SOMMARIO: I. Introduzione- II. Gli ostacoli giuridici per l’attuazione delle fusioni transfrontaliere- III. Le diversa disciplina applicabile alle fusione transfrontaliere previste dagli ordinamenti giuridici degli Stati Membri- IV. La sentenza della Corte di Giustizia nel caso Sevic- V. La sentenza Sevic e la giurisprudenza della Corte di Giustizia sulla libertà di stabilimento delle società – VI. La decima direttiva in materia di diritto societario -VII. Le conseguenze della decima direttiva e della sentenza Sevic per la libertà di stabilimento delle società
I. Introduzione
Le operazioni di fusione tra società costituite in diversi Stati membri costituiscono uno strumento a mezzo del quale le imprese si espandono e stabiliscono rapporti di cooperazione nei mercati internazionali. Le fusioni transfrontaliere posso quindi essere considerate come una modalità per l’esercizio della libertà di stabilimento prevista dall’articolo 48 CE. Una società costituita in uno Stato membro, la quale vorrebbe allargare le proprie attività in un altro Stato membro, con la fusione con una società del secondo stato acquisisce direttamente il complesso dei beni aziendali necessari per attuare i propri obbiettivi imprenditoriali senza dover esser costretta a costituire una nuova società nello Stato membro ospite.
Ora, una fusione transfrontalieria deve essere valutata alla luce di diversi settori del diritto, quali, ad esempio, il diritto della concorrenza, il diritto del lavoro, il diritto tributario e il diritto societario. Limitandoci a considerare le fusioni transfrontaliere dal punto di vista del diritto societario si può notare l’esistenza di alcuni ostacoli per l’attuazione di questo tipo di operazioni. Le divergenze tra le disposizioni dei diritti societari nazionali degli Stati membri in materia di fusioni transfrontaliere e le conseguenti difficoltà di coordinamento tra tali disposizioni possono impedire o quanto meno rendere più difficile queste operazioni. Le autorità nazionali di uno degli stati interessati dalla fusione potrebbero, sul base del proprio diritto nazionale, opporsi a detta operazione. Tuttavia, tale decisione potrebbe restringere la libertà di stabilimento delle società partecipanti alla fusioni e, di qui, essere incompatibile con il diritto comunitario.
II. Gli ostacoli giuridici per l’attuazione delle fusioni transfrontaliere
Il primo problema che si pone per l’operatore giuridico di fronte ad una fusione transfrontaliera riguarda la determinazione di quale sia la legge materiale applicabile alla fusione. Per risolvere tale problema è necessario stabilire la nazionalità delle singole società partecipanti alla fusione al fine di determinare la lex societatis applicabile a ciascuna di queste. Gli Stati membri si dividono tra due distinti criteri di collegamento per la determinazione della nazionalità delle società: il principio dell’incorporazione della società e il principio della sede reale.[3] Una volta determinate le leggi nazionali delle società partecipanti alla fusione, è possibile stabilire la legge regolatrice della fusione. Un’operazione di fusione transfrontaliera può essere disciplinata non solo dalle leges societatis delle società partecipanti ma anche dalle legge degli stati dove le parti hanno deciso di stabilire la sede della società derivante dalla fusione. Ne consegue che la legge regolatrice delle fusioni transfrontaliere non si esaurisce nel diritto societario di un solo stato, ma è data dal concorso tra i diritti nazionali societari delle società partecipanti alla fusione. La forma di tale concorso differisce a seconda delle natura degli atti del procedimento di fusione. Si ha il concorso distributivo per la disciplina degli atti del procedimento di fusione che devono essere compiute individualmente da ciascuna società partecipante. Questi fasi sono regolate esclusivamente dalla lex societatis della società dalla quale sono poste in essere.[4] Invece, si ha il concorso cumulativo nel caso di atti che devono essere posti in essere da tutte le società partecipanti, i quali sono regolati da tutte le leggi nazionali potenzialmente applicabili.[5]
Ma non vi è garanzia che le disposizioni dei diritti societari nazionali richiamati dai criteri sopra esposti, ed è questa la difficoltà maggiore all’attuazioni delle fusioni transfrontaliere, regolano in modo coerente tali operazioni. È quindi possibile che mentre la legge nazionale di una delle società partecipanti alla fusione ammetta la fusione transfrontaliere la legge nazionale di un’altra società partecipante vieti tale operazione. In questo caso, non potendo più procedere con la fusione, le parti dovrebbero procedere a una serie di complesse operazioni per conseguire un risultato simile a quello delle fusione, quali lo scioglimento e liquidazione della società e successiva ricostituzione in un altrostato.[6]
III. Le diversa disciplina applicabile alle fusione transfrontaliere previste dagli ordinamenti giuridici degli Stati Membri
Un rapido esame delle disposizioni dei diritti societari di alcuni Stati membri in materia di di fusione transfrontaliere può aiutare a comprendere i problemi di coordinamento tra le varie leggi nazionali. Nel nostro ordinamento l’ articolo 25 della legge 31 maggio 1995 n. 218 stabilisce che “le fusioni di enti con sedi in Stati diversi hanno efficacia soltanto se posti in essere conformemente alle leggi di detti Stati interessati.” Questa disposizione è stato interpretata dalla dottrina nel senso che le fusioni tra una società italiana e una straniera sono permesse nel nostro ordinamento.[7] Anche la giurisprudenza ammette le fusioni transfrontaliere purchè siano soddisfatte due condizioni: la fattispecie deve essere prevista anche dalla lex societatis della società straniera e le parti devono osservare i principi sulle fusioni previsti da tutte le leggi applicabili, fatto salvo il limite esterno dell’ordine pubblico internazionale.[8]
