La morte del coerede e la comunione di quota

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SOMMARIO: – 1. La morte del coerede. – 2. L’argomento della natura del diritto. – 3. L’argomento letterale: i termini «coerede» ed «estraneo» dell’art. 732 c.c.. – 4. L’argomento teleologico. – 5. L’aspetto oggettivo della comunione. – 5.1. La prelazione degli eredi del coerede alla luce della comunione di quota. – 5.2. I profili squisitamente oggettivi. – 6. Applicazioni della tesi. – 6.1. Le ipotesi sub a) e d). – 6.2. L’ipotesi sub b). – 6.2.1. La prelazione e la commutazione. – 6.3. L’ipotesi sub c). – 6.4. L’ipotesi sub e). – 6.5. L’ipotesi sub f). – 6.6. L’ipotesi sub g). – 6.7. L’ipotesi sub h).

 

1. La morte del coerede

All’atto d’instaurazione della comunione ereditaria può accadere che l’uno o l’altro dei partecipanti deceda prima che si sia addivenuti allo scioglimento della contitolarità: per il che sui rapporti facenti capo al coerede originario si apre un’altra successione con la conseguenza che entra a far parte del suo asse ereditario, insieme ad eventuali altri beni, anche la quota indivisa di sua spettanza nella precedente suc­cessione. La morte del coerede produce l’apertura di una (seconda) comunione ereditaria tra i suoi eredi avente ad oggetto, tra l’altro, la quota goduta dal de cuius nel rapporto d’indivisione a cui quest’ultimo partecipava in vita. Compartecipi del primo asse saranno, dunque, non soltanto i coeredi della successione anteriore, ma anche gli eredi del coerede deceduto in pendenza dello stato di comunione.

L’apprezzamento del decesso del contitolare quale fonte di un nuovo e distinto fenomeno compartecipativo rispetto alla comunione ereditaria precedente può senza dubbio costituire un punto d’osservazione privilegiato per lo studio di alcune delle espressioni fisionomiche prelatizie. Tale situazione viene sicuramente a complicare il quadro delle problematiche relative al riconoscimento del diritto di prelazione e all’individuazione dei soggetti attivi e passivi del retratto. L’interprete deve fare i conti non solo con le varianti tipologiche cui gli eredi possono ricorrere nel compimento di operazioni negoziali traslative, ma anche con i problemi derivanti dall’aumento del numero dei soggetti “eredi” e con quelli dipendenti dal mutamento tecnico-giuridico dello stato comune.

L’incontro dell’art. 732 con il tema della pluralità di comunioni derivanti da titoli successori differenti può condurre all’emersione di percorsi ermeneutici utili ad una revisione non marginale di assetti critici consolidati sia sul terreno della titolarità della prelazione ereditaria che su quello – speculare – della circoscrizione del novero di quanti sono tenuti al rispetto degli obblighi di preferenza. Nell’ipotesi prospettata ogni coerede della precedente successione potrebbe alienare la sua quota indivisa a favore di altro dei coe­redi, o di uno degli eredi del coerede deceduto, o di un estraneo; ciascun erede del coerede deceduto potrebbe, da parte sua, trasferire la quota in cui è subentrato a favore di uno dei coeredi della precedente successione, o di altro dei coeredi contitolari della quota, o di un estraneo.

L’individuazione dei soggetti legittimati attivamente e passivamente all’esercizio del retratto successorio nel caso di morte del coerede figura tra le questioni tuttora indecise. In dottrina si discute ancora sulla agibilità, da parte degli eredi del coerede, dei diritti di cui all’art. 732; né c’è concordia in merito alla soggezione dei medesimi al diritto di prelazione dei coeredi originari. Le diverse posizioni che nel corso degli anni si sono succedute nel panorama critico hanno finito per “intrecciarsi” in un’ampia proposta di motivazioni tese a concedere o a negare la sussistenza della prelazione. L’opzione per una sintesi che discrimini gli argomenti addotti di volta in volta per reggere l’una o l’altra teoria, piuttosto che per un’esposizione “asettica” degli orientamenti, potrebbe rivelarsi di molta utilità per la formulazione di nuove proposte ermeneutiche.

 

2. L’argomento della natura del diritto

Un primo filone teorico lega la questione della trasmissibilità della prelazione a quella della natura del diritto. La Suprema Corte si è più volte pronunciata affermando che la prelazione ereditaria ha natura di diritto personalissimo e come tale non trasmissibile «né attivamente né passivamente, a favore o nei confronti dei successori a titolo universale del coerede»1. L’affermazione del carattere eccezionale della prelazione ereditaria, che pone un vincolo all’autonomia del singolo partecipante, porta ad una interpretazione restrittiva dell’art. 732 c.c., secondo cui la prelazione dovrebbe andare ad esclusivo vantaggio dei coeredi originari, senza possibilità di estensione ad altre categorie soggettive. La dottrina, dal canto suo, ha cercato di fornire soluzioni più elastiche. Un indirizzo consolidato è d’accordo con l’impostazione giurisprudenziale maggioritaria che esculde la trasmissibilità dei diritti di cui all’art. 732: il diritto di prelazione spetterebbe, da questa angolazione, unicamente ai coeredi originari del de cuius e non sarebbe trasmissibile, iure successionis, insieme a tutti gli altri diritti e poteri di natura patrimoniale. Il concetto viene giustificato in prima istanza con l’eccezionalità del meccanismo prelatizio rispetto al principio di libera circolazione dei beni2: viene affermata così la necessità di non impedire la traslazione franca delle quote ereditarie (ovvero dei beni che ne fanno parte)3; in secondo luogo con il riconoscimento della prelazione come diritto personalissimo, che la renderebbe intrasmissibile mortis causa, in quanto prevista al solo fine di assicurare la persistenza della titolarità dei beni ereditari in capo ai primi successori4.

Questa impostazione non è condivisa da quanti nella prelazione e nel retratto scorgono diritti di natura patrimoniale5. L’erede, viene osservato, subentra nell’universum ius e non vi sarebbero ragioni per negare la trasmissibilità dei diritti patrimoniali. Le argomentazioni poste a fondamento dell’intrasmissibilità della prelazione sarebbero deboli e poco convincenti, a partire dal postulato in ordine alla sua presunta natura di diritto personalissimo6.

 

3. L’argomento letterale: i termini «coerede» ed «estraneo» dell’art. 732 c.c.

Un secondo filone ermeneutico si è sviluppato intorno ai termini «coerede» ed «estraneo» presenti nel testo del codice. La S.C. ha espresso il convincimento che la comunione ereditaria, alla quale si riferisce la norma dell’art. 732, può essere solo quella relativa all’eredità di un determinata persona: la qualità di coerede andrebbe riferita alla comunione ereditaria originaria, mentre ogni altro soggetto, compresi gli eredi del coerede, dovrebbero essere qualificati come estranei. Soltanto la successione mortis causa al titolare del patrimonio divenuto oggetto della comunione collegherebbe il compartecipe con la struttura soggettiva originaria della comunione. I diritti di prelazione e di riscatto spetterebbero, pertanto, esclusivamente ai coeredi del de cuius; e non potrebbero essere considerati iure successionis insieme a tutti gli altri diritti e poteri di natura patrimoniale inerenti all’eredità. A sostegno di tale posizione la Corte individua la ratio del retratto nell’esigenza di rispettare la volontà tacita del defunto di assicurare la pace tra i suoi eredi evitando l’ingresso di soggetti diversi da quelli ritenuti da lui o dalla legge meritevoli di raccogliere l’eredità. Qualora un coe­rede alienasse la quota ad altro coerede della stessa comunione, i compartecipi non potrebbero, perciò, invocare la prelazione dell’art. 732, mentre avrebbero la possibilità di esercitare quel diritto nell’ipotesi in cui la vendita della quota indivisa avesse luogo a fa­vore di un estraneo o di uno dei coeredi del coerede deceduto in pendenza dello stato di comunione: l’alienazione, in quest’ultimo caso, dovrebbe essere valutata alla medesima stregua di una vendita fatta all’«estraneo»7. Ai fini dell’applicazione dell’art. 732, la posizione di “coerede” dovrebbe essere determinata in relazione all’ere­dità cui la chiamata a titolo universale si riferisce; e allo stesso modo andrebbe determinata la posizione di “estraneo”8. A seguire questa linea bisognerebbe poi ammettere che il diritto di prelazione spetti anche a colui che succede per rappresentazione o per sostituzione: il sostituto e il rappresentante, infatti, subentrano all’istituito, ma a proprio titolo e originariamente nei confronti del primo de cuius9.

L’interpretazione restrittiva del termine “coerede” non è da tutti condivisa. Viene osservato, in replica, che essa non si ritrova in altri ambiti della successione10; e che l’art. 732 non fa distinzioni tra coerede originario e coerede sopravvenuto, ma è esclusivamente finalizzato a tutelare, con l’attribuzione del diritto di prelazione e dell’eventuale conseguente retratto, i coeredi nel caso di alienazione inter vivos della quota ereditaria a un soggetto non coerede.

Tale punto di vista, inoltre, ha dovuto confrontarsi con le modalità attraverso cui avviene il cambio di titolarità della quota in comunione. S’è discusso sul valore dell’espressione «coerede che vuole alienare», ed è parso per un verso che il predicato debba implicare una manifestazione di volontà che manca quando il trasferimento costituisce effetto di un evento naturale (fatto morte); per l’altro che il termine «alienare» sia indicativo di trasferimenti inter vivos11. Da queste premesse è stato dedotto che all’erede del coerede dovrebbe competere tanto la prelazione quanto il riscatto; e che una volta qualificato coerede, egli non potrà essere considerato «estraneo» e, dunque, soggetto passivo di retratto12. Uguale interesse all’allontanamento di terzi dalla comunione permane anche quando nuovi titolari – gli eredi del condividente deceduto – subentrano all’uno o all’altro dei coeredi13. I coeredi superstiti, invece, non potranno impedire la devoluzione della quota lasciata dal coerede defunto a favore del suo erede, il quale subentrerà al suo dante causa nella titolarità della quota. La garanzia accordata dall’art. 732 ai coeredi contro l’ingresso di estranei in comunione non può, allora, essere considerata assoluta, in quanto vi sono ipotesi in cui i terzi entrano a far parte del gruppo anche contro al volontà dei componenti: come, ad es., nel caso di rappresentazione e di sostituzione. Non si potrebbe escludere, pertanto, neppure un subingresso per successione universale14. Di conseguenza il significato del termine “coerede” viene allargato sino a ricomprendere anche gli eredi non originari come soggetti attivi e passivi della preferenza. E in proposito, a ulteriore conforto, si rileva che qualora non si estendesse la portata dell’art. 732 anche a favore dell’erede del coerede, i comunisti originari, privati del diritto di prelazione, si troverebbero indifesi di fronte ai rischi connessi ad atti di disposizione della quota di quest’ultimo15.

