La natura poliedrica della besa: canone, valore, istituto giuridico.

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1. Besa: caratteri generali.

La besa1 costituisce uno dei principi cardini della popolazione albanese, un valore cui si conformano tutte le condotte ed il modus vivendi di ogni singolo consociato; besa2 vuole dire parola data, fede, promessa che doveva essere mantenuta anche a costo della propria vita, termini che indicano un quid di profondo i quali incidono, in maniera evidente, nella persona di un dato consociato.

La besa è da intendersi, innanzi tutto, come canone, principio informatore dell’attività che ciascun consociato pone in essere in un dato momento storico; essa si caratterizza non solo con riguardo i rapporti all’interno di un nucleo familiare, ma soprattutto con riguardo ai rapporti con gli altri consimili.

La medesima oltre ad essere intesa in tale accezione, assume rilievo anche come valore, quest’ultimo insito nella personalità di ogni albanese, di fatti la stessa besa, intesa come valore, aveva rivestito un ruolo preminente nell’alveo del Kanun albanese, ossia della raccolta di norme consuetudinarie, le quali si ponevano quale fonte primigenia dei rapporti posti in essere dai consociati di una data comunità; il Kanun sopperiva alle deficienze dello Stato albanese, quest’ultimo non era dotato di un apparato valido di leggi e di codici al fine di regolamentare i rapporti all’interno della comunità stessa.

All’interno del Kanun la besa veniva soventemente trattata: l’art. 163 del Libro III poneva in rilievo l’importanza della besa come “un comportamento fedele attraverso il quale chiunque voglia liberarsi da un debito, deve dare un segno di fede, chiamando il Signore a testimonianza della verità”; l’art. 175, Libro III, prevedeva che la besa diventasse obbligatoria su coloro i quali avessero subito una offesa, tuttavia non tutti erano legittimati a porla in essere, di fatti, ai fini della dichiarazione della besa, gli anziani potevano richiedere la sussistenza di determinati requisiti quali la presenza, in capo al dichiarante, dei caratteri dell’onore e del rispetto; da ultimo la besa veniva intesa come tregua o anche perdono nei confronti dell’offensore da parte dei parenti della vittima di un omicidio.

La parola data, rappresentava e rappresenta un connotato della personalità di un albanese, che non poteva giammai essere violato, pena la irrogazione di sanzioni non solo aventi natura morale, ma anche, nei casi più gravi, natura fisica.

L’assenza di istituzioni od organismi che imponessero regole certe da osservare e darne attuazione ha fatto assurgere la besa a valore principe della Comunità albanese, valore collegato tra l’altro ai concetti di onore ed ospitalità3 disciplinati anch’essi nel Kanun4; la stessa è stata definita come un valore cardine di un ordinamento in cui la fedeltà alla legge è fedeltà all’essere intimo dell’uomo.

Circa l’esatta individuazione del termine besa, varie sono state le definizioni date dagli studiosi.

Cofalato5 ha definito la besa come “la parola veritiera essenziale, non superflua che comprende il rispetto di colui a cui è rivolta. Nella besa si raccolgono e si dispiegano un ventaglio di emozioni…onore, fiducia, lealtà. Un detto albanese dice “Fjalen e dhene nuk e thith te dheu” ossia la parola data non l’assorbe neanche la terra”.

Resta6 ha, invece, inteso la besa come “la parola data, il rispetto delle regole, il sentimento che spinge un albanese ad agire secondo un modello cruento, che impone tanto omicidio e vendetta quanto ospitalità e ossequio alle gerarchie. La parola di un uomo vale più della stessa vita”.

La besa contraddistinguendo la personalità di un dato soggetto porta ad effettuare determinate considerazioni circa l’esatta individuazione dei caratteri di un dato consociato, di fatti presupposto ineludibile ai fini del possesso di tale valore o virtù a dir si voglia è l’essere una persona degna, non meschina, la quale agisce ponendo in essere la propria attività, in particolare modo con riguardo ai rapporti con terzi soggetti, in modo leale, corretto ed onesto.

