La natura del reato tributario ed il procedimento di contestazione

Scarica PDF Stampa

1. Premessa.

Il D.Lgs. 10 marzo 2000 n. 741, rubricato “Nuova disciplina dei reati in materia di imposte sui redditi e sul valore aggiunto”, è stato adottato in attuazione dell’art. 9 della Legge 25 giugno 1999, n. 205 e si inserisce in un più ampio contesto di depenalizzazione dei reati minori, in seguito al fallimento della legge 7 agosto 1982 n. 516 (c.d. “manette agli evasori”) che non è riuscita a porre un freno al fenomeno dell’evasione fiscale, né ha contribuito alla formazione di una coscienza sociale orientata verso il rispetto dei principi solidaristici consacrati negli artt. 2 e 53 della Costituzione.

La differenza sostanziale della nuova disciplina rispetto al sistema previgente è rappresentata dalla rinuncia alla criminalizzazione di violazioni meramente formali e preparatorie all’evasione, tipica della maggior parte delle ipotesi di reato previste dalle norme precedenti e, diversamente, dall’importanza che assume la presentazione della dichiarazione, quale momento in cui viene ad instaurarsi il rapporto tra fisco e contribuente, con il corollario della non punibilità del tentativo sancito dall’articolo 6 del medesimo decreto per tutti i reati in materia di dichiarazione.

Per quanto attiene, invece, i reati in materia di documentazione e di pagamento disciplinati dagli art. 8, 10 e 11 del D.Lgs. 74/2000, va sottolineato come essi rappresentano un continuum con la precedente disciplina. In sostanza, l’art. 8, rubricato “Emissione di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti” e l’art. 10, rubricato “Occultamento o distruzioni di documenti contabili” riguardano fattispecie criminose volte a penalizzare il contribuente per violazione del dovere di tenuta e conservazione della documentazione, l’art. 11, rubricato “Sottrazione fraudolenta al pagamento di imposte” ha come scopo di reprimere la c.d. evasione alla riscossione e di punire i responsabili dei mancati pagamenti delle imposte dovute con un minore introito del Fisco.

Il D.Lgs. 74/2000 è stato, poi, integrato dapprima dalla Legge Finanziaria 2005 (Legge 30 dicembre 2004, n. 311) che all’art. 1, comma 414 ha disposto l’inserzione nel contesto del decreto di un nuovo articolo 10-bis (Omesso versamento di ritenute certificate) volto a sanzionare condotte di evasione fiscale perpetrate dal sostituto d’imposta, e successivamente dall’art. 35, comma 7 del d.l. 4 luglio 2006, n. 233 (“Disposizioni comuni per il rilancio economico e sociale, per il contenimento e la razionalizzazione della spesa pubblica, nonché interventi in materia di entrate e di contrasto all’evasione fiscale”), convertito con modificazioni in Legge 4 agosto 2006, n. 248, il quale ha introdotto gli articoli 10-ter (Omesso versamento di IVA) e 10-quater (Indebita compensazione).

Tali reati hanno completato il quadro dei delitti tributari contenuti nel Titolo II e hanno dato vita ad una serie di strumenti repressivi di violazioni in linea con quelli che sono sostanzialmente i doveri fondamentali a cui il contribuente è tenuto a conformarsi: l’obbligo di presentazione della dichiarazione (Capo I dei delitti in materia di dichiarazione), l’obbligo di tenuta e conservazione della documentazione fiscale (Capo II dei delitti in materia di documenti) e l’obbligo di pagamento delle imposte (Capo II dei delitti in materia di pagamenti).

La diversità dei reati tributari, previsti dalla legislazione vigente, comporta che la natura di essi varia in relazione:

  • alla figura soggettiva che commette il reato (reato comune, reato proprio);

  • al momento consumativo del reato (reato istantaneo, reato permanente, reato abituale);

  • alla condotta (reato a forma vincolata, reato a forma libera);

  • all’offesa arrecata al bene giuridico (reato di danno, reato di pericolo nonché reati di pericolo concreto, pericolo astratto e pericolo presunto).

Al fine di comprendere appieno la natura del reato tributario occorre, conseguentemente, analizzare le singole fattispecie delittuose.

2. I delitti in materia di dichiarazione.

Il D.Lgs. 74/2000 suddivide al Titolo II le ipotesi di reato in due gruppi: al Capo I i delitti in materia di dichiarazione e al Capo II i delitti in materia di pagamento e di imposte.

I delitti in materia di dichiarazione sono disciplinati, poi, dagli articoli 2 “Dichiarazione fraudolenta mediante l’uso di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti”, 3 “Dichiarazione fraudolenta mediante altri artifici”, 4 “Dichiarazione infedele” e 5 “Omessa dichiarazione”.