Nell’ordinamento francese i dati normativi rilevanti in materia di fusione si trovano nel capitolo sesto (articoli da 236-1a 236-24) del Code de Commerce promulgato il 18 settembre 2000. La legge francese, a differenza di quella italiana, non prevede alcuna disposizione specifica in materia di fusioni transfrontaliere. Ad ogni modo secondo l’orientamento maggioritario queste operazioni sono consentite a condizioni simili a quelle previste dalla legge italiana. È quindi necessario che la fattispecie di fusione sia ammessa dalla legge nazionale della società straniera partecipante all’operazione e che le parti rispettino le leggi nazionali che regolano l’operazione medesima. Tuttavia, un’importante eccezione è prevista nel caso di fusione per incorporazione di una società francese in una società straniera. Una fusione così strutturata comporterebbe il trasferimento della sede sociale della società francese all’estero con la conseguente modifica della legge nazionale applicabile a quest’ultima. Per questo motivo si rende necessario che l’assemblea straordinaria degli azionisti della società francese destinata ad essere assorbita dalla società straniera approvi l’operazione all’unanimità.[9] Non si può negare che il requisito del consenso unanime degli azionisti restringe la libertà delle società francesi di prendere parte a fusioni transfrontaliere. Non deve quindi sorprendere che le fusioni transfrontaliere che prevedono l’assorbimento di una società francese in una società straniera sono state realizzate solo nel caso in cui la società incorporante ha la titolarità dell’intero capitale sociale della società francese da assorbire.[10]
In assenza di specifiche previsioni in materia di fusioni transnazionali non è chiaro se nel diritto societario belga e lussemburghese le fusioni tra società nazionali e società straniere sono ammesse. La legge belga e quella lussemburghese, apparentemente autorizzano le fusioni transnazionali a condizione che la società incorporante o la società che risulta dal procedimento di fusione sia la società nazionale.[11] Soluzioni analoghe sono previste anche dalle leggi nazionali di altri stati, le quali non consentono operazioni di fusioni tra una società nazionale e una società straniera quando la prima per effetto della fusione, viene ad essere incorporata nella società straniera.[12]
Le imprese inglesi generalmente non si servono delle fusioni per porre in essere concentrazioni imprenditoriali, piuttosto ricorrono all’acquisto di partecipazioni azionarie. Ciò premesso, la legge inglese prevede due distinte procedure i risultati delle quali sono simili a quelli di una fusione (reconstruction). Gli articoli 425 e seguenti del Company Act 1985 prevedono una particolare procedura sottoposta alla supervisione e approvazione degli organi giudiziari, che consente la cessione dei beni e azioni della società-target alla società acquirente verso il pagamento di un corrispettivo agli azionisti della società-target. Peraltro tale procedura trova applicazione solo in caso di fusione tra società nazionali. La seconda procedura è disciplinata dall’articolo 110 dell’Insolvency Act 1986 e prevede la liquidazione volontaria di una società e il conseguente trasferimento del patrimonio di questa a due o più società di nuova costituzione. Le azioni emesse dalla nuove società in seguito al conferimento dei beni della società in liquidazione sono assegnate agli azionisti della società in liquidazione come corrispettivo dei diritti di questi alla restituzione del patrimonio sociale della società delle quale sono azionisti. Questa seconda procedura è applicabile anche alle fusioni poste in essere tra società nazionali e straniere. Ora, se è vero che la legge inglese ammette le fusioni transfrontaliere, è parimenti vero che questa prevede e riconosce una sorta di disparità di trattamento tra le fusioni interne e quelle transnazionali, dal momento che le prime possono essere attuate con l’una o l’altra procedura, mentre le seconde possono essere realizzate soltanto con la procedura prevista dall’Insolvency Act.[13]
Una posizione sicuramente più ostile nei confronti delle fusioni transfrontaliere è quella della legge tedesca sulle trasformazioni di società (Umwandlungsgesetz). Questa legge prevede espressamente l’iscrizione della fusioni tra società nazionali nel registro commerciale, mentre niente è disposto in relazione all’iscrizione delle fusioni transfrontaliere. L’opinione prevalente formatasi nell’interpretazione di questa legge è l’iscrizione delle fusioni transfrontaliere non sarebbe ammesse e che nel diritto tedesco non consentirebbe fusioni tra società tedesche e società straniere. Perciò le autorità tedesche non hanno riconosciuto una fusione tra una società tedesca e una austriaca con assorbimento della seconda nella prima. La dottrina tedesca aveva manifestato seri dubbi circa la compatibilità della legge sulle trasformazioni di società con il principio della libertà di stabilimento.[14]
IV. La sentenza della Corte di Giustizia nel caso Sevic
La questione della compatibilità di una legge nazionale che vieta le fusioni transfrontaliere con il diritto comunitario è stata affrontata dalla Corte di Giustizia in una sentenza riguardante l’interpretazione pregiudiziale degli articoli 43 e 48 del Trattato.[15] Nel caso di specie Sevic, una società costituita in Germania, aveva concluso con Security Vision, una società costituita in Lussemburgo, un contratto di fusione, in virtù del quale le parti disponevano lo scioglimento senza liquidazione della seconda e la trasmissione universale del patrimonio di questa alla Sevic; in breve, il contratto prevedeva la fusione per incorporazione di Security Vision in Sevic. Ma il Tribunale di Primo Grado (Amtsgericht) di Neuwied rifiutava l’iscrizione dell’atto di fusione nel registro tedesco delle imprese adducendo che l’articolo 1 della legge tedesca sulla trasformazione di società consente solo la fusione tra società costituite in Germania. La Corte di Appello di Coblenza, davanti alla quale era stata impugnata la decisione di cui sopra, aveva riferito alla Corte di Giustizia il quesito se la legge tedesca che vieta le fusioni transfrontaliere ma consente le fusioni interne fosse compatibile con gli articoli 43 e 48 CE.
La Corte nel rispondere al quesito di cui sopra ha seguito la metodologia già sperimentata nelle altre sentenze nelle quali ha avuto occasione di occuparsi della libertà di stabilimento delle società. L’attenzione della Corte si concentra dapprima sull’ambito di applicabilità della libertà di stabilimento allo scopo di accertare se la fattispecie oggetto della causa possa beneficiare o meno della disciplina di cui agli articoli 43 e 48 CE. Quindi la Corte verifica la compatibilità della misura nazionale con il diritto comunitario. Infine, se la Corte ritiene che la misura nazionale restringa la libertá di stabilimento affronta la questione se tale misura può essere giustificata ai sensi dell’Articolo 46 CE o sulla base di ragioni imperiose di interesse pubblico.
