La mediazione familiare nella nostra Carta Costituzionale

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Numerosi sono gli indici normativi che avvalorano la veste costituzionale della mediazione principalmente di quella sic et simpliciter “senza aggettivi”, ossia considerata in una visione unitaria.

In primo luogo è da tenere presente il carattere compromissorio, a cominciare dall’art. 1, della nostra Carta Costituzionale, ossia il fatto che essa fu il frutto di una convergenza tra forze sociali e politiche diverse e talora contrapposte (una sorta di mediazione interculturale ante litteram), ciò a conferma che nella nostra cultura, giuridica e non, c’è sempre stata una tendenza mediativa.

Secondo l’autorevolissima impostazione del costituente e costituzionalista Costantino Mortati i principi fondamentali nella Costituzione possono identificarsi nei seguenti: principio democratico, principio personalista, principio pluralista, principio lavorista.

Questi principi, desumibili non solo dai primi dodici articoli della Costituzione intitolati «Principi fondamentali» ma da tutto il sistema costituzionale, presentano più specificazioni, alcune delle quali si possono applicare alla mediazione in senso lato ed anche a quella familiare.

I principi democratico, personalista e pluralista sono già di per sé esplicativi e quindi ben si adattano alla mediazione familiare, perché essa mira a ripristinare la democraticità in seno alla famiglia, a tutelare ogni persona della famiglia, in particolare quelli deboli, e a dare ascolto alle più voci del e nel conflitto familiare.

Ricondurre la mediazione familiare nell’alveo del principio lavorista può apparire un’interpretazione forzata ma non è così. Innanzitutto perché essa è una forma di social work, è indiscutibilmente un’attività o una funzione che concorre al progresso materiale o spirituale della società (art. 4 comma 2 Cost.). Anche perché è un servizio a sostegno della famiglia, che è la prima culla del progresso materiale e spirituale della società. Come diceva lo scrittore irlandese George Bernard Shaw “forse il più grande servizio sociale che possa essere reso da chiunque al Paese e all’umanità è formarsi una famiglia”.

Questi principi generali ed altre regole costituzionali riferibili alla mediazione familiare fungono per quest’ultima come principi ispiratori, criteri direttivi e limiti.

Dalla dizione dell’art. 29 comma 1 Cost., in concordanza con tutta la disciplina costituzionale della famiglia e con i principi fondamentali (in modo particolare il principio di sussidiarietà), emerge l’autonomia della famiglia, che è il punto di partenza e di arrivo della mediazione familiare. Il ricorso a questo intervento deve essere frutto di una scelta consapevole di una famiglia in crisi. Il mediatore deve accompagnarla a scelte autonome in modo tale che la famiglia non divenga oggetto ma soggetto dell’eventuale eteronomia del giudice.

Un altro valore costituzionalmente protetto, nell’art. 29 comma 2 Cost., è l’unità familiare, che può essere definita principio eziologico e teleologico della mediazione familiare. Quando l’unità familiare è minata l’intervento mira ad interpretare la conflittualità e a garantire un minimum di unità familiare ai figli. Nella fase successiva alla rottura, è chiamata, invece, ad aiutare le famiglie ricostituite o ricomposte. In altre parole la mediazione aiuta la famiglia a recuperare la propria progettualità (ciò che in gergo si chiama self empowerment) nella metamorfosi della crisi.

Passando poi all’art. 30 Cost., è chiaro che la mediazione è a sostegno della genitorialità ed in particolare della funzione educativa. Anzi è un servizio di educazione dei genitori, esigenza oggi sempre più pressante. La mediazione, pertanto, adempie essa stessa una funzione educante e educativa. Parafrasando la terminologia dell’art. 30, si può affermare che interviene nei casi di incapacità dei genitori e cerca di rendere compatibili gli interessi confliggenti e le posizioni conflittuali della crisi familiare.

Dal combinato disposto degli articoli 2, 3, 13 c.1, 21 c.1, 30 e 31 della Costituzione risulta chiara la valorizzazione dell’identità e dell’autonomia del minore che, in una prospettiva dinamica, tende a renderlo responsabile protagonista della propria vita, attraverso scelte che egli deve essere posto in grado di operare consapevolmente. La promozione dell’autonomia del minore, come soggetto che deve percorrere un itinerario di formazione e di responsabilizzazione, per essere pronto ad assumere un ruolo attivo nella società, ha trovato uno dei significativi momenti di realizzazione nella mediazione familiare che cerca di salvaguardarla in vari modi, per esempio facendo partecipare i figli ad alcuni incontri. Quest’aspetto è convalidato dal titolo e dal contenuto del documento “Per una mediazione a misura di bambini” promosso dall’Unicef Italia nel 2005, ma purtroppo dimenticato. Sicché prendendo spunto dal dettato dell’art. 31, la mediazione può essere definita uno degli istituti di protezione della maternità, dell’infanzia e della gioventù.

Continuando la lettura della Costituzione si giunge all’art. 32 e la mediazione può essere certamente considerata un mezzo di tutela della salute (intesa come integrità psicofisica e pertanto in stretta connessione con la libertà personale di cui all’art. 13 Cost.), soprattutto di quella dei bambini, perché aiuta a prevenire o ad attenuare o a segnalare, in una sola parola a decodificare varie patologie quali la depressione infantile, i disturbi dell’alimentazione e la sindrome di alienazione genitoriale (Parental Alienation Syndrome – PAS – SAP se letta in italiano). Quest’ultima, simile alla sindrome del bambino maltrattato, può essere definita come il comportamento di uno o più figli che nel contesto del conflitto intergenitoriale diventa ipercritico e denigratore nei confronti di uno dei genitori perché l’altro lo ha influenzato in questo verso. Accogliendo il messaggio “non c’è salute senza salute mentale” (dalla Conferenza Ministeriale Europea dell’OMS ad Helsinki nel 2005) e “in una società che presenta una maggiore domanda di salute mentale” (dalle Linee di indirizzo nazionali per la salute mentale del 21 marzo 2008), la mediazione promuove la salute mentale nella comunità familiare ed extrafamiliare, visto che i malesseri familiari possono causare gravi disagi psichici e sociali.

Alla luce di quest’eloquente quadro costituzionale, non è così incombente l’emanazione di una legge sulla mediazione familiare (forse più sul mediatore familiare, se proprio è necessario riconoscere questa nuova figura professionale), anche perché rischierebbe di rimanere solo una vuota dichiarazione di intenti, come tante leggi passate e recenti (per es. la L. 285/1997 “Disposizioni per la promozione di diritti e di opportunità per l’infanzia e l’adolescenza”).

Dott.ssa Marzario Margherita

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