Le figure previste nel Titolo II Capo I – cui sono associate pene particolarmente severe, in quanto i delitti in materia di dichiarazione, qui regolati, realizzano in modo decisivo e concreto l’evasione fiscale – sono accomunate da due elementi:

  1. la necessaria sussistenza del dolo specifico di evasione fiscale (“al fine di evadere le imposte”): si sanzionano cioè (e pesantemente) quei comportamenti mirati materialmente e

psicologicamente alla realizzazione dell’evasione;

  1. il superamento di soglie di punibilità, riferite a determinati importi dell’imposta evasa (tranne che il reato di cui all’art. 2).

 

2.1 La dichiarazione fraudolenta mediante uso di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti e la dichiarazione fraudolenta mediante altri artifici. (artt. 2 e 3)

Tra i delitti in materia di dichiarazione quello di “dichiarazione fraudolenta” rappresenta sicuramente la fattispecie di delitto più grave fra quelle regolate dalla normativa di riforma del sistema penale tributario. Esso ricorre allorquando vi sia una rappresentazione dei fatti non solo non veritiera, ma anche particolarmente insidiosa, in quanto basata su di un impianto contabile e documentale tale da rendere quanto mai difficile la fase di accertamento da parte dell’Amministrazione Finanziaria e, comunque, tale da sostenere con l’inganno i dati indicati nella dichiarazione.

Nell’ambito di tale categoria vi rientrano due fattispecie criminose: la dichiarazione fraudolenta mediante uso di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti disciplinata dall’art. 2, e la dichiarazione fraudolenta mediante altri artifici disciplinata dal successivo art. 3.

Soggetto attivo del reato può essere unicamente colui il quale è contribuente ai fini delle imposte dirette e dell’IVA, oppure è amministratore, liquidatore o rappresentante del contribuente soggetto ad imposizione. L’ambito soggettivo di applicazione della norma è ampio potendo riguardare anche i titolari di redditi di lavoro dipendente, di fabbricati, terreni o altresì di entrate non soggette all’obbligo di tenuta delle scritture contabili, bensì soltanto all’obbligatoria presentazione della dichiarazione annuale.

In relazione all’elemento oggettivo dei reati in esame, rileva sottolineare come la dichiarazione fraudolenta mediante l’uso di fatture o documenti per operazioni inesistenti (art. 2) richiede due comportamenti diversi e susseguenti indispensabili per il compimento del reato: il contribuente deve innanzitutto disporre delle fatture e degli altri documenti per operazioni inesistenti mediante la loro registrazione e/o detenzione ai fini probatori nei confronti dell’Amministrazione Finanziaria e, successivamente, deve utilizzare tali documenti mediante indicazione, nella dichiarazione, di elementi passivi fittizi o di attivi inferiori a quelli reali, così fornendo all’Erario una falsa rappresentazione della situazione contributiva.

Diversamente, se il contribuente si limitasse alla mera registrazione delle fatture inesistenti in contabilità, senza che ciò influisse sulla dichiarazione annuale ai fini delle imposte sui redditi o IVA (già presentata dal contribuente, ovvero, per l’annualità in corso all’atto della verifica, da presentare), siffatta condotta non rileverebbe ai fini della configurazione del reato in esame.

La dichiarazione fraudolenta mediante altri artifici ricorre laddove le indicazioni mendaci di elementi attivi inferiori a quelli reali e/o di elementi passivi superiori a quelli effettivi siano suffragate da una documentazione contabile tesa a fuorviare e ad intralciare la successiva attività di accertamento dell’Amministrazione Finanziaria.

Ne deriva che le mere violazioni degli obblighi di fatturazione e di registrazione dei corrispettivi non sono da sole sufficienti al fine di configurare gli artifici previsti dall’articolo in esame. Diversamente, si richiede che tali violazioni, per le particolari modalità con le quali vengono poste in essere (violazioni sistematiche e continue, o tenuta ed occultamento di contabilità in nero parallele a quella ufficiale), conducano alla falsa rappresentazione generale della situazione fiscale del contribuente.

In sede penale, l’onere della prova del carattere fittizio dei costi indicati nella dichiarazione annuale è a carico del P.M., stante il principio di presunzione di innocenza fino a condanna definitiva ex art. 27, comma 2, della Costituzione; differentemente da ciò che accade nel processo tributario laddove l’onere della prova della non falsità delle fatture ricade sul contribuente, mentre l’Ente impositore potrà limitarsi ad offrire un fumus di elementi suffraganti la tesi della falsità delle fatture.

In sostanza, nell’ambito del processo penale, laddove i semplici indizi risultino essere prevalenti rispetto alle prove, il combinato disposto degli artt. 192 c.p.p. e 530, comma 2, c.p.p. vieta al Giudice di pronunciare sentenza di condanna, qualora sulla colpevolezza dell’imputato persiste un ragionevole dubbio: il persistere di fatti che possano dare una chiave di lettura diversa nel generare un dubbio non irragionevole sulla responsabilità dell’imputato impone l’assoluzione.