 

4. L’argomento teleologico

Tra le controversie della critica non è mancato il richiamo all’elemento teleologico relativo al numero, esteso o ridotto, dei titolari di prelazione. L’esclusione degli eredi del coerede dalla categoria delle persone legittimate all’esercizio del diritto dovrebbe cavarsi dalla lettura che riporta la ratio dell’art. 732 alla salvaguardia di superiori interessi della famiglia16. L’individuazione dello scopo della norma nella tutela della famiglia ha indotto a valutazioni che finiscono per limitarne l’ambito applicativo. Il retratto spetterebbe solo agli originari comunisti in quanto sarebbe da evitare l’ingresso in comunione degli eredi del coerede, i quali potrebbero non essere legati da alcun vincolo di parentela con il de cuius.

Sempre in chiave finalistica l’esegesi parentale è stata avversata da chi ha osservato che «scopo dell’istituto è quello, positivo, di favorire la concentrazione dei beni oggetto di comunione nelle mani di pochi soggetti, anche a prescindere da vincoli di parente­la, per agevolare le operazioni divisorie, per permettere un migliore sfruttamento economico del patrimonio ereditario e per ridurre l’insorgere di liti tra coeredi»17. Il dato funzionale dell’art. 732 dovrebbe essere colto nell’esigenza di facilitare la concentrazione delle quote nei condividenti e tendenzialmente la formazione delle porzioni18; ciò anche per consentire un migliore sfruttamento economico del patrimonio ereditario e per ridurre l’insorgenza di liti tra i coeredi19. In tale direzione l’enunciato legislativo dovrebbe operare indiscriminatamente a favore di qualsiasi coerede, indipendentemente dai vincoli di parentela con gli altri. E la giurisprudenza lo ha talvolta giustificato con la presunta volontà dell’autore della successione intesa a mantenere gli assetti soggettivi della comunione ereditaria. Una decisione della Corte di legittimità ha dichiarato, infatti, che non soggiace a retratto «l’alienazione di quota posta in essere dal successore a titolo universale del coerede, dovendo ritenersi soggetta a retratto la sola alienazione (a titolo oneroso) che il coerede faccia della quota di comunione che gli spetta (e cioè, che egli ha acquistato) quale erede del de cuius»20. Secondo i giudici «ciò che dà luogo a retratto non è già l’alienazione posta in essere da qualsiasi compartecipe, ma solo quella posta in essere dal compartecipe coerede e soprattutto sulla considerazione che solo la successione mortis causa al titolare del patrimonio divenuto oggetto della comunione collega il compartecipe con la struttura soggettiva originaria della comunione quale fu tenuta presente dal testatore. È appunto nell’esigenza di rispettare tale considerazione del de cuius, che può ravvisarsi la ragion d’essere del retratto successorio»21.

 

5. L’aspetto oggettivo della comunione

Nel panorama degli argomenti utilizzati nel dibattito dottrinario e giudiziale si registra una posizione che trova la premessa teorica in quella parte del testo dell’art. 732 che lega il retratto al perdurare della comunione. Ciò ha indotto alcuni a riconoscere agli eredi del coerede defunto il diritto di prelazione sulla base di un’inversione dell’ordine concettuale seguìto nei percorsi motivazionali fin qui esposti. Le valutazioni dei profili relativi ai protagonisti della contitolarità vengono sfumate o dismesse rispetto ad altre tese a considerare innanzitutto lo stato d’indivisione nel complesso, con i suoi elementi oggettivi e soggettivi22. La difficoltà di orientamento non è ignota, del resto, alla stessa S. C., la quale in tempi non lontani ha statuito che la comunione fra i coeredi del de cuius in ordine ai beni dallo stesso relitti e quella che si instaura, a seguito del decesso di uno di tali coeredi, fra i coeredi superstiti e gli eredi del coerede defunto, trovano il loro titolo nella morte di un ascendente e in una pluralità di chiamate all’eredità: «entrambe si sciolgono solo con la divisione dei beni e fino a quel momento persiste il diritto di ciascun coerede di esercitare il retratto successorio»23. I successori a titolo universale dell’originario coerede che succedono a questi nella relativa quota sarebbero, dunque, soggetti alla disciplina della prelazione e del retratto finché perdura lo stato di comunione ereditaria24.

 

5.1 La prelazione degli eredi del coerede alla luce della comunione di quota.

La trasmissibilità mortis causa del diritto di prelazione agli eredi del coerede può essere indagata, pertanto, da più angolazioni: a lume non soltanto dei profili soggettivi della comunione ereditaria, ma anche di quelli più squisitamente oggettivi relativi allo stato dei beni comuni. La pista della valutazione dell’elemento oggettivo pare offrire buone garanzie per un approccio al problema della titolarità del diritto in chiave critica. Converrebbe però batterla fino in fondo; e molti risvolti attendono ancòra le opportune chiarificazioni.

Nel caso in cui un coerede muoia lasciando più eredi, è stata riconosciuta l’esistenza di una comunione ereditaria tra i coeredi originari e di una nuova comunione ereditaria sulla quota della precedente comunione: posto che le due comunioni hanno ad oggetto gli stessi beni, ma sono caratterizzate da titoli successori distinti25. Gli eredi del coerede vengono ad essere contitolari dei beni ereditari in forza di un titolo autonomo rispetto a quello dei coeredi originari.

La tesi che individua comunioni diverse, tuttavia, non ha trovato accoglimento unanime, specie in dottrina. Qui la considerazione degli aspetti oggettivi del retratto nel caso di morte del coerede comunista non è sempre sfociata nell’ammissione della pluralità degli stati compartecipativi. Il decesso dell’erede non produrrebbe, per qualcuno, modifiche sostanziali dello stato dei beni comuni: l’originaria comunione subirebbe un mutamento nei soli elementi soggettivi, e resterebbe «uno stato di cose, riferito ad una pluralità di soggetti, che conserva, nel tempo, anche se internamente mutano gli stessi soggetti per eventi successori, i connotati specifici e inalterati dell’originaria comunione ereditaria»26.

Le prime intuizioni sulla pluralità degli stati di comunione sui medesimi beni risalgono al dibattito in merito all’individuazione dell’acquirente “estraneo” ai fini dell’assoggettabilità di quest’ultimo a retratto. È stato infatti considerato estraneo il comproprietario degli stessi beni, ma a titolo diverso. A riguardo una corte di merito ha affermato che nel caso in cui «i beni indivisi costituiscano oggetto di due o più comunioni, in virtù di titoli distinti di vocazione, non sono coeredi i condomini che beneficiano di chiamate diverse e, quindi, non può esercitare il retratto successorio chi non sia erede della medesima persona a cui è succeduto l’alienante»27.

La ricezione teorica della pluralità comunistica può costituire, certamente, la corretta premessa di base per l’analisi degli aspetti relativi alla titolarità dei diritti di cui all’art. 732 c.c. e alla soggezione ai medesimi. Ma nell’esplicazione la prassi non ha prodotto, finora, soluzioni condivise. L’operata differenziazione partecipativa ha indotto a considerare distinte pure le vicende giuridiche inerenti a ciascun rapporto comune: a tale approdo giunge la giurisprudenza che vuole negare la trasmissibilità del diritto di prelazione28. La S. C. ha poi precisato che il retratto competerebbe ai coeredi della comunione ereditaria non solo nell’ipotesi di alienazione di quota della medesima ad un estraneo, ma anche quando la vendita abbia avuto luogo a favore di uno degli eredi del coerede deceduto in pendenza dello stato di comunione. Questi ultimi, infatti, sarebbero da considerare “estranei” rispetto alla componente soggettiva della prima compartecipazione ereditaria: ciò varrebbe a giustificare l’esercizio del diritto. Di rimbalzo i coeredi della successione originaria non avrebbero prelazione e retratto quando la vendita di quota sia stata posta in essere dall’uno o dall’altro degli eredi del coerede deceduto a favore di altro erede del coerede, di un estraneo, o di uno dei coeredi. Per le stesse ragioni gli eredi del coerede potrebbero, invece, esercitare la prelazione nell’ipotesi in cui l’alienazione sia posta in essere da un comunista della comunione secondaria a favore di un coerede della comunione principale29.

Ma l’indipendenza tra i due stati comunistici aventi ad oggetto i beni del de cuius non sembra potersi tradurre in un’assoluta autonomia tra le vicende dell’uno e dell’altro stato indiviso. La distinzione dei livelli compartecipativi in virtù della diversità dei titoli d’origine dovrà confrontarsi con il dato di riferimento dei diritti comuni: il patrimonio ereditario. Esso è il termine che tiene insieme le comunioni nate in seguito all’apertura della successione.

 

5.2. I profili squisitamente oggettivi

Orientare il discorso sulla spettanza di diritti dell’art. 732 c.c. agli eredi del coerede sul binario dei tratti fisiologici delle misure è operazione che non va salva da rilievi critici. L’affermazione-negazione della natura trasmissibile della prelazione potrebbe, in altre parole, costituire il punto d’arrivo d’un incedere giuridico; non può, al contrario, assumere la veste di dogma incontrovertibile legato al riconoscimento della personalità o della patrimonialità dei poteri de quo.

