La normativa sull’emergenza epidemiologica da COVID-19 e l’appello contro i decreti cautelari monocratici del giudice amministrativo

Redazione 08/04/20
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di Ezio Maria Barbieri

Sommario

1. I decreti cautelari monocratici nel processo amministrativo

2. La normativa sull’emergenza epidemiologica da COVID-19.

3. Prime considerazioni della dottrina

4. L’appello nel giudizio cautelare amministrativo

5. Presupposti e contenuto del decreto cautelare monocratico ex art. 56

1. I decreti cautelari monocratici nel processo amministrativo

Il codice del processo amministrativo configurava due differenti tipi di decreti cautelari monocratici. Il primo, ai sensi dell’art. 56, poteva essere richiesto dal ricorrente prima della trattazione della domanda cautelare da parte del collegio, poteva essere concesso dal presidente del TAR in caso di estrema gravità ed urgenza, tale da non consentire neppure la dilazione fino alla data della camera di consiglio e produceva i suoi effetti fino a quando sulla domanda cautelare si fosse pronunciato il collegio. Il secondo, invece, ai sensi dell’art. 61, poteva e può ancora essere chiesto “ante causam” e quindi prima della notificazione del ricorso, in casi di eccezionale gravità ed urgenza; la sua efficacia viene meno se il ricorso con la domanda cautelare non viene notificato entro quindici giorni dall’emanazione del decreto e depositato nei successivi cinque giorni corredato da istanza di fissazione di urgenza e perde comunque effetto decorsi sessanta giorni dalla sua emissione.

La giurisprudenza amministrativa in alcune ma in verità molto rare occasioni ha ritenuto l’ammissibilità di un appello anch’esso monocratico contro i decreti cautelari monocratici emessi ai sensi dell’art. 56, da proporre al presidente del Consiglio di stato o della sezione cui il ricorso fosse assegnato, benché il c. p. a. li dichiari non impugnabili, l’art. 62 dichiari appellabili soltanto le ordinanze collegiali e l’art. 61 dichiari espressamente inappellabili i decreti cautelari “ante causam” sia in caso di accoglimento che di rigetto.

Esaminando questa giurisprudenza[1] mi ero dichiarato molto perplesso se fosse corretto estendere in via interpretativa il doppio grado di giudizio, previsto dal legislatore per le sole ordinanze cautelari collegiali, anche ai decreti cautelari monocratici emessi a norma dell’art. 56[2], in quanto credo che l’appello contro una qualunque decisione giudiziaria costituisca una regola del processo che deve essere stabilita mediante una esplicita scelta del legislatore e non possa ritenersi affidata ad una generica interpretazione giurisprudenziale con pretese di adeguamento costituzionale sempre opinabile e suscettibile di revisione. Il processo, infatti, deve sempre essere regolato dalla legge in quanto la garanzia fondamentale rispetto alla funzione giurisdizionale si fonda sulla precostituzione delle regole del processo e sulla loro trasparente elaborazione nel circuito legislativo[3]. Ad influenzare questa convinzione e la conseguente contrarietà ad estendere le conclusioni cui è giunta la Corte costituzionale con la sentenza 1 febbraio 1982, n. 8, con la quale essa ha assicurato la garanzia del doppio grado di giudizio al processo amministrativo sia di merito che cautelare, anche ai decreti cautelari monocratici emessi ex art. 56, oltre alla contraria lettera della legge, aveva contribuito, fra l’altro, sia la considerazione che l’introduzione in sede interpretativa di una modificazione processuale come la previsione di un nuovo appello non previsto ed ancor più se esplicitamente escluso dal legislatore richiedeva anche una serie di valutazioni sul merito legislativo ed una lettura sufficientemente libera delle norme generali del processo amministrativo che mi sembra difficile consentire al giudice amministrativo e più corretto riservare, invece, ad un giudizio di costituzionalità, sia anche la considerazione della durata temporale estremamente più ridotta dell’efficacia dei decreti monocratici rispetto alle ordinanze collegiali di sospensione, che rendeva molto marginale e quasi del tutto irrilevante la previsione di un appello.

[1] E. M. Barbieri, L’appello contro decreti cautelari monocratici nel processo amministrativo, in www.aulacivile.it – marzo 2020.