Diversamente, qualora il giudice di merito ritenga sussistente il disegno criminoso di evasione fiscale ed il reato di dichiarazione fraudolenta – basandosi su prove gravi, precise e concordanti – la relativa pronuncia sarà immune dai vizi denunciati dall’imputato mediante ricorso per Cassazione e consentirà, al di là di ogni ragionevole dubbio, di pervenire ad un giudizio di responsabilità del ricorrente.

La consumazione del reato in esame avviene con la presentazione della dichiarazione fraudolenta, ossia con l’unico atto mediante il quale – nelle intenzioni del legislatore della riforma penale tributaria – l’interesse erariale alla percezione dei tributi è messo concretamente a repentaglio.

2.2 La dichiarazione infedele.

La dichiarazione infedele ha carattere residuale in quanto l’art. 4 stabilisce che la fattispecie si realizza “fuori dei casi previsti dagli articoli 2 e 3”, che disciplinano le dichiarazioni fraudolente.

La residualità della dichiarazione infedele rispetto alle dichiarazioni fraudolente si manifesta nel senso che la finalità di evadere le imposte sui redditi e sul valore aggiunto è perseguita con artifici, che non considerano l’impiego di documenti (fatture, registrazioni contabili, ecc.): le due forme di dichiarazioni fraudolente, infatti, pur diverse fra loro, per la tipicità dei requisiti dell’una e la varietà di elementi dell’altra, sono unificate dal riferimento alle scritture contabili, mentre, nella dichiarazione infedele, l’indicazione di elementi passivi fittizi in una delle dichiarazioni annuali viene attuata in forme che utilizzano mezzi, documentali o meno, in ogni caso diversi da quelli richiesti nella disciplina delle dichiarazioni fraudolente (artt. 2 e 3). Peraltro, le dichiarazioni fraudolente, come la dichiarazione infedele, anche se hanno a oggetto comportamenti differenti, sono preordinate allo stesso fine, quello di evadere le imposte sui redditi e sul valore aggiunto.

Considerato che il fine di evadere le imposte sui redditi o sul valore aggiunto è comune a tutte le fattispecie di delitti in materia di dichiarazione, l’approccio progressivo deve tener conto della struttura dei due tributi, onde individuare gli elementi della fattispecie relativa e qualificare la natura della fattispecie, con la conseguenza che se si esclude il carattere fraudolento della condotta, la fattispecie stessa è configurabile come dichiarazione infedele.

Il reato in esame è posto, pertanto, a tutela in via diretta dell’interesse patrimoniale dell’Erario in quanto vengono criminalizzate quelle condotte alle quali consegue effettivamente l’evento del danno, per le pretese fiscali pubbliche, cagionato dall’evasione; quest’ultima rileva solo nel momento in cui l’imposta evasa sia quantitativamente superiore a quanto indicato nelle soglie di punibilità. Si richiede, quindi, che la condotta infedele accertata ed attribuita al contribuente sia qualitativamente tale da arrecare un nocumento sostanziale e “non formale” all’amministrazione.

E’ importante, inoltre, rilevare come la nozione di cui all’art. 4 D.Lgs. n. 74 del 2000 faccia esplicito riferimento ad un reato di evento così come la fattispecie di dichiarazione fraudolenta mediante altri artifici di cui all’art. 3 D.Lgs. n. 74 del 2000. Al contrario, nel caso dell’art. 2 D.Lgs. n. 74 del 2000, pur non negandosi i rilevanti caratteri di novità rispetto alla fattispecie in precedenza disciplinata dalla L. n. 516 del 1982, si ritiene ci si trovi innanzi ad un reato di pericolo e non di danno in quanto l’integrazione della condotta si verifica nel momento in cui avviene la presentazione di una dichiarazione nella quale sono stati indicati elementi passivi fittizi, in conseguenza dell’utilizzo di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti. Non necessariamente, ai fini del perfezionamento della figura del reato de quo, è richiesto, come elemento indefettibile, l’evento del danno.

In merito ai soggetti attivi del reato, poi, a dispetto delle formulazione utilizzata (Chiunque), possiamo dire che la dichiarazione infedele costituisce un reato proprio, in quanto configurabile solo in capo a coloro che sono soggetti all’obbligo di presentare la dichiarazione ai fini delle imposte sul reddito e/o sul valore aggiunto, ancorché non obbligati alla tenuta delle scritture contabili. L’ambito soggettivo di applicazione risulta, pertanto, essere dilatato rispetto all’art. 3, il quale è attribuibile soltanto ai soggetti obbligati alla tenuta delle scritture contabili, oltre che alla presentazione della dichiarazione.