La disamina dei profili attinenti allo stato tecnico-giuridico dei beni comuni offre, viceversa, maggiori garanzie per la formulazione di tracciati non imputabili di mancata coerenza argomentativa tra i dati di partenza e i risvolti teorico-applicativi finali.

Prelazione e riscatto sono attributi della quota e fanno parte delle situazioni giuridiche soggettive che hanno come referente primario il diritto quotale. La quota, intesa come misura dei poteri e delle facoltà dei comunisti, è l’elemento che potrebbe rilevarsi decisivo ai fini della nostra indagine. È il quantum di cui si discute a cadere in successione in caso di morte del coerede e a divenire oggetto della conseguente comunione ereditaria (tra gli eredi del coerede); la quale si innesta sulla precedente compartecipazione in rapporto di dipendenza unilaterale. In altri termini, la comunione tra gli eredi dell’erede vive in quanto – e fin quando – esiste la comunione primaria tra i coeredi originari perché postula di necessità il riferimento ad una quota di quest’ultima. La quota rappresenta, al contempo, il trade-union tra le due contitolarità e il terreno da arare per circoscrivere i confini dei diritti dei singoli compartecipi.

La limitazione del campo di ricerca ai soli profili soggettivi della prelazione ereditaria ha forse comportato l’impedimento maggiore per lo sviluppo di percorsi teorici lineari. L’interpretazione letterale dei termini “coerede” ed “estraneo” – che pure conserva assoluta valenza – una volta sganciata da ogni richiamo al particolare atteggiarsi della situazione comune non favorisce l’allargamento degli spazi di studio.

 

6. Applicazioni della tesi

I riflessi discendenti dall’ammissione dell’ambivalenza compartecipativa nell’eventualità di morte del coerede e dalla considerazione primaria dell’elemento quotale possono essere stimati entro le diverse ipotesi alienative immaginabili manente communione:

 

  1. alienazione di quota della comunione primaria da parte di un coerede originario ad altro coerede di quella comunione;

  2. alienazione di quota della comunione primaria da parte di un coerede originario ad un estraneo;

  3. alienazione di quota della comunione primaria da parte di un coerede originario ad uno degli eredi del coerede;

  4. alienazione di quota della comunione secondaria da parte di un erede del coerede ad altro contitolare di quella comunione;

  5. alienazione di quota della comunione secondaria da parte di un erede del coerede ad estraneo;

  6. alienazione di quota della comunione secondaria da parte di un erede del coerede ad uno dei coeredi originari;

  7. alienazione dell’intera quota della comunione secondaria da parte di tutti gli eredi del coerede ad un comunista della comunione primaria;

  8. alienazione dell’intera quota della comunione secondaria da parte di tutti gli eredi del coerede ad estraneo.

 

 

6.1. Le ipotesi sub a) e d)

Nell’ipotesi sub a), la non estraneità dell’acquirente porta ad escludere il riconoscimento della prelazione in capo ai comunisti della comunione principale e a quelli della comunione secondaria di quota. L’attivazione degli strumenti dell’art. 732 c.c. presuppone, infatti, che l’alienazione sia fatta ad acquirente che non sia già parte del rapporto di comunione ereditaria di cui viene traslata una quota. Il coerede può, allora, alienare liberamente la propria quota ad uno o più coeredi senza che i coeredi primari e secondari possano esperire la prelazione30: manca, in questo caso, uno degli elementi – l’estraneità dell’acquirente – che la legge pretende per l’applicazione del rimedio.

L’evento traslativo di cui alla lett. d) presenta notevoli affinità con l’ipotesi precedente. L’oggetto del negozio è qui rappresentato dalla quota che l’alienante vanta nella subcomunione; e il destinatario del trasferimento è un “non estraneo” rispetto al rapporto cui inerisce la partecipazione alienata. Ciò vale, in generale, a disconoscere i diritti di prelazione e riscatto a favore dei coeredi di quella comunione31. Va poi precisato che gli eredi della comunione ereditaria principale non rientrano tra i legittimati attivi all’esercizio della preferenza: essi non sono tecnicamente “coeredi” in quanto non prendono parte all’indivisione relativa alla quota trasferita.

 

6.2. L’ipotesi sub b)

La traslazione di una quota della comunione principale tra un erede originario e un estraneo è senza alcun dubbio sottoposta alla prelazione dell’art. 732 c.c. Non è chiaro, però, quali soggetti siano da acclarare come legittimati attivi all’esercizio del diritto. In prima istanza si potrebbe pensare che l’autonomia tra i due stati di comunione si traduca nell’indipendenza delle vicende relative all’una e all’altra compartecipazione; come effetto ne discenderebbe l’accesso alla prelazione, nella fattispecie, per i soli eredi della comunione la cui quota è oggetto di trasferimento. Alla stessa conclusione, peraltro, è indotto chi reputa “coeredi” unicamente i protagonisti della comunione ereditaria originaria32. Tale sbocco, tuttavia, non appare naturale e persuasivo quando si ragioni l’evento dalla prospettata visuale oggettiva: l’inerenza della prelazione e del retratto alla quota, infatti, porta a dichiarare la loro spettanza anche ai titolari della quota medesima. Gli eredi del coerede, per il fatto di subentrare nella titolarità di quest’ultima, divengono destinatari del complesso dei diritti quotali nella comunione primaria. Una conferma della tesi viene dall’osservazione che la preferenza legale è accordata non al coerede in quanto tale, ma al coerede in quanto comunista; tant’è che non si vede motivo per attribuire i diritti dell’art. 732 al coerede che non rientri più nella categoria dei contitolari del compendio ereditario per aver trasferito ogni sua posizione in ambito successorio (e che continua comunque a mantenere la qualità di erede); o al coerede che non prende parte ab origine alla comunione ereditaria per essere stato apporzionato direttamente dal de cuius. Il vocabolo utilizzato nell’art. 732, coerede, sembra allora fungibile alla stregua di “comunista”: non è peregrino credere che il legislatore abbia inteso riferirsi non al successore universale – diretto o indiretto – del defunto, ma a colui il quale si trovi, per una ragione o per un’altra, contitolare della massa ereditaria. D’altronde l’esegesi strettamente letterale della norma non sembra ostare all’idea qui avanzata, dal momento che il detto termine coerede con cui il legislatore apre la disposizione ha un prefisso (co) che attesta un inscindibile nesso con lo stato di comunione; legame, questo, che emerge con immediatezza, e prima ancora che l’interprete si imbatta negli altri riferimenti all’alienazione di quota o parte di essa contenuti nel medesimo articolo.

La riconduzione della diegesi nel campo relativo allo stato tecnico-giuridico dei beni, invece che in quello della diversità degli schemi devolutivi d’acquisto, è coerente con le premesse ordinamentali dell’istituto prelatizio. Esso cammina su una realtà che non porge diritti ereditari esclusivi in capo a coloro che vengono alla successione. È la stessa fisiologia del retratto a richiedere l’esistenza di una compartecipazione le cui quote (o parte di esse) siano passibili di trasferimento a terzi. Retratto e quota, perciò, non possono divenire oggetto di analisi separate. Il retratto è una delle posizioni soggettive di cui la quota rappresenta unificazione ed espressione; e può trovare svolgimento non oltre la fase compartecipativa, come si evince dalla locuzione di chiusura del primo comma dell’art. 732 (finché dura lo stato di comunione ereditaria). In quest’ottica la quota assurge a fulcro cui deve essere riportata ogni riflessione critica in merito alla titolarità della prelazione nel caso di morte del coerede. I comunisti secondari, per il fatto di essere contitolari di quota della comunione primaria, vantano, nell’ambito di quest’ultima, gli stessi diritti ascrivibili alle quote di cui sono titolari gli altri eredi originari; e, al pari di essi, sono destinatari delle preferenze e delle tutele riservate dalla legge ai comunisti contro gli atti traslativi effettuati in violazione del procedimento d’offerta previsto dal codice.

Rimangono in dibattito le modalità d’esercizio della prelazione da parte degli eredi del coerede nell’ipotesi di alienazione di quota da un coerede originario ad estraneo. La questione verte sull’opportunità dell’esercizio congiunto del mezzo da parte dell’intera compagine degli eredi del coerede. Non è chiaro, cioè, se la prelazione possa essere validamente invocata da uno solo dei contitolari di quota o se, viceversa, sia da recuperare il consenso di tutti i quotisti secondari.

L’unanimità potrebbe apparire un requisito di sostanza indefettibile a quanti volessero considerare l’acquisto ex prelatione alla stregua di un atto di cui all’art. 1108, 3° comma c.c. Si aggiunga, in merito, l’osservazione che i diritti di cui all’art. 732 c.c. sono legati alla quota, e questa è il referente esclusivo delle situazioni attive e passive del comunista. Qualora si postuli l’esistenza di due diverse comunioni di cui una (secondaria) avente ad oggetto una quota dell’altra (di primo grado), con in gioco un diritto da esercitare nella comunione primaria, non sarebbe erroneo credere che soltanto l’intera compagine dei contitolari di quota sia la destinataria della preferenza, in quanto è la titolarità della quota unitariamente considerata a fungere da terminale dell’attribuzione prelatizia. Il retratto, cioè, verrebbe destinato dalla legge ai comunisti, ma solo in quanto essi sono i titolari della quota: ed è alla quota che vanno parametrate le situazioni giuridiche che l’ordinamento riconosce.

Un altro rilievo potrebbe investire la valutazione dei momenti effettuali dell’acquisto: qualora si consentisse ad uno dei contitolari di quota di fruire da solo dello strumento dell’art. 732, gli assetti quantitativi della comunione primaria ne uscirebbero sconvolti. L’esercizio esclusivo da parte di un uno degli eredi del coerede andrebbe a modificare la composizione quantitativa delle quote della comunione primaria: in particolare si dovrebbe registrare l’ingresso – per effetto della prelazione – di un comunista che antecedentemente non rientrava tra i quotisti originari, ma che vantava unicamente diritti in una subcomunione di quota.