Nella successiva parte della sentenza la Corte esamina la compatibilità della normativa tedesca contestata con il principio della libertà di stabilimento. Secondo la consolidata giurisprudenza della Corte una misura nazionale limita la libertà di stabilimento quando ne vieta, ostacola o dissuade l’esercizio.[20] Le fusioni transfrontaliere sono un efficacie strumento di trasformazione societaria posto che consentono “nel quadro di un’unica operazione, di esercitare una data attività in forme nuove e senza soluzione di continuità, riducendo pertanto notevolmente le complicazioni, i tempi ed i costi associati a forme alternative di raggruppamento societario."[21] La legge tedesca regolamenta in modo diverso le operazioni di fusioni a seconda se queste siano concluse tra società nazionali ovvero tra una società nazionale e una società stabilita in un altro Stato membro. Tale operazione, a differenza della fusione interna, non è ammessa dall’ordinamento tedesco visto che l’atto di fusione non può essere iscritto nel registro delle imprese. Poiché la legge tedesca non consente alle società di avvalersi dello strumento delle fusioni transfrontaliere la Corte conclude che in questo caso si ha un ostacolo all’esercizio del diritto di stabilimento e quindi la legge tedesca viola gli articoli 43 e 48 CE.[22] La natura restrittiva della legge tedesca é chiaramente illustrata nelle conclusioni dell’Avvocato Generale. Da un lato ostacola la decisione delle società tedesche di esercitare il diritto di stabilimento in “uscita” mediante la fusione con società costituite nello Stato membro nel quale le società tedesche intendono intraprendere o espandere un’attività economica. Dall’altro, ostacola la decisione delle società costituite in altri Stati membri di esercitare il diritto si stabilimento in “entrata” mediante la fusione con una società tedesca allo scopo di svolgere un’attività economica in Germania.[23]
Nella terza e ultima parte della sentenza la Corte affronta la questione della possibile giustificazione della legge tedesca. Le misure nazionali restrittive della libertà di stabilimento possono essere giustificate a condizione che queste perseguano uno scopo legittimo e compatibile con il Trattato e siano fondate su ragioni imperative di interesse generale.[24] I governi tedesco e olandese avevano rilevato che a causa della mancata armonizzazione comunitaria in materia di fusione transfrontaliere, i diritti societari degli Stati membri ancora divergono sulla disciplina di tali operazioni. Di conseguenza la leggi nazionali che vietano le fusione transfrontaliere sarebbero giustificate dall’esigenza di tutela dei creditori, degli azionisti di minoranza e dei dipendenti, nonché la tutela dell’efficacia dei controlli fiscali e la correttezza nelle transazioni commerciali.
A queste osservazioni la Corte oppone l’irrilevanza dell’assenza di direttive di armonizzazione. Infatti il diritto di stabilimento é riconosciuto direttamente dal trattato, mentre le direttive di armonizzazione al più agevolano l’esercizio di tale diritto.[25] Per quanto riguarda la possibilità di giustificare le misure nazionali restrittive delle libertà fondamentali previste dal diritto comunitario l’Avvocato Generale richiama la classica distinzione tra misure nazionali restrittive discriminatorie e quelle indistintamente applicabili. Le prime possono essere esentate solo sulla base dell’articolo 46, mentre le seconde, alla luce della sentenza Gebhard,[26] possono essere esentate solo in presenza di imperiosi motivi di interesse pubblico. L’Avvocato Generale sembra propendere per la qualificazione della legge tedesca come misura restrittiva di natura discriminatoria e quindi potrebbe beneficiare solo dell’esenzione per i motivi previsti dall’articolo 46, e cioè motivi di ordine pubblico, pubblica sicurezza e sanità pubblica. Ad ogni modo, nessuno di questi motivi potrebbe essere invocato nel caso di specie visto che l’articolo 46 CE consente di derogare alle libertà fondamentali del trattato solo in caso di minaccia effettiva e sufficientemente grave per uno degli interessi fondamentali della collettività. Ma questa minaccia non può essere costituita dalle sole divergenza tra i diritti societari degli Stati membri relativamente alla disciplina delle fusioni transfrontaliere.[27]
La Corte, da parte sua, non ripropone la distinzione operata dall’Avvocato Generale tra misure restrittive discriminatorie e misure restrittive indistintamente applicabili e fa affidamento sulla giurisprudenza Gebhard per accertarese la legge tedesca possa essere giustificata o meno. Sebbene la tutela degli interessi indicati dai governi tedesco e olandese sia da considerarsi una legittima esigenza, la Corte ritiene che, la legge tedesca non è conforme al principio di proporzionalità perchè impone una restrizione più seria di quanto sia necessario per la tutela di tali interessi.[28] Infatti, "il generale diniego, in uno Stato membro, dell’iscrizione nel registro delle imprese di una fusione tra una società stabilita in tale Stato ed una avente sede in uno Stato membro diverso finisce con impedire la realizzazione di fusioni transfrontaliere anche quando gli interessi menzionati al punto 28 della presente sentenza non sarebbero minacciati".[29]
Le ragioni per le quali la legge tedesca non può essere esentata ai sensi della giurisprudenza Gebhard sono esposte in maniera più articolata nelle conclusioni dell’Avvocato Generale. Questi ritiene più fondata la invocazione dei motivi di interesse pubblico per impedire una fusione transfrontaliera da parte dello stato della società incorporata piuttosto che da parte dello stato della società incorporante. Infatti solo nel primo caso, a seguito della fusione, verrebbe meno il collegamento tra l’ordinamento dello stato presso il quale la società é stata costituita e la società medesima con il conseguente venir meno della possibilità per quello stato di esercitare il controllo sulla società. Qui l’opposizione dello stato sarebbe fondata sull’esigenza di evitare che i soci e creditori della società nazionale destinata allo scioglimento a seguito della fusione siano soggetti alle disposizione del diritto societario nazionale della società risultante dalla fusione che divergono dalla corrispondente normativa adottata dallo stato che si oppone all’operazione. Ma sarebbe comunque difficile ravvisare motivi di interesse pubblico tali da giustificare una deroga agli articoli 43 e 48 CE nel rischio di incompatibilità e nei problemi di coordinamento tra i vari diritti societari nazionali come indicato dalla circostanza che le fusioni transfrontaliere sono pur sempre ammesse in alcuni Stati membri.[30]
L’Avvocato Generale suggerisce un’alternativa al divieto assoluto di registrazione della fusione transfrontaliera conforme al principio di proporzionalità. Il divieto di registrazione non dovrebbe essere assoluto, ma applicarsi caso per caso quando in riferimento ad una particolare operazione di fusione vi sia una manifesta e comprovata difficoltà, da cui derivano seri rischi per la certezza del diritto e per la tutela degli interessi dei lavoratori, creditori e soci di minoranza delle società interessate.[31]