Infine, per quanto concerne l’elemento soggettivo de quo, l’art. 4 del D.lgs. n. 74 del 2000 indica, quale elemento indefettibile ai fini della punibilità della condotta, il dolo specifico del perseguimento del fine di evadere le imposte sui redditi o sul valore aggiunto.

2.3 L’omessa dichiarazione.

L’art. 5 prevede l’ipotesi classica di evasione fiscale, realizzata mediante l’omessa dichiarazione dei redditi, ma non per questo da considerare come l’ipotesi più grave e lesiva dell’interesse erariale.

Infatti, la condotta omissiva, nel reato di cui all’art. 5, parimenti alla ipotesi di dichiarazione infedele, non è caratterizzata da intenti e mezzi fraudolenti, idonei ad indurre in errore l’Amministrazione nella funzione di accertamento reddituale.

Se la pena prevista per i reati di cui agli artt. 4 e 5 è la medesima ( minimo 1, massimo 3 anni di reclusione ), l’ipotesi della omessa dichiarazione è subordinata ad una sola condizione di punibilità, rappresentata dal superamento della soglia pari a € 30.000,00 per ogni singola imposta (importo modificato a seguito della Manovra –bis 2011).

Il meccanismo sanzionatorio è attenuato dalla previsione al co. 2 di alcune cause di non punibilità, mutuandole dall’art. 1 co. 1 del D.L. 429/82, convertito nella l. 516/82: presentazione della dichiarazione entro 90 gg. dalla scadenza del termine, dichiarazione non sottoscritta o non redatta in uno stampato conforme al modello.

Si tratta di delitto riconducibile alla categoria degli illeciti “omissivi propri” che non richiedono il verificarsi di alcun evento materiale e sono, da un punto di vista oggettivo, costituiti da un presupposto tipico da cui scaturisce l’obbligo di agire, dalla condotta omissiva, da un termine entro il quale deve intervenire l’adempimento. Il reato ha inoltre natura “istantanea” perché si realizza a seguito del mancato compimento da parte del soggetto attivo dell’azione comandata, ossia l’omessa presentazione, entro il termine di legge, di una dichiarazione annuale relativa alle imposte sui redditi o all’imposta sul valore aggiunto, senza che a ciò debba seguire il verificarsi di un ulteriore evento materiale.

Il bene giuridico tutelato si individua nell’interesse erariale alla tempestiva ed efficace riscossione delle imposte, così come liquidate dallo stesso contribuente con la propria dichiarazione.

Nonostante la norma utilizzi la locuzione “chiunque, al fine di evadere le imposte sui redditi o sul valore aggiunto”, trattasi di un reato “proprio”, potendo essere commesso esclusivamente da coloro i quali siano obbligati alla presentazione delle dichiarazioni anzidette.

Con una recente sentenza (10/06/2010, n. 22045, Cass., Sez. III penale), la Cassazione penale ha avuto modo di precisare la natura del reato di omessa dichiarazione fiscale.

Si tratta di fattispecie omissiva, connotata dal dolo specifico di evasione, che si consuma con il vano spirare dell’ultimo termine a disposizione del contribuente per adempiere l’obbligo, a nulla rilevando la modalità di presentazione prescelta. In particolare, si richiede che l’imposta effettivamente evasa, il cui ammontare è liberamente determinato dal giudice penale, superi la soglia di punibilità prevista dalla norma incriminatrice. Al reato risulta applicabile la confisca per equivalente.

 

Da ultimo, si rileva come con sentenza n. 35858/2011 la Cassazione ha avuto modo di statuire che il reato di omessa presentazione della dichiarazione si determina anche se sono state emesse solo fatture per operazioni inesistenti, in quanto in base all’articolo 21, comma 7, del Dpr 633/72 l’imposta è sempre dovuta. Inoltre, nella specifica fattispecie di reato, l’imposta evasa, in assenza di contabilità, deve essere determinata dal giudice quale differenza fra le fatture emesse e l’imposta detraibile relativa alle operazioni passive effettivamente documentate.

3. I delitti in materia di documentazione.

I delitti in materia di documentazione sono disciplinati dagli articoli 8 “Emissione di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti” e 10 “Occultamento o distruzione di documenti contabili” del D.Lgs. n. 74/2000.

La repressione di tali condotte, le quali – alterando la documentazione contabile – contrastano l’attività di controllo della Amministrazione Finanziaria e pongono le basi per fenomeni di evasione fiscale, era peraltro una finalità espressamente prevista dalla legge delega n. 205/1999.

A differenza dei reati in materia di dichiarazione, i delitti in materia di documentazione sono rimasti estranei al generale arretramento della soglia di tutela penale, penalizzando i reati in materia di documentazione condotte prodromiche e sintomatiche di una possibile futura evasione.

