La Politica del diritto di Federico II e Maria Teresa

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(Il XVIII secolo e l’inizio della codificazione moderna)

Dalla metà del XVIII secolo in poi ha inizio “l’illuminismo giuridico”, le collezioni della prima metà del secolo avevano il semplice fine della certezza del diritto e facile reperibilità delle leggi. Con l’illuminismo la visuale cambia, la codificazione non è più espressione di particolari esigenze tecnico – giuridiche, bensì parte di più vasti piani politici, in cui la politica del diritto ha un fine che s’inquadra nelle più vaste riforme assolutistiche.

Solitamente si applica una lista delle idee illuministe a tutte le codificazioni fatte nel periodo considerato: a) Tutti gli uomini nascono con dei diritti naturali e imprescrittibili. b) Le leggi devono riconoscere quei diritti. c) Questi diritti sono riconoscibili mediante ragione. d) Quindi le leggi devono essere espressione della ragione. e) Per essere espressione della ragione devono essere semplici e comprensibili. f) La legge, essendo espressione della ragione quindi semplice e chiara, deve essere certa. g) Per essere certa deve essere o espressione della volontà popolare o essere applicata da persone diverse da quelli che la formulano.

Tuttavia questa lista non è molto utile per comprendere le varie codificazioni che si susseguirono nella seconda metà del Settecento. Fu composta alla fine del secolo in Francia per coordinare una serie di lasciti culturali tutti presenti nella cultura francese, ma talvolta configgenti tra loro. Oltretutto le varie idee che compongono la lista ebbero origini e diffusioni in aree diverse.

Volere applicare questa lista sulle varie codificazioni sarebbe appiattirle, renderle uniformi, senza capire le operazioni di politica del diritto che le sottendono. In particolare, occorre tenere presente che le parole “Illuminismo giuridico” intendono, nell’area germanica, la cultura giuridica del sovrano e dei suoi funzionari, ossia funzioni di rinnovamento e rafforzamento del potere, mentre in Francia ha carattere sovvertitore, di opposizione al potere politico.

Nella stessa Germania esistono profonde differenze fra i processi di codificazioni illuministici della Prussia, in cui il codice serve come elemento per la riorganizzazione conservatrice del potere monarchico sorretto dall’aristocrazia terriera, e dell’Austria, nella quale non vi fu un unico codice ma una serie di riforme parziali del diritto comune, aventi una tendenza univoca finale di emarginazione dei diritti separati della nobiltà e dei contadini.

Per notare il diverso sviluppo dei due processi di codificazione niente di meglio del diritto civile. Un primo tentativo di codificazione prussiana in gran parte fallito fu quello di Samuel Cocceius, tale tentativo ebbe grandissima importanza per il futuro codice prussiano del 1794 e si inseriva nella riforma politico-amministrativa varata da Federico Guglielmo I e Federico II.

            Dopo la pace di Westfalia il territorio tedesco si trovò diviso in una serie di Stati, ciascuno dei quali si presentava come uno “Stato di stati”, cioè il principe trovava un limite al proprio potere in una serie di autonomie giuridiche spettanti ai ceti o “stati” riuniti in appositi collegi di valore costituzionale (Nobiltà feudale e borghesia cittadina).

PRUSSIA

Alla fine del Seicento iniziò in Prussia il processo di accentramento esautorando gli “stati”, soprattutto la nobiltà, dal controllo della finanza pubblica e dell’amministrazione militare, processo che fu portato a termine da Federico II. La rilevanza politico-costituzionale dei “ceti” venne meno, ma non quella politico-sociale, come dimostra l’importanza dell’appartenenza a uno “stato” oppure all’altro per le istituzioni di diritto privato.

La riforma amministrativa nei suoi aspetti costituzionali riguardava il rapporto fra il principe e l’organo collegiale espressione degli “stati”. Quest’organo, che aveva competenze generali in quanto espressione e difensore degli “stati”, poteva bloccare qualsiasi iniziativa sovrana con lo strumento finanziario di cui aveva il pieno controllo.

L’esautoramento del collegio avvenne per sottrazioni successive a cui si accompagnava il progressivo accentramento del potere nelle mani del monarca. Nel 1723 Federico Guglielmo I istituì un “Direttorio Generale” alle sue strette dipendenze, con competenza in materia: a) di amministrazione del demanio e delle sue entrate; b) di riscossione delle imposte; c) di amministrazione e provvista  dell’esercito.

