La natura dell’aggravante agevolatrice di cui all’art. 416 bis.1 c.p. e il rapporto con il concorso esterno in associazione mafiosa

Sara Di Stasi 04/05/20
Scarica PDF Stampa
Con la sentenza 3 marzo 2020 n. 8545, la Corte di Cassazione a Sezioni Unite affronta la questione della natura giuridica della circostanza aggravante agevolatrice dell’attività mafiosa, che prevede un aumento di pena per aver commesso il fatto al fine di agevolare l’attività delle associazioni mafiose.

Con l’occasione, ci si sofferma sulla comunicabilità dell’aggravante ai concorrenti e sul rapporto tra tale circostanza e il reato di concorso esterno in associazione mafiosa.

La questione di diritto rimessa alle Sezioni Unite chiedeva se l’aggravante speciale già prevista dall’art. 7 d.l. n. 152 del 1991 ed oggi inserita nell’art. 416-bis 1 c.p., che prevede l’aumento di pena quando la condotta tipica sia consumata al fine di agevolare le associazioni mafiose, abbia valenza oggettiva, concernendo le modalità dell’azione, ovvero soggettiva, concernendo la direzione della volontà.

La natura della circostanza aggravante

Le norme che assumono rilievo ai fini della trattazione in esame sono l’art. 416 bis.1 comma 1, che prevede una circostanza aggravante ad effetto speciale per chi commette il reato al fine di agevolare l’attività delle associazioni mafiose di cui all’art. 416 bis, nonché l’art. 118 c.p., ai sensi del quale le circostanze che aggravano o diminuiscono la pena concernente i motivi a delinquere, l’intensità del dolo, il grado della colpa e le circostanze inerenti alla persona del colpevole sono valutate soltanto riguardo alla persona cui si riferiscono.

Appare utile ripercorrere brevemente il dibattito giurisprudenziale inerente alla natura della circostanza.

Secondo un primo orientamento tale circostanza attiene ad un atteggiamento di tipo psicologico dell’agente, che richiama i motivi a delinquere e come tale è riconducibile alle circostanze indicate nell’art. 118 c.p., con la conseguenza che essa non sarebbe estensibile ai concorrenti nel reato.

All’interno di tale orientamento, si contrappongono due diversi filoni di pensiero relativi alla natura dell’elemento psicologico: per alcune sentenze, è necessario il dolo specifico, mentre, per altre, basta il dolo generico, ossia la consapevolezza che la condotta sia funzionale ad agevolare l’organizzazione criminale.

Secondo un diverso indirizzo interpretativo, l’aggravante è di natura oggettiva, e riguarda le modalità dell’azione, come tale riconducibile alle circostanze oggettive   ai sensi dell’art. 70 c.p.. In particolare, l’elemento oggettivo consiste nell’essere l’azione «rivolta ad agevolare un’associazione di tipo mafioso». Ne consegue la possibilità di estendere la circostanza ai concorrenti, in quanto non contemplata dall’art. 118 c.p. Tale comunicabilità sarebbe resa possibile grazie al disposto di cui all’art. 59 c.p., a mente del quale le circostanze aggravanti sono valutate a carico del colpevole purché da lui conosciute ovvero ignorate per colpa o ritenute inesistenti per errore determinato da colpa. Quindi trasponendo la disciplina normativa nell’ambito del concorso di persone nel reato, le aggravanti relative ad un correo si estendono al concorrente solo se da quest’ultimo conosciute o conoscibili.

Secondo un ulteriore orientamento, la natura dell’aggravante e la disciplina in caso di concorso di persone nel reato dipendono da come la stessa si atteggia in concreto e dal reato cui essa acceda. Non sarebbe, cioè, possibile inquadrare una volta per tutte la circostanza aggravante dell’agevolazione mafiosa tra le circostanze oggettive o soggettive, e, di conseguenza, il giudice dovrebbe valutare caso per caso anche la comunicabilità al concorrente. Più nel dettaglio,  l’orientamento in esame si fonda sull’assunto per cui la natura dell’aggravante e la disciplina in caso di concorso di persone nel reato dipende da come la stessa si atteggia in concreto e dal reato a cui accede: quando l’aggravante, in concreto, si configura come un dato oggettivo, che travalica la condotta del singolo agente agevola la commissione del reato, si estende ai concorrenti. Si richiede, perciò, che l’attività dell’agente si connoti per una oggettiva capacità in concreto di agevolare l’associazione criminale.