Si tratta, infatti, di reati di mero pericolo, che sebbene volti a criminalizzare condotte ostative all’attività di accertamento fiscale, sono strumentali per la salvaguardia degli interessi erariali, in quanto contrastano condotte elusive degli strumenti fiscali, tramite i quali vengono reperite le risorse patrimoniali dello Stato.

3.1 Emissione di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti.

L’art. 8 del D.Lgs. 74/2000 punisce chi emette fatture o altri documenti per operazioni inesistenti, al fine di permettere ad altri l’evasione dell’Iva o delle imposte sul reddito

Si tratta di una fattispecie criminosa speculare a quella prevista dall’art. 2 nell’ambito dei reati in materia di dichiarazione in quanto riguarda colui il quale non presenti una dichiarazione, contenente elementi non corrispondenti al vero, sulla base dell’utilizzazione di fatture o altri documenti di rilevanza fiscale per operazioni inesistenti, ma ometta o rilasci i predetti documenti.

In questo caso la condotta del soggetto attivo comporta una grave lesione degli interessi erariali, in quanto è finalizzata a consentire a terzi l’evasione delle imposte sui redditi o dell’imposta sul valore aggiunto oppure il conseguimento di un indebito rimborso.

Quanto alla natura del reato di emissioni di fatture per operazioni inesistenti, possiamo ritenere che rientri tra i reati di pericolo astratto, in quanto mira a tutelare l’interesse dello Stato a non vedere ostacolata la propria funzione di accertamento fiscale, sicché è stata anticipata dal legislatore, nella configurazione della predetta fattispecie criminosa, la soglia dell’intervento punitivo rispetto al momento della dichiarazione.

Trattasi di un reato in cui è necessario il dolo specifico dell’agente e non è essenziale ai fini della configurazione della fattispecie criminosa che lo scopo perseguito sia effettivamente conseguito; ai fini della consumazione del reato, invece, rileva il momento dell’emissione della fattura, trattandosi di reato istantaneo.

Interessante rilevare come la giurisprudenza si è pronunciata più volte sul rapporto intercorrente tra il reato di cui all’art. 8 in commento ed il delitto di truffa aggravata previsto e disciplinato dall’art. 640, comma 2, n. 1 del codice penale. Confrontando la struttura dei due reati in questione emerge chiaramente che, mentre la truffa si connota per l’induzione in errore e per il dolo specifico di perseguire un profitto proprio o altrui ingiusto con altrui danno, la frode fiscale si connota per uno specifico artificio e per una condotta a forma vincolata, senza che assuma rilievo, ai fini dell’integrazione della fattispecie, la verificazione dell’evento danno.

Al riguardo, recentemente la Suprema Corte con sentenza n. 1235 del 19 gennaio 2011 ha statuito che tra frode fiscale e truffa aggravata ai danni dello Stato vi è un rapporto di specialità. Non è quindi possibile applicare la sanzione più severa derivante dal concorso tra i due delitti.

L’unica eccezione è rappresentata dal caso in cui dalla frode derivi un profitto ulteriore e diverso rispetto all’evasione fiscale, come l’ottenimento di finanziamenti pubblici.

3.2 Occultamento e distruzione di documenti contabili

L’articolo 10 del D.Lgs. n. 74/2000 punisce chi occulta o distrugge la documentazione contabile al fine ultimo di ostacolare l’accertamento dell’Amministrazione Finanziaria: il bene giuridico oggetto della tutela penale è l’interesse statale alla trasparenza fiscale del contribuente, in quanto la norma penale incriminatrice sanziona l’obbligo di non sottrarre all’accertamento le scritture e i documenti obbligatori.

Apparentemente il reato si connota come un autonomo delitto proprio dei soggetti tenuti ad un regime di contabilità obbligatorio, naturalmente ai fini fiscali. Tuttavia, la norma contiene un’ulteriore specificazione che consente di attrarre nella sfera del penalmente rilevante anche la distruzione o l’occultamento di altri documenti rispetto ai quali sussiste un obbligo di conservazione, estendendo la soggettività attiva al genus dei contribuenti.

Si tratta di soggetti che, pur non essendo obbligati alla conservazione delle scritture contabili ai fini fiscali, dispongono in ogni caso di documenti dei quali sia prescritta la conservazione: trattasi, pertanto, di un reato comune.

Al pari della fattispecie incriminatrice prevista dall’articolo 8, anche per il delitto di occultamento e distruzione di documenti contabili è necessario il dolo specifico consistente nella finalità di evadere le imposte sui redditi o sul valore aggiunto, ovvero dallo scopo di consentire a terzi tale obiettivo.

4. I delitti in materia di pagamenti di imposte.

Nel progetto iniziale del legislatore delegato, nel novero dei delitti in materia di pagamento era incluso soltanto l’art. 11 del D.Lgs. n. 74, rubricato “Sottrazione fraudolenta al pagamento di imposte”.