[2] Una decisione interpretativa probabilmente giustificata dalla convinzione di procedere ad una scelta costituzionalmente orientata in situazioni diversamente irrecuperabili in sede collegiale

[3] Queste affermazioni di Travi sono ricordate da A. De Siano, Tutela cautelare monocratica e doppio grado di giudizio, in www.Federalismi.it. pag. 73

2. La normativa sull’emergenza epidemiologica da COVID-19.

L’art. 84 del d. l. 17 marzo 2020 n. 18, adottato per affrontare l’emergenza epidemiologica da COVID-19, ha enormemente potenziato l’istituto del decreto cautelare monocratico nell’utile ed apprezzabile intento pratico di limitare al massimo eventualità di contatto fra prestatori ed utenti del servizio giustizia amministrativa pregiudizievoli per la difesa dal virus. Una esigenza, dunque, esclusivamente di politica sanitaria e non giuridica.

In sostanza, semplificando al massimo gli effetti della nuova, temporanea normativa, fino al 15 aprile 2020 (termine di cui si può facilmente prevedere un non quantificabile prolungamento) è stato generalizzato il rito di cui all’art. 56 per cui, in sostanza, per adeguarsi alle esigenze dell’emergenza epidemiologica, si sono ampliati i poteri decisionali del presidente del TAR, facendo provvisoriamente confluire su di lui gli stessi poteri che precedentemente spettava al collegio esercitare in camera di consiglio secondo le regole di cui all’art. 55. Spetterà pertanto al presidente del TAR valutare, ai fini dell’accoglimento della domanda di sospensione del provvedimento impugnato, l’esistenza di una situazione capace di produrre al ricorrente un pregiudizio grave ed irreparabile non più solo nelle more della decisione in camera di consiglio, bensì nelle more del giudizio. Egli dovrà quindi emettere un decreto cautelare (di accoglimento o di rigetto) ogniqualvolta venga presentata una domanda di sospensione del provvedimento impugnato, previa valutazione del fumus boni juris nonché della sussistenza di un danno grave ed irreparabile.

Continuano a trovare applicazione, però, anche le misure cautelari monocratiche previste dagli art. 56 e art. 61 con i relativi differenti presupposti.

Pertanto, in linea di massima, le misure cautelari previste per il processo amministrativo saranno tutte provvisoriamente decise con decreto presidenziale. Tale decreto potrà essere emesso nelle situazioni che potremmo definire normali rispetto alla originaria normativa processuale negli stessi termini temporali che valevano per il collegio e cioè solo dopo almeno venti giorni dal perfezionamento, anche per il destinatario, dell’ultima notificazione e dopo il decimo giorno dal deposito del ricorso[4]. Quando invece i ricorrenti alleghino una situazione di estrema gravità ed urgenza, che non consenta neppure una dilazione che rispetti i termini sopra riferiti, il presidente del TAR potrà pronunciarsi anche prima della scadenza di tali termini. Infine, in caso di eccezionale gravità ed urgenza, tale da non consentire nemmeno la previa notificazione del ricorso e la domanda di misure cautelari provvisorie, potranno essere applicate dal presidente del TAR misure interinali e provvisorie ai sensi dell’art. 61[5], al quale non sono state apportate modificazioni dalla legislazione emergenziale.

[4] In tal senso dispone l’art. 84.1 del d. l. n.18/2020 rinviando all’art. 55.5 del c. p. a.

[5] Tralascio più specifici chiarimenti procedurali in quanto estranei all’obbiettivo di queste considerazioni. Si veda in proposito F. Francario, Le nuove disposizioni straordinarie per il processo amministrativo, in Giustizia insieme – marzo 2020.