L’agire secondo il rispetto della besa vuole dire essere “bur” o “trim”, ossia una persona dotata di apposite virtù, una persona saggia, virile, che agisce cercando di non pregiudicare la posizione giuridica del terzo evitando possibili nocumenti per la sua sfera giuridica.

Il fatto che la besa è tanto sentita quanto osservata all’interno del popolo albanese, lo si evince non solo dalla sua presenza all’interno della raccolta delle norme consuetudinarie del Kanun, ma anche dal mito di Costantino e Doruntina7; infatti la medesima besa è istituita nel mito su riferito tramandato sotto forma di racconto, di ballata, di romanzo diffuso in molte varianti.

Il mito di Costantino e Doruntina narra la storia di una madre e dei suoi dieci figli, nove maschi ed una femmina, la storia vuole che la figlia femmina si fosse innamorata di un ragazzo che abitava lontano da lei, quest’ultima decideva di sposarsi ed andare a vivere da lui, ciò comportava il disappunto della madre lamentando il fatto che una volta che i suoi figli maschi si fossero sposati non ci sarebbe stato nessuno che sarebbe rimasto accanto a lei al fine di accudirla una volta divenuta vecchia.

Il figlio più piccolo, al fine di far sposare la sorella, aveva giurato alla madre (dichiarando, appunto, la besa), che se ce ne fosse stato bisogno sarebbe andato lui a riprenderla, tuttavia tutti i figli maschi morivano compreso Costantino, il quale non poteva, così, dar fede, rispettare il patto preso con la madre; il medesimo, tuttavia, veniva rispettato perché Costantino uscendo dalla tomba portava la propria sorella dalla madre così osservando la besa precedentemente prestata.

Appare ineludibile il ruolo che la besa ha rivestito nel corso del tempo nell’ambito della comunità albanese, in particolare, e nell’ambito dell’intera comunità balcanica in generale, Costantino, al fine di rispettare il pactum posto in essere con la madre sconfigge la morte riportando a casa, dalla propria madre bisognosa di essere accudita, Doruntina.

Proprio Costantino incarna lo spirito della besa, questa virtù è insita nel popolo albanese e contraddistingue la loro persona rispetto alle altre, sul punto il Kadare8 afferma che “la besa non si viola è divieto sacro….forza invincibile che sconfigge la morte”.

Il Nanci9, con specifico riferimento al ruolo della besa nell’ambito del mito di Costantino e Doruntina afferma che “la besa, innescando e condizionando le azioni ed i comportamenti del protagonista, si giustifica in primo luogo come obbligo morale che deve essere assolutamente rispettato, poiché la sua inosservanza esclude tutti gli altri valori dalla vita del trasgressore….la besa rappresenta in modo particolare quegli individui per sincerità e prontezza al sacrificio, eroi che, per via del particolare vigore morale, sono chiamati a stravolgere le norme sociali canonizzate e realizzare un nuovo ideale di umanità”.

2. La besa intesa come istituto giuridico.

Riprendendo le parole di un autore, il Marco10, la besa potremo definirla come un “istituto giuridico di una cultura orale”; tale definizione, efficacemente, individua un importante ambito di operatività della besa medesima ossia intendendola come fonte di rapporti obbligatori tra i consociati una data comunità.

Premessa l’assenza, all’interno dell’ordinamento albanese, prima dell’avvento del Re Zog e della sua codificazione, di un apparato normativo certo che potesse disciplinare i rapporti non solo tra Stato e cittadini, ma soprattutto tra cittadini, la besa fungeva, di fatti, a fonte dei rapporti negoziali tra i consociati, ponendo la medesima non solo quale regola di condotta da osservare nell’evolversi di un dato rapporto, ma anche quale fondamento di una data convenzione stipulata tra i consociati.

Al riguardo sempre il Marco11 sostiene che “la besa è un istituto giuridico, poiché essa sigillava con l’atto simbolico della stretta di mano, una convenzione e un generico patto come un vero e proprio contratto obbligatorio, che nel gesto canonico aveva la sua forma. “Dammi”, ovvero “ti offro la fede” era l’espressione che invitava le parti a suggellare il patto d’onore, e il negozio giuridico in una cultura orale”.