Successivamente, in considerazione di alcune lacune che la disciplina penale tributaria presentava, si è provveduto ad apportare delle modifiche e delle integrazioni che hanno introdotto delle nuove fattispecie delittuose che, sebbene sottonumerazioni dell’art. 10, si accostano maggiormente ai delitti in materia di pagamento che a quelli di documentazione.

Le nuove fattispecie introdotte riguardano l’Omesso versamento di ritenute certificate (art. 10-bis), l’Omesso versamento di IVA (art. 10 ter) e l’Indebita compensazione (art. 10 quater).

Si tratta di norme volte a penalizzare comportamenti che incidono negativamente sulla riscossione delle imposte e che vedono quale bene giuridico tutelato l’interesse statale al prelievo fiscale.

4.1 Omesso versamento di ritenute certificate.

L’art. 10-bis del D.Lgs. 74/2000 punisce chiunque non versi entro il termine previsto per la presentazione della dichiarazione annuale di sostituto di imposta ritenute risultanti dalla certificazione rilasciata ai sostituti, per un ammontare superiore a € 50.000,00 per ciascun periodo d’imposta.

Si rileva come tale fattispecie criminosa fosse in precedenza prevista dal D.L. n. 429/1982 poi abrogato dall’art. 25 del D.Lgs. 74/2000; poco dopo l’intervenuta abrogazione, però, il Legislatore si rese conto che la scelta di non sanzionare le condotte illecite dei sostituti d’imposta aveva determinato un rilevante danno economico per l’Erario, conseguentemente al proliferarsi di episodi di mancato versamento delle ritenute certificate da parte dei soggetti tenuti a tale adempimento.

Il reato di omesso versamento di ritenute certificate è un reato proprio in quanto la condotta illecita può essere posta in essere soltanto dai soggetti gravati dagli obblighi dei sostituti d’imposta; inoltre, anche se in base alla lettera della norma può essere commesso da “chiunque”, in realtà può essere imputato soltanto a chi riveste la qualità di sostituto d’imposta, essendo connotato indefettibile della condotta il mancato adempimento dell’obbligo di versamento posto a carico del sostituto d’imposta.

Per quanto attiene al bene giuridico tutelato dalla fattispecie delittuosa in commento, possiamo dire che consiste nell’interesse dello Stato alla puntuale e quasi integrale percezione del tributo e, quindi, all’effettiva riscossione delle imposte effettivamente dovute. Nello stesso tempo, però, la norma incriminatrice realizza in via mediata una forma di tutela penale del lavoratore che, nonostante abbia percepito una retribuzione diminuita delle somme trattenute dal datore di lavoro a titolo di acconto dell’imposta sui redditi, si troverebbe a dover rispondere nei confronti del Fisco, con aggravio di sanzioni ed interessi, del proprio debito tributario conseguente al mancato versamento da parte del sostituto delle somme trattenute.

Trattasi di un reato a forma vincolata considerando che la condotta si sostanzia in un non facere. In merito, invece, alla consumazione del reato trattasi di un delitto di natura istantanea che si consuma al momento della scadenza del termine ultimo previsto dalla legislazione tributaria per la presentazione della dichiarazione del sostituto d’imposta.

Diversamente dalle fattispecie criminose previste dal D.Lgs. n. 74/2000, non è richiesto quale elemento soggettivo il dolo specifico di evasione, con conseguente irrilevanza del movente dell’omissione del sostituto d’imposta. Il delitto, pertanto, è punito a titolo di dolo generico, inteso come coscienza e volontà di omettere il versamento.

Uno dei momenti dell’atteggiamento psichico richiesto dalla legge, oltre alla volontà di non versare, è il superamento della soglia di punibilità, stabilito dalla norma in € 50.000,00, la quale, ovviamente, costituisce un elemento costitutivo della fattispecie criminosa e, quindi, una componente del reato che deve essere rappresentata e voluta dall’agente.

4.2 Omesso versamento di IVA.

L’art. 10-ter assicura una protezione penale all’omesso versamento dell’IVA risultante dalla dichiarazione annuale. Sotto il profilo sanzionatorio, il comportamento di chi non versa l’IVA, è assimilato a quello del sostituto d’imposta che non versa le ritenute risultanti dalla certificazione rilasciata ai sostituti.

L’omesso versamento IVA costituisce una fattispecie di reato proprio non esclusivo, dal momento che è realizzabile dal soggetto passivo degli obblighi dichiarativi e contributivi in materia di imposta sul valore aggiunto. Costituisce un reato a forma vincolata con un evento di mancato pagamento e, quindi, di natura omissiva, per la cui configurazione è necessario il mancato adempimento dell’obbligazione di pagamento del debito IVA, dovuta in base alla dichiarazione regolarmente presentata.

Come già rilevato in relazione al reato di omesso versamento delle ritenute, anche il reato di omesso versamento IVA si caratterizza per il dolo generico e non richiede, pertanto, la sussistenza di un dolo specifico di evasione.

