La legge di riqualificazione dei pubblici dipendenti non passa il vaglio del Tribunale costituzionale portoghese

Vagli Giovanni 12/09/13
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1. – Il Presidente della Repubblica portoghese (PR) ha presentato istanza di controllo preventivo1 di alcune norme del Decreto n. 177/XII dell’Assemblea della Repubblica (Parlamento), ovvero, più specificamente: art. 18, 2º comma, in combinato disposto con la seconda, terza e quarta parte dell’art. 4, 2º comma; art. 4, 1º comma, e art. 47, lettera b), nella misura in cui revoca l’art. 88, 4º comma, della legge 27 febbraio 2008, n. 12-A.

Osserviamo il contenuto delle disposizioni in esame e le argomentazioni addotte dall’organo richiedente.

2. – L’art. 18 (Durata del processo di riqualificazione) recita: «1. La situazione di riqualificazione decorre durante un periodo di 12 mesi, in modo continuativo o intervallato, a seguito della collocazione del lavoratore in tale situazione. / 2. Trascorso il periodo di cui al comma precedente, senza la ripresa dell’esercizio delle funzioni, viene praticato l’atto di cessazione del contratto di lavoro di pubblico impiego. / 3. …» (traduzione e corsivo nostri).

L’art. 4, 2º comma, afferma: «La razionalizzazione del personale di ruolo viene realizzata nelle situazioni previste dagli articoli 3, 4º comma, e 7 del Decreto-Legge n. 200/2006, ed anche per motivi di riduzione del bilancio dell’organo o del servizio, derivante dalla riduzione del Bilancio dello Stato o delle entrate proprie, per motivi di necessità e di riqualificazione dei lavoratori, al fine del loro adeguamento alle attribuzioni o obiettivi definiti e per motivi di adempimento della strategia stabilita, senza pregiudizio del proseguimento delle loro attribuzioni.» (traduzione nostra, come tutte le altre riportate nel testo).

Relativamente a tali disposizioni, il PR ha sostenuto che violassero il principio