Infine si può notare che l’Avvocato Generale aveva anche affrontato la questione della compatibilità della legge tedesca con il principio della libera circolazione dei capitali sebbene questo problema non sia stato esaminato dalla Corte. Secondo la nomenclatura contenuta nell’allegato 1 della direttiva del Consiglio 88/361/CEE, del 24 giugno 1988 per l’attuazione dell’articolo 67 CE la libera circolazione dei capitale comprende gli investimenti che consistono nell’«acquisto integrale di imprese già esistenti» e nella «partecipazione a imprese nuove o esistenti al fine di stabilire o mantenere legami economici durevoli». Perciò le operazioni di fusione danno luogo a un movimento di capitali e il rifiuto di registrazione di fusione transfrontaliere potrebbe essere vietato dall’articolo 56 CE. Tuttavia l’analisi della legge tedesca sotto il profilo della restrizione delle libera circolazione dei capitali appare ridondante dato che già in precedenza era stata rilevata la sua contrarietà con gli articoli 43 e 48 CE.[32]
Ad ogni modo, le argomentazioni in precedenza impiegate allo scopo di accertare la compatibilità della misura nazionale con gli articoli 43 e 48 CE possono essere impiegate anche al fine dell’accertamento della compatibilità delle misure con l’articolo 56 CE. La misura nazionale in causa sarebbe quindi vietata dall’articolo 56 CE in quanto avrebbe un effetto dissuasivo sul movimento dei capitale impedendo il ricorso ad un efficacie strumento per l’acquisizione o la costituzione di società all’estero; allo stesso modo, per le ragioni sopra indicate, la misura non potrebbe essere giustificata.[33]
V. La sentenza Sevic e la giurisprudenza della Corte di Giustizia sulla libertà di stabilimento delle società
La sentenza Sevic si colloca pienamente in quel filone giurisprudenziale della Corte di Giustizia che ha interpretato estensivamente la libertà di stabilimento delle società. Nel caso Centros la Corte ha già riconosciuto che gli operatori economici possono costituire una società in uno Stato membro dove esiste una legislazione societaria più favorevole, e quindi costituire uno stabilimento secondario, in questo caso si trattava di una succursale, in un altro Stato membro dove intendono esercitare prevalentemente l’attività di impresa. Le autorità dello Stato membro ospite non possono rifiutare l’iscrizione della succursale nel registro commerciale nazionale adducendo il carattere fraudolento dell’operazione, dal momento che rientra nella libertà di stabilimento riconosciuta dal Trattato CE la libertà degli operatori economici di costituire una società presso lo Stato membro dove ritengono che ciò sia più conveniente.[34]
Nel caso Überseering la sede amministrativa di una società validamente costituita nei Paesi Bassi era stata trasferita in Germania in conseguenza dell’acquisizione di tale società da parte di due cittadini tedeschi. La Corte ha escluso che lo Stato membro nel quale la sede amministrativa di una società validamente costituita in altro Stato membro era stata trasferita potesse disconoscere in via generale la capacità giuridica e la capacità di stare giudizio di questa.[35]
Infine, nel caso Inspire Art le parti avevano costituito una società à responsabilità limitata di diritto inglese e successivamente avevano aperto una succursale della medesima nei Paesi Bassi presso i quali intendevano svolgere la totalità dell’attività imprenditoriale della società. Secondo le intenzioni delle parti l’impiego del veicolo societario della private company inglese avrebbe consentito loro lo svolgimento della programmata attività imprenditoriale nel territorio olandese senza dover sottostare alla più rigorosa disciplina del diritto societario olandese. La legge olandese, la Wet op de formeel buitenlandes vennootschappen, imponeva degli obblighi particolari alle società costituite all’estero ma che operano esclusivamente o quasi esclusivamente nel territorio olandese mediante una succursale (pseudo-foreign companies). In breve, queste società sono soggette a un particolare regime pubblicitario e inoltre devono avere un capitale sociale minimo. L’inosservanza di tali obblighi comporta la responsabilità degli amministratori della società. Alle autorità olandesi che intendevano applicare alla succursale della società di diritto inglese la Wet op de formeel buitenlandes vennootschappen, la Corte ha risposto che una società validamente costituita in uno Stato membro può esercitare interamente o quasi interamente la propria attività di impresa in un altro Stato membro senza che questo possa imporre alla società stessa l’osservanza di una serie di requisiti minimi relativi al capitale sociale, requisiti che invece non si applicano nei confronti delle società nazionali.[36]
La Corte con le sentenze sopra riportate ha riconosciuto la libertà per gli operatori economici di costituire una società nello Stato membro con la legislazione societaria meno restrittiva e quindi, mediante l’esercizio del diritto di stabilimento, costituire una succursale in un altro Stato membro presso il quale intendono svolgere in via esclusiva, o quanto meno in via principale, la propria attività economica senza che tale scelta possa essere interpretata come indizio di un abuso o di una condotta fraudolenta.[37] L’autonomia privata che si sostanzia nell’esercizio della libertà di stabilimento nel modo sopra esposto può essere limitata dagli Stati membri solo in presenza di determinate circostanze. Gli stati possono infatti limitare l’esercizio della libertà di stabilimento quando esistono esigenze imperative per la tutela di importanti interessi pubblici. Queste misure restrittive sono giustificate a condizione che siano non discriminatorie e siano necessarie e proporzionali rispetto all’obbiettivo perseguito.[38] Com’ è stato osservato, la limitazione del potere degli Stati membri di imporre alle società validamente costituite in un altro Stato membro il rispetto delle proprie norme nazionali ricorda il principio del mutuo riconoscimento già applicato alle altre libertà fondamentali riconosciute dal diritto comunitario allo scopo di favorire la circolazione dei fattori produttivi nella UE.[39]
Con la sentenza Sevic la Corte di Giustizia ha chiarito alcuni rilevanti punti per quanto riguarda il regime giuridico delle fusioni transfrontaliere. In primo luogo, la Corte ha stabilito che le operazioni di fusioni transfrontaliere ricadono nella sfera di applicabilità del principio della libertà di stabilimento. Più precisamente, il principio della libertà di stabilimento si applica sia nel caso di incorporazione della società straniera nella società nazionale, come nel caso di specie; ma si applica anche nel caso più controverso quando è la società nazionale ad essere incorporata in una società straniera. Quindi, la Corte ha stabilito che la legge tedesca che ammette l’iscrizione nel registro delle imprese delle fusioni interne ma non ammette l’iscrizione delle fusioni transfrontaliere è incompatibile con il principio della libertà di stabilimento. Al riguardo, un ruolo importante nell’economia della decisione della Corte è stato probabilmente giocato dalla natura discriminatoria della normativa contestata che prevede, come visto, una disparità di trattamento tra fusioni interne e fusioni transnazionali.
Infine, l’ultimo punto toccato dalla Corte riguarda le condizioni in presenza delle quali una misura nazionale che disciplina le fusioni transfrontaliere in modo incompatibile con la libertà di stabilimento può essere giustificata in deroga alle disposizioni del Trattato. La Corte non esclude che le misure nazionali restrittive, in presenza di particolari condizioni e circostanze, possano essere giustificate dall’esigenza di tutelare interessi generali, quali la protezione degli azionisti e creditori o la correttezza delle transazioni commerciali, a condizione che tali misure siano necessarie e proporzionali alla tutela degli interessi generali di cui sopra.