 

6.2.1. La prelazione e la commutazione

Sempre in argomento, potrebbe rivelarsi opportuno il raffronto della fattispecie con un altro istituto del Libro II. Il riferimento è all’art. 537, 3° co., che riconosce a favore dei figli legittimi il diritto di commutazione nei confronti dei figli naturali33. Come il retratto, anche la commutazione richiede la titolarità indivisa del patrimonio relitto. L’attuabilità della figura è, infatti, subordinata all’esistenza di porzioni34 da commutare: è immancabilmente la quota, dunque, a costituire la premessa di base e a fornire la materia utile per un’analisi comparata dei due istituti in chiave oggettiva. In entrambi è possibile registrare la perdita della posizione giuridica di un compartecipe all’interno del rapporto comune35. La differenza può essere colta ove si guardi alle fasi d’avvio di quello spoglio: l’incipit del mezzo previsto dall’art. 732 c.c. è offerto dalla notifica della proposta d’acquisto o dall’alienazione di quota posta in essere senza il dovuto interpello. Nell’art. 537, 3° co., invece, il diritto all’acquisizione della quota concesso ai figli legittimi trova le sue radici nella legge: il procedimento che conduce all’acquisto forzato della quota dei figli naturali può essere iniziato dai figli legittimi a prescindere da qualsiasi manifestazione di volontà di alienare da parte dei primi36. È una “vicinanza”, questa, tra il retratto e la commutazione che può essere apprezzata con un’indagine sugli effetti derivanti dal loro utilizzo: la crescita del quantum posseduto (precentemente) a beneficio di quelli che chiedono di valersi di tali misure sembra costituire l’elemento demarcativo. Sia la prelazione ereditaria che la commutazione vanno rapportate alla partecipazione e stimate prima di tutto quali fenomeni di espansione di quota. Tale dilatazione è legata, in entrambe le fattispecie, ad un atto volitivo degli aventi diritto. Nella prassi della commutazione, però, si ritiene che la volontà tesa ad escludere dalla comunione i figli naturali debba essere manifestata da tutti i soggetti attivi, in quanto il diritto deve considerarsi attribuito dalla legge collettivamente37. L’esercizio collettivo di diritti che comportano allargamenti della quota, allora, non è sconosciuto alle situazioni di titolarità congiunta; di cui, anzi, si atteggia a connotato fisiologico.

In realtà, anche a volersi discostare da quanti con interpretazioni eccessivamente rigide ritengono insostituibile l’espressione collettiva della volontà per gli atti di esercizio di diritti tesi ad aumenti delle partecipazioni, si deve ammettere che le conclusioni raggiunte per quella via esegetica conservano qualche validità. Non appare inaccoglibile, infatti, l’opinione di chi volesse dare risalto non tanto al profilo dei soggetti legittimati attivi, quanto a quello degli effetti dell’azione: la prospettiva che riconosce al singolo contitolare di quota la facoltà di muoversi in autonomia dagli altri e di invocare da solo la prelazione non toglie che il retratto possa giovare a tutti i comunisti. In giurisprudenza è invalsa l’idea che nel caso in cui un coerede riscattasse senza interpellare gli altri, un tale retratto si risolverebbe in guadagno per l’intera compagine: in quanto la porzione riscattata andrebbe a favore di tutti i partecipi38.

L’idea dell’estensione degli effetti del retratto azionato da un singolo coerede agli altri comunisti potrebbe, inoltre, trovare appigli nella disciplina di un altro fenomeno di espansione di quota: quello previsto dalla normativa degli artt. 674 e ss. Qualora si guardi all’accrescimento da una visuale che consideri la comunione quale situazione oggettiva in cui si trovano i beni ereditari non sarebbe irragionevole affermare che esso si traduce, al pari della prelazione e della commutazione, in un incremento delle quote adite a scapito di quelle che restano prive di titolare. L’aumento, non c’è dubbio, avviene secondo un iter diverso – per presupposti e per meccanismi operativi – da quello degli artt. 732 e 537, 2° co. Le discrasie più evidenti emergono dalla verifica delle modalità di svolgimento dell’istituto. L’accrescimento è, infatti, sganciato dalla volontà dei partecipanti alla comunione, i quali assistono ad un’elevazione delle quote da essi possedute senza alcuna possibilità di rifiuto39. Da ciò si ricava che l’accrescimento è un fenomeno che sfugge alla volontà dei comunisti e che attiene, invece, unicamente alla quota intesa quale entità oggettiva; ed è alla luce di quest’ultima, perciò, che la vicenda va osservata. È possibile notare come sia l’accrescimento del 1° co. dell’art. 674 che l’altro previsto dal capoverso della norma presentino un tratto unitario: il beneficio si verifica, nell’ambito della comunione principale e di quella secondaria, sempre a favore delle altre quote della compartecipazione considerata (cfr. l’art. 674, 1° e 2° co.). Ciò costituisce un’ulteriore testimonianza del fatto che i processi espansivi della partecipazione hanno come destinatarie naturali tutte le quote in comunione.

Questi appunti possono risultare di conforto all’opinione secondo cui il retratto esercitato da un solo contitolare giovi anche agli altri. Le valenze del riscatto, nel quadro ermeneutico qui tracciato, si dirigono verso la quota nel suo insieme; esse conseguentemente investirebbero tutti i soggetti (con)titolari della quota medesima.

 

6.3. L’ipotesi sub c)

Il trasferimento della partecipazione della comunione ereditaria posto in essere da un comunista a favore di uno dei coeredi secondari pone l’interrogativo circa la spettanza della prelazione in capo agli altri protagonisti della compartecipazione originaria. Il riscontro alla domanda passa per l’esame della condizione soggettiva dell’avente causa. Si tratta, cioè, di capire se, in relazione a tale fattispecie traslativa, i destinatari dell’alienazione siano o no da considerare “estranei”, nel senso codificato dall’art. 732 c.c. Non sembra, tuttavia, che si possa trarne conferme in tal senso. Ai comunisti secondari si deve certamente ascrivere la titolarità delle situazioni soggettive che afferiscono alla quota da essi compartecipata. Quest’ultima si accredita come oggetto dell’indivisione di secondo grado, ma è apprezzabile anche in termini di referenza d’ogni situazione giuridica nascente in seno al rapporto comunistico principale. Tale duplicità consente di legittimare il cammino che porta verso il diniego dei diritti di prelazione e riscatto nel caso di specie. L’erede del coerede, infatti, non può essere qualificato “estraneo” perché interviene – insieme agli altri titolari della quota – nella comunione principale come parte plurisoggettiva del rapporto comune. Se è corretto affermare che la quota è la misura e il criterio al cui lume vanno individuate le prerogative e le tutele concesse dal legislatore a tutti coloro che si trovino ad essere parte di una contitolarità, si deve d’altra parte riconoscere che l’alienazione di quota in favore di un subcomunista è alienazione fatta a “coerede” e non ad “estraneo”: come tale essa non è sottoponibile alla preferenza accordata dalla legge agli altri coeredi originari.

 

6.4. L’ipotesi sub e)

L’ammissibilità dell’apertura di una comunione avente ad oggetto una quota di un’indivisione primaria si avvalora di nuovo come dato di partenza del procedimento interpretativo che voglia stimare il passaggio dei diritti quotali dall’erede del coerede ad un estraneo. Ci si deve interrogare sulla possibilità di assoggettare a retratto la traslazione operata da un quotista secondario a favore di un non erede e di individuare coloro che siano in grado di azionare con successo il meccanismo prelatizio.

L’estraneità dell’acquirente vale un sicuro elemento che apre all’operatività dell’art. 732 c.c.: il suo ingresso nella compagine dei contitolari della massa ereditaria provoca senza dubbi l’attivazione degli obblighi di preferenza che il codice impone all’erede alienante, e il ricorso ai rimedi previsti per la violazione dei primi. Appare indiscutibile che agli altri compartecipi della quota spetti la facoltà di bloccare l’entrata in comunione del compratore. Quest’ultimo, infatti, acquisterebbe una partecipazione al rapporto di secondo grado che ha negli eredi del coerede i suoi referenti soggettivi; a questi ultimi, pertanto, è concesso di difendersi con i mezzi apprestati dall’art. 732 c.c.

Non altrettanto è affermabile a proposito dei coeredi originari, i quali vanno considerati estranei rispetto alla comunione di cui si stanno indagando le vicende traslative; nel suo ambito essi non hanno da accampare diritti di sorta. Qui l’indipendenza tra i diversi livelli comunistici funziona in pieno, e non v’è spazio per allargamenti dei confini della prelazione.

 

6.5. L’ipotesi sub f)

Anche l’alienazione di quota della comunione secondaria da parte di un erede del coerede ad uno dei coeredi originari fa sorgere il problema della sussistenza della prelazione e dell’identificazione dei soggetti destinatari della tutela.

Nel caso in parola è d’obbligo verificare se l’avvento del coerede primario possa essere ricondotto all’alveo dei trasferimenti fatti ad estraneo.

L’affermata indipendenza tra le due compartecipazioni implica che, ai fini di cui all’art. 732, il coerede originario acquirente debba essere considerato a tutti gli effetti come un estraneo; tale egli è, infatti, rispetto alla comunione di secondo grado cui pertiene la quota trasferita; né può assumere rilievo la sua appartenenza al nucleo degli eredi che per primi hanno adito l’eredità del de cuius, in quanto l’oggetto del negozio – cioè la quota della subcomunione – rappresenta un quid riferibile ad un titolo – la successione al coerede defunto – diverso ed autonomo da quello che ha dato vita alla comunione principale.

Quest’ultima osservazione appare decisiva per individuare i legittimi titolari del retratto: l’apprezzamento della fattispecie in termini di alienazione effettuata in favore di estraneo porta a ritenere valida l’esegesi che vuole i comunisti secondari unici tributari dei diritti di cui all’art. 732 c.c. Gli eredi del coerede sono gli esclusivi assegnatari degli strumenti a difesa dell’indivisione cui essi stessi partecipano; ed è alla loro volontà che la legge affida il compito di frenare l’entrata in comunione di soggetti esterni a quella compagine nata in forza del medesimo evento generatore.