Così veniva sottratta tutta l’amministrazione finanziaria e una parte di quella militare al Collegio. Questo al fine di unificare la politica finanziaria in funzione della provvista dell’esercito, inoltre costituì il primo passo per un’ulteriore riforma amministrativa ispirata alla creazione di una burocrazia capace e gerarchizzata al servizio dello Stato, primo esempio di una moderna burocrazia accentrata.

Il sistema di Federico Guglielmo I

Una seconda riforma amministrativa avvenne nel 1728 quando Federico Guglielmo I fondò il “Ministero del Gabinetto” con compito esclusivo di politica estera, sottraendolo così al collegio degli “stati”. A questo punto rimaneva di competenza del collegio degli “stati” solo due materie, il settore giudiziario e quello del culto, ma il sovrano volle coordinare questo collegio con gli altri due, ponendo al suo vertice un Cancelliere di sua nomina.

Il sistema creato da Federico Guglielmo I era costituito da tre organi centrali: il “Direttorio Generale” (demanio, finanze, esercito), il “Ministero del Gabinetto (politica estera) e il Collegio degli “stati”(affari giudiziari e culto). Tutti e tre dipendevano direttamente dal monarca che li dirigeva attraverso il proprio gabinetto privato.

Federico II non muta le linee di tendenza imposte dal padre, ma ne sviluppa l’azione. Per quanto riguarda il “Direttorio Generale” Federico II lo rende più funzionale articolandolo su base settoriale, di competenza, anziché su base territoriale.

Anche il Collegio degli “stati” subisce un’ulteriore riforma burocratizzante e gli viene imposto un riesame del diritto. In sostanza la politica di Federico II mira a razionalizzare su basi unitarie l’amministrazione dei territori prussiani, superando la suddivisione in quattro province e distruggendo il potere politico degli “stati” come corpi indipendenti, pur tuttavia mantenendoli integrati nell’apparato statale con valore di diritto privato prussiano.

In un primo tempo le funzioni del nuovo organo, che era poi il Cancelliere, e il tipo di collegamento che doveva realizzare con il monarca non erano bene determinati. Sulla stessa linea, ossia in senso generale, si pone l’incarico dato da Federico Guglielmo a Samuel Cocceius  di preparare un progetto di diritto prussiano. Nel 1737 la carica di Cancelliere venne a caratterizzarsi nel senso della preposizione agli affari giudiziari e al contenzioso del fisco.

Con Federico II si afferma  una nuova politica in cui la Prussia tende ad acquisire una propria autonomia fuori dell’ambito dei territori dell’Impero. Questa politica fu perseguita, sia in politica estera con le guerre federiciane, sia nella politica interna con la riorganizzazione amministrativa. In quest’ambito rientra la ricompilazione delle leggi vigenti nel regno e la riorganizzazione giudiziaria.

Nell’ordinanza del 1746 Federico II mostra di possedere una visione della ricompilazione più vasta rispetto a quella del padre, infatti vi si legge il ripudio del diritto romano latino e la creazione di un diritto territoriale tedesco che deve fondarsi direttamente sulla ragione naturale e sulle costituzioni del paese.

Le ragioni che ispirano il sovrano nella sua politica del diritto vennero illustrate dallo stesso re di Prussia. La legislazione deve essere “ragionevole” quindi, per essere tale, tendere alla “pubblica felicità”.

Per raggiungere questi fini deve ispirarsi ad alcuni principi: le leggi devono essere chiare e precise nella loro formulazione al fine di poterle interpretare letteralmente; le leggi devono essere poche, perché molte leggi rendono i giudizi difficili e troppe addirittura arbitrarie; le leggi devono essere “riunite in un corpo unitario” per evitare contraddizioni; le leggi dovrebbero prevedere ogni caso futuro; le leggi devono essere benevole, e in particolare le leggi penali con proporzionalità tra reato e pena e la soppressione della tortura.

Il programma contiene tutti i temi propri dell’illuminismo tranne quello dell’unicità del soggetto, o dell’uguaglianza di tutti i soggetti. Questo tema era contrario alla politica del diritto di Federico II, che tendeva a conservare una società gerarchicamente divisa in “stati” sottoposta all’autorità sovrana.

La creazione di un diritto “civile” basato su questi presupposti permetteva la formulazione di un diritto comune su base tedesca, da contrapporre al diritto comune romano di origine imperiale. Ed ecco che il discorso si ricongiunge con quello sull’autonomia della Prussia dall’Impero. Purtroppo l’uomo preposto a questa funzione era il meno adatto essendo il Gran Cancelliere Samuel Cocceius di formazione romanistica, perciò produsse due progetti di regolamento giudiziario soddisfacenti per il sovrano, ma al diritto sostanziale il risultato fu negativo.