Tuttavia, la Corte precisa che una misura restrittiva, come la legge tedesca, che vieta in via generale l’iscrizione delle fusione transfrontaliere non può essere esentata poiché risulta incompatibile con il principio di proporzionalità e di necessarietà. Il divieto assoluto e incondizionato delle fusione transfrontaliere previsto dalla legge tedesca contestata non consente di accertare se effettivamente una determinata fusione può ledere gli interessi sopra esposti. Al contrario, la norma vieta tutte le fusione transfrontaliere, incluse le operazioni che non comportano alcun rischio per gli interesse generali tutelati dall’ordinamento tedesco.[40]
Sulla posizione della Corte può aver influito la circostanza che nella fattispecie lo stato che si era opposto alla fusione era anche lo stato della società incorporante. Come indicato dall’Avvocato Generale in questo caso è più difficile giustificare la misura nazionale restrittiva posto che lo stato tedesco avrebbe comunque conservato la propria giurisdizione sulla società risultante dalla fusione.[41]
VI. La decima direttiva in materia di diritto societario
Nelle more del caso Sevic la CE ha adottato la decima direttiva di diritto societario che disciplina le operazioni di fusione transfrontaliere.[42] Giova peraltro ricordare che la decima direttiva non costituisce il solo provvedimento comunitario che consente l’attuazione di fusioni transfrontaliere, potendo essere impiegata allo scopo anche la Società Europea (SE) disciplinata dal Regolamento CE 2157/2001.[43] Infatti una delle modalità prevista dal regolamento per la costituzione della SE è data dalla fusione tra società costituite in diversi Stati Membri.[44]
Le fusioni transfrontaliere che rientrano nell’ambito di applicazione della decima direttiva sono individuate sulla base di alcuni requisiti cumulativi. Il primo requisito richiama i criteri di collegamento territoriali previsti dagli articoli 43 e 48 CE ai fini della determinazione delle società alle quali è riconosciuta la libertá di stabilimento.[45] Il secondo requisito, condizionando l’applicabilità della direttiva alla circostanza che almeno due delle società partecipanti alla fusioni siano soggette al diritto nazionale di diversi Stati membri diversi, richiede che l’operazione abbia carattere transnazionale.[46] Il terzo requisito si riferisce al tipo di società tra le quali le operazioni di fusioni sono posto in essere. Solo fusioni tra società di capitali, con personalità giuridica e autonomia patrimoniale sono regolate dalla direttiva.[47] Infine la direttiva distingue tre tipologie di operazioni di fusione alla quali si applica: la fusione per incorporazione, la fusione mediante costituzione di una nuova società e infine la fusione in cui le quote o azioni della società incorporata sono interamente possedute dalla società incorporante.[48]
La tecnica normativa utilizzata dalla direttiva per l’identificazione della disciplina applicabile alle fusioni transfrontaliere comprende norme di diritto internazionale privato e norme di diritto materiale. Come principio generale ai fini della determinazione della legge applicabile la direttiva prevede che tutte le società partecipanti alle fusioni transfrontaliere sono tenute ad osservare le disposizioni e le formalità previste dalla legge nazionale alla quale sono soggette.[49] Inoltre, le fusioni transfrontaliere sono possibili sono tra i tipi di società ai quali la legge nazionali degli Stati membri interessati consente di fondersi.[50] In breve, il principio generale scelto dalla direttiva consiste nell’equiparazione tra fusioni interne e fusione transnazionali in virtù della quale le legislazioni nazionali in materia di fusioni interne si applicano anche alle fusioni transnazionali.[51] Per effetto del rinvio operato dal principio dell’equiparazione alle leggi nazionali delle società partecipanti alla fusione le operazioni di fusione transnazionale sono regolate dalla concorrente applicazione delle diverse leggi nazionali alle quali le società partecipanti sono soggette. Come è stato spiegato sopra tale concorso può essere cumulativo o distributivo.[52]
In altri casi, invece, la direttiva rinvia direttamente alla legge nazionale di uno solo degli Stati membri interessati dall’operazione di fusione. Così, la relazione unica degli esperti indipendenti di cui all’articolo 8 comma 2 è regolata dalla legge nazionali cui è soggetta una delle società interessate dalla fusione. Inoltre gli effetti della fusione sono regolati dalla legge nazionale dello stato alla quale è soggetta la società risultante dalla fusione.[53]
La funzione assegnata alle norme di diritto materiale è l’armonizzazione minima delle disposizioni nazionali applicabili in materia di fusioni transnazionali. Le disposizioni di diritto materiale riguardano principalmente le fasi del procedimento di fusione che sono disciplinate da tutte le leggi nazionali delle società partecipanti, che quindi devono conformarsi alle disposizioni della direttiva.[54] Una particolare importanza è data dalle norme di diritto materiale che disciplinano i diritti dei lavoratori delle società partecipanti alla fusione. A lungo la disparità di vedute tra Stati membri relativamente ai diritti di partecipazioni dei lavoratori aveva impedito il licenziamento della direttiva.[55]
Tali divergenze sono state ora superate con la soluzione inquadrata nell’articolo 16 della direttiva. Secondo il principio generale enunciato all’articolo 16 comma 1 è la legge nazionale dello stato dove la società risultante dalla fusione ha posto la propria sede sociale a disciplinare la partecipazione dei lavoratori. Tuttavia la direttiva prevede due eccezioni al principio generale. Tale principio non si applica qualora una delle società partecipanti alla fusione ha un numero medio di dipendenti superiore a 500 nei sei mesi antecedenti alla pubblicazione del progetto comune di fusione e sia soggetta a un regime di partecipazione dei lavoratori conforme alla direttiva 2001/86/CE. La seconda eccezione rileva quando la disciplina della partecipazione dei lavoratori contenuta nella legge applicabile alla fusione determinata ai sensi del principio generale sia inferiore agli standards goduti dai lavoratori delle società partecipanti alla fusione; ovvero quando tale disciplina non prevede per i lavoratori di stabilimenti della società risultante dalla fusione che si trovano in altri stati membri diritti di partecipazione di livello equivalente a quelli goduti dai lavoratori impiegati nello stato dove la società risultante dalla fusione ha la sede sociale.[56] In questi casi la l’articolo 16 comma 3 rinvia alla disciplina della partecipazione dei lavoratori nella SE. La direttiva 2001/86 CE al riguardo prevede una procedura consultiva per la conclusione di un accordo riguardante i diritti di consultazione e partecipazione dei lavoratori.[57] Infine il progetto comune di fusione deve indicare i diritti di partecipazione dei lavoratori all’interno della società risultante dalla fusione adottati ai sensi dell’articolo 16.[58] In breve, si può dire che la ratio di queste disposizioni è assicurare ai lavoratori delle società partecipanti alla fusione una tutela minima inderogabile per quanto riguarda i diritti di partecipazione di questi alla gestione societaria.