La soluzione della Corte

Con riguardo alla natura della circostanza aggravante agevolatrice dell’associazione mafiosa, le Sezioni Unite confermano la natura soggettiva, e inquadrano il fine agevolativo nel concetto di motivo a delinquere.

La circostanza aggravante è caratterizzata dal dolo intenzionale o dal dolo specifico, esigendo che l’agente deliberi l’attività delittuosa nella convinzione di apportare un vantaggio alla compagine associativa e tale rappresentazione deve fondarsi su elementi concreti, inerenti all’esistenza del gruppo associativo mafioso di cui all’art. 416 bis c.p.

La finalità agevolatrice, peraltro, non deve essere necessariamente esclusiva, potendo concorrere con il dolo specifico di finalità personali del soggetto agente, purché esse siano secondarie e accessorie rispetto alla primaria volontà di agevolazione.

L’estensione ai concorrenti nel reato

L’art. 118 c.p. esclude la possibilità di estendere ai concorrenti, tra le altre, le circostanze inerenti ai motivi a delinquere.

A rigore, quindi, la circostanza aggravante dell’agevolazione mafiosa di cui all’art. 416 bis.1 comma 1 c.p. non dovrebbe comunicarsi al correo.

La giurisprudenza, tuttavia, in modo apparentemente innovativo, afferma che la natura soggettiva dell’aggravante non esclude l’estensione al concorrente, essendo necessario che il giudice ponga in essere una valutazione caso per caso.

In particolare, la Suprema Corte ravvisa la possibilità di estendere l’aggravante nei confronti del concorrente, che, sebbene non animato dal dolo specifico di favorire la associazione mafiosa, non di meno sia consapevole della altrui finalità in tal senso.

Tale affermazione è possibile recuperando il concetto di circostanze soggettive oggettivizzate presente nella giurisprudenza anteriore alla riforma della disciplina delle circostanze del 1990.

Per comprendere il percorso che porta ad estendere la aggravante in commento al concorrente nel reato, appare utile una premessa di carattere storico inerente alla riforma legislativa operata dalla l. 19/1990, che ha inciso profondamente sul sistema delle circostanze, ivi compreso sul tenore dell’art. 118 c.p.

La novella, in primis, ha capovolto il criterio di imputazione delle circostanze aggravanti che, in omaggio al principio di colpevolezza desunto dall’art. 27 Cost., oggi devono essere conosciute dall’agente o comunque ignorate per colpa o ritenute inesistenti per errore determinato da colpa (art. 59 c.p.).

La portata innovativa della legge del 1990 è confinata alle aggravanti oggettive, perché per le aggravanti soggettive la conoscenza o conoscibilità è in re ipsa, cioè rappresenta un requisito intrinseco alla natura stessa della circostanza. Infatti, già sotto il vigore della precedente formulazione dell’art. 59 c.p., la giurisprudenza riteneva non comunicabili ai compartecipi le aggravanti soggettive in tutti i casi in cui la struttura della circostanza fosse connotata da coefficienti soggettivi, richiedendo una corrispondente rappresentazione nella psiche dell’agente.

Prima della riforma del 1990, in armonia con il tenore dell’art. 70 c.p., che distingue tra circostanze oggettive e soggettive, l’art. 118 c.p., prevedeva che le circostanze oggettive (sia attenuanti che aggravanti) si estendevano a tutti i correi a prescindere dalla loro conoscenza, mentre le circostanze soggettive non si estendevano, ma si applicavano solo al concorrente cui inerivano.

A questa regola facevano eccezione le c.d. circostanze aggravanti soggettive oggettivizzate, ossia le aggravanti che fossero servite ad agevolare la commissione del reato[1].

La legge 19 del 1990 ha riformulato l’art. 118 c.p., che oggi dispone che le circostanze che attengono ai motivi a delinquere, all’intensità del dolo e al grado della colpa e quelle che attengono alla persona del colpevole sono valutate solo con riferimento alla persona cui si riferiscono e, quindi, non sono comunicabili agli altri concorrenti. Nel testo riformulato della norma, quindi, scompare la netta distinzione tra circostanze oggettive e soggettive, con evidente frattura tra l’art. 118 e l’art. 70 c.p., che invece continua a distinguere tra aggravanti e attenuanti oggettive e soggettive.

Ci si è chiesti, in dottrina e in giurisprudenza, quale sia la disciplina applicabile alle circostanze non menzionate dall’art. 118, ossia le circostanze relative all’intensità del dolo e al grado della colpa, le circostanze relative all’autore del reato e ai rapporti tra il colpevole e l’offeso.

