La querela non può costituire elemento probatorio tranne che per accertare l’esistenza delle condizioni di procedibilità

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La sentenza in argomento riveste notevole rilievo scientifico in quanto particolarmente attenta al rispetto delle prescrizioni imposte dal codice di rito.

Infatti, nella decisione in esame, gli Ermellini hanno cassato l’impugnato provvedimento posto che “il giudice di merito aveva dato ampia mostra di fondare il proprio convincimento di colpevolezza” sulla scorta dell’atto di querela presentato dai genitori della parte offesa nel senso non solo aver preso “spunto dalla querela, a suo tempo sporta dagli esercenti la potestà genitoriale della p.o.”, ma di averne anche assimilato “la narrazione, quanto al fatto di reato, utilizzandola a fini probatori”.

Le ragioni che hanno indotto i Giudici di legittimità a siffatta conclusione decisoria sono ravvisabili alla luce della “regola che si ricava dal comb. disp. degli artt. 431, comma 1, lett. a), 511, comma 4, cod. proc. pen.”.

In effetti, secondo la Corte Suprema, “deve trovare applicazione la previsione normativa di cui all’art. 511 c.p.p., comma 4, in base alla quale la querela può trovare ingresso nel fascicolo dibattimentale “ai soli fini dell’accertamento della esistenza delle condizioni di procedibilità” dato che la “natura della querela è semplicemente quella di rappresentare la sussistenza di una condizione di procedibilità, la sua funzione è quella di consentire all’autorità procedente la sicura individuazione del fatto-reato e manifestare l’istanza di punizione in ordine al fatto-reato medesimo”.

Da tale dato giuridico, dunque, gli Ermellini sono pervenuti alla decisione secondo la quale, da tale mera condizione di procedibilità, il giudice “ non può trarre elementi di convincimento ai fini della ricostruzione storica della vicenda”.

Orbene, tale approdo ermeneutico è sicuramente condivisibile sicchè consono ad un precedente orientamento nomofilattico con cui è stato affermato per un verso, che la “querela va inserita nel fascicolo per il dibattimento ai soli fini dell’accertamento della procedibilità dell’azione penale”[1] posto che “la sua funzione è quella di consentire all’autorità procedente la sicura individuazione del fatto-reato e manifestare l’istanza di punizione in ordine al fatto-reato medesimo”[2], per altro verso, che, da tale condizione di procedibilità, “il giudice non può, dunque, trarre elementi di convincimento ai fini della ricostruzione storica della vicenda, a nulla rilevando in contrario che l’atto sia stato erroneamente dichiarato utilizzabile in difetto di opposizioni”[3].

Del resto, i Giudici di “Piazza Cavour” hanno affermato tale principio di diritto non solo in riferimento alla querela strictu sensu ma anche ad altri atti ad essa assimilabili.

Ad esempio, per quanto concerne il ricorso immediato previsto dall’art. 21 del dl.gs. n. 274 del 2000, è stato rilevato che, se la sua allegazione al fascicolo del dibattimento trova giustificazione per la sua natura di atto di mero impulso processuale o, al più, per una sua assimilabilità alla querela in quanto atto pertinente alla procedibilità del reato, tuttavia, il suo contenuto “non è utilizzabile a fini probatori”[4] visto il “dettato normativo in tema di indicazione degli atti utilizzabili quali fonti di prova”[5].

D’altro canto, l’inserimento dell’atto di querela in seno al fascicolo dibattimentale, ha solo lo scopo di mettere il giudice in condizione “di verificarla nel suo oggetto e nella sua tempestività”[6] attesi i rigorosi limiti temporali richiesti per la sua presentazione così come previsti dall’art. 124 c.p. .

Peraltro, tale principio ermeneutico è stata avallato anche dal Giudice delle leggi considerato che la Corte Costituzionale, a sua volta, ha affermato che la querela è assoggettata a precisi limiti di utilizzazione processuale i quali, “e non a caso, sono previsti dall’art. 511 del codice di rito con specifico ed esclusivo riferimento all’istituto delle letture, vale a dire a quel peculiare veicolo di utilizzazione che si colloca al termine della istruttoria dibattimentale e che assegna a determinati atti la qualità di “prove” suscettibili di essere valutate nella sentenza che definisce il giudizio”[7].

Del resto, solo per dovere di completezza espositiva, va rilevato che il tema in argomento essendo strettamente afferente alla utilizzabilità degli atti inseriti nel fascicolo dibattimentale, è prettamente rivolto al rito ordinario giacchè, ad esempio, per quanto riguarda il rito abbreviato, secondo giurisprudenza costante, sono “utilizzabili ai fini della decisione tutti gli atti che siano stati legittimamente acquisiti al fascicolo del pubblico ministero”[8].