3. Prime considerazioni della dottrina

In uno dei primi commenti del d. l. n. 18/2020 è subito emerso, anche in relazione alla nuova legislazione, il problema della esistenza e della necessità o meno di un secondo grado di giudizio contro i decreti monocratici che il legislatore ha ritenuto di regolamentare diversamente in occasione della situazione emergenziale sopravvenuta prima che essi vengano sottoposti alla valutazione del collegio che con ordinanza potrà confermarli o revocarli, problema che la giurisprudenza aveva già sollevato anche prima delle recenti innovazioni qui in esame. E’ steso detto a questo proposito che “in considerazione del fatto che il provvedimento monocratico, per quanto provvisoriamente, rischia comunque di stabilizzare per un considerevole arco temporale la decisione della lite cautelare, sarebbe stato opportuno prevedere forme di reclamo immediato al collegio ovvero l’appellabilità del decreto monocratico, ma l’ipotesi è stata scartata. Sarebbe opportuno che una delle due ipotesi (reclamo al collegio, prevedendo la possibilità di partecipazione al collegio anche del magistrato autore del provvedimento monocratico ove ciò sia reso necessario da esigenze di organico; ovvero l’appello, che beninteso non potrebbe essere mai limitato ai soli decreti di accoglimento escludendo quelli di rigetto pena la palese incostituzionalità per violazione dei principi di uguaglianza e del giusto processo) venisse seriamente presa in considerazione in sede conversione del decreto, non essendo allo stato escluso che possano anche aversi ulteriori proroghe del periodo di sospensione alla luce del più generale contesto emergenziale nel quale s’inquadrano le misure straordinarie in materia di giustizia e che la lite cautelare continui pertanto a rimanere definita per un consistente arco temporale in forma monocratica. Il che eviterebbe peraltro di stressare oltremodo la calendarizzazione in tempi ristretti delle camere di consiglio cautelari, imposta dalla necessità di non lasciare privo di controlli l’esercizio del potere cautelare monocratico oltre lo stretto necessario. Nelle more della decisione camerale, avverso il decreto monocratico allo stato rimane esperibile unicamente il rimedio della revoca o modifica su istanza di parte notificata, a norma dell’art. 56 comma 4”[6].

[6] Così F. Francario, op. et loc. cit.

4. L’appello nel giudizio cautelare amministrativo

Le considerazioni sopra esposte evidenziano un problema di cui sarebbe difficile negare l’importanza in considerazione dei p>

Già l’introduzione nel procedimento amministrativo di una tutela cautelare collegiale aveva creato non poche turbolenze nella giurisprudenza amministrativa; la successiva previsione, poi, anche di una tutela cautelare monocratica aveva ulteriormente, seppure meno rumorosamente, sollevato problemi di appello contro il decreto monocratico. Il d. l. n. 18/2020, nonostante il suo silenzio sul tema dell’appello, fornisce ora una nuova occasione di discussione e di perplessità, laddove avrebbe potuto costituire forse l’occasione per risolvere espressamente e definitivamente il problema a livello legislativo.

La questione dell’appello contro le misure cautelari collegiali, come è noto, è già stato da tempo risolto prima dalla giurisprudenza e poi dal legislatore ed è regolamentato attualmente dall’art. 62 del c. p. a., il quale dispone che contro le ordinanze cautelari (e cioè contro le ordinanze collegiali di cui all’art. 55) è ammesso appello al Consiglio di stato, da proporre nel termine di trenta giorni dalla notificazione dell’ordinanza, ovvero di sessanta giorni dalla sua pubblicazione.

Sarebbe, però, imprudente, a mio avviso, non riesaminare il problema dell’appellabilità dei decreti cautelari monocratici emessi ex art. 56, soprattutto dopo l’interpretazione che la giurisprudenza aveva ritenuto di poter dare a tale norma ed ancor più ora dopo le innovazioni introdotte dalla legislazione occasionata dall’emergenza epidemiologica in corso, anche se si tratta di una normativa auspicabilmente temporanea. Dico questo perché anche in altri scritti, oltre a quello citato al punto 2, comparsi sul d. l. n. 18/2020[7] si dà per scontata o comunque per accettabile l’inappellabilità dei decreti monocratici, che invece alcuni decreti dei giudici amministrativi hanno ritenuto di poter ammettere[8] seppure relativamente alla versione normativa precedente le modificazioni introdotte dall’art. 84 del d. l. n. 18/2020.

La questione, essendo tutt’altro che pacifica l’interpretazione della normativa sia anteriore che posteriore a quella emergenziale di recente introduzione[9], va considerata sotto due aspetti: la utilità o la necessità pratica di sottoporre ad appello i decreti cautelari monocratici e poi la ragionevolezza della introduzione dell’appello in questa specifica fase del procedimento cautelare. Due aspetti della questione che sono ovviamente connessi fra di loro.

La questione dell’appello contro i decreti cautelari ante causam, di cui la legislazione emergenziale non ha modificato l’articolazione,per effetto della espressa inappellabilità dichiarata dal legislatore dovrebbe, se lo si voglia, essere posta in discussione soltanto attraverso un eventuale ricorso alla Corte costituzionale, ma rimane comunque volutamente estranea agli interessi di questo scritto. L’appello contro i decreti emessi a norma dell’art. 56 nel loro duplice aspetto, l’uno che definirei “normale” perché rispettoso dei termini di cui all’art. 55.5 e l’altro emesso in caso di estrema gravità ed urgenza, rimane in entrambi i casi nella disponibilità dell’interprete, se troverà ulteriore conferma l’interpretazione piuttosto creativa della giurisprudenza monocratica, che già ha ritenuto di ammettere tale appellabilità.