La soluzione generalmente prospettata afferma che alle circostanze non menzionate nell’art. 118 c.p. si applica l’art. 59 c.p., in base al quale le aggravanti si estendono agli altri concorrenti se conosciute o conoscibili.

 

Senonché l’orientamento prevalso nella giurisprudenza è nel senso che tale criterio non possa essere assunto a principio generale, ma deve confrontarsi con la natura, la ratio e la struttura della circostanza che viene in considerazione nel caso concreto di volta in volta prospettato alla attenzione del giudice.

Per quanto riguarda le circostanze soggettive non menzionate dall’art. 118 c.p., inoltre, è affermazione largamente condivisa quella secondo cui la norma, nella sua attuale formulazione, fornisce solo una regola di esclusione, ma non reca una speculare regola di inclusione, nel senso che non comporta che tutte le circostanze da esso non menzionate debbano necessariamente estendersi a tutti gli autori del reato.

Dall’art. 118 c.p. non si ricava, quindi, un generalizzato assunto per cui tutte le circostanze soggettive non sono passibili di estendersi ai concorrenti. La incomunicabilità è circoscritta a quelle aggravanti attinenti alle sole intenzioni dell’agente, pertanto potenzialmente non riconoscibili dai concorrenti.

In altri termini, il testo dell’art. 118 c.p. non implica l’impossibilità di estensione delle circostanze soggettive tout court, ma opera un’indicazione autonoma, limitata alle «circostanze che aggravano o diminuiscono le pene concernenti i motivi a delinquere, l’intensità del dolo, il grado della colpa e le circostanze inerenti alla persona del colpevole» che richiede siano «valutate soltanto riguardo alla persona cui si riferiscono».

Si ritiene, quindi, che la circostanza dell’agevolazione mafiosa, seppur soggettiva, sia riconducibile al concetto di aggravanti soggettive oggettivizzate e, di conseguenza, sia estensibile al concorrente, quando il pubblico ministero riesca a provare in giudizio elementi di fatto idonei a dimostrare che l’intento dell’agente sia stato riconosciuto dal concorrente e che tale consapevolezza non lo abbia dissuaso dalla collaborazione.

I rapporti con il concorso esterno in associazione mafiosa

Il dibattito ha favorito l’occasione per approfondire le differenze tra il concorso esterno in associazione mafiosa risultante dal combinato disposto degli artt. 110 e 416 bis c.p. e l’aggravante della finalità di agevolare l’associazione mafiosa, qui in commento.

La Corte mette in luce come l’unico elemento in comune tra le due figure sia l’esistenza di una associazione mafiosa.

In particolare, in ipotesi di concorso esterno in associazione mafiosa il concorrente extraneus apporta un contributo che, sebbene occasionale e fornito senza l’affectio societatis, si rivela ineliminabile e insostituibile, ancora di più nei momenti di “fibrillazione”, ossia di difficoltà, della associazione criminale. Viene, perciò, in rilievo la causalità agevolatrice propria del concorso di persone nel reato, per cui sussiste il concorso ogni qualvolta il correo apporti un contributo che, ancorché non sia condicio sine qua non dell’azione delittuosa, abbia comunque agevolato la commissione del reato.

 

La aggravante dell’agevolazione mafiosa, invece, è connotata da un quid minus, perché presuppone il mero accertamento finalità di agevolare l’attività della associazione.

Rispetto all’autore dell’illecito aggravato, solo il concorrente esterno ha un rapporto effettivo e strutturale con il gruppo, della cui natura ha una conoscenza complessiva, che gli consente di cogliere la funzionalità del proprio intervento alla sopravvivenza o vitalità del gruppo.

Pertanto, alla luce della acclarata diversità tra le due figure, ben può accadere che il giudice ritenga di escludere il concorso esterno in associazione mafiosa e, al contempo, affermi in sentenza l’esistenza della circostanza aggravante dell’agevolazione mafiosa ex art. 416 bis.1.

Questa considerazione trova, inoltre, conferma nella constatazione pratica per cui se non ci fosse una sostanziale differenza tra le due fattispecie, si dovrebbe arrivare alla conclusione per cui ogni volta che il giudice ravvisa la sussistenza della aggravante ex art. 416 bis.1 dovrebbe affermare l’integrazione del concorso esterno in associazione mafiosa per l’autore concorrente del reato aggravato.

Volume consigliato

Note

[1] Rocco Galli, “Nuovo corso di diritto penale” CEDAM 2017, pag. 1057.

Sara Di Stasi

Scrivi un commento

Accedi per poter inserire un commento