Tuttavia, tale regola, alla luce di numerosi pronunciamenti emessi in subiecta materia, può essere derogata “quando per fatti o circostanze imprevedibili risulti impossibile la ripetizione del contenuto dell’atto di querela, da parte del suo autore, deve trovare applicazione l’art. 512 c.p.p., così come modificato dalla l. 7 agosto 1992, n. 356, che consente la lettura, a richiesta di parte, degli atti assunti dalla polizia giudiziale, dal p.m. e dal giudice nel corso dell’udienza preliminare (…) laddove per “assunti” devono intendersi non soltanto gli atti formati a seguito di attività diretta delle predette autorità, ma anche gli atti semplicemente ricevuti dalle stesse, quale è appunto una spontanea dichiarazione di querela”[9] dato che il legislatore ha introdotto siffatta previsione normativa “al fine di evitare la dispersione di elementi probatori utili all’accertamento della verità, dapprima con il testo originario dell’art. 512 c.p.c., che prevedeva la possibilità di dare lettura di atti divenuti irripetibili per circostanze imprevedibili, purché assunti dal p.m. o dal giudice, nel corso dell’udienza preliminare, estendendo poi, con la modifica apportata all’art. 512 con la legge 7 agosto 1992, n. 356, tale possibilità anche agli atti assunti dalla polizia giudiziaria, ritenendo tale modifica tanto più necessaria a seguito della sentenza della Corte costituzionale 31 gennaio 1992, n. 24, che ha dichiarato illegittimo il divieto di testimonianza indiretta della polizia giudiziaria (cfr. relazione al disegno di legge, atto n. 328, XI legislatura, Senato della Repubblica)”[10].

Peraltro, la stessa Corte Costituzionale, ha ravvisato l’operatività dell’art. 512 c.p.p. nel caso di specie, “sulla base della considerazione che, nell’ambito degli atti “assunti” dalla polizia giudiziaria dei quali, ai sensi di detta norma , il giudice, a richiesta di parte, dispone darsi lettura, rientrano anche quelli semplicemente “ricevuti” dalla stessa, quale appunto una spontanea dichiarazione di querela”[11].

Inoltre, la Cassazione ha stimato altresì applicabile a fattispecie di questo tipo, pure l’art. 512 bis c.p.p. osservando che il “giudice, a richiesta di parte, tenuto conto degli altri elementi di prova acquisiti, può disporre che sia data lettura delle dichiarazioni orali di querela raccolte nel relativo verbale, rese dal cittadino straniero residente all’estero, se la persona non è stata citata ovvero, essendo stata citata, non è comparsa”[12] posto che, “anche se l’art. 512 bis c.p.p. contiene un riferimento generico ai verbali di dichiarazioni, deve logicamente ritenersi che tale espressione letterale non escluda le dichiarazioni orali di querela raccolte nel verbale”[13].

In conclusione, la ricostruzione ermeneutica così delineata nella sentenza in commento, è fedele sia al nostro diritto domestico sia a quello comunitario e segnatamente, alla luce di quanto affermato:

1) dall’art. 111 Cost. ove viene sancito il principio di formazione della prova nel contraddittorio [14];

2) dall’art. 6 CEDU il quale afferma che il processo deve essere equo; situazione, questa, che non ricorre laddove la “condanna si basi, unicamente o in misura determinante, su dichiarazioni rese da una persona che l’imputato non ha potuto esaminare o far esaminare, né durante le indagini preliminari né in dibattimento” [15] rilevato che deve essere data concretamente all’imputato “la possibilità di procedere ad un confronto diretto con il testimone a suo carico al fine di garantire il contraddittorio su un mezzo di prova decisivo”[16].

[1] Cass. pen., sez. II, 9/12/11, n. 11691.

[2] Ibidem.

[3] Ibidem.

[4] Cass. pen., sez. V, 24/03/11, n. 17680.

[5] Ibidem.

[6] Cass. pen., sez. III, 9/11/93, fonti: Giust. pen. 1994, III, 223 (s.m.), Mass. pen. cass. 1994, fasc. 4, 99.

[7] Corte Cost., 9/03/92, sent. n. 91.

[8] Ex plurimibus, Cass. pen., sez. VI, 24/03/10, n. 16823.

