La nozione di pertinenza urbanistica

sentenza 11/03/10
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La nozione di pertinenza edilizia può essere estesa fino a comprendere elementi essenziali, e non solo di carattere accessorio, di un impianto industriale.

Una pertinenza, per poter essere definita tale, deve avere una propria individualità fisica ed una propria conformazione strutturale, e non essere parte integrante o costitutiva di altro fabbricato.

Inoltre, deve essere preordinata ad un’oggettiva esigenza dell’edificio principale, deve essere funzionalmente ed oggettivamente inserita al servizio dello stesso, deve essere sfornita di un autonomo valore di mercato, non deve essere valutabile in termini di cubatura o, comunque, deve essere dotata di un volume minimo tale da non consentire, in relazione anche alle caratteristiche dell’edificio principale, una sua destinazione autonoma e diversa da quella a servizio dell’immobile cui accede.

Ciò che più rileva è il rapporto con la costruzione principale che deve essere, quindi, non di integrazione ma asservimento, per cui deve renderne più agevole e funzionale l’uso, ma non divenire parte essenziale dello stesso.

 

N. 01277/2010 REG.DEC.

N. 02192/2009 REG.RIC.

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)

 

ha pronunciato la presente

DECISIONE

sul ricorso in appello n. 2192 del 2009, proposto da Esogest s.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avv. *************** e *************, ed elettivamente domiciliata presso quest’ultimo in Roma, piazza B. Cairoli n. 6, come da mandato a margine del ricorso introduttivo;

contro

Comune di Pignataro Maggiore, in persona del sindaco legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall’avv. ************, ed elettivamente domiciliato, unitamente al difensore, presso l’avv. *************** in Roma, via A. Ruffini n. 2/a, come da mandato a margine della comparsa di costituzione e risposta;

per l’annullamento

della sentenza del Tribunale amministrativo regionale per la Campania, sezione quinta, n. 9600 del 29 luglio 2008;

 

visto il ricorso in appello, con i relativi allegati,

visto l’atto di costituzione in giudizio dell’amministrazione appellata;

viste le memorie prodotte dalle parti a sostegno delle rispettive difese;

visti gli atti tutti della causa;

relatore all’udienza pubblica del giorno 11 dicembre 2009 il consigliere **************;

udito per le parti gli avvocati ******* e *********, su delega di *****;

considerato in fatto e ritenuto in diritto quanto segue:

 

FATTO

Con ricorso iscritto al n. 2691 del 2009, Esogest s.r.l. proponeva appello avverso la sentenza del Tribunale amministrativo regionale per la Campania, sezione quinta, n. 9600 del 29 luglio 2008 con la quale era stato accolto in parte il ricorso proposto contro il Comune di Pignataro Maggiore per l’annullamento, previa sospensione dell’esecuzione, dell’ ordinanza n.91 del 30/05/2007 di rimozione opere difformi alle autorizzazioni rilasciate e ripristino dello stato dei luoghi e dell’atto del 93/07 con cui è stata disposta la limitazione dell’esercizio dell’impianto solo alle originarie funzioni di trattamento dei reflui dell’attività del setificio A.S.A..

A sostegno delle doglianze proposte dinanzi al giudice di prime cure, la parte ricorrente aveva premesso di essere gestore in concessione di uno stabilimento in Pignataro Maggiore per la produzione di tessuti di sete e la lavorazione di stoffa per l’arredamento e l’abbigliamento civili con connesso impianto di depurazione per il trattamento e smaltimento delle acque reflue. Evidenziando di essere stata destinataria dell’ordinanza di demolizione emessa dal Comune di Pignataro Maggiore, si doleva della assoluta assenza dei presupposti che ne potessero legittimare l’adozione.

Costituitasi l’amministrazione comunale, eccepiva l’inammissibilità e l’infondatezza del gravame di cui chiedeva il rigetto.