Di particolare rilevanza per la mobilità delle società mediante le fusioni transfrontaliere sono le disposizioni contenute nell’ articolo 4. Il legislatore comunitario ha qui cercato di contemperare i poteri regolatori degli Stati membri con il principio della libera circolazione delle società riconosciuto dal diritto comunitario. Al riguardo la direttiva prevede che se la legge nazionale di uno Stato membro autorizza le autorità nazionali ad opporsi per motivi di interessi pubblico alle fusione interne, le autorità nazionali dispongono del medesimo potere di opposizione nei confronti di una fusione transnazionale qualora almeno una delle società partecipanti alla fusione è soggetto alla legislazione nazionale di quello Stato membro.[59] L’ambito del potere di opposizione è meglio precisato dall’articolo 4 comma 2, il quale indica i motivi sulla base dei quali le autorità nazionali possono opporsi alla fusione. Questi motivi sono, tenuto conto anche del carattere transfrontaliero dell’operazione di fusione, la protezione dei creditori, degli obbligazionisti e dei possessori di titoli e quote e la protezione dei lavoratori delle società partecipanti alla fusione, ma limitatamente ai diritti diversi da quelli tutelati dall’articolo 16 della direttiva.
La disposizione sembrerebbe riconoscere uno spazio importante al potere regolatorio degli stati. Questi, apparentemente, sarebbero legittimati a imporre obblighi addizionali per la protezione degli interessi di cui sopra, esclusivamente nel caso di fusioni transfrontaliere, ma non nel caso di fusioni interne. Quindi, qualora gli standards di tutela degli interessi previsti dall’articolo 4 garantiti dalla legge applicabile alla società risultante dalla fusione siano inferiori a quelli garantiti dalla legge nazionali delle altre società partecipanti alla fusione le autorità nazionali di quest’ultimi stati potrebbero esercitare la facoltà a loro riconosciuta dall’articolo 4 co. 1 e opporsi alla fusione.[60] Ma, il riconoscimento agli Stati membri di sì ampli poteri non rientra, probabilmente, nelle intenzioni del legislatori comunitario. Invero, come si legge nei considerando della direttiva, gli Stati membri possono introdurre restrizioni alla libertà di stabilimento e alla libertà di circolazione dei capitali, ma a condizione che tale misure siano necessarie e proporzionali al conseguimento di esigenze imperative di interesse generale.[61]
Accertare se le misure nazionali siano conformi alle condizioni di cui sopra, come si evince dai considerando, è un compito che deve essere svolto tenendo a mente la giurisprudenza della Corte di Giustizia in materia di libertà di stabilimento delle società. Perciò gli orientamenti della Corte sul punto, compresa, quindi, la sentenza Sevic, continuano ad essere rilevanti, anche dopo l’emanazione della decima direttiva, allo scopo di stabilire le condizioni in presenza delle quali gli stati membri possono legittimamente adottare misure restrittive delle libertà fondamentali.
Infine la direttiva attribuisce agli stati la facoltà di adottare delle misure adeguate a protezione degli azionisti di minoranza che si sono opposti alla fusione nel caso in cui di società partecipanti alla fusione soggette alla propria legge nazionale.[62] Anche in questo caso le misure nazionali non dovrebbero ostacolare la libertà di stabilimento riconosciuta alle società prevedendo degli strumenti di tutela degli azionisti di minoranza particolarmente onerosi per le società partecipanti alla fusione.
VII. Le conseguenze della decima direttiva e della sentenza Sevic per la libertà di stabilimento delle società
Con la decima direttiva è stata riconosciuta la rilevanza delle fusione transfrontaliere ai fini dell’integrazione del mercato unico per quanto riguarda la libertà di movimento delle società. Si tratta infatti di uno strumento giuridico con il quale le società costituite in diversi Stati membri possono attuare operazioni di raggruppamento e cooperazione tra di loro. Il rapporto di strumentalità tra fusioni transfrontaliere e integrazione del mercato unico è riconosciuto anche nella sentenza Sevic laddove la Corte di Giustizia statuisce che le fusioni transfrontaliere sono soggette alla disciplina della libertà di stabilimento. Questa affermazione ha delle rilevanti implicazioni per quanto riguarda il regime giuridico applicabile alle fusioni transfrontaliere. La Corte individua la base giuridica del diritto delle imprese comunitarie di attuare operazione di fusione transfrontaliere negli articoli 43 e 48 CE. L’importante conseguenza che ne deriva è che una norma nazionale che vieta le fusione transfrontaliere potrebbe essere incompatibile non solo con la direttiva, ma anche, e specialmente, con il principio della libertà di stabilimento garantito dagli articoli 43 e 48 CE. Così sin da ora, nelle more della transposizione della direttiva negli ordinamenti nazionali degli Stati membri, è possibile far valere la sentenza Sevic contro il rifiuto delle autorità nazionali di uno degli stati interessati dalla fusione di iscrivere l’atto di fusione nel registro delle imprese qualora l’iscrizione sia ammessa per le fusioni interne.
Ad ogni modo, la decima direttiva conserva una propria importanza. Infatti, mentre la decima direttiva si applica alle sole operazioni di fusione poste in essere tra società di capitali. gli articoli 43 e 48 CE si applicano alle fusioni tra tutti i tipi di società.
La direttiva dovrebbe così agevolare i processi di riorganizzazione societaria a mezzo del quale le società originariamente costituite in un dato ordinamento possono poi trasferirisi in un altro ordinamento. Un punto importante riguarda le condizioni secondo le quali le società possono trasferire all’estero la sede sociale, soprattutto nel caso in cui le società partecipanti alla fusione sono costituite in un Stato membro che adotta il criterio della sede reale.[65] Nella sentenza Daily Mail la Corte di Giustizia aveva stabilito che le condizioni per il trasferimento della sede sociale all’estero sono disciplinate non già dal diritto comunitario ma dal diritto nazionale dello Stato membro di origine.[66] Tuttavia, se è vero che le fusioni transfrontaliere costituiscono una manifestazione della libertà di stabilimento, come come riconosciuto sia dalla sentenza Sevic che dalla direttiva, le leggi nazionali che restringono la possibilità di trasferire la sede sociale a seguito di una fusione transfrontalieria sarebbero incompatibili con il diritto comunitario.[67]
In conclusione non si può escludere che la disciplina delle fusioni transfrontaliere, così come congegnata dalla direttiva, dia luogo a fenomeni di concorrenza tra i diritti societari degli Stati membri. La concorrenza riguarderà non soltanto, come visto sopra, la scelta del diritto societario applicabile alla società risultante dalla fusione, ma anche la scelta delle società con le quali fondersi. Ad esempio, una società costituita in uno Stato membro la legislazione del quale non riconosce diritti di partecipazione ai lavoratori potrebbe non ritenere conveniente la fusione con una società tedesca, che è invece tenuta a riconoscere tali diritti, a causa della necessità di osservare la complessa disciplina prevista dall’articolo 16 della direttiva in materia di partecipazione dei lavoratori.[68]
di Michele Giannino, Avvocato, LLM, PhD candidate Queen Mary Università di Londra
michgian68@yahoo.it
[1] C. Giust. UE, 13 dicembre 2005 (causa C-411/03) SEVIC Systems AG/Amtsgericht Neuwied, disponibile al sito <http://curia.europa.eu/jurisp/cgi-bin/form.pl?lang=it&Submit=Avvia+la+ricerca&alldocs=alldocs&docj=docj&docop=docop&docor=docor&docjo=docjo&numaff=&datefs=&datefe=&nomusuel=sevic&domaine=&mots=&resmax=100>
[2] Direttiva 2005/56/CE del Parlamento Europeo e del Consiglio del 26 ottobre 2005 relativa alle fusioni tranfrontaliere delle società di capitali in G.U.C.E. del 25 novembre 2005, L310, p. 1.