[9] Cass. pen., sez. V, 28/10/97, n. 11402. In senso conforme: Cass. pen., sez. VI, 14/04/03, n. 23807: “In tema di lettura di atti nel dibattimento, quando per fatti o circostanze imprevedibili risulti impossibile l’esame della persona offesa che abbia presentato querela nei confronti dell’imputato, deve trovare applicazione l’art. 512 c.p.p., che consente la lettura, a richiesta di parte, degli atti assunti dalla polizia giudiziaria, dal p.m. e dal giudice nel corso dell’udienza preliminare, laddove per atti “assunti” devono intendersi non soltanto gli atti formati a seguito di attività diretta delle predette autorità, ma anche gli atti semplicemente ricevuti dalle stesse, quall’è appunto la dichiarazione di querela”; Cass. pen., sez. II, 18/09/97, n. 376: “Qualora si verifichino i presupposti per la lettura in dibattimento previsti dagli art. 512 (sopravvenuta impossibilità di ripetizione) e 512 bis (dichiarazioni rese da cittadino straniero non comparso) del codice di rito, possono essere lette ed utilizzate come fonti di prova ai fini della decisione anche le dichiarazioni assunte a verbale dalla polizia giudiziaria in sede di presentazione orale della querela”; Cass. pen., sez. VI, 28/04/97, n. 7317: “Legittimamente il giudice del dibattimento fonda il suo convincimento sulle dichiarazioni contenute in una querela presentata alla polizia giudiziaria da una persona (nella specie, un cittadino straniero) poi divenuta irreperibile, in quanto l’art. 512 c.p.p. prevede che il giudice, a richiesta di parte, dispone che sia data lettura degli atti assunti dalla polizia giudiziaria quando, per fatti o circostanze imprevedibili, ne è divenuta impossibile la ripetizione”; Cass. pen., sez. IV, 28/01/97, n. 6106: “Quando per circostanze o fatti imprevedibili, come il decesso, risulti impossibile la testimonianza dell’autore della denuncia-querela, trova applicazione l’articolo 512 c.p.p., che consente la lettura a richiesta di parte degli atti assunti dalla polizia giudiziaria, dal p.m. e dal giudice nel corso dell’udienza preliminare, poiché per “assunti” devono intendersi anche gli atti semplicemente ricevuti da queste autorità: lettura consentita non solo per valutare l’esistenza della condizione di procedibilità, ma anche per utilizzare il contenuto della denuncia/querela ai fini della prova”; Cass. pen., sez. V, 2/12/93, fonti: Mass. pen. cass. 1994, fasc. 5, 82, Giust. pen. 1994, III, 80 (s.m.), Giust. pen. 1994, III, 483 (s.m.): “Quando per fatti o circostanze imprevedibili risulti impossibile la ripetizione del contenuto dell’atto di querela da parte del suo autore, trova applicazione l’art. 512 c.p.p., così come modificato dalla l. 7 agosto 1992 n. 356, che consente la lettura, a richiesta di parte, degli atti assunti alla polizia giudiziaria, dal pubblico ministero e dal giudice nel corso dell’udienza preliminare, poiché per “assunti” devono intendersi non solo gli atti formati a seguito di attività diretta delle predette autorità, ma anche gli atti semplicemente ricevuti dalle stesse, qual’è appunto una dichiarazione di querela. (Fattispecie nella quale la S.C. ha accolto il ricorso del pubblico ministero, rilevando che la lettura dell’atto di querela era consentita non solo al fine di valutare l’esistenza della condizione di procedibilità, ma anche a quello di utilizzarne il contenuto ai fini della prova”; Cass. pen., sez. V, 18/05/93, fonti: Mass. pen. cass. 1993, fasc. 9, 128: “Della querela-denuncia presentata alla polizia giudiziaria da persona poi resasi irreperibile può esser data lettura dal giudice ai sensi dell’art. 512 c.p.p. che, dopo la novella introdotta dall’art. 8 d.l. n. 306 del 1992, conv. in legge n. 356 del 1992, prevede che il giudice, a richiesta di parte, dispone la lettura degli atti assunti dalla polizia giudiziaria, quando per fatti o circostanze impreviste ne è divenuta impossibile la ripetizione. (La Cassazione ha evidenziato che la norma in questione costituisce anche deroga al disposto del comma 4 dell’art. 511 c.p.p. che consente la lettura dei verbali delle dichiarazioni orali di querela solo ai fini dell’accertamento dell’esistenza della condizione di procedibilità)”.

[10] Cass. pen., sez. V, 28/10/97, n. 11402.

[11] Corte Cost., 12/04/96, n. 114.

[12] Cass. pen., sez. III, 5 marzo 1999, n. 7530. In senso eguale: Cass. pen., sez. II, 18/09/97, n. 376: “Qualora si verifichino i presupposti per la lettura in dibattimento previsti dagli art. 512 (sopravvenuta impossibilità di ripetizione) e 512 bis (dichiarazioni rese da cittadino straniero non comparso) del codice di rito, possono essere lette ed utilizzate come fonti di prova ai fini della decisione anche le dichiarazioni assunte a verbale dalla polizia giudiziaria in sede di presentazione orale della querela”.

[13] Cass. pen., sez. III, 5 marzo 1999, n. 7530.

[14] Derogabile solo se, come previsto dall’art. 111, co. V, Cost., vi sia il consenso dell’imputato o “per accertata impossibilità oggettiva o per l’effetto di provata condotta illecita”.

[15] Corte EDU, sez. II, 18/05/10, n. 231, ric. Ogaristi c. Italia.

[16] Ibidem.

Avv. Di Tullio D’Elisiis Antonio

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