La proprietà nella Costituzione: conformazione ed espropriazione.

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Secondo l’articolo 42, comma 3, della Costituzione “La proprietà privata può essere, nei casi preveduti dalla legge, e salvo indennizzo, espropriata per motivi di interesse generale”.

Il richiamo alle previsioni di legge, ai motivi generali e all’indennizzo, ricorda tanto l’articolo 29 dello Statuto Albertino, quel che conta però non è il dato letterale, ma il fatto che la Costituzione introduca tale disposizione in un contesto normativo, economico e sociale del tutto nuovo.

Il nuovo contesto prevede la solidarietà politica, economica e sociale, l’uguaglianza sostanziale di tutti i cittadini (articoli 2 e 3 Cost.) e la “funzione sociale” (articolo 42, comma 2, della Cost.), come fine del diritto di proprietà, che ricopre“un ruolo di tipo promozionale, nel senso che la disciplina delle forme proprietarie e le loro interpretazioni dovranno essere attuate per garantire e per promuovere i valori sui quali si fonda l’ordinamento”.

Innanzitutto l’articolo 42, comma 2, Costituzione, prevede una garanzia della proprietà differente dall’inviolabilità contenuta nello Statuto Albertino: “la proprietà privata è riconosciuta e garantita dalla legge, che ne determina i modi di acquisto, di godimento e i limiti allo scopo di assicurarne la funzione sociale e di renderla accessibile a tutti”.

La garanzia costituzionale è quindi legata alla funzione sociale della proprietà: “intanto il legislatore costituzionale ha tutelato la proprietà in quanto le ha assegnato una funzione sociale”. Con queste parole Rodotà ha espresso il profondo significato della novità introdotta dalla Costituzione.

Il proprietario perciò non può a piacimento definire i modi di esercizio del proprio diritto, perché il suo interesse deve contemperarsi con quello collettivo.

E quindi, dato che la tutela del privato è subordinata alla soddisfazione dell’interesse pubblico, il legislatore potrà conformare il contenuto del diritto alle esigenze collettive.

Dalla garanzia costituzionale, di cui al comma 2 dell’articolo 42, discende però che la proprietà privata non può essere svuotata del suo contenuto essenziale, potendo essere solo sottoposta a programmazione, limiti e controlli.

Ed è per questo che bisogna distinguere le conformazioni dello statuto proprietario dall’espropriazione, di cui al comma 3, stesso articolo, il quale dispone che “ La proprietà privata può essere, nei casi preveduti dalla legge, e salvo indennizzo, espropriata per motivi di interesse generale”.

Pertanto, all’interno del quadro costituzionale, non è possibile ipotizzare uno statuto proprietario conformativo che sia nella sostanza espropriativo, dovendo riconoscere alla proprietà un contenuto minimo.

E’ chiaro perciò che neanche il legislatore può trasformare la proprietà privata in pubblica, sia perché nel sistema previsto dalla Costituzione la norma conformatrice dello jus aedificandi non guarda con sfavore al diritto di proprietà, sia perché la norma ablatoria è considerata eccezione al principio di garanzia.

Infatti l’articolo 42 della Costituzione, dopo avere affermato, al comma 2, che la legge riconosce e garantisce la proprietà privata, determinandone i modi di acquisto, di godimento e i limiti, prevede, al comma 3, che la proprietà privata “può essere, nei casi preveduti dalla legge, e salvo indennizzo, espropriata per motivi di interesse generale”.

E’ evidente che solo in determinati casi, sottoposti al controllo della legge, e previa corresponsione dell’indennizzo, la proprietà privata può essere trasformata in pubblica, con estinzione del diritto reale del privato.

Se rileggiamo il comma 3 dell’articolo 42 insieme altri due commi, il quadro istituzionale della proprietà privata si svela: la proprietà privata, diversa da quella pubblica, deve innanzitutto essere riconosciuta a garantita dalla legge; dopo potrà ricevere conformazione- relativamente ai modi di acquisto e di godimento e ai limiti del diritto- “allo scopo di assicurarne la funzione sociale e di renderla accessibile a tutti”. La proprietà privata quindi, seppure utile alla collettività, conserva in ogni caso la propria vitalità, rimanendo distinta da quella pubblica.

Tale differenza tuttavia viene meno con l’esproprio, che comporta l’estinzione di tutti i poteri in rem del proprietario e il passaggio in mano pubblica del bene, nel rispetto delle regole imposte dal legislatore.

Eleonora Cannizzo

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