La morte del neonato dopo sole 29 ore dalla nascita non giustifica il risarcimento del danno da perdita della vita

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Avv. Pier Paolo Muià – Dott.ssa Maria Muià

Precedenti giurisprudenziali

Favorevoli: Cass., sez. un., del 22.07.2015 n. 15350; Cass., sez. un., n. 26972/2008; Cass. civ. n.15706/2010; Cass. civ. n.6754/2011; Cass. civ. n.2654/2012.

Contraria: Cass. civ. n.1361/2014.

Fatto

I genitori di un bambino morto dopo sole 29 ore dopo il parto facevano causa all’Azienda sanitaria regionale, deducendo la responsabilità dei medici della struttura sanitaria nella causazione della morte del neonato e chiedendo, quali eredi del figlio, il risarcimento del danno per la sofferenza soggettiva subita dal neonato nonché, in nome e per conto proprio, del danno biologico e del danno da sofferenza soggettiva dagli stessi direttamente subito per la perdita del figlio.

Il Tribunale rigettava la domanda attorea sia in relazione alla richiesta di risarcimento del danno per la sofferenza soggettiva del neonato, sostenendo che tale danno non fosse ricollegabile alla condotta errata dei medici, sia quella per il risarcimento del danno biologico dei genitori iure proprio, poiché non era stata fornita la relativa prova. Il giudice, invece, riconosceva il danno per sofferenza soggettiva dei genitori iure proprio liquidandolo con l’applicazione di un importo, a ciascuno di essi, di poco superiore al minimo previsto dalle tabelle di Milano.

I genitori ricorrevano in appello avverso detta sentenza, lamentandone l’erroneità in considerazione del fatto che il tribunale non aveva considerato che i sanitari non avessero alleviato le sofferenze del neonato così contribuendo al danno da sofferenza soggettiva dello stesso nonché l’esistenza di una giurisprudenza della cassazione che riconosce detto danno in capo ai neonati. In secondo luogo, censuravano la sentenza di prime cure per l’applicazione dei valori quasi minimi delle tabelle di Milano.

Per sapere tutto su  questo argomento leggi “I danni non patrimoniali” di Gianluca Pascale.

La decisione della Corte di appello

I giudici di seconde cure hanno respinto le doglianze degli appellanti e confermato la sentenza di primo grado su tutti i punti.

Per quanto concerne la richiesta di risarcimento per il danno da sofferenza soggettiva del neonato, richiesto dai genitori quali eredi del figlio, la corte di appello ha evidenziato come la CTU medico-legale svolta in primo grado abbia accertato che il bambino fosse nato prematuro e che la morte fosse avvenuta dopo 29 ore dalla nascita a causa di una insufficienza respiratoria dovuta a una malattia alle membrane ialine nonché che i medici avessero errato nel correttamente diagnosticare la malattia dopo 19 ore dalla nascita e nel non trasferire il bambino in una struttura adeguata (cosa che avrebbe garantito il 90% di possibilità di sopravvivenza del neonato). Secondo la CTU, invece, aveva escluso una responsabilità dei sanitari per la mancata adozione di idonei accorgimenti per alleviare le sofferenze del neonato derivanti dalla insufficienza respiratoria da cui è poi derivata la morte.

Secondo i giudici di appello, quindi, il tribunale ha correttamente ritenuto che non vi sia stata alcuna responsabilità dei medici nella causazione della sofferenza soggettiva del bambino dal momento in cui è nato e fino alla sua morte, non essendo detta sofferenza collegata al comportamento dei medici. Le circostanze lamentate dai genitori, quali l’inadeguato supporto terapeutico e il mancato tempestivo trasferimento del neonato presso adeguata struttura, secondo i giudici di appello determinano la responsabilità della struttura nella causazione della morte del neonato, ma non della sua sofferenza soggettiva (dovuta appunto alla malattia).

Per quanto concerne il mancato riconoscimento da parte del giudice di primo grado del danno da morte del neonato, la Corte di appello conferma tale decisione rifacendosi alla giurisprudenza maggioritaria sul punto.

I giudici di seconde cure, pur riconoscendo l’orientamento della cassazione del 2014 citato dai ricorrenti (che ha affermato l’esistenza e la risarcibilità del danno da morte e la sua trasmissibilità agli eredi), ha deciso di adeguarsi all’orientamento più risalente e maggioritario, comunque confermato dalle sezioni unite del 2015 che hanno risolto il contrasto tra i due orientamenti. In particolare, secondo le citate sezioni unite della cassazione nel caso in cui la morte si verifica immediatamente dopo le lesioni subite oppure dopo un breve lasso di tempo non esiste alcun soggetto che possa invocare il danno per la perdita della vita, poiché tale danno non può essere invocato dagli eredi del defunto (né tantomeno, ovviamente, dal defunto stesso). Pertanto, la mancanza di un soggetto legittimato a richiedere il risarcimento, esclude la risarcibilità di tale danno.

Applicando tale orientamento, i giudici di appello hanno ritenuto che, il fatto che il neonato fosse morto dopo sole 29 ore dalla sua nascita, escludesse che i suoi genitori potessero richiedere il risarcimento per la sua morte quali eredi del deceduto.

Infine, per quanto riguarda la quantificazione del danno per le sofferenze soggettive dei due genitori, richiesto e ottenuto iure proprio da questi ultimi, la corte di appello ha confermato la statuizione di primo grado ritenendo che il giudice avesse correttamente liquidato detto danno.

In particolare, si è correttamente mosso all’interno della forbice (cioè un valore minimo e uno massimo) previsto dalle tabelle di Milano ed ha determinato l’importo fra detti valori minimi e massimi applicando i criteri corretti: cioè, la brevità della durata della vita del neonato (che ha vissuto soltanto per 29 ore), la mancata consolidazione di un rapporto affettivo con i genitori dovuta al poco tempo di vita, la giovane età dei genitori, l’infrequenza di complicanze di tale tipo e la mancanza di altri figli da parte dei genitori. Pertanto, avendo il tribunale di primo grado correttamente applicato detti criteri, alcuni dei quali spingevano per il ribasso del valore del risarcimento verso il minimo tabellare, altri dei quali, invece, verso il massimo, nonché avendoli correttamente bilanciati tra di loro per arrivare ad un importo di poco superiore al minimo tabellare, la corte di appello ha ritenuto di confermare la sentenza anche su tale aspetto.

In conclusione la corte di appello, ha ritenuto di compensare tra le parti le spese legali del grado di giudizio in considerazione del fatto che vi erano state delle recenti evoluzioni giurisprudenziali che avevano portato ad una regola risarcitoria diversa e quindi, in qualche modo, giustificato la legittimità della richiesta formulata dagli appellanti (anche se poi non accolta dalla corte stessa).

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Sentenza collegata

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Avv. Muia’ Pier Paolo

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