Il ricorso veniva deciso con la sentenza appellata. In essa, il T.A.R. riteneva parzialmente fondate le doglianze, accogliendo in parte il ricorso.

Contestando le statuizioni del primo giudice, la parte appellante evidenzia invece la totale fondatezza delle proprie censure, chiedendo a questa Sezione di disporre integralmente l’annullamento degli atti impugnati.

Alla pubblica udienza del 11 dicembre 2009, il ricorso è stato discusso ed assunto in decisione.

DIRITTO

1. – L’appello non è fondato e va respinto per i motivi di seguito precisati.

2. – Con il primo motivo di appello, si lamenta la mancata considerazione della censura in merito al mancato avviso di avvio procedimentale.

2.1. – La censura è infondata.

Correttamente, il giudice di prime cure ha ribadito, in merito alla dedotta violazione e falsa applicazione della L. 241/1990, che rimane saldo il principio di diritto per cui non è necessaria la comunicazione di avvio del procedimento né gli ulteriori momenti di coinvolgimento procedimentale degli interessati nel caso di ordine di demolizione di opere abusive, in quanto trattasi di provvedimento alla cui adozione l’amministrazione comunale è vincolata per legge, a seguito dell’accertata abusività delle opere. Ciò perché gli esiti applicativi non comportano valutazioni discrezionali, ma si risolvono in meri accertamenti tecnici cioè in virtù di un presupposto di fatto di cui il ricorrente doveva essere ragionevolmente a conoscenza, rientrando nella propria sfera di controllo.

3. – Con il secondo motivo di diritto, si deduce violazione e falsa applicazione degli artt. 27 e 28 del D.Lgs. n. 22 del 1997, sulla considerazione che, essendo stato autorizzato il trattamento dei rifiuti dal competente organo regionale, non sarebbe stato necessario alcun titolo abilitativo per le opere comprese in progetto.

3.1. – L’assunto non può essere condiviso.

Come si è più volte evidenziato in giurisprudenza, il procedimento di cui agli art. 27, 28, 31 comma 6, 33 e 22 comma 11 d.lg. n. 22 del 1997 ha una funzione acceleratoria della procedure per il rilascio delle autorizzazioni in tema di rifiuti, quando si è in presenza della pianificazione regionale e provinciale, ovvero dell’accordo di programma di cui all’art. 22 comma 11, sempre del d.lg. n. 22 del 1997. Tuttavia tale fine semplificatorio è limitato dalla necessità di conseguire gli altri provvedimenti di assenso richiesti dalla normativa urbanistica ed edilizia (Consiglio di Stato Sez. VI, 15 ottobre 2001, n. 5411), sia perché si tratta di provvedimenti che non sono riconducibili nell’ambito del testo normativo in disamina, avendo ragioni e fondamenti del tutto diversi, sia perché altrimenti si verrebbero ad incidere la prerogative comunali in tema di attività edilizia.

I due piani, quello di controllo dell’attività di trattamento dei rifiuti e quello del controllo dell’attività edilizia, operano in ambiti diversi e non sono quindi sostituibili.

4. – Con il terzo motivo di diritto, viene lamentata l’incompetenza del dirigente comunale in relazione ai provvedimenti demolitori, trattandosi di manufatti autorizzati con provvedimento regionale.

4.1. – L’assunto non ha pregio.

La censura deve essere disattesa da un doppio punto di vista.

In linea generale e con riguardo ai provvedimenti sanzionatori in materia edilizia, la competenza del dirigente o del responsabile dell’ufficio o del servizio comunale è stata introdotta con l’art. 2 comma 12 della L. n.192 del 1998. Ne consegue, nel caso di specie, che la posizione apicale rivestita dall’autore della contestata ordinanza di demolizione, quale responsabile del Servizio tecnico, rende il suo operato pienamente conforme all’assetto ordinamentale.

