione alla stregua del principio di autonomia contrattuale, la definisce “una convenzione intesa a determinare, insieme allo scambio di attribuzioni patrimoniali tipicamente proprio del contratto di cui agli artt. 1872 e ss. c.c., un vantaggio di una di esse, correlativamente bandendo dal costituito rapporto l’elemento dell’alea, o, quanto meno, affievolendo la rilevanza di tale elemento nell’economia del rapporto stesso” [5].
Disciplina della rendita vitalizia mista con donazione
Quanto alla normativa applicabile, la donazione indiretta è soggetta alla disciplina del contratto oneroso sotto il profilo della forma (art. 1350, n. 10, c.c.) e sotto il profilo della sostanza alla disciplina della donazione.
La compresenza di elementi di gratuità e di onerosità è stata analizzata anche sotto il profilo della validità del negozio che presenti tali contenuti.
Infatti, un negozio può essere qualificato come costitutivo di una rendita a titolo oneroso, ma, guardando al suo contenuto, può avvenire che esso sia tale da escludere obiettivamente l’esistenza dell’alea (che come abbiamo visto costituisce il requisito essenziale del vitalizio oneroso), per essere sin dall’inizio certo il guadagno di una delle parti. In tal caso la validità o meno della stipulazione dipenderà dall’accertamento della effettiva volontà contrattuale: se risulta che le parti hanno inteso porre in essere un vitalizio gratuito, il contratto dovrà ritenersi pienamente valido, purché sussistano i requisiti di sostanza e di forma richiesti dalla legge; qualora le parti abbiano inteso contrarre un vero e proprio vitalizio oneroso, come tale tipicamente aleatorio, il difetto obiettivo dell’alea determinerà la nullità del contratto[6].
La giurisprudenza sanziona con la nullità per mancanza di causa la rendita che sia inferiore o pari al frutto dei beni alienati come corrispettivo della sua costituzione o sia ad esso superiore in misura così esigua da escludere con certezza, tenuto conto della probabile durata della vita contemplata, ogni alternativa di guadagno o perdita[7].La rigidità di questa impostazione si spiega con l’intento di colpire situazioni in cui il difetto di plausibilità dell’affare rivela l’approfittamento di una delle parti in danno dell’altra[8]. In argomento la dottrina ha posto in evidenza la necessità di indagare sulla effettiva volontà delle parti, secondo i consueti canoni ermeneutici, in modo da ritenere che se il divario oggettivo di valore delle due prestazioni escludente l’alea, essendo certo il vantaggio per una delle parti, è stato deliberatamente voluto, l’intento di liberalità è in re ipsa, rendendo superflua la prova dell’animus donandi [9]. Quindi in presenza di una così marcata sproporzione tra le prestazioni, mentre l’intento di liberalità è implicito, occorrerà invece la prova della sua mancanza e cioè della esistenza di un vizio nel consenso manifestato, che si verifica quando le parti hanno in realtà inteso stipulare un vitalizio oneroso, come tale aleatorio e dell’errore in cui le stesse sono incorse ritenendo presente l’alea in realtà insussistente o del dolo o violenza subiti nell’emettere la dichiarazione[10].
Altra tesi sostiene che, non essendo stato il vitalizio oneroso espressamente inquadrato tra i contratti aleatori (a differenza di quanto previsto nel vecchio codice), l’alea non sarebbe requisito essenziale, con la conseguenza che ben potrebbe sussistere un contratto di vitalizio oneroso non aleatorio[11] e che la mancanza dell’alea non potrebbe mai comportare la nullità del negozio. In senso contrario la dottrina maggioritaria sostiene il carattere aleatorio di tale contratto, in quanto nella rendita vitalizia la qualifica di oneroso o gratuito si fonda su di un rigido rapporto di valori, conseguendone anche, per il particolare meccanismo del negozio, nel quale entra l’incertezza della durata della vita contemplata, che “l’onerosità non può scompagnarsi con la aleatorietà e viceversa”[12].
Il presente contributo è tratto da “La rendita vitalizia” di Stefania Memoli.
La rendita vitalizia
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[1] V. Cass. 18 dicembre 1986, n. 7679, che ha qualificato donazione modale quella cui accede l’onere per il donatario di effettuare la prestazione di rendita vitalizia in favore del donante.
[2] Ricci, Corso teorico-pratico Dir. Civ., IX, Utet, Torino, 279. (56) Valsecchi, op. cit., 200.
[3] Valsecchi, op. cit., 200.
[4] Gardella Tedeschi, op. cit., 743, la quale sottolinea che si tratterebbe di un contratto di rendita dove si assiste ad un affievolimento dell’alea perché nel contratto si inserisce lo spirito di liberalità, pur rimanendo nelle caratteristiche essenziali una rendita vitalizia.
[5] Cass. 24 agosto 1998, n. 8357; nella giurisprudenza di merito si veda, da ultimo e negli stessi termini, Corte d’Appello Napoli, sez. VI, 1° giugno 2017, n. 2408.
[6] Valsecchi, op. cit., 202.
[7] Cass. 15 maggio 1996, n. 4503; da ultimo v. Cass. 11 marzo 2016, n. 4825.
[8] Lener, op. cit. 1024.
[9] Valsecchi, op. cit., 205, il quale pone in rilievo anche la difficoltà di provare detto elemento soggettivo, che si configura come prova diabolica per il vitaliziante, allorché il vitaliziato eccepisca la mancanza di alea come causa di invalidità del negozio.
[10] Valsecchi, op. cit., 159, sostiene l’a. che il vitalizio gratuito atipico sarebbe sempre una donazione indiretta e quindi non potrebbe nemmeno sollevarsi l’invalidità del negozio per mancanza di forma, ove avverrebbe se fosse inquadrato nella donazione modale (cespite trasferito al vitaliziante cum onere della rendita) che richiede la forma dell’atto pubblico.
[11] Lener, op. cit., 1025, secondo il quale il fatto che il vitalizio oneroso senza alea non sia giustificato, in concreto, dalla funzione di scambio che caratterizza il tipo, non toglie che possano esistere, appunto, in concreto, altri plausibili interessi del costituente la rendita idonei a sorreggere lo spostamento patrimoniale, senza con questo aggiungere al negotium un elemento di liberalità.
[12] Valsecchi, op. cit., 162.
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