Alle carenze di tipo normativo, dovuta in gran parte all’assenza di uno Stato-autorità capace ad imporre le norme di diritto, non solo penali ma anche civili, la disciplina dei rapporti giuridici trovava, quindi, la propria fonte nella besa, operante, non solo nell’alveo del sistema penalistico accanto all’istituto della vendetta di sangue, non solo in qualità di canone o principio posto alla base delle norme del Kanun, ma anche come valore che trova una dimora all’interno della personalità di ciascun consociato la comunità, ancora come regola di condotta del corretto agere con riferimento ai rapporti intersoggettivi, e da ultimo quale fonte dei rapporti obbligatori tra due o più soggetti.

Da ciò si desume la natura poliedrica del concetto di besa, e della sua imprescindibile rilevanza all’interno della comunità organizzata in Stato.

All’interno di una data realtà sociale il diritto muta, adeguandosi alle suddette realtà, facendo sì che un concetto, più precisamente un fatto metagiuridico quale quello di besa, assurga a fonte dei rapporti tra i consociati; la medesima besa potremo dire che si pone al di fuori del diritto, ma che diviene fonte una volta che ciò lo richieda una data realtà sociale, ed è ciò che accade, appunto, all’interno di una comunità, quale quella albanese, in cui il potere statuale non era stato esercitato in modo efficiente ed efficace al fine di dotare la comunità di corpora legislativi, i quali potessero essere utilizzati al fine di regolamentare una serie indefinita di rapporti intersoggettivi.

La rilevanze della besa all’interno dei rapporti intersoggettivi si evinceva anche dalle conseguenze derivanti dalla sua violazione; di fatti, premesso che ad ogni azione, condotta derivano sempre determinate conseguenze, le stesse si riscontravano anche nel caso di violazione della parola data.

Le sanzioni presentavano diversa natura, innanzi tutto sanzioni di tipo morale, ma anche di tipo fisico nei casi più gravi ed eclatanti.

La sanzione di natura morale operava nei casi in cui la condotta posta in essere dall’inadempiente non fosse di un certo rilievo, in tali casi si procedeva nell’isolare colui il quale fosse incorso in detta infrazione; sul punto il Marco12 afferma che “in un contesto sociale in cui la parola è così importante, la coercizione di non parlare a chi si ritenga colpevole di una infrazione o di una offesa, quale quella della parola data e non mantenuta, è una risposta punitiva non certo leggera….alla parola data e non mantenuta, quindi alla besa violata, corrisponde una coercizione omogenea consistente nel silenzio”.

Nei casi più gravi si ammetteva anche il ricorso a mezzi più incisivi che afferivano la persona del soggetto, lo stesso Marco13 afferma che la sanzione “nel caso più cruento consisteva in una disfida sanguinosa”, con conseguente violazione del principio di proporzionalità che dovrebbe operare in ambito penalistico, senza trascurare gli altri fondamentali principi della responsabilità penale colpevole e della determinatezza-tassatività delle fattispecie penali.

Appaiono notevoli le analogie tra il concetto-istituto giuridico della besa ed i canoni della buona fede, correttezza e lealtà che contraddistinguono il rapporto obbligatorio all’interno del nostro ordinamento.

Come posto in forte evidenza sia in dottrina14 che in giurisprudenza i canoni della buona fede, da intendersi in senso oggettivo e non soggettivo (quindi non come ignoranza di ledere l’altrui diritto ex art. 1147 c.c.), della correttezza e della lealtà devono essere intesi in senso univoco e strettamente collegato, portando i soggetti di un dato rapporto obbligatorio ad agire in un certo modo al fine di evitare un possibile pregiudizio o nocumento per le altre parti e per il terzo.

