La pubblica amministrazione e la mediazione demandata e non

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L’art. 5 co.2 del d. lgs 28/10[1] disciplina la mediazione demandata dal giudice, che rappresenta un’ipotesi di mediazione civile diversa da quella obbligatoria, attivabile su istanza di parte. Nel caso della mediazione demandata è il giudice a portare le parti nella mediazione. Nel merito della scelta delle parti di entrare in mediazione, laddove demandata, giurisprudenza recente[2] si esprime nel senso di ritenerla obbligata sin dal primo incontro.

La presenza di un ente pubblico come parte nella mediazione demandata dal giudice

Che succede quando una delle parti è un ente pubblico? Il d. lgs 28/10 non esclude per il soggetto istante e per il convocato la possibilità che la persona giuridica possa essere rappresentata da un ente pubblico. Acclarato e considerato incontestabile che non ci possa essere in una mediazione obbligatoria o di fonte giudiziale una limitazione soggettiva ad escludendum della pubblica amministrazione (di seguito p.a.) resta fuori dalle considerazioni del giudice il processo di formazione del potere decisionale della parte che comparirà in mediazione con esito sperabilmente positivo. L’idea di percorrere la strada di una mancata partecipazione in mediazione o anche di un atteggiamento di fatto negativo, in modo aprioristico, esporrebbe la stessa p.a.  alle sanzioni previste dall’art. 8 comma 4 bis del d. lgs n.28/10[3] oltre alla sanzione dell’art. 96 c.p.c. Se il timore del funzionario o del dirigente pubblico è quello di una responsabilità per danno erariale, ebbene il rischio sarebbe concreto e reale in caso di un comportamento omissivo o preclusivo di ogni accordo conciliativo.

Senza andare a cercare nella normativa una preclusione della presenza in mediazione della p.a. è utile ricordare la circolare n.9 del 10 agosto 2012 del Dipartimento della Funzione Pubblica che riassume i principi e dipana i dubbi per le amministrazioni individuate ex articolo 1 co.2 d. leg. 30/03/01 n. 165[4]. D’altronde la scelta del giudice di deferire in mediazione le parti attribuisce alla p.a., e non solo a lei, che assume un atteggiamento negativo un maggiore disvalore rispetto a chi quell’atteggiamento assume in un procedimento mediativo non demandato. Dietro la scelta del giudice, anche in appello, di procedere con una mediazione demandata c’è chiaramente la convinzione che ci siano margini per addivenire ad un accordo che eviti il prosieguo dell’iter giudiziario.

La sentenza n. 2719 del 23 luglio 2013 della Corte dei Conti Sez. Giurisdizionale per la Regione Siciliana

Nel solco dei provvedimenti del giudice Moriconi [5]con sentenza del 17 dicembre 2015 n.25218 e ordinanza del 19 febbraio 2016 troviamo la sentenza n. 2719 del 23 luglio 2013 della Corte dei Conti Sez. Giurisdizionale per la Regione Siciliana. Questa sentenza mira a ridurre l’impatto negativo dell’associazione dei termini mediazione-transazione, che si genera nei confronti del rappresentante di turno della p.a. in funzione di una sua possibile responsabilità futura per danno erariale. Una situazione che anche in caso di immobilismo della p.a. la espone al rischio di cui sopra.

Il caso in questione, risalente a prima del periodo delle modifiche del cosiddetto decreto del fare n. 63 del 2013, riguarda una vicenda di malasanità, in cui l’azienda ospedaliera giunge in mediazione demandata ad un accordo con gli eredi del defunto. Il Collegio giudicante rileva i motivi della legittimità della scelta transattiva finale non solo dal punto di vista formale, ma anche nel merito, nelle ragioni sottostanti all’esito positivo del procedimento mediativo per l’azienda ospedaliera e gli altri medici coinvolti con gli eredi della vittima di malasanità. Dalla lettura della ricostruzione delle vicende nella sentenza si evince anzi che è proprio il convenuto, ossia il primario, a contestare, al di là del quantum, la irritualità della procedura seguita dalla p.a. e che dalla ricostruzione dei fatti appare tutt’altro che estemporanea, ma frutto di un ponderato ragionamento.

È chiaro che la questione pratica verta, alla fine dei conti, sulla congruità o meno rispetto agli interessi pubblici della somma concordata. La questione della ragionevolezza o meno della somma offerta dall’ente pubblico rimane però sullo sfondo. Nella sentenza testualmente si legge: “Irrilevante è, poi, la circostanza che la mediazione sia stata attivata pur non essendo obbligatoria giacché non appare censurabile, né frutto di scriteriatezza la scelta dell’amministrazione, unitamente a quella degli altri medici coinvolti, di giungere ad una soluzione transattiva”.  E ancora: “Il Collegio tenuto conto che il risarcimento dei danni patrimoniali e morali agli eredi di un congiunto deceduto è frutto di stratificazioni giurisprudenziali, nonché di un giudizio prognostico circa l’esito di un lungo contenzioso civile che avrebbe comportato aggravio di costi per spese legali, consulenze tecniche, oneri accessori, ritiene congruo l’importo liquidato a seguito della stipula della transazione, non ritenendolo frutto di scelte incongrue o contra legem.”