4.3 Indebita compensazione.

Tale fattispecie criminosa, introdotta dal decreto Bersani, non conosce precedenti nel diritto penale tributario e rappresenta il risultato della forte preoccupazione destata dalla proliferazione del fenomeno di indebita compensazione nel corso del 2006.

In particolare, il comportamento del contribuente è connotato da un particolare disvalore di condotta e di evento: costui, tradendo la fiducia ripostagli dall’Amministrazione Finanziaria, procede intenzionalmente a decurtare dall’imposta dovuta crediti d’imposta inesistenti o semplicemente non spettanti.

La nuova condotta delittuosa viene individuata, quindi, nel mancato versamento di somme dovute utilizzando l’istituto della compensazione in modo scorretto per un importo superiore a € 50.000,00 per ciascun periodo d’imposta e, precisamente, opponendo in compensazione crediti inesistenti o non spettanti. Anche il reato di indebita compensazione costituisce un delitto istantaneo in quanto si consuma nel momento in cui viene operata la compensazione per un importo superiore alla soglia prevista dalla norma: esattamente la condotta si perfeziona al momento della presentazione del Modello F24, il quale rileva anche ai fini dell’individuazione del giudice competente per territorio a conoscere della condotta illecita ex art. 18 D.Lgs. n. 74/2000.

4.4 Sottrazione fraudolenta al pagamento di imposte.

La fattispecie delittuosa disciplinata dall’art. 11 del D.Lgs. 74/2000 ha colmato una grave lacuna che sia la dottrina che la giurisprudenza avevano riscontrato nella Legge 516/1982, la quale lasciava impunite le condotte di volontaria diminuzione della garanzia patrimoniale poste in essere dal contribuente per sottrarsi al pagamento delle imposte.

La sottrazione fraudolenta al pagamento delle imposte è da considerarsi non un reato di danno bensì di pericolo: è sufficiente, infatti, la mera astratta possibilità, anche in fieri, che una determinata operazione protettiva (fondo patrimoniale, trust, separazione coniugale, ipoteca, ecc..) sia stata attuata per far scattare il pericolo affinché tale azione si finalizzi poi nel rendere difficoltosa la riscossione delle imposte dovute; siano esse quelle maggiori derivanti da una verifica che quelle ordinarie dovute sulla base della dichiarazione presentata.

Non è quindi necessario l’effettivo impedimento della procedura di riscossione, ma la mera idoneità della condotta del contribuente a rendere nulla la stessa procedura; idoneità da apprezzare, in base ai principi, con giudizio ex-ante. Così un soggetto potrebbe vedersi sequestrare i beni di cui detiene la disponibilità per aver messo in atto delle operazioni solo potenzialmente idonee a rendere infruttuosa la riscossione, a prescindere che poi l’Agenzia riesca a concludere positivamente la riscossione.

Al riguardo, si rammenta la sentenza della Cassazione penale n. 38925/2009 che, richiamando le precedenti pronunce giurisprudenziali, sostiene che è evidente la natura di reato di pericolo della sottrazione fraudolenta al pagamento delle imposte “essendo stato anticipato il momento sanzionatorio alla commissione di qualsiasi atto che possa porre in concreto pericolo l’adempimento di un’obbligazione tributaria, indipendentemente dall’attualità della stessa”.

Sebbene nel testo della norma il legislatore utilizzi la locuzione “chiunque”, il reato è proprio in quanto può essere commesso dal contribuente gravato da un’obbligazione tributaria nei confronti del fisco: infatti, l’ambito di applicazione della norma è limitato alla sottrazione del pagamento delle sole imposte sui redditi e dell’imposta sul valore aggiunto.

La responsabilità per il delitto in esame è configurabile qualora il contribuente ponga in essere, anche alternativamente, una delle seguenti condotte:

  • alienazione simulata;

  • compimento di altri atti fraudolenti.

Ai fini della configurabilità del reato di sottrazione fraudolenta al pagamento delle imposte è richiesto l’elemento soggettivo del dolo specifico di evasione ossia la consapevolezza dell’esistenza di un suo dovere dare in funzione della ricchezza che possiede e degli interessi e delle sanzioni dovute in conseguenza del mancato o del tardivo pagamento.

5. Condono delle liti pendenti: attenuante ai fini penali.

L’art. 39, comma 12, del D.L. 98/2011 nel prevedere la definizione delle liti pendenti, lascia la possibilità anche al contribuente indagato/imputato in un procedimento penale in corso di poter ricorrere a tale definizione: tanto in virtù del fatto che l’art. 16 della Legge 289/2002, cui rinvia la norma succitata, non fa alcun espresso riferimento all’eventuale avvenuto esercizio dell’azione penale.