Da una parte l’art. 1175 c.c. impone alle parti, debitore e creditore “di comportarsi secondo le regole della correttezza”; dall’altra l’art. 1375 c.c., con specifico riferimento al momento esecutivo del contratto, dispone che “il contratto deve essere eseguito secondo buona fede”, altri sono gli articolati di legge del codice civile che impongono alle parti, sia in pendenza della condizione, sia in fase precontrattuale, sia in sede di interpretazione etc., una certo agere.

Sul punto un importante arresto delle Sezioni Unite della Suprema Corte del 200815 pone in evidenza che “il principio di correttezza e buona fede (il quale, secondo la Relazione ministeriale al codice civile, “richiama nella sfera del creditore la considerazione dell’interesse del debitore e nella sfera del debitore il giusto riguardo all’interesse del creditore) deve essere inteso in senso oggettivo ed enuncia un dovere di solidarietà, fondato sull’art. 2 Costituzione, che, operando come un criterio di reciprocità, esplica la sua rilevanza nell’imporre a ciascuna delle parti del rapporto obbligatorio, il dovere di agire in modo da preservare gli interessi dell’altra, a prescindere dall’esistenza di specifici obblighi contrattuali o di quanto espressamente stabilito da singole norme di legge, sicchè dalla violazione di tale regola di comportamento può discendere, anche di per sé, un danno risarcibile“.

Così intesi detti canoni portano ad una considerazione, la besa è da intendersi quale canone di buona fede, lealtà, correttezza che impone un certo modus agendi ed operandi ai soggetti di un dato rapporto obbligatorio, comportando, come già visto, l’applicazione di determinate sanzioni, gravi e non gravi, nel caso di inadempimento; lo stesso vale per il nostro caso posto che, oramai sia la dottrina che la giurisprudenza largamente dominanti propendono per l’azionabilità di una azione risarcitoria, o sussistendo i presupposti anche l’esperibilità dell’azione di annullamento o di risoluzione del contratto o della exceptio doli generalis, al fine di tutelare la posizione giuridica della parte che abbia agito con correttezza, lealtà, buona fede e diligenza nell’adempiere le sue obbligazioni.

Recentemente un importante arresto della Suprema Corte16, con ciò ponendo in luce le analogie con la besa, ha specificato che I principi di correttezza e buona fede nell’esecuzione e nell’interpretazione dei contratti, di cui agli artt. 1175, 1366 e 1375 cod. civ., rilevano sia sul piano dell’individuazione degli obblighi contrattuali, sia su quello del bilanciamento dei contrapposti interessi delle parti: sotto il primo profilo, essi impongono alle parti di adempiere obblighi anche non espressamente previsti dal contratto o dalla legge, ove ciò sia necessario per preservare gli interessi della controparte, mentre, sotto il secondo profilo, consentono al giudice di intervenire anche in senso modificativo o integrativo sul contenuto del contratto, qualora ciò sia necessario per garantire l’equo contemperamento degli interessi delle parti e prevenire o reprimere l’abuso del diritto, specificando poi che si ha abuso del diritto quando il titolare di un diritto soggettivo, pur in assenza di divieti formali, lo eserciti con modalità non necessarie ed irrispettose del dovere di correttezza e buona fede, causando uno sproporzionato ed ingiustificato sacrificio della controparte contrattuale, ed al fine di conseguire risultati diversi ed ulteriori rispetto a quelli per i quali quei poteri o facoltà furono attribuiti”.

Gli aspetti preminenti relativi alla besa possono evincersi, quindi, anche attraverso una analisi comparata dei canoni e dei valori operanti in altri ordinamenti, quali il nostro, ed afferenti la buona fede, correttezza, lealtà od il principio del naeminem laedere; la besa è da intendersi in tal senso, ossia nel rispetto di determinate regole di condotta operanti sotto più punti di vista, sia come precetto da osservare nell’interagire con altri consociati, sia come fonte di rapporti intersoggettivi.