 

6.6. L’ipotesi sub g)

Le conclusioni fin qui abbozzate, tuttavia, non hanno validità nell’ipotesi in cui tutti gli eredi del coerede alienino ad un erede originario l’intero complesso dei diritti da essi vantati nella compartecipazione secondaria. L’evento, naturalmente, non è privo di conseguenze sul piano giuridico; il trasferimento è qui attuato a mezzo di un accordo che interviene tra una parte plurisoggettiva, costituita dall’insieme dei comunisti secondari, e un’altra che esprime l’interesse di un partecipante alla comunione ereditaria originaria.

L’atto, a ben vedere, non ha ad oggetto una semplice quota40 della subcomunione. La manifestazione di volontà proviene dall’insieme degli eredi del coerede, e tale unità soggettiva cambia profondamente i connotati della traslazione: che non segna più il passaggio di una mera quota della comunione di secondo grado, ma consente l’acquisto, da parte del coerede originario, di una (originaria) quota dell’indivisione primaria.

Si tratta, perciò, di una vera e propria alienazione di quota da coerede – rappresentato dagli eredi che gli succedono – a coerede. Essa, in quanto tale, non soggiace ad alcun obbligo informativo preliminare dell’alienante, né può soffrire aggressioni successive tramite domande di riscatto degli altri coeredi primari. L’operazione negoziale, infatti, ha il suo integrale svolgimento, soggettivo e oggettivo, nel corso di un solo livello compartecipativo: quello della comunione principale. Questo inquadramento permette di escludere ogni pretesa di preferenza, dal momento che consente di mettere in luce l’assenza, nella fenomenica pattizia, di uno dei presupposti ineludibili dell’art. 732 c.c.: l’estraneità dell’acquirente.

 

6.7. L’ipotesi sub h)

Lo scenario cambia nell’ipotesi in cui l’alienazione dell’intera quota della comunione secondaria da parte di tutti gli eredi del coerede proceda in favore di un estraneo. Tutta la vicenda traslativa deve essere riportata, come nel caso precedente, ai principi-guida della compartecipazione primaria. L’unitarietà del fattore soggettivo che caratterizza dal lato del dante causa lo spostamento della titolarità delle situazioni giuridiche induce, anche qui, ad analizzare l’evento dal solo piano della comunione principale. Allora la presenza compatta del corpo degli eredi del coerede, in vece di quest’ultimo, richiede una giusta decodifica dei contenuti del trasferimento. L’estraneo si rende acquirente di un insieme di diritti suscettibili, s’è detto, di essere valutati quali componenti una quota dell’iniziale comunione ereditaria. Se ciò è vero si ricade nella previsione dell’art. 732, che prescrive l’obbligo in capo ai comunisti venditori di notificare la proposta di alienazione della quota agli altri coeredi: i quali hanno la possibilità di esercitare il riscatto.

 

1 Così Cass., 13 luglio 1983, n. 4777, in Riv. not., 1983, p. 1225, la quale aggiunge che il diritto de quo è «contemplato in deroga al principio generale della libertà e della autonomia negoziale e della libera circolazione dei beni al solo fine di assicurare la persistenza e l’eventuale concentrazione della titolarità dei beni ereditari in capo ai primi successori»; nello stesso senso cfr. Cass., 22 ottobre 1992, n. 11551, in Nuova giur. civ. commentata, 1993, I, p. 687, secondo cui il diritto di prelazione «non è trasmissibile a favore dei successori del coerede perché la norma dell’art. 732 c.c., che eccezionalmente lo prevede (solo per il coerede), in deroga al generale principio della libertà ed autonomia negoziale e della libera circolazione dei beni ed al più specifico principio della libertà di alienazione della propria quota di beni comuni prima della divisione (art. 1103, 1° co, c.c.), allo scopo precipuo di assicurare la persistenza e l’eventuale concentrazione della titolarità dei beni comuni in capo ai primi successori, non è suscettibile di applicazione estensiva e tantomeno analogica». La trasmissibilità agli eredi del coerede è negata anche da Cass., 4 novembre 1982, n. 5795, in Arch. civ., 1983, p. 387; conforme, Trib. Torino, 10 novembre 1992, in Giur. it, 1993, I, 2, p. 564, sulla scorta della considerazione che gli eredi del coerede devono essere ritenuti “estranei” all’eredità; Trib. Verona, 7 marzo 2000, in Giur. it, 2001, p. 950, con nota di E. Bergamo, Alcune note sulla trasmissibilità all’erede del coerede del diritto di prelazione e di retratto successorio; cfr., in argomento, pure L. Sebastiani, Può l’erede del coerede esercitare il diritto di prelazione stabilito dall’art. 732 c.c.?, in Riv. not., 1984, p. 581 ss.

2 Il carattere eccezionale della prelazione ereditaria dovrebbe consigliare molta cautela nell’adozione di decodifiche estensive.

3 A. De Cupis, Sull’applicabilità della prelazione ereditaria all’erede del coerede, in Riv. dir. civ., II, 1988, p. 613 ss., per il quale non si tratta di fornire un’interpretazione restrittiva dell’art. 732 che deroga al principio della libera circolazione dei beni, «ma semplicemente di escludere una sua interpretazione estensiva, contrastante con quel principio, inconciliabile colla qualità dell’erede del coerede, il quale si trova in una posizione ben diversa da quella dei superstiti coeredi, non essendo coerede insieme ad essi». Secondo l’A. non può obiettarsi che in tal modo resterebbero indifesi, nei confronti dell’erede di uno degli originari coeredi, gli altri originari coeredi in quanto «chi subentra nella comunione in base a un titolo successorio diverso da quello originario, non può, nonché avvantaggiarsi, neanche essere pregiudicato da un istituto giustificato esclusivamente, così dal lato attivo come da quello passivo, da quella esigenza di solidaristica coesione che inerisce al gruppo soggettivo costituito dalla originaria successione» (ibidem). Neppure l’argomento mediato dal carattere patrimoniale del diritto alla prelazione che ne rivelerebbe la trasmissibilità convince lo studioso, il quale fa notare che «esistono anche diritti, ed obblighi, patrimoniali che, per la loro inerenza alla persona, sono intrasmissibili: e tale intrasmissibilità si riscontra per il diritto alla prelazione ereditaria, e per il corrispondente obbligo, l’uno e l’altro inerenti alla persona degli originari coeredi in quanto collegati alla qualità personale di costoro» (ibidem); A. Arienzo – M. Berri, Diritto di prelazione, in Rass. giur. cod. civ., diretta da Nicolò – Stella Richter, Milano, 1969, p. 647, evidenziano che il principio secondo cui il diritto di prelazione non è trasmissibile ai successori a titolo universale del coerede «è stato affermato sotto il profilo del carattere eccezionale dell’istituto e della sua previsione non in funzione dell’appartenenza allo stesso nucleo familiare bensì alla posizione di erede»; cfr. anche Lops, Il retratto successorio: prospettive per una nuova indagine sull’art. 732 cod. civ., in Riv. not., 1978, p. 241 ss.; L. Sebastiani, op. cit., p. 581 ss.; G. Bonilini, Manuale di diritto ereditario e delle donazioni, Torino, 2003, p. 309; A. Palazzo, Le successioni, Le successioni, in Tratt. di dir. priv. Iudica e Zatti, Milano, 2000, p. 971.

4 Per G. Capozzi, Successioni e donazioni, Milano, 2002, p. 735, «il diritto regolato dall’art. 732 integra un diritto personalissimo che, derogando al principio generale dell’au­tonomia negoziale, non può estendersi al di là delle ipotesi espressamente pre­viste, vale a dire della sua applicazione al nucleo originario costituito da co­loro che fanno parte di quella comunione della cui quota si tratta; in secondo luogo (…) gli eredi del coerede hanno un titolo di acquisto (successione mortis causa dal titolare della prelazione) diverso da quello considerato dall’art. 732 (successione mortis causa dal titolare del patrimonio di cui fa parte la quota in via di alienazione o alienata)». Per altri (A. Villani, Morte di un coerede e sorte del diritto di prelazione ex art. 732 cod. civ., in Foro pad., I, 1973, p. 215) si tratta «di un problema di trasmissibilità del diritto, il quale trae origine dalla constatazione che diritti ed obblighi privati di carattere patrimoniale di regola passano in successione, ad eccezione di quelli la cui esistenza è legata alla vita del titolare o per legge (alimenti, usufrutto ecc.) o perché costituiti intuitus personae». Ogni soluzione fondata sulla irrilevanza dello intuitus personae e sulla libera trasmissibilità del diritto sarebbe per l’A. insostenibile, «a motivo della correlazione tra alienabilità e trasmissibilità mortis causa dei beni, per ammettere la trasmissibilità in via successoria del diritto si dovrebbe ammetterla anche per atto tra vivi (quantomeno insieme alla quota cui inerisce e salva la prelazione dei coeredi, che ovviamente si suppone non venga esercitata)» (ibidem).

5 Secondo L. Cariota Ferrara, Le successioni per causa di morte. Parte generale, Napoli, 1977, p. 609, il diritto di prelazione e riscatto spetta «ad ogni coerede (non ai legatari o collegatari) e si trasmette ai successori universali di lui sia per il suo contenuto patrimoniale sia ed ancor più perché inerente alla titolarità della quota, che è perciò stesso trasmissibile così com’è imprescrittibile»; l’unico limite è che persista la comunione, dal momento che non è possibile concepire « ‘quota’ senza ‘co­munione’» (ibidem); G. Azzariti Comunione e Divisione, in Tratt. di dir. priv. Rescigno, Torino, 1997, p. 416; C. Veneri, Della prelazione tra coeredi e del retratto successorio, Milano, 1969, p. 36; G. Iudica, Diritto dell’erede del coerede alla prelazione ereditaria, in Riv. dir. civ., 1981, p. 470 ss.; A. Villani, Morte di un coerede e sorte del diritto di prelazione ex art. 732 cod. civ., cit., p. 209 ss.