[3] Il criterio dell’ incorporazione, adottato nei paesi scandinavi e nei paesi di common law, identifica la legge applicabile alla società nella la legge dello stato presso il quale la società medesima è stata costituita. Il criterio dell’ incorporazione ha natura soggettiva e consente ai soci della società di poter liberamente scegliere la disciplina applicabile alla società. Tra i possibile vantaggi di tale criterio sono da annoverare la più semplice identificazione della lex societatis rispetto alla teoria della sede effettiva e la facilitazione della migrazione transfrontaliera delle società. Per contro, il criterio della costituzione potrebbe incentivare fenomeni di “race to the bottom”, in virtù del quale i soci potrebbero optare come lex societatis per il diritto societario meno restrittivo.
Gli stati che adottano il criterio della sede reale, generalmente i paesi dell’Europa continentale, individuano la legge applicabile alla società nella legge dello stato presso cui la società ha posto la propria sede effettiva. Il criterio della sede reale è un criterio di natura oggettiva che si basa sulla eterodeterminazione della legge regolatrice della società posto che quest’ultima non è libera di poter scegliere la propria lex societatis. In questo modo la lex societatis è data dalla legge nazionale dello Stato il quale ha un predominante interesse nella regolazione della società in virtù della stretta connessione esistente con la medesima. Questo stato può quindi adottare misure protettive degli interessi da questo ritenuti meritevoli di tutela e evitare il forum shopping da parte degli imprenditori che potrebbero sottoporre la società da questi costituita al diritto societario meno restrittiva allo scopo di sottrarsi agli obblighi imposti dalla legge dello stato dove la società ha posto la sede effettiva. Ma l’adozione del principio della sede reale può comportare un duplice svantaggio. Da un lato, non sempre è possibile l’ identificazione del luogo dove la società ha collocato la propria sede effettiva. Dall’altro lato, potrebbe ostacolare la decisione delle società di trasferire la propria sede presso un altro paese, dato che tale decisione potrebbe comportare lo scioglimento e liquidazione della società medesima. H. XANTHAKI,Centros: is this really the end for the theory of the siège réel?, in Company Lawyer, 2001, 2; S. RAMMELOO, Corporation in international private law. A European perspective (OUP, Oxford, 2001); P. OMAR, Centros, Uberseering and beyond: A European recipe for corporate migration, in International Company and Commercial Law Review 2004, 398; S.LOMBARDO, Libertà di stabilimento e mobilità delle società in Europa, consultabile al sito <www.cedif.org>.
[4] Per esempio, gli oneri pubblicitari previsti per la delibera di fusione, il quorum necessario per l’approvazione della fusione da parte degli azionisti o gli obblighi informativi in favore dei dipendenti della società.
[5] Un esempio delle vicende comuni e dato dall’atto di fusione. Sulle possibili tecniche per l’individuazione della disciplina applicabile alle operazioni di fusioni transfrontaliere, si veda M. SIEMS, The European Directive on cross-border mergers: An international model?, in Columbia Journal of European Law, 2004/2005 (11) 167; M.V. BENEDETELLI, Articolo 25 (Società e altri enti) in AA.VV., La riforma del sistema del diritto internazionale privato in Nuove leggi civili commentate, 1996, p. 1114. M.LUBY,Liberté d’établissement des sociétés et fusion tranfrontalière, in Recueil Dalloz, 2006, p. 451 ; M. MENJUCQ, Adoption de la directive sur les fusions transfrontalières des sociétés de capitaux, in La Semaine Juridique, 2006, p. 3.
[6] A. PRETO, C.DESOGUS, La direttiva comunitaria sulle fusioni transfrontaliere di società di capitali, in Contratto Impresa/Europa, 2006, p. 234.
[7] E. BERGAMO,P.TIBURZI, Le nuove trasformazioni, fusioni, scissioni, Milano, 2005.
[8] Corte d’Appello di Roma, 28 marzo 2000, in F.it, 2000, 2963, con nota di A. FRANGINI.
[9] J. CAUSSAIN, Fusions transfrontalières, in La Semaine Juridique, Entreprise et Affaire, 1999, 897; M. GERMAIN, Traité de droit commercial, tomo 1, volume 1, Parigi, 2002, p.660.
[10] J.J. CAUSSAIN e A.VIANDER, Chronique, Droit des societés, Fusions internationales, transfrontalières, in La Semaine Juridique, Entreprise et Affaire, 1993, 288, 14, riguardante la fusione della controllata francese Barclyas SA da parte della controllante inglese Barclays PLC; ID, Chronique, Droit des societés, Fusions internationales, transfrontalières, in La Semaine Juridique, Entreprise et Affaire, 1997, 711, riguardante la fusione della controllante francese Financière Sema da parte della controllata inglese Sema Group PLC.
[11] A.S. CORNETTE DE SAINT-CYR, P. ROGERS, op.cit., p. 346.
[12] In questo, la legge greca e portoghese, N. AL NAIJARI, SONIA PERON, Le fusioni transfrontaliere di Società di capitali: uno sguardo di insieme, Contratto e Impresa/Europa 2005, p. 708.
[13] J.DINE, Company Law, Londra 2005.
[14] A.S. CORNETTE DE SAINT-CYR, P. ROGERS, op.cit., p. 348; SIEMS, op.cit., p. 170.
[15] Caso C-411/03, cit. Per un commento sulla sentenza, si veda M. LUBY,Liberté d’établissement des sociétés et fusion transfrontalière, in Recueil Dalloz, 2006, p.451.