Nonostante la natura emergenziale del d. l. 17 marzo 2020, n. 18 credo si possa dire che non sarebbe stato inopportuno che dell’appellabilità o meno dei decreti il legislatore non si fosse limitato a parlarne in sede di lavori preparatori del decreto-legge per poi ignorarla nel testo normativo, ma avesse preso o prendesse in sede di conversione posizione sul problema, che non è privo di rilevanza concreta e di attualità, cogliendo l’occasione a mio avviso preferibilmente per dichiarare l’inappellabilità di tutti i decreti cautelari monocratici che il sistema prevede nel processo amministrativo.

Quanto alla rilevanza della questione, basti dire che sembra purtroppo prevedibile che l’emergenza non finirà in tempi brevi e che i decreti cautelari monocratici saranno probabilmente destinati a produrre i loro effetti dichiaratamente temporanei per un tempo che potrebbe risultare poi concretamente ed irreparabilmente pregiudizievole per gli interessati, con danni non sempre eventualmente utilmente compensabili in forma pecuniaria, e cioè con quel risarcimento del danno che risulta poi in concreto frequentemente insoddisfacente sia per la parte pubblica che per la parte privata del processo amministrativo e che, comunque non è mai un apprezzabile sostituto di una corretta azione amministrativa.

Quanto all’opportunità di prevedere all’interno del giudizio cautelare un ulteriore passaggio cautelare rappresentato da un nuovo momento decisorio affidato ad una pronuncia di secondo grado prima della inevitabile conclusione del procedimento cautelare davanti al collegio (che rimarrà pur sempre a sua volta suscettibile di ricorso in appello davanti al Consiglio di stato), la questione solleva molte perplessità. Un appello di questo genere, oltre ad appesantire un procedimento che è diventato sistematicamente a formazione progressiva, mentre dovrebbe essere sempre il più semplice e tempestivo da assumere, sposterebbe anche questa fase del giudizio monocratico, preliminare alla futura decisione collegiale sulla sospensiva, al di fuori dell’ufficio deputato alla decisione cautelare di primo grado, ulteriormente accentuando la forza condizionante del giudice d’appello anche sul merito della controversia, aggiungendo alla inevitabile influenza sempre esercitata dall’ordinanza collegiale del giudice d’appello sulla futura sentenza anche una nuova influenza questa volta sulla futura decisione cautelare collegiale attraverso il preventivo controllo sul decreto presidenziale[10].

Se poi a tutto questo si aggiunge che l’appello contro il decreto presidenziale, per gli stessi motivi che hanno indotto alla legislazione emergenziale in questione, non potrebbe che essere rivolto nuovamente ad un giudice monocratico seppure appartenente al Consiglio di stato, la pretesa garanzia di un doppio grado di giudizio di questo tipo si ridurrebbe, quantomeno da un punto di vista logico ed attesa l’inesistenza di un rapporto gerarchico fra i giudici, a ben poca cosa, non essendovi ragione per ritenere che il giudizio di una persona singola possa offrire maggior garanzia di altro giudizio altrettanto individuale.

Esclusa pertanto la percorribilità di una via collegiale per la cogenza dei vincoli epidemiologici, la garanzia di un vero doppio grado di giudizio a livello monocratico credo venga assolutamente meno nella situazione di fatto prevista dal d. l. n.18/2020.

Con questo non credo comunque possano porsi dubbi di incostituzionalità, mentre mi sembra il caso di sottolineare che una normativa del genere di quella ora introdotta pretende evidentemente un alto e qualificato impegno di motivazione delle decisioni presidenziali. Impegno che sembra opportuno sottolineare e fortemente pretendere, anche se già imposto in linea generale dalle norme vigenti, in considerazione del persistere, auspicabilmente ridotto ed occasionale, di motivazioni talora troppo succinte quando non apparenti. Il decreto monocratico ex art. 84 del d. l. n. 18/2020, ancorato ad una futura ordinanza incerta nel quando, potrebbe infatti tendere a produrre effetti particolarmente permanenti nel tempo e, quindi, sostanzialmente decisivi della lite, per cui la necessità di una sua adeguata motivazione si impone in modo ancor più pregnante.

A ben vedere, però, una garanzia sostanzialmente equivalente a quella del doppio grado di giudizio può leggersi nel giudizio collegiale che conclude il procedimento cautelare, come dirò qui di seguito.

