La necessità dell’ identità storica

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Sopravvenuta nello stato la malvagità sorgono fra i malvagi non inimicizie, ma salde amicizie, poiché quelli che danneggiano gli interessi comuni lo fanno cospirando fra loro” (Erodoto, III libro).

Vi è una perdita della profondità della memoria, nella facilità di accedere alle informazioni che l’universo informatico sembrerebbe promettere vi è anche il loro rapido evaporare, dissolversi  in un vertiginoso fluire, viene a mancare la sedimentazione nella stessa e da qui nella coscienza, tutto è informe, in una globalizzazione tecnologica della comunicazione che impedisce il formarsi di solide identità fondate su miti, storie, eventi, riflessioni, coscienza dei comuni interessi e visioni; l’esaltazione dell’aggressività individuale quale metodo di affermazione nasconde un’insicurezza per mancanza di radici ed un fluttuare quali canne al vento, la stessa promessa di una solida e riconosciuta identità comune nell’U.E. si risolve in un aspetto conflittuale economico-monetario e nel cavilloso, nonché dispersivo, potere burocratico, dalle dubbie finalità, con conseguenti rigetti identitari.

Già nella storiografia greca vi era un riconoscimento dell’importanza identitaria del racconto mitico quale contenitore del passato, la stessa “oralità dialettica” propria dei filosofi presocratici e della scienza ionica nel creare nella cultura greca una nuova forma di oralità, permetteva una ulteriore riflessione e approfondimento identitario, il passaggio dalla civiltà orale a quella scritta fa emergere la ricerca delle testimonianze e la loro valutazione critica sui fatti ritenuti degni per unicità ed eccezionalità ad essere ricordati, quali specchio di un mutamento in cui tuttavia si riconosceva nel “ciclo delle cose umane” (Erodoto, I, 207) il persistere di una identità, sebbene in balia del caso.

L’idea del mutamento persiste nei grandi storiografi greci e latini, vi è una valutazione critica dei risultati ultimi, ma lo specchio del mutamento permette di mantenere la coscienza identitaria (Momigliano), vi è in Erodoto il rifiuto di considerare una tradizione e cultura quali parametri “normativi” anche se riconosce l’importanza della consuetudine (Erodoto, III,38), vi è tuttavia un elemento che sovrasta tutti gli altri la “libertà”, che per Erodoto è la piena autonomia di una comunità, in cui l’individuo trova la sua pienezza realizzativa nel contribuire al bene in un rapporto diretto con la sfera collettiva, unico elemento costante nelle vicissitudini umane.

Sebbene circostanze e avvenimenti siano diversi vi è una essenza comune a tutta la storia umana quella che Tucidide definisce “la legge naturale degli uomini” (Tucidide, I, 22), vi è quindi la necessità di “un possesso perenne” (Tucidide, I, 22) della storia quale ammaestramento, in una distinzione tra cause prossime (aitiai ) e cause profonde (profaseis) e per questo più difficili, l’esercizio del potere fondato sulla forza materiale e psicologica, delle idee e della consuetudine non può tuttavia durare che su un principio di moderazione, di cui Tucidide nel libro V, 111 in un famoso passo ci indica gli estremi del “non transigere con gli uguali, aver tatto con i più forti, non esagerare con i più deboli”.

Braudel individua tre differenti velocità nei cambiamenti umani, il tempo della “geostoria”, ossia delle relazioni tra esseri umani e l’ambiente, il tempo dei sistemi economici, degli stati, delle società e delle civiltà, caratterizzati da lenti ritmi percettibili e la rapidità del tempo propria degli eventi e degli individui, oggetto tradizionale della storiografia, la storia umana più che un progresso lineare acquista un andamento ciclico, come la stessa storia economica mostra attraverso gli studi di Schumpeter e Kondratieff, nell’interagire tra storia e sociologia vi è un’affinità tra le due discipline nella ricerca di una completezza dell’esperienza umana (Braudel), essendo altrimenti difficile comprendere passato e presente.

Foucault interpreta la teoria della modernizzazione come l’affermazione della disciplina necessaria alla competizione nell’arena internazionale più che della libertà, ma indipendentemente dalle interpretazioni sulle cause dei cambiamenti quello che interessa è la capacità degli studi umanistici di “fare i conti con la storia e con la memoria”, come ci ricorda Umberto Eco, in quanto “la tecnologia sa vivere solo nel presente”, ma è nella memoria storica che si forma una capacità identitaria critica (U. Eco, In difesa del liceo classico, 28-29, La Stampa, 11/5/16).

L’identità è la percezione che un gruppo ha di se stesso all’interno di una generale visione del mondo e della vita, il tutto mediato da un sistema di conoscenze e di valori, questa tensione è collegata alla contrapposizione tra il “se” e “l’altro da sé”, come precisa Devereux “A è un X per il fatto che non è una Y”, l’identità è quindi il complesso delle relazioni entro cui il singolo o il gruppo  sono inseriti ed agiscono e in cui si  riconoscono e vengono riconosciuti, in questo interagire tra socializzazione e  “personalità” viene meno la capacità di creare l’identità nell’intreccio tra “interessi” e “memoria”, nel trasformare l’essere in una cultura giuridica interamente codificata, negandone l’esistenza in quanto persona con un vissuto condiviso da cui trarre valori e motivazioni.

All’antropologo Ralph Linton che si era portato presso i Comanche per esaminare i modi della loro organizzazione giuridica, alla domanda “Che genere di diritto avevate voi in uso” fu risposto “Noi non avevamo alcun tipo di diritto nei tempi antichi”, e con ciò chiuse il dialogo, evidentemente mancò la capacità comunicativa tra storia e culture diverse, come d’altronde sembra avvenire per le  identità nazionali (vedi Brexit) nell’U.E.

Dott. Sabetta Sergio Benedetto

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