[16] Causa C-411/03, cit., punti 16-17.
[19] Causa C-411/03, cit., Conclusioni dell’Avvocato Generale Tizzano, punti 36-37.
[20] Causa C-411/03, cit, punto 44.
[22] Ibid., punti 22 e 23.
[23] Cusa C-411/03, cit, Conclusioni dell’Avvocato Generale Tizzano, punti 48-50.
[24] Causa C-411/03, cit.,punti 22 e 23.
[26] C. Giust. UE, 30 novembre 1995 (causa C- 55/94) Gebhard v Consiglio dell’Ordine degli Avvocati e Procuratori di Milano in Raccolta 1994, I-4165.
[27] Causa, C-411/03, cit., Conclusioni dell’Avvocato Generale Tizzano, punti 56-57
[28] Causa C-411/03, cit., punti 28 e 29.
[30] Causa C-411/03, cit., Conclusioni dell’Avvocato Generale Tizzano, punti 59-62.
[34] C. Giust. UE, 9 marzo 1999 (causa C-212/97), Centros Ltd/Erhvervs- og SelskabsstyrelseninRaccolta1999, I, p 1453.
[35] C.Giust. UE, 5 novembre 2000 (causa C-208/00), Überseering BV/ Nordic Construction Company Baumanagement GmbH consultabile al sito <http://curia.eu.int/jurisp/cgi-bin/form.pl?lang=it&Submit=Avvia+la+ricerca&alldocs=alldocs&docj=docj&docop=docop&docor=docor&docjo=docjo&numaff=&datefs=&datefe=&nomusuel=&domaine=&mots=centros&resmax=100>
[36] C. Giust. UE, 30 settembre 2003 (causa C-167/01), Kamer van Koophandel en Fabrieken voor Amsterdam/Inspire Art Ltd,consultabile al sito <http://curia.eu.int/jurisp/cgi-bin/form.pl?lang=it&Submit=Avvia+la+ricerca&alldocs=alldocs&docj=docj&docop=docop&docor=docor&docjo=docjo&numaff=&datefs=&datefe=&nomusuel=&domaine=&mots=centros&resmax=100>
[37] F. KÜBLER,’A shifting paradigm of European company law’, in Columbia Journal of European Law’, 2005, p. 219. Per quanto concerne le implicazioni della giurisprudenza comunitaria sul piano della concorrenza tra i diritto societari tra gli Stati membri si veda anche M. MIOLA, Il sistema del capitale sociale e le prospettive di riforma nel diritto europeo delle società di capitali, in Rivista delle Società, 2005, p. 1231 e ss.
[38] M.V. BENEDETELLI, “Mercato” comunitario delle regole e riforma del diritto societario italiano, in Rivista delle Società, 2003, p. 699.
[39] A. LOOIJESTIJN-CLEARIE, ‘Have the dikes collapsed? Inspire Art a further breakthrough in the freedom of establishment of companies?’,in European Business Organization Law Review, 2004, 389; P.J. OMAR, ‘Centros, Überseering and beyond: A European recipe for corporate migration (Part 2),in International Company and Commercial Law Review, 2005, p. 18.
[40] PRETO, DESOGUS, op.cit.
[41] Causa C-411/03, cit , Conclusioni dell’Avvocato Generale Tizzano, punto 61.
[42] Direttiva 2005/56/CE, cit. Per un commento sul progetto della direttiva si veda J. RICKFORD, The proposed tenth Company Law Directive, in European Business Law Review, 2005, p.1397.
[43] Regolamento 2157/2001 del Consiglio dell’ 8 ottobre 2001 relativo allo statuto della Societa Europea (SE), in G.U.C.E., del 10 novembre 2001, L294, p.1.
[45] La fusione deve essere tra societa di capitali costituite secondo la legge di uno Stato Membro e aventi la sede sociale, l’amministrazione centrale o il centro di attività principale nella Communità, Articolo 1 della direttiva.
[47] Articolo 2, comma 1.
[48] Articolo 2, comma 2.
[51] Giova, peraltro, ricordare che la disciplina delle fusioni interne, almeno tra le società azionarie, è stata già oggetto di armonizzazione a livello comunitario con la Terza Direttiva.
[52] Si veda il paragrafo II. Esempi di concorso distributivo sono l’articolo 4(2) che prevede che i processi decisionali relativi alla fusione che si svolgono all’interno di ogni società partecipanti alla fusione sono regolati dalle leggi nazionali alle quali sono soggette le società stesse; l’articolo 6 che rinvia alle disposizioni nazionali in materia di formalità pubblicitarie delle operazioni di fusioni; l’ articolo che disciplina i controlli di legittimità sul procedimento di fusione di ogni società partecipante all’operazione e il rilascio del certificato preliminare di legittimità una volta verificato che tale procedimento si è svolto correttamente. Un esempio di concorso cumulativo è ato dalla disciplina del progetto comune di fusione di cui all’articolo 5; ovvero dalla disciplina relativa al controllo di legittimità formale e sostanziale che, ai sensi dell’articolo 11 è rimesso alla competenza dell’autorità nazionale dello Stato membro nel quale la società risultante dalla fusione ha posto la sede sociale.
[54] L’articolo 5 elenca una serie di informazioni che devono essere necessariamente presenti nel progetto comune di fusione transfrontaliera che deve essere preparato dagli organi di direzione o di amministrazione di ogni società che partecipa alla fusione.
[55] Sul punto si veda, PRETO, DESOGUS, op.cit., p. 254.
[56] Articolo 16, comma 2, lett. A) e b)
[57] Direttiva 2001/86/CE del Consiglio, dell’8 ottobre 2001, che completa lo statuto della società europea per quanto riguarda il coinvolgimento dei lavoratori in G.U.C.E., del 10 novembre 2001, L/294, p.22.
[58] Articolo 5 lett. j).
[59] Articolo 4 comma 1 lett. b).
[60] RICKFORD, op.cit., 1410.
[61] Considerando 3 della direttiva.
[63] Cfr., considerando 1e 2. Sul punto vedi anche AL NAIJARI, PERON, op.cit., p. 715.
[64] PRETO, DESOGUS, op.cit., p. 260.
[65] Giova ricordare che l’articolo 5 lett.a) della direttiva presrive che la scelta della sede statutaria della società risultante dalla fusione deve essere indicata nel progetto comune di fusione.
[66] C. Giust. UE, 27 settembre 1988 (causa C-79/85) Daily Mail in Raccolta 1988, p 5483.
[67] RICKFORD, op.cit., p. 1410.
[68] SIEMS, op. cit., p. 179; MENJUCQ, op.cit.
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