6 Per L. Ferrara, Trasmissibilità del diritto di prelazione ai successori a titolo universale del coerede, in Foro it., I, 1951, p. 116, il diritto di prelazione «ha natura patrimoniale, anche se attribuito soltanto in una data comunione (comunione ereditaria). Pertanto, in conformità del principio generale della trasmissibilità ai successori a titolo universale di tutti i diritti e le facoltà spettanti al loro dante causa – salvo le eccezioni stabilite nella legge – detto diritto di prelazione si trasmette agli eredi. Esso viene a passare a questi, insieme col diritto sull’eredità spettante al loro dante causa, nel quale diritto maggiore esso rientra. In contrario, non vale opporre un preteso carattere personalissimo del diritto in parola: donde si ricavi un tal carattere resta dubbio»; G. Iudica, Ancora sulla trasmissibilità del diritto di prelazione ereditaria, in Nuova giur. civ. comm., I, 1993, p. 906, reputa la tesi dell’intrasmissibilità della prelazione «priva del benché minimo conforto testuale: non vi è norma o sostantivo o aggettivo o avverbio o appiglio che consenta di individuare una base normativa a sostegno della prospettata eccezione (….) l’opinione neppure spiega le ragioni per cui l’intuitus dovrebbe sussistere solo tra i coeredi originari e non invece tra tutti coloro che, originariamente o no, si trovino a partecipare alla comunione; né consente di spiegare (…) la ragione per cui i coeredi originari non possono impedire l’ingresso in comunione di qualsiasi persona diversa dagli originari contitolari, come invece accade, ad esempio, a norma dell’art. 2284 cod. civ., nel caso di morte di un socio di società di persone»; G. Azzariti, Trasmissibilità del diritto di prelazione e di riscatto agli eredi del coerede, in Giur. merito, 1987, p. 912, ritiene che non si possa «ammettere che ricorra una eccezione al diritto ereditario di trasferimento mortis causa di tutti i beni e di tutte le attività del de cuius, perché in vista della non contestabile natura patrimoniale del diritto di prelazione, nella specie tanto non si verificherebbe a causa del disposto dell’art. 732, mentre è vero il contrario, e che cioè le disposizioni della legge debbono interpretarsi sulla base dei principi generali, e non invece che i principi generali debbano subire modifica per permettere all’interprete l’adozione di una diversa e preconcetta interpretazione». L’art. 732 dovrebbe perciò adeguarsi «al principio del trasferimento dei beni ragioni e azioni all’erede dell’universum jus del de cuius, e non è possibile voler dedurre che quell’art. 732, che venga interpretato in dispregio del detto indiscusso principio, debba imporre una eccezione alla regola che deve invece essere anche in tal caso applicata e che costringe quindi ad una interpretazione diversa da quella che si è creduto di poter seguire» (ibidem).

7 Cass., 7 settembre 1978, n. 4048, in Foro it., 1979, I, p. 1035, statuisce che la contrapposizione legislativa di “estraneo” e “coerede” «delimita la posizione di coloro cui spetta la prelazione e, corrispondentemente, di coloro nei cui confronti la prelazione può essere esercitata: sono estranei i “non coeredi”, cioè coloro che non sono chiamati a far parte dell’eredità la cui quota un coerede vuole alienare». Non sarebbe quindi in questione alcun rapporto di famiglia, ma solo la qualità di coerede, «per cui estraneo può essere un prossimo congiunto che non sia stato chiamato all’eredità, mentre coerede è anche l’estraneo che, per volontà del de cuius espressa nel testamento, abbia ottenuto il diritto ad una quota dell’eredità» (ibidem).

8 Cfr. Cimato, La nozione di estraneo nel retratto successorio, in Dir. e giur., 1971, p. 412 ss., secondo cui lo scopo del retratto «è la conservazione della comunione ereditaria tra i soggetti indicati dal testatore o dalla legge e, quindi, esso mira ad evitare l’ingresso di estranei (rectius: di non coeredi), di soggetti, cioè, estranei alla originaria vocatio»; C. Giannattasio, Delle successioniDisposizioni in generale e successioni legittime, in Comm. del cod. civ., II, Torino, 1964, 3, p. 73. F. Giardini, In tema di trasmissibilità della prelazione ereditaria agli eredi di coeredi, in Nuova giur. civ. commentata, I, 1993, p. 691, è dell’avviso che la sussistenza di una comunione ereditaria tra soggetti «ha come indispensabile postulato che i comunisti trovino il titolo per la loro partecipazione in una unica successione a causa di morte. Ciò non si verifica invece nel caso, come quello in esame, che sui medesimi beni gravino comunioni aventi titoli diversi; il successore mortis causa di un coerede diviene infatti contitolare dei beni ereditari insieme agli originari comunisti (coeredi), ma in base a un ulteriore titolo giuridico». La conclusione non presuppone necessariamente, per l’A., una trasformazione del diritto del coerede defunto in altro e diverso diritto in capo al successore: il diritto sulla quota di beni ereditari rimarrebbe il medesimo, senza alcun mutamento della sua natura; tuttavia «il successore mortis causa di un coerede, che diviene comunista per effetto dell’acquisto della eredità da lui devoluta, non è per ciò stesso erede del primo de cuius» (ibidem); A. Lobina, Due questioni in tema di retratto successorio, in Giur. compl. cass. civ., 1953, p. 114.

9 Secondo R. Triola, La prelazione legale, in Pratica giuridica dir. da A. Fanelli, Milano, 2003, p. 39, non è possibile sostenere «che è incongruente che il re­tratto sia negato quando l’alienante è il successore a titolo univer­sale del coerede e sia dato invece quando l’alienante è colui che succede per rappresentazione o per sostituzione; in tal caso, in­fatti, l’alienante non è successore del mancato coerede o del primo istituito, ma è agli stesso erede del soggetto della cui eredità si tratta e quindi egli stesso è “coerede” nel senso sopraindicato». F. Giardini, op. cit., p. 692, rileva che in caso di sostituzione ordinaria il sostituto subentra all’istituito prima che questi divenga partecipe della comunione mediante acquisto dell’eredità (artt. 688 ss. cod. civ.), e non si verifica «quell’ingresso di un nuovo soggetto in comunione, che potrebbe dare origine al problema dell’applicabilità dell’art. 732 nei suoi confronti»; senza contare, poi, che «il sostituto non è erede dell’istituito» (ibidem). Nell’ipotesi di rappresentazione lo studioso reputa, analogamente, che la prelazione ereditaria sarà operativa nei confronti dei discendenti del c.d. rappresentato, i quali subentrano iure proprio nell’eredità del primo de cuius: essi «divengono coeredi degli “originari” comunisti ereditari ad ogni effetto di legge; né questa può propriamente considerarsi una ipotesi di ingresso di nuovi soggetti nella comunione» (ibidem).

10 Per G. Iudica, Ancora sulla trasmissibilità del diritto di prelazione ereditaria, cit., p. 906, il fatto che l’art. 732 «adotti l’espressione “coeredi” non significa, per ciò solo, che si possa con sicurezza negare il diritto di prelazione a qualsiasi membro non originario della comunione ereditaria». In molti casi, osserva il giurista, «il legislatore adopera l’espressione “coerede” facendo riferimento al partecipante alla comunione ereditaria e non già, sempre ed esclusivamente, al comunista originario successore a titolo universale del de cuius» (ibidem): egli porta ad esempio il diritto di chiedere la divisione attribuito dall’art. 713 cod. civ. ai “coeredi”, rilevando come nessuno dubiti che tale diritto «spetti a tutti coloro che, per una ragione o per l’altra, abbiano a partecipare alla comunione ereditaria: successori per rappresentazione, successori per sostituzione, successori a titolo universale del coerede e persino cessionari di quota per atto inter vivos» (ibidem); e che «le regole di cui agli artt. 715 ss. cod. civ. siano applicabili nei riguardi di chiunque partecipi alla comunione ereditaria, e non già soltanto nei riguardi dei coeredi originari» (ibidem). L’espressione “coerede” di cui all’art. 732 farebbe riferimento «all’id quod plerumque accidit, ma non è affatto preclusiva della possibilità di estendere la titolarità del diritto di prelazione pure agli eredi del coerede» (ibidem). Secondo N. Fabiano, Diritto di prelazione del coerede e sua presunta in trasmissibilità, in Rass. dir. civ., 1995, p. 432, l’esegesi che predica l’intrasmissibilità della prelazione realizza una innegabile compressione di interessi giuridicamente rilevanti: «le situazioni di natura patrimoniale (tra cui va ricompreso senz’altro il diritto di prelazione), vanno considerate soltanto in chiave funzionale per una migliore qualificazione dei valori fondamentali della persona. In conclusione, ove si interpretasse la norma sul retratto successorio nel senso di negare la trasmissibilità del diritto di prelazione, non sarebbe da escludere la violazione dell’art. 42 Cost., concretizzantesi nella illegittima limitazione del diritto di comproprietà del coerede».

11 G. Visalli, I contraddittori risvolti di vecchie questioni: la trasmissibilità all’erede del coerede ereditario dei diritti di prelazione e la nozione di “estraneo” ex art. 732, in Giust. civ., I, 1991, p. 2504: «quello di prelazione costituisce un diritto di natura patrimoniale, e pertanto se è vero (come è vero) che l’erede subentra nell’ universum ius, ovvero nel complesso dei diritti di natura patrimoniale (e non si vede come quelli di prelazione e riscatto non possano non considerarsi diritti di natura patrimoniale) è innegabile la trasmissibilità anche dei diritti di cui si discute». L’argomento letterale che fa leva sulla distinzione tra “coerede” e “estraneo” non convince l’A., il quale sottolinea come « l’art. 732 c.c. non ponga alcuna distinzione tra coerede originario e coerede ‘sopravvenuto’, ma sia esclusivamente finalizzato a tutelare, con l’attribuzione del diritto di prelazione e dell’eventuale conseguente retratto, i coeredi esclusivamente nel caso di alienazione inter vivos della quota ereditaria ad un soggetto non coerede» (ibidem).