Ricevuto l’incarico questi si propose di unificare il sistema giurisdizionale, nella convinzione che fosse necessariamente precedente alla riformulazione in senso unitario del diritto sostanziale.

Stabilitosi a Stettino nella provincia della Pomerania, creò due nuovi organi giudiziari con competenza specifica e autonoma rispetto agli organi preesistenti (Corte aulica e Consiglio provinciale), in cui le funzioni amministrative e giurisdizionali erano indistinte. Furono stabiliti stipendi sufficienti per i funzionari e gli impiegati subalterni, il sistema venne perfezionandosi con il lavoro e fu adattato per la provincia della Marca Brandeburghese.

Nel processo di diritto comune tutto si svolgeva per iscritto con una procedura lenta e formalistica. Ed ecco inserirsi la rottura provocata dal Cocceius, il quale immette elementi di oralità scardinando in nome di una concezione sostanzialistica, contraria al formalismo, gli schemi del processo comune che in Germania si identificava con quello “romano”.

Il progetto di riforma giudiziaria è diviso in tre parti: 1) Reclutamento dei giudici e organizzazione degli uffici; 2) regole di procedura; 3)procedimenti speciali.

I° parte) Professionalizzazione del giudice, immettendo uditori e referendari presso i Senati con il compito di impratichirsi e subentrare ai giudici stessi dopo un curriculum costellato di esami; regolamentazione minuziosa dell’assunzione e dei compiti degli impiegati inferiori; assoluta eguaglianza di fronte alla legge; subordinazione del monarca alla legge.

2° parte) Abbandono dell’istruzione scritta a favore della trattazione orale del processo,  motivazione della sentenza a scopo di controllo e burocratizzazione degli affari giudiziari sono i dati rilevanti di questa seconda parte della riforma.

3° parte) E’ di notevole importanza il tentativo riconciliatorio fra le due parti, assenti gli avvocati, che il giudice doveva tentare prima di istruire il processo.

Se la riforma processuale fu un successo, non altrettanto si può affermare per la codificazione sostanziale, di essa vennero pubblicate solo le prime due parti venendo sospesa la prosecuzione. Il progetto di Cocceius era tutt’altro che rispondente ai voleri sovrani, riguardo la chiarezza e la concisione delle norme.

Il suo carattere “romanistico” valse ad attirare al progetto un doppio ordine di critiche entrambe gradite al re. In primo luogo esso non teneva conto degli statuti delle città e delle consuetudini territoriali, ma soprattutto eliminava la differenziazione in “stati”, elementi di solidità dell’ordine sociale, con l’unificazione del soggetto giuridico di ispirazione borghese contraria agli Junker. In secondo luogo la prolissità e l’andamento discorsivo delle norme provocavano incertezza del diritto e si rifacevano palesemente alla concezione “romanistica”, contraria al desiderio sovrano. Il progetto venne respinto, si che si aprì la strada che doveva condurre alla codificazione del 1794.

Austria  e  Baviera

Anche in Austria il primo passo verso la riforma costituzionale è costituito dalla riforma finanziaria in funzione dell’esercito. Nel 1748 l’imperatrice Maria Teresa dispone che le contribuzioni dovranno essere tutte in denaro su una valutazione decennale delle terre, con tasso dell’uno per cento annuo per il signore feudale e del due per cento per l’utilista.

Nel 1749 si provvide ad un ulteriore riforma scorporando l’amministrazione giudiziaria dalla restante amministrazione, questo comportava una riforma costituzionale che puntualmente si realizzò. Maria Teresa scorporò le due cancellerie, austriaca e boema, creando un organo centrale unico per le materie camerali e finanziarie e uno per quelle giudiziarie.

Quest’ultimo aveva compiti propri del Ministero della Giustizia e funzioni di appello rispetto agli organi giudiziari inferiori, anch’essi riformati ed esautoranti i poteri giudiziari feudali della nobiltà. Ma la riforma più importante avvenne nel 1766, quando il principe Kaunitz , divenuto Cancelliere creò il “Consiglio di Stato” con funzioni consultive in tutti gli affari di Stato. Composto da sei membri, tre della nobiltà territoriale e tre della nobiltà di toga, la cui caratteristica saliente era l’imparzialità.

Nel 1753 l’imperatrice nomina una commissione con il compito di elaborare un corpo di diritto privato unificato, costituito dal diritto romano-comune venato dai diritti territoriali, per le province ereditarie tedesche.

