La maternità obbligatoria e il congedo parentale

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L’ordinamento italiano mette a disposizione molti strumenti a beneficio di coloro che diventano mamme e papà.

Ogni istituto ha la sua disciplina specifica, che è opportuno conoscere.

In questa sede cercheremo di scrivere qualcosa.

In che cosa consiste la maternità obbligatoria

Alla nascita di un bambino la lavoratrice madre può contare su diverse tutele che la proteggono durante la gravidanza e durante il parto.

La più significativa è la possibilità di astenersi dal lavoro percependo lo stesso lo stipendio o meglio, un’ indennità economica a carico dell’Inps detta indennità di maternità che copre circa l’80% della sua normale retribuzione.

Di solito i contratti collettivi nazionali di lavoro prevedono che il datore di lavoro integri l’indennità di maternità Inps al fine di garantire alla donna il 100% della sua normale retribuzione.

A norma dell’articolo 16 del D. Lgs. n. 151/2001 le donne vengono tutelate:

Durante i due mesi precedenti la data presunta del parto.

Se il parto avviene oltre tale data, per il periodo che intercorre tra la data presunta e la data effettiva del parto.

Durante i tre mesi dopo il parto.

Durante i giorni non goduti prima del parto, se il parto avvenga prima.

Questi giorni si aggiungono al periodo di congedo di maternità dopo il parto.

L’articolo 1 comma 485 della Legge 30/12/2018 n. 145, consente alla donna di scegliere, a fronte di un apposito certificato medico che assicura che non ci sono controindicazioni, di svolgere il congedo di maternità obbligatoria dopo il parto, oppure un mese prima del parto e quattro mesi dopo la nascita del bambino.

Alcune donne incinte possono usufruire prima del periodo di maternità obbligatoria, in presenza della cosiddetta gravidanza a rischio.

In simili casi godere prima della maternità obbligatoria deve essere disposta dall’azienda sanitaria locale con apposita documentazione medica.

Dal lato del trattamento economico e normativo, la donna in congedo di maternità obbligatorio, ha diritto a non andare al lavoro e a prendere una indennità a carico dell’Inps per l’80% del suo stipendio, alla quale si aggiunge l’integrazione dell’indennità di maternità a carico del datore di lavoro disposta dal Ccnl applicato al rapporto di lavoro della mamma.

L’articolo 22 del D. Lgs. n. 151/2001 dispone che i periodi di congedo di maternità obbligatoria devono essere computati nell’anzianità di servizio, compresi quelli relativi alla tredicesima mensilità o alla gratifica natalizia e alle ferie.

Il congedo parentale

I diritti della donna diventata mamma non terminano con la cosiddetta maternità obbligatoria.

L’articolo 32 del D. Lgs. n. 151/2001, prevede la possibilità dei neo genitori, per ogni bambino, nei primi suoi dodici anni, di astenersi dal lavoro entro il limite complessivo, nel quale si computano i periodi di astensione fruiti da ciascuno dei due genitori, di dieci mesi.

Questo periodo di congedo è anche detto congedo parentale o maternità facoltativa e spetta:

Alla madre lavoratrice, trascorso il periodo di congedo di maternità obbligatorio, per un periodo continuativo o frazionato non superiore a sei mesi.

Al padre lavoratore, dalla nascita del figlio, per un periodo continuativo o frazionato non superiore a sei mesi.

qualora vi sia un solo genitore, per un periodo continuativo o frazionato non superiore a dieci mesi.

Una volta che termina la maternità obbligatoria, la donna può restare a casa per altri sei mesi continuativi.

Quello che cambia rispetto alla maternità obbligatoria è il trattamento economico e normativo.

Nei periodi di fruizione del congedo parentale, la donna percepisce, sino al sesto anno del bambino, un’indennità pari al 30 per cento della sua normale retribuzione, per un periodo massimo complessivo tra i genitori di sei mesi.

I periodi di congedo parentale sono computati nell’anzianità di servizio, esclusi gli effetti relativi alle ferie e alla tredicesima mensilità o alla gratifica natalizia.

Il congedo parentale riduce le ferie, per questo la fruizione del congedo parentale dovrà essere considerata anche al fine di programmare le ferie estive.

Il Congedo parentale e ferie secondo Corte di giustizia dell’Unione europea

L’Italia non è l’unico paese dove la legge prevede che i periodi di congedo parentale riducono le ferie.

Di recente la Corte di giustizia dell’Unione europea si è pronunciata sulla legittimità di una simile previsione rispetto al diritto dell’Unione europea.

In relazione a un caso specifico, la Corte europea, con la causa C-12/17, ha affermato che una disposizione nazionale che, per la determinazione della durata delle ferie annuali retribuite garantite a un lavoratore, esclude la durata di un congedo parentale, fruito dal lavoratore stesso, è conforme al diritto dell’Unione europea perché il periodo di congedo parentale non può essere assimilato a un periodo di lavoro.

Per arrivare a questa conclusione, la Corte europea ha ribadito che il diritto dell’Unione prevede che ogni lavoratore abbia il diritto di avere almeno quattro settimane di ferie annuali retribuite e che il diritto irrinunciabile alle ferie , nel diritto sociale dell’Unione Europea, rappresenta un principio di particolare rilevanza.

La Corte ha ricordato che la finalità del diritto alle ferie è consentire  al lavoratore, dopo un determinato periodo di lavoro, di riposarsi, al fine di riacquistare le sue energie fisiche e psichiche.

A questo fine, premessa del diritto a prendere le ferie è l’avere svolto nel periodo precedente un’attività di lavoro effettiva.

In relazione alla soluzione del caso  concerto, la Corte ha preso atto del fatto che la donna magistrato rumena ha svolto un periodo di congedo parentale che non può essere equiparato a un periodo di lavoro effettivo, dal quale deriva la necessità del riposo feriale.

Il congedo parentale ha la finalità di proteggere il rapporto tra mamma e neonato, al fine di consentire alla donna un lungo periodo di astensione dal lavoro per dedicarsi al suo ruolo di genitore.

In questo periodo non si può considerare presente una situazione di lavoro e non ci può essere assimilazione ai periodi di lavoro  effettivo.

Da questo, secondo la Corte di giustizia dell’Unione europea, deriva che il diritto romeno, e anche quello italiano, non violano nessuna norma del diritto europeo quando prevedono che durante il congedo parentale, la donna lavoratrice non matura le ferie.

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Dott.ssa Concas Alessandra

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