12 Cfr. G. Azzariti, In tema di retratto successorio, in Giur. it., 1975, I, 1, p. 117, secondo il quale la sostituzione di alcuni degli originari titolari non esclude che i beni caduti originariamente in successione siano gli stessi che costituiranno oggetto di divisione tra tutti gli aventi diritto.

13 C. Cerrai, La successione ereditaria e la divisione dei beni, Rimini, 2004, p. 399, sembra aderire all’impostazione della dottrina più recente che individua lo scopo della prelazione ereditaria nel «favorire la concentrazione dei beni oggetto di comunione nelle mani di pochi soggetti, anche a prescindere dai rapporti di parentela, per agevolare le operazioni divisorie e consentire un migliore sfruttamento economico del patrimonio ereditario e per ridurre l’insorgenza di liti tra coeredi».

14 G. Iudica, Diritto dell’erede del coerede alla prelazione ereditaria, cit., p. 475: «il meccanismo di prelazione e riscatto, così come delineato dall’art. 732, è in grado di consentire ai coeredi di impedire l’ingresso in comunione a terzi non graditi, entro certi limiti ben precisi e determinati, e non già in tutti i casi astrattamente ipotizzabili». Viene osservato che i coeredi potrebbero impedire l’ingresso di alcune categorie di persone, ma non già di chiunque non sia coerede originario, come il successore per rappresentazione di un chiamato defunto, in quanto il rappresentante, «pur essendo persona diversa dal rappresentato, non è considerato “estraneo” e perciò nei suoi confronti non può essere esercitata la prelazione da parte degli eredi originari» (ibidem); lo stesso varrebbe per il sostituito che «non può ritenersi “estraneo”» (ibidem). Qualora poi uno dei coeredi dovesse decedere, manente communione, «non si può dubitare che il suo successore universale, subentrando in locum et ius defuncti, avrà diritto di acquistare, insieme con l’intero suo patrimonio, anche quella quota di eredità di cui il coerede defunto era titolare» (ibidem); cfr., sul punto, S. Ciavattone, op. cit., p. 1373.

15 M.R. Morelli, La comunione e la divisione ereditaria, in Giur. sist. di dir. civ. e comm. fondata da Bigiavi, Torino, 1998, p. 82; G. Iudica, Diritto dell’erede del coerede alla prelazione ereditaria, cit., p. 479: «qualora si volesse negare la partecipazione dell’erede del coerede alla comunione ereditaria insieme con i coeredi superstiti, si finirebbe non solo per non riconoscergli il diritto di prelazione qualora uno dei coeredi superstiti volesse alienare la sua quota a terzi “estranei”, ma anche a non riconoscere a favore dei coeredi il potere di esercitare la prelazione e il riscatto qualora fosse l’erede a voler alienare la propria quota ad un estraneo: se si volesse sostenere che l’erede del coerede partecipa alla comunione non già come “comunista ereditario”, ma come comunista semplice, ne deriverebbe che egli potrebbe disporre della sua quota in assoluta libertà, con la conseguenza che i coeredi non potrebbero evitare il rischio che un “estraneo” (l’acquirente della quota alienata dall’erede) abbia a partecipare (magari con “intenti speculativi”) alla comunione, all’amministrazione del patrimonio indiviso, e poi alle delicate e talvolta lunghe e complesse procedure volte a tradurre la pars quota in pars quanta, e cioè a frazionare il patrimonio indiviso tra i diversi condividenti». Su questa linea S. Ciavattone, in Giust. civ., I, 1994, p. 1373, rileva che «se non si estendesse la portata dell’art. 732 c.c. anche in favore dell’erede del coerede, si finirebbe per danneggiare l’erede stesso e perfino i coeredi, i quali privati del diritto di prelazione nei confronti dell’erede, finirebbero per essere indifesi innanzi ai rischi connessi ad atti di disposizione della quota»; ragion per cui sarebbe «preferibile ritenere che l’erede del coerede debba essere considerato partecipante pleno iure alla comunione ereditaria ed in quanto tale anche del diritto di prelazione accordato dall’art. 732 c.c.» (ibidem). Relativamente alla soggezione degli eredi del coerede al diritto di prelazione dei partecipanti all’originaria comunione ereditaria, s’è però deciso, in senso contrario, che i primi, dovendo essere ritenuti estranei alla eredità, non sono sottoposti all’onere di cui all’art. 732: così App. Catania, 5 giugno 1986, in Riv. not., 1987, p. 577; per Trib. Belluno, 10 settembre 1998, in Giur. merito, 1999, p. 4, la prelazione non spetta all’erede dell’originario coerede e, simmetricamente, l’erede del coerede non è chiamato, nei confronti dei coeredi del suo dante causa, agli adempimenti in funzione della prelazione che a loro non spetta in confronto di lui.

16 Cfr. A. De Cupis, Sul fondamento giustificativo della prelazione ereditaria, in Rass. dir. civ., 1986, p. 327 ss.; A. Burdese, La divisione, in Tratt. di dir. civ. Vassalli, Torino, 1980, p. 50. Dottrina risalente, sulla base della relazione al progetto definitivo del Libro delle Successioni del Codice Civile, scorgeva il fondamento del retratto nella tutela di un interesse familiare o parentale (per mantenere, finché dura lo stato di comunione, il patrimonio ereditario tra persone legate da vincoli di sangue e, presumibilmente, di affetto), individuando lo scopo dell’ istituto nella volontà, negati­va, di impedire l’ingresso nella comunione di soggetti estranei al nucleo familiare, i quali avrebbero potuto essere spinti da un intento speculativo perseguito con l’acquisto della quota: v., in tal senso, G. Andreoli, Il retratto successorio, Studi senesi, Siena, 1946, p. 12.

17 N. Atlante, Il diritto di prelazione del coerede, in Successioni e donazioni, a cura di Rescigno, Padova, 1994, p. 58; M. L. Loi, voce Retratto successorio (diritto vigente), in Enc. dir., vol. XL, Milano, 1989, p. 25.

18 Cass., 7 dicembre 2000, n. 15540, in Mass. giust. civ., 2000, p. 2568; C. Miraglia, La divisione ereditaria, Padova, 2006, p. 28, per la quale, ridotto il numero dei contraddittori, «si attenuano (indipendentemente dall’eventuale rapporto di parentela che li leghi) le difficoltà proprie della divisione ereditaria»; R. Triola, La prelazione legale, cit., p. 28.

19 C. Cerrai, La successione ereditaria e la divisione dei beni, cit., p. 399; P. Vitucci, Sul fondamento della prelazione successoria, in Aa.Vv., Prelazione e retratto, Milano, 1988, p. 45; N. Atlante, op. cit., p. 57; G. Capozzi, op. cit., p. 735.

20 Cass., 11 maggio 1993, n. 5374, in Nuova giur. civ. commentata, 1993, I, p. 901.

21 Cass., 11 maggio 1993, n. 5374, cit.

22G. Azzariti, In tema di retratto successorio, cit., p. 117: «non è dubbio che la comunione di beni ereditari che viene a costituirsi tra gli eredi nominati dal testatore avrà a propri titolari quegli eredi indicati dal de cuius e poi anche, nel caso di decesso di uno o di altro di essi prima che a quello stato di comunione si sia posto termine con la divisione, gli eredi del coerede o dei coeredi deceduti nelle more». Per I. Cappiello, Sull’esperibilità del retratto successorio da parte dell’erede del coerede, in Giur. agr. it., 1984, II, p. 112, «l’ultima parte del primo comma dell’art. 732 c.c. sembra dar rilievo, allorché ammette il retratto “finché dura lo stato di comunione ereditaria” non tanto e non solo ad un elemento soggettivo e personale, riferito alle persone degli originari coeredi, quanto ad una condizione, ad uno stato, in cui confluiscono elementi sia soggettivi (i coeredi) che oggettivi (i beni della comunione), segnato dal (solo) limite finale dello scioglimento della comunione ereditaria: se dunque, in tema di successione ereditaria l’erede subentra in tutti i diritti del de cuius, e, quindi, anche nella quota che questi, a sua volta, vanti in comunione ereditaria con altri, è in quello stato di comunione ereditaria che avviene il subentro iure dell’erede del coerede, il quale diviene egli stesso un soggetto di quella comunione».

23 Cass., 28 gennaio 2000, n. 981, in Giust. civ., 2001, p. 2503, con nota di G. Visalli.

24 Trib. Ascoli Piceno, 2 marzo 1981, in Giur. agr. it., 1984, p. 111, con nota di I. Cappiello; cfr., in merito, anche A. De Cupis, Sull’applicabilità della prelazione ereditaria all’erede del coerede, cit., p. 613.

25 Cass., 5 febbraio 1974, n. 309, in Foro it., 1974, I, 1074; e in Dir. Giur., 1974, p. 397: «se per successive trasmissioni ereditarie, vengano sugli stessi beni a coesistere due o più comunioni, l’identità parziale o totale dei beni, su cui le comunioni stesse si vengono a formare, non esclude che ciascuna abbia un titolo proprio ed autonomo e che ciascuna faccia capo a successioni distinte»; così già precedentemente Cass., 28 febbraio 1953, n. 486, in Foro it., 1953, I, p. 794; App. Napoli, 16 aprile 1970, in Dir e giur., 1971, p. 418, secondo cui «se per successive trasmissioni vengono sugli stessi beni o su parte dei medesimi a coesistere due o più comunioni, l’identità totale o parziale dei beni oggetto delle comunioni stesse non esclude che ciascuna di queste faccia capo a successioni ontologicamente distinte». In dottrina, cfr. G. Iudica, Diritto dell’erede del coerede alla prelazione ereditaria, cit., p. 479: «è noto come la giurisprudenza e la dottrina abbiano, in talune ipotesi, riconosciuto l’esistenza di una pluralità di comunioni, aventi titolo diverso, su un medesimo bene indiviso: ad esempio se Tizio e Caio hanno congiuntamente comperato un bene (diventandone così comproprietari), e se poi Tizio muore, il bene indiviso sarà ad un tempo oggetto di una comunione semplice nei riguardi di Caio comunista superstite e di una comunione ereditaria nei confronti di Mevio e Sempronio eredi di Tizio. Con la conseguenza che Caio deve ritenersi abilitato ad alienare la sua quota in assoluta libertà, senza e pure contro il parere degli altri contitolari; viceversa tale libertà non potrà riconoscersi a Mevio e Sempronio. Se Mevio intende disporre della sua quota di eredità (tra i cui cespiti si annovera pure la quota di comunione con Sempronio e Caio) dovrà prima render conto della sua decisione non certo a Caio ma a Sempronio, rispettandone il diritto di prelazione a norma dell’art. 732».