Lo scopo politico amministrativo era quello dell’accentramento giudiziario e del controllo sugli organi periferici da parte dell’organo centrale. Sotto il profilo dell’economia politica quello di agevolare le contrattazioni mediante l’unità giuridica, scopo ultimo e implicito dare una individualità giuridica ed economica, oltreché politica, ai territori germanici di Casa d’Austria. La commissione produsse fino al 1756, anno in cui fu sciolta, una raccolta sul “Diritto delle persone”.

A causa delle opposizioni verificatesi, l’imperatrice nominò una commissione di controllo residente a Vienna che soppiantò la precedente commissione per evitare rallentamenti ai lavori, si che la Commissione di Brunn venne sciolta e i membri più influenti passarono in quella di Vienna. La nuova Commissione portò a termine i lavori nel 1766.

Il Codex Theresianus è un insieme di materiali raccolti con frasario prolisso. Lo sforzo di unificazione si era perso nell’alluvione casistica dei commentatori , mentre le antinomie erano risolte con lunghe e puntigliose elencazioni; anche lo stile dava adito ad incertezze con il suo carattere discorsivo. Fatto rivoluzionario è la lingua tedesca con cui è scritto il codice.

Alcune caratteristiche, nonostante i difetti sopra elencati, lo indicano come tappa importante nella storia della codificazione. In primo luogo la sua autorità unica ed esclusiva della marea disciplinata, con l’eliminazione dei diritti particolari e dei problemi derivanti dai loro rapporti con il diritto comune. In secondo luogo si presenta come una codificazione del solo diritto privato, in cui vengono considerate esclusivamente alcune discipline giuridiche e fatti entrare alcuni istituti, prima esclusi, nel diritto privato stesso.

La realizzazione del primo punto, per quanto possa sembrare sorretta da una ideologia conservatrice, era in realtà una innovazione sovvertitrice, in quanto avveniva la subordinazione del giudice e della consuetudine alla norma scritta. Il secondo punto comportò la distinzione fra diritto privato e diritto pubblico, cosa quanto mai vaga in quel periodo. Questo spinse a considerare il diritto privato come l’insieme delle materie contenute nel Codice: diritti delle persone, cose e diritti reali, rapporti obbligatori tra persone. Il Codex Theresianus non fu mai promulgato.

Nel 1766 sorsero opposizioni ad opera del Cancelliere von Kaunitz e del conreggente Giuseppe II, la Commisssione preparò una relazione che nel 1769 venne inviata al Consiglio di Stato. Fu designato come relatore il Binder il quale ispirato da von Kaunitz , fece notare come nella codificazione mancasse il diritto commerciale, penale e processuale e la necessità che fosse estesa a tutti i territori ereditari di Casa D’Austria. Il Consiglio di Stato si divise e von Kaunitz prese su di sé la responsabilità della decisione.

La relazione fu negativa: a) per grande quantità di norme “romanistiche”, perciò non rappresentava un progresso rispetto al diritto comune; b) non abrogava esplicitamente tutti i diritti precedenti; c) oltre ad essere dipendente dal diritto comune-romano, lo era anche per alcune norme dai diritti provinciali, in particolare feudale; d) era troppo prolisso e discorsivo. Nel 1771 il progetto venne accantonato e si istituì una nuova commissione.

Secondo il Kaunitz il vecchio progetto non era abbastanza spinto, mentre il nuovo avrebbe dovuto procedere oltre, verso un codice: a) “ius privatum”; b) di soggetto giuridico unico; c) limitato alla famiglia, alla proprietà e al contratto; d) su base razionalistica e non romanistica, né territorialistica; e) scritto in termini semplici, ma tecnici e non  discorsivi.

Parallelamente alla codificazione civilistica avvenne la ricompilazione penalistica approvata nel 1768. La “COSTITUZIONE CRIMINALE” non abroga il previgente diritto, ma si limita a rifonderlo. Occorre distinguere fra le norme stabilenti i reati e quelle stabilenti le pene. Nelle prime viene meno la distinzione di status e si tende verso un soggetto a diritto unico, nelle seconde rimane la differenza di ceto con la conseguente diversità di trattamento per le pene inflitte, in cui l’antico rigore è accresciuto da una maggiore pignolesca crudeltà burocratica.

Tra i grandi principati germanici solo la Baviera alla metà del secolo XVIII inizia il processo di codificazione. Massimiliano Giuseppe III autorizza nel 1750 il proprio Cancelliere ad elaborare una nuova raccolta del diritto territoriale, avendo la Baviera già all’inizio del Seicento una completa redazione ufficiale di diritto territoriale. In rapida successione vennero pubblicati i codici penale, civile, e del processo, che tuttavia non possono includersi tra i codici “moderni”, ossia non è una codificazione “illuminista”.

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