[7] Si veda F. Francario, op. cit.; C. Cataldi, La giustizia amministrativa ai tempi del COVID-19, in www.Giustamm.it. – marzo 2020.

[8] Mi permetto di rinviare, a questo proposito, al mio scritto “L’appello contro decreti cautelari monocratici nel processo amministrativo” in www.aulacivile.it – marzo 2020.

[9] Sull’art. 84 del d. l. n. 18/2020 si è già pronunciato in due occasioni il Consiglio di stato. In un caso l’appello contro il decreto monocratico del TAR è stato dichiarato inammissibile (decreto 23 marzo 2020 n. 1343); in altro caso, invece, l’appello, seppure respinto, è stato ammesso (decreto 30 marzo 2020 n. 1553). Si vedano in proposito le considerazioni di A. M. Sandulli, Sugli effetti pratici dell’applicazione dell’art. 84 d. l. n. 18 del 2020 in tema di tutela cautelare: l’incertezza del Consiglio di stato sull’appellabilità dei decreti monocratici, in www.Giustamm.it – aprile 2020.

[10] In un tipo di attività come quella giudiziaria sindacare dall’esterno un atto a contenuto provvedimentale quale il decreto del presidente del TAR che è interno ad un procedimento che altri dovrà liberamente concludere in sede collegiale comporta evidentemente un condizionamento implicito della decisione finale non ancora assunta, della cui utilità chi la assume dovrebbe, forse, essere l’unico garante. Queste considerazioni si addicono anche all’appello contro le sospensive decise collegialmente ed alla sua forza condizionante (di fatto) sulla sentenza di primo grado. Questa scelta che fu introdotta nell’ordinamento dal legislatore con il codice del processo amministrativo del 2 luglio 2010 n. 104, fu voluta prima dalla giurisprudenza amministrativa (Adunanza plenaria n. 1/1978), forse alimentata anche da una certa diffidenza verso la nuova giurisdizione dei TT.AA.RR. e dal timore di una eccessiva frantumazione territoriale di un potere che, come dice la sentenza 1 febbraio 1982 n. 8 della Corte costituzionale, “verte particolarmente nella sfera del pubblico interesse e rende, quindi, opportuno il riesame delle pronunce dei tribunali di primo grado da parte del Consiglio di Stato, che trovasi al vertice del complesso degli organi costituenti la giurisdizione stessa”.

5. Presupposti e contenuto del decreto cautelare monocratico ex art. 56

Il decreto cautelare collegiale previsto dall’art. 55 presuppone l’esistenza di un pregiudizio grave ed irreparabile durante il tempo necessario a giungere alla decisione sul ricorso. Per effetto della normativa emergenziale, quando esso venga ora richiesto sulla base di questo normale presupposto, la valutazione del presidente del TAR sulla gravità ed irreparabilità del pregiudizio lamentato non può più essere diversa da quella che, secondo il rito ordinario, sarebbe spettata al collegio e quindi deve essere effettuata alla luce del tempo necessario per giungere alla decisione sul ricorso. Non credo, infatti, che tale valutazione possa fare riferimento soltanto al periodo di tempo intercorrente fra la decretazione e la futura decisione collegiale, come avveniva prima del d. l. n. 18/2020, perché, dopo la sostanziale equivalenza fra la valutazione presidenziale e quella collegiale che sembra conseguire all’adozione della normativa emergenziale, sembra giocoforza affermare che il danno che ora viene giudicato in sede monocratica come grave ed irreparabile nelle more di una decisione collegiale in realtà incerta nel quando non può conseguire ad una valutazione diversa da quella che poi sarà tenuto a fare l’organo collegiale. Per questo sembra di poter dire che la strutturale uguaglianza della valutazione effettuata in sede monocratica rispetto a quello effettuata in sede collegiale comporta una uguaglianza di poteri e di forza decisionale fra il presidente del TAR ed il collegio. Donde la conseguenza che non vi sarà un vero e proprio doppio grado di giudizio, ma vi sarà pur sempre una piena revisione del decreto da parte del collegio non diversa nella sostanza da un appello. Donde, a mio avviso, la conseguenza che il presidente del TAR non dovrebbe fare parte del collegio in sede di riesame della sua decisione[11]. Se queste considerazioni meritano apprezzamento, il problema dell’appello dei decreti monocratici potrebbe ritenersi superato ed escluso.

[11] In senso contrario, su questo punto, C. Saltelli, p>

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