26 I. Cappiello, op. cit., p. 112. Sulla stessa linea, cfr. G. Azzariti, In tema di retratto successorio, cit., p. 117, per il quale «pur con il cambio di alcuni degli originari titolari, per la sostituzione dei propri eredi ai coeredi condividenti che muoiano in pendenza dello stato di comunione, sono sempre gli stessi beni caduti in comunione che devono dividersi tra tutti gli aventi diritto, originari o subentrati in un secondo tempo. E l’interesse all’allontanamento di terzi da quella comunione permane anche quando dei nuovi titolari, e cioè gli eredi di un condividente deceduto, subentrino all’uno o all’altro degli originari coeredi».

27 App. Napoli, 16 maggio 1955, in Rep. Giust. civ., 1955, p. 123.

28 La Cassazione, con la citata sentenza del 5 febbraio 1974, n. 309, assume l’esistenza di due comunioni ereditarie e nega la trasmissione del diritto di preferenza agli eredi del coerede perché non rileva «che, in caso di più successioni, ciascuno di essi, oltre ad essere partecipe della comunione successiva, lo sia di quella originaria, giacché di tale comunione originaria egli non è divenuto partecipe in quanto coerede nel senso suindicato (e tutto ciò anche a prescindere dall’innegabile distinguibilità, nel primo caso, fra due patrimoni ereditari e, nel secondo, fra le due comunioni)».

29 Cass. 5 febbraio 1974, n. 309, cit.: «qualora ad uno dei coeredi succedano più persone con conseguente costituzione tra loro di una nuova comunione, pur concernente gli stessi beni oggetto della prima, l’alienazione di una quota della comunione successiva ad un coerede della prima deve ritenersi fatta ad un estraneo e quindi è soggetta a retratto». In senso contrario, cfr. G. Azzariti, La divisione, in Tratt. di dir. priv. Rescigno, 6, Successioni, Torino, 2000, pp. 417-418: l’idea dell’esistenza di un unico rapporto comunistico porta lo studioso ad avversare le conclusioni dei giudici e a contestare l’affermazione che la titolarità del diritto al retratto viene meno ogni qualvolta la cessione della quota venga posta in essere non da uno dei condividenti originari, ma da uno degli eredi di un condividente deceduto.

30 Cass., 11 marzo 1972, n. 713, in Rep. Foro it., 1972, voce Successione ereditaria, n. 109. La valutazione dell’estraneità va fatta con riferimento all’eredità di cui fa parte la quota trasferita: è estraneo chi non partecipa all’eredità, mentre non ha alcuna rilevanza un eventuale vincolo di parentela: v. Trib. Napoli, 16 gennaio 1979, in Dir. e giur., 1980, p. 149; Cass., 14 giugno 1964, n. 1467, in Rep Foro it., 1964, voce Divisione, n. 37; contra, Trib. Vallo della Lucania, 1 agosto 1957, ivi, 1958, cit., p. 63-65. In materia di estraneità, cfr. pure Cass., 28 gennaio 2000, n. 981, in Giust. civ., 2001, p. 2503; Cass., 7 settembre 1978, n. 4048, in Foro it., 1979, I, p. 1035.

31 Cfr. la nota precedente.

32 Cfr., tra gli altri, A. Villani, op. cit., p. 211, secondo il quale «deve considerarsi estraneo chi, dei coeredi, non è chiamato in forza della prima successione, ossia chiunque non è succeduto direttamente all’originario unico proprietario».

33 La norma sancisce che i primi «possono soddisfare in denaro o in beni immobili ereditari la porzione spettante ai figli naturali che non vi si oppongano (…)». Commutare vuol dire scambiare una cosa con un’altra; la commutazione è l’atto mediante il quale i figli legittimi estromettono dalla comunione ereditaria i figli naturali del defunto corrispondendo a questi il valore della loro quota.

34 Tanto si evince dallo stesso art. 537 c.c., che parla proprio di «porzione spettante ai figli naturali».

35 Commutazione e retratto sono accostabili, peraltro, sotto il profilo della natura della situazione giuridica; la riconduzione della prima nell’ambito della categoria dei diritti potestativi – al pari del secondo (v. supra) – è fortemente sostenuta in dottrina. Nel diritto previgente si riconosceva ai figli legittimi un incondizionato diritto di opzione, ed era quindi certo che si trattasse di un diritto potestativo, il cui esercizio produceva il mutamento della situazione giuridica dei figli naturali, i quali dovevano subire le conseguenza giuridiche della dichiarazione di volontà dei figli legittimi (L. Mengoni, Comm. al cod. civ. Delle successioni legittime (artt. 565-586 c.c.), Bologna, Zanichelli, 1985, p. 179). Lo jus commutationis, concesso ai figli legittimi, escludeva, con la dazione di immobili ereditari o denaro, i figli naturali, che venivano tacitati ed estromessi dalla gestione diretta del patrimonio familiare (F. Santoro-Passarelli, Commutazione della quota successoria in Riv. dir. civ., 1940, p. 505). Con la nuova formulazione dell’art. 537 c.c., si stabilisce al terzo comma che, nel caso di opposizione dei figli naturali, la dichiarazione del titolare non è più sufficiente da sola a mutare la situazione giuridica, ma occorre l’intervento del giudice, che pronunzierà la commutazione solo dopo aver valutato le concrete circostanze personali e patrimoniali (L. Bellantoni- F. Pontorieri, La riforma del diritto di famiglia, Napoli, 1976, p. 340). Alcuni ritengono che si tratti comunque di un diritto potestativo non più assoluto, ma condizionato dalla presenza di alcuni presupposti (G. Gabrielli, Commentario del diritto di famiglia a cura di Carraro, Oppo e Trabucchi, Padova, 1977, p. 828); per l’A. il diritto di commutazione sarebbe rimasto un diritto potestativo ad esercizio negoziale (Id., Dei legittimari, in Commentario al Diritto Italiano della Famiglia, a cura di Cian, Oppo e Trabucchi, vol. V, Padova, 1992, p. 52). Altri, invece, considerano la non opposizione equivalente al consenso e quindi si avrebbe un accordo tra figli legittimi e naturali incompatibile con l’esistenza di un diritto di opzione: nell’esplicazione dei diritti potestativi, il comportamento del soggetto passivo è irrilevante, non può né deve fare nulla se non sottostare alla dichiarazione di volontà. Ciò contrasterebbe con la nuova formulazione dell’art. 537, ultimo comma, che prevede un potere di contestazione: così F. Santoro-Passarelli, Dottrine generali del diritto civile, IX ed., Napoli, 1989, p. 72. Ci si è chiesti se la previsione della possibilità di opposizione dei figli naturali alle determinazioni dei figli legittimi ed il conseguente ricorso al giudice potessero far degradare tale diritto potestativo a mera facoltà riservata ai figli legittimi, suscettibile di venire paralizzata dalla contestazione dei figli naturali. Tuttavia gran parte della dottrina continua a ritenere che si tratti pur sempre di un diritto potestativo ad esercizio negoziale: cfr. G. Gabrielli, Dei legittimari, cit., p. 50, il quale esclude che il controllo giudiziale possa ritenersi limitato alla congruità dei termini dello scambio offerto dai figli legittimi a quelli naturali; l’intervento giudiziale non avrebbe natura concessoria poiché il diritto dei figli legittimi sorge e può soddisfarsi indipendentemente da tale intervento, che è meramente eventuale e subordinato all’opposizione dei figli naturali (ivi, p. 51). Per D’Avino, Commutazione delle quote ereditarie dei figli naturali, in Riv. not., 1984, p. 562 ss., anche a seguito delle modifiche introdotte, la commutazione conserverebbe i caratteri di diritto potestativo, poiché ai figli naturali viene concesso di rivolgersi al giudice non per contestare la decisione in sé, ma solo qualora si ritengano insoddisfatti della composizione qualitativa delle quote loro attribuite dai figli legittimi; M. C. Bianca, Le successioni. Diritto Civile, 2, Milano, 2005, p. 152, ravvisa un diritto potestativo a concessione giudiziale in quanto la commutazione deve essere autorizzata dal giudice; Id., Diritto civile, 2, La famiglia. Le successioni, III ed., Milano, 2001, p. 599.

36 La non completa equiparazione di trattamento tra la filiazione legittima e quella naturale si esprime nella disciplina della commutazione che consente, in un’ottica di tutela della famiglia legittima, di escludere dalla comunione i figli naturali, i quali vantano, per il resto, eguali diritti nella successione. Tale facoltà fu introdotta dal codice del 1865, al fine di impedire un eccessivo frazionamento della proprietà, e mantenuta dal codice del 1942.

37 G. Capozzi, op. cit., p. 293-294: i figli legittimi «non possono, neppure d’accordo, esercitare singolarmente il diritto limitatamente alla quota loro spettante».

38 Cass., 4 maggio 1961, n. 1002, in Rep Foro it., 1961, voce Vendita, n. 106. Parte della dottrina nega che la quota rientri nella massa ereditaria a vantag­gio di tutti i coeredi, anche di quelli che non hanno esercitato il retratto: cfr. C. Veneri, op. cit., p. 99; G. Bonilini, Nozioni di diritto ereditario, Torino, 2003, p. 154.

39 Esso, in presenza dei presupposti richiesti dal legislatore, opera di diritto.

40 Vedi il caso sub f).

Aversano Gabriele

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