3. Conclusioni.

Da quanto emerge dalle pagine che precedono appare evidente la natura poliedrica della besa, intesa come valore preminente nella persona degna, saggia, leale ed onesta; come regola di condotta che direziona in un certo modo l’attività e la condotta che deve essere posta in essere da ciascun consociato nei rapporti intersoggettivi; come fonte “normativa” operante nei casi di assenza di specifiche disposizioni che regolino i rapporti suddetti, in tale caso la besa sopperisce alle assenze e deficienze dello Stato-Comunità.

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1 Avv. Roberto Sposato è specializzato nelle professioni legali, pubblicista, collabora con le riviste giuridiche telematiche “filodiritto” ed “ildirittoamministrativo.it”.

2 Su tutti CRISAFULLI – DI TULIO, Aspetti della criminalità militare nel settore albanese, Tirane 1942; ; ASCOLI, La vendetta del sangue, Milano, 1961; MARCO, Gli arbereshe e la storia. Civiltà, lingua e costumi, Lungro, 1996; MANDALA’, La besa nel Kanun di Lek Dukagjini, in Atti del XVII Congresso Internazionale degli Studi Albanesi. Palermo 25-28 novembre 1991; YAMAMOTO, The ethical structure of Kanun and its cultural implications, Seminari Nderkombeter per Gjuhen, Letersime, dhe Kulturen Shqiptare, 2006; nella dottrina albanese v. ISMAILI, Besa ne te drejten zakonore shqiptare, gjurmime albanologjike – folklor dhe etnologji, I, Prishtine, 1971, p. 96 e ss; ÇABEJ, Zakone dhe doke te shqiptareve, vol V, Prishtine, 1975, p.190 e ss.; ELEZI, E drejta zakonore e laberise ne planin krahasues, Tirane, 1994.

3 “La sacralità dell’amicizia e dell’ospitalità, così come il dovere altrettanto sacro di riparare alla offesa subita, presso gli albanesi si giustifica con la sacralità della besa”, così si esprime MANDALA’ in La besa nel Kanun di Lek Dukagjini, tratto da Atti del XVII Congresso Internazionale degli Studi Albanesi. Palermo 25-28 novembre 1991.

4 Per uno sguardo d’insieme VILLARI, Le consuetudini giuridiche dell’Albania, Roma, 1920; CASTELETTI, Consuetudini e vita sociale albanese secondo il Kanun di Lek Dukagjini, Roma, Vol. III-IV, 1933-34; RESTA, Un popolo in cammino, Migrazioni albanesi in Italia, Lecce, 1996; MARTUCCI, Il Kanun di Leke Dukagjini: le basi morali e giuridiche della società albanese, Lecce, 2009; MARTUCCI, Il diritto consuetudinario albanese: il Kanun, Tirana, 2005; Valentini, Il diritto delle comunità nella tradizione giuridica albanese, Firenze, 1956.

5 COLAFATO, Emozioni e confini: per una sociologia delle relazioni etniche, Roma, 1998.

6 RESTA, Pensare il sangue: la vendetta nella cultura albanese, Roma, 2002.

7 Si veda DE RADA, Rapsodie di un poema albanese, Canto XVII, Libro I, “Costantinoe Garentina”, Opera Omnia, Soveria Mannelli (Cz), 2005; KADARE, Chi ha riportato in vita Doruntina?, Milano, 2008, KOLA, Arvanitet dhe prejardhja e grekeve, Tirana, 2002.

8 Opera ult. cit.

9 NANCI, La leggenda del fratello morto nella tradizione orale albanese, Riv. Catanzaro Arberia, Catanzaro, 2006.

10 MARCO, Gli arbereshe e la storia. Civiltà, lingua e costumi, Lungro, 1996.

11 Op. ult. cit.

12 Op. ult. cit.

13 Op. ult. cit.

14 Su tutti BIANCA, L’obbligazione, Vol. IV, Milano, 1995; CARINGELLA, Manuale di diritto civile, Roma 2009;

GAZZONI, Manuale di diritto privato, Napoli, 2006.

15 Corte di Cassazione, Sezioni Unite, 25 novembre 2008, n. 28056.

16 Corte di Cassazione, Sez. III, 26 giugno 2011, n. 13583.

Sposato Roberto

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