Nondimeno, anche sul piano penale la definizione della lite produce i suoi effetti considerato che il condono vale come circostanza attenuante ai sensi dell’art. 13 del D.Lgs. 74/2000 e, pertanto, proprio in virtù di ciò, rende possibile il patteggiamento della pena: ovviamente, in virtù del “doppio binario” il processo penale eventualmente pendente prosegue, in quanto il condono non comporta la sua interruzione.

Come innanzi detto, in caso di avvenuta conciliazione ci si potrà avvalere della circostanza attenuante prevista dall’art. 13 del D.Lgs. 74/2000 e beneficiare di uno sconto della pena di un terzo se, prima della dichiarazione di apertura del dibattimento di primo grado, i debiti tributari sono estinti mediante pagamento, “anche a seguito delle speciali procedure conciliative o di adesione all’accertamento previste dalle norme tributarie”.

Mentre l’adesione al condono dovrebbe integrare una procedura conciliativa o di adesione all’accertamento e, quindi, far scattare l’attenuante, diverso si profila il discorso allorquando il condono venga effettuato a seguito di un atto irrogativo di sole sanzioni: in tal caso, infatti, concernendo l’atto le sanzioni e non l’imposta, l’attenuante non può operare.

Occorre rilevare, però, che le suesposte considerazioni riguardano in particolar modo il delitto di cui all’art. 2 (Dichiarazione fraudolenta mediante uso di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti) del D.Lgs. 74/2000, fattispecie in cui non è prevista alcuna soglia di punibilità.

Nelle altre ipotesi di reato, infatti, laddove sono previste delle soglie di punibilità, il contribuente che superi le suddette soglie non potrà accedere al condono

6. La Manovra –bis 2011.

La Legge 14 settembre 2011, n. 148, in sede di conversione del D.L. 13 agosto 2011, n. 138 (Manovra-bis 2011), ha modificato varie disposizioni contenute nel D.Lgs. 10 marzo 2000 n. 74, con il chiaro intento di colpire con maggiore efficacia la dilagante evasione fiscale: tale intento è stato perseguito senza modificare le figure criminose a suo tempo introdotte dal decreto legislativo n. 74/2000 ma bensì abbassando le soglie di punibilità, allungando i tempi necessari per il decorso della prescrizione e limitando sia la possibilità di patteggiamento che, nei casi più gravi, la concessione della sospensione condizionale della pena.

Indubbiamente la modifica maggiormente rilevante, introdotta dal citato decreto legge n. 138/2011, è stata apportata al reato di dichiarazione fraudolenta mediante annotazione di fatture false: invero, è stata abrogata l’attenuante che nel caso in cui le operazioni inesistenti non fossero superiori a euro 154.937,07 prevedeva in luogo della pena edittale innanzi indicata quella più favorevole della reclusione da sei mesi a due anni.

E’ evidente che a seguito di tale abrogazione la pena edittale sarà applicabile all’emissione e alla registrazione di ogni e qualunque documento relativo ad operazioni inesistenti di rilevanza penale e cioè a quelli emessi per operazioni non realmente effettuate in tutto o in parte, che indicano i corrispettivi o l’IVA in misura maggiore a quella reale e che riferiscono l’operazione a soggetti diversi da quelli effettivi, senza alcuna distinzione di importo; paradossalmente, quindi, l’emissione e/o l’utilizzo di una fattura falsa di pochi euro viene punita alla medesima maniera di una da milioni di euro.

La nuova disciplina ha abolito anche per il reato di emissione di fatture false o altri documenti per operazioni inesistenti l’ipotesi attenuata, con la conseguenza che la pena applicabile è sempre la reclusione da un anno a sei anni, indipendentemente dall’importo dei documenti falsi.

Per entrambi i predetti reati il decreto legge n. 138/2011 ha introdotto anche una significativa limitazione alla possibilità di avvalersi della sospensione condizionale della pena, che non può essere più concessa qualora l’imposta evasa sia superiore a tre milioni di euro e al 30% del volume di affari dichiarato.

Anche la possibilità di poter beneficiare della riduzione di pena prevista per la scelta del rito alternativo del patteggiamento è stata fortemente limitata in quanto con la nuova disciplina l’accesso al rito è condizionato al preventivo pagamento di tutte le imposte oggetto della contestazione e delle relative sanzioni.

Parimenti le attenuanti riconosciute in favore del contribuente che prima dell’apertura del dibattimento ha provveduto a estinguere il debito d’imposta sono state ridotte dalla metà a un terzo della pena inflitta

Per tali reati, infine, è stato previsto un aumento di un terzo degli ordinari termini di prescrizione: conseguentemente il termine ordinario di sei anni viene elevato a otto anni ovvero, qualora ricorra una delle cause di interruzione previste dall’articolo 17 del decreto legislativo n. 74/2000, a dieci anni.

Avv. Villani Maurizio

Scrivi un commento

Accedi per poter inserire un commento