Sotto un secondo punto di osservazione, va ribadito che la circostanza dell’esistenza di atti autorizzativi di provenienza regionale, come pure la procedura di conferenza di servizi preordinata al rilascio delle autorizzazioni in tema di trattamento dei rifiuti, in quanto momenti procedurali distinti ed autonomi, non privano l’ente comunale delle proprie prerogative di matrice urbanistico ed edilizia.

5. – Con il quarto, il quinto motivo ed il sesto di diritto, viene evidenziato che le opera in questione, essendo di carattere pertinenziale (meglio ancora, di pertinenza industriale, a norma della circolare n. 1918 del 1977), ben avrebbero potuto essere realizzate con mera D.I.A., sia in base alla normativa nazionale che a quella regionale campana.

5.1. – L’assunto è infondato.

In disparte la circostanza che comunque un titolo abilitativo, quand’anche di carattere implicito, non è presente, va rilevato che la nozione di pertinenza edilizia può essere estesa fino a comprendere elementi essenziali, e non solo di carattere accessorio, dell’impianto industriale.

Come osserva infatti la giurisprudenza, una pertinenza, per poter essere definita tale, deve avere una propria individualità fisica ed una propria conformazione strutturale, e non essere parte integrante o costitutiva di altro fabbricato, ed inoltre essere preordinata ad un’oggettiva esigenza dell’edificio principale, funzionalmente ed oggettivamente inserita al servizio dello stesso, sfornita di un autonomo valore di mercato, non valutabile in termini di cubatura o comunque dotata di un volume minimo tale da non consentire, in relazione anche alle caratteristiche dell’edificio principale, una sua destinazione autonoma e diversa da quella a servizio dell’immobile cui accede.

Ciò che più rileva è il rapporto con la costruzione preesistente che deve essere, quindi, non di integrazione ma asservimento, per cui deve renderne più agevole e funzionale l’uso, ma non divenire parte essenziale dello stesso.

Come ben si evince dagli atti, le opera da demolire sono manufatti assolutamente autonomi, trattandosi di vasche fuori terra, serbatoi e strutture in ferro. Si tratta però di strutture che sono funzionali al ciclo produttivo e ad esso connaturate, in quanto utilizzate nell’esercizio dell’attività di trattamento dei rifiuti ed espressamente contemplate nel relativo progetto, come asserito dalla stessa parte appellante.

Il concetto di pertinenza, come pure quello di impianto tecnologico al servizio di un edificio o di una attrezzatura esistente, appare allora evocato non correttamente, mancato la relazione di asservimento ed essendo le opere da abbattere essenziali allo svolgimento dell’attività in questione.

Anche l’evocata circolare ministeriale, per quanto rilevante, non prende in considerazione la circostanza dell’essenzialità funzionale delle opere, che ne esclude concettualmente la riconduzione al concetto di pertinenza.

6. – L’appello va quindi respinto. Le spese processuali seguono la soccombenza e si liquidano come in dispositivo.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quarta), definitivamente pronunziando in merito al ricorso in epigrafe, così provvede:

1. Respinge l’appello n. 2192 del 2009;

2. Condanna Esogest s.r.l. a rifondere al Comune di Pignataro Maggiore le spese del presente grado di giudizio, che liquida in €. 2.500,00 (euro duemilacinquecento, comprensivi di spese, diritti di procuratore e onorari di avvocato) oltre I.V.A., ******** e rimborso spese generali, come per legge.

Ordina che la presente decisione sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del giorno 11 dicembre 2009, dal Consiglio di Stato in sede giurisdizionale – Sezione Quarta – con la partecipazione dei signori:

***********, Presidente

*************, Consigliere

Sandro Aureli, Consigliere

**************, ***********, Estensore

****************, Consigliere

 

L’ESTENSORE     IL PRESIDENTE

 

Il Segretario

 

DEPOSITATA IN SEGRETERIA

Il 05/03/2010

(Art. 55, L. 27/4/1982, n. 186)

Il Dirigente della Sezione

sentenza

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