La Reintegra nel possesso opera anche quando non è certo quale sia il bene di cui si pretende la restituzione ? – Commento a Trib. di Manfredonia, Ord. 4 luglio 2007.

Di Bari Matteo 22/11/07
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Premessa.
 
Di questi tempi non è più il caso di stupirsi di nulla. Qualche giorno fa leggevo – su di una Rivista scientifica di diritto – di una sentenza della Cassazione che dichiarava valido un verbale d’infrazione al Codice della strada non sottoscritto dall’agente della Polizia Municipale. Non è pertanto più il caso di stupirsi di nulla, perché se vengono stravolti i principi di logica, che sono basilari, lo possono essere anche quelli giuridici che, come pilastri, su quelli dovrebbero trovare la loro base. Nello stesso ambito s’inquadra la Ordinanza che qui commentiamo.
 
Il Caso
 
Tizio e Caia intraprendono una battaglia legale nei confronti di Sempronio, amministratore delegato della F.lli Sempronio s.n.c., per farsi riconoscere alcuni diritti violentemente ed abusivamente calpestati da Sempronio. Nella loro casa piove dal soffitto perché Sempronio non ripara una porta dell’attico, di cui ha la disponibilità fisica e materiale. La loro finestra è ostruita dalle cassette di acqua minerale riposte dal nipote di Sempronio per fare un dispetto ai due poveri coniugi. L’Autorimessa si scopre che è, almeno in parte, di proprietà di Caia, perché il padre l’aveva invalidamente ceduta al fratello di questa quando era in vita. Tutta una serie di pretese che vedono in Sempronio il loro principale ostacolo. Sempronio, però, che di mestiere faceva il pastore, e – adesso, fa il gestore dell’Albergo che sovrasta la casa di Tizio e di Caia, non ne vuol sapere di cedere nemmeno di un millimetro. Subìte, pertanto, una serie di citazioni in giudizio per i fatti sopra descritti, crea ad arte l’occasione per togliersi qualche soddisfazione. Incontrato Tizio per caso, gli promette che – finalmente – e spontaneamente, gli rilascerà la cantinola tanto ambìta da Tizio, non appena avrà avuto il tempo di ripulirla. Tizio, sorpreso dalla improvvisa buona volontà di Sempronio, trova una sera il locale completamente aperto. Capisce che è il segnale della finalmente giunta disponibilità, e dà incarico ad un amico di ripulirla, a pagamento, dietro cioè il corrispettivo di un prezzo. Sempronio, invece, il giorno appresso, dà incarico al proprio legale di esperire l’azione possessoria.
 
La carenza di legittimazione passiva
 
Al di là degli aspetti morali, che esulano dalla presente trattazione, è appena il caso di sottolineare alcuni aspetti giuridici evidenziati dalla pronuncia in commento. Il Giudice – infatti – nell’Ordinanza in Commento, elenca una ad una le eccezioni sollevate dalla parte resistente, per entrare nel merito su tutte tranne che su una, quella più importante. Il Giudice, forse, nel suo percorso logico e mentale, l’aveva lasciata per ultima, per disquisirne poi con maggiore attenzione e ponderatezza, salvo poi – però – dimenticarla completamente. L’eccezione dimenticata era la seguente. Il marito Tizio, semmai avesse potuto spossessare Sempronio della cantinola (i testimoni sentiti erano i nipoti di Sempronio), lo aveva fatto – semmai – sempre e comunque nell’interesse della moglie Caia, vera proprietaria, la quale era venuta persino a dichiararlo davanti al Giudice. Semmai, pertanto, Tizio poteva essere considerato una mera longa manus di Caia, nei confronti della quale doveva perciò essere esperito il ricorso, essendo Tizio del tutto privo di legittimazione passiva. Tizio, infatti, pur essendo marito di Caia, in realtà godeva soltanto dei beni di lei, senza esserne proprietario. Ma era però il vero bersaglio di sempronio. Il Giudice, però, sul punto nemmeno vi entrava, non decidendo nulla sulla eccezione de quo.
 
L’incertezza sul bene da restituire
 
Ma la cosa più grave è che la vera resistente, intervenuta in realtà come mera testimone, non avendo il Giudice recepito l’eccezione di cui sopra, non aveva compreso, né poteva comprendere, dal tenore del ricorso, a quale delle cantinole esistenti nell’Autorimessa il ricorrente facesse riferimento. Per tutto il ricorso – infatti – il ricorrente nominava ‘lo spossessamento di una cantinola’ senza mai precisare, tra le tante, a quale egli si riferisse. Tra le stesse parti – infatti – oltre a quella contesa nel giudizio de quo, nell’Autorimessa famosa, ve ne erano e ve ne sono tante altre, di cantinole contese. Ma il ricorrente si era sempre e soltanto limitato a parlare genericamente ‘della cantinola’, come se il Giudice già sapesse a priori di cosa si stesse parlando.
Sorprendendo tutti, però, in corso di causa, il Giudice, anziché dichiarare la nullità del ricorso, per omessa descrizione dei fatti di causa, dava un termine al ricorrente per precisare di quale cantinola si stesse parlando, prendendosene poi persino il merito nel testo stesso dell’Ordinanza (in barba a qualsiasi principio di imparzialità e di parità delle armi). All’udienza fissata ad hoc il ricorrente si presentava con la propria legale ed una piantina, che pretendeva di presentare al Giudice, per descrivere e precisare di quale cantinola si stesse parlando. Tanto, come scrive lo stesso Giudice nella stessa Ordinanza, in sede cautelare non vi sono formalità. E tutto si può fare !
 
A questo punto la beffa ! Si legge nel dispositivo dell’Ordinanza ‘Accoglie il ricorso e, per l’effetto, ordina a Tizio di reintegrare Sempronio nel pieno possesso della cantinola descritta in ricorso ed a verbale di udienza del 9 maggio 2007 con la consegna delle chiavi della serratura di accesso”.
 
A questo punto, pur nel rispetto della decisione del Giudice, bisogna fare alcune osservazioni. Dall’inizio alla fine del giudizio cautelare, non si capisce quale sia l’oggetto del ricorso. Si parla di una cantinola, sì; ma quale ? E come se si parlasse di un appartamento in un supercondominio; quale ? E come se si parlasse di una granello di sabbia in mezzo alla spiaggia; quale ?
 
Per fortuna tutto è rinviato alla causa di merito.     
 
Avv. prof. M. di Bari
 

Di Bari Matteo

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