Ciò che conta è che viene riconosciuto nella sentenza lo strumento della mediazione come freccia nella faretra per il perseguimento dell’interesse pubblico da parte della p.a. Nella logica di tutto ciò che non è escluso è consentito e dell’interpretazione della disciplina della mediazione per materia e non per soggetti la pubblica amministrazione può quindi essere utilmente parte convocata. Come la parte p.a. possa giungere a una propria presa di posizione non rigida rientra nel normale processo decisionale della stessa, aspetto che attiene anche ai poteri del soggetto delegato dall’ente pubblico in mediazione. Certamente, al di là del vaglio interno di legalità, l’opportunità di un accordo resta affidata anche alla valutazione dell’alea di un giudizio. La presenza di una p.a. collaborativa non è di per sè sufficiente e, per usare le parole del dott. Filippo Izzo [6]: “Per il comportamento della Pubblica Amministrazione torna in questo caso utile la circolare n.9/12 del Dipartimento della funzione pubblica che implica rientranti nel perimetro del d.lgs. n.28 del 2010 solo gli atti e i comportamenti che implichino la responsabilità della pubblica amministrazione per atti non autoritativi”.

In conclusione la possibilità di una definizione in senso positivo di una controversia in cui è parte la p. a, attraverso la natura innovativa del provvedimento giudiziario, apre spazi di sviluppo positivo per lo strumento della mediazione civile e aiuta senza dubbio l’instaurarsi di un rapporto di maggiore fiducia anche fra il cittadino e l’ente pubblico. La mediazione è appunto considerata come luogo di ricomposizione e di superamento del conflitto tra le parti.

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Note

[1] “Fermo quanto previsto dal comma 1-bis e salvo quanto disposto dai commi 3 e 4, il giudice, anche in sede di giudizio di appello, valutata la natura della causa, lo stato dell’istruzione e il comportamento delle parti, può disporre l’esperimento del procedimento di mediazione; in tal caso, l’esperimento del procedimento di mediazione è condizione di procedibilità della domanda giudiziale anche in sede di appello. Il provvedimento di cui al periodo precedente è adottato prima dell’udienza di precisazione delle conclusioni ovvero, quando tale udienza non è prevista prima della discussione della causa. Il giudice fissa la successiva udienza dopo la scadenza del termine di cui all’articolo 6 e, quando la mediazione non è già stata avviata, assegna contestualmente alle parti il termine di quindici giorni per la presentazione della domanda di mediazione.”

[2]  Trib. Roma, sent. 26.05.2016; Tribunale di Civitavecchia, ord. 15.01.2016; Trib. Vasto, ord. 23.04.2016; Trib. Pavia, 20.01.2017; Trib. Monza, ord. 18.04.2018

[3] “Dalla mancata partecipazione senza giustificato motivo al procedimento di mediazione, il giudice può desumere argomenti di prova nel successivo giudizio ai sensi dell’articolo 116, secondo comma, del codice di procedura civile. Il giudice condanna la parte costituita che, nei casi previsti dall’articolo 5, non ha partecipato al procedimento senza giustificato motivo, al versamento all’entrata del bilancio dello Stato di una somma di importo corrispondente al contributo unificato dovuto per il giudizio.”

[4] Per amministrazioni pubbliche si intendono tutte le amministrazioni dello Stato, ivi compresi gli istituti e scuole di ogni ordine e grado e le istituzioni educative, le aziende ed amministrazioni dello Stato ad ordinamento autonomo, le Regioni, le Province, i Comuni, le Comunità montane, e loro consorzi e associazioni, le istituzioni universitarie, gli Istituti autonomi case popolari, le Camere di commercio, industria, artigianato e agricoltura e loro associazioni, tutti gli enti pubblici non economici nazionali, regionali e locali, le amministrazioni, le aziende e gli enti i del Servizio sanitario nazionale, l’Agenzia per la rappresentanza negoziale delle pubbliche amministrazioni (ARAN) e le Agenzie di cui al decreto legislativo 30 luglio 1999, n. 300. Fino alla revisione organica della disciplina di settore, le disposizioni di cui al presente decreto continuano ad applicarsi anche al CONI

[5] Magistrato del Tribunale di Roma

[6] Magistrato della Corte dei Conti

 

Sentenza collegata

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Dott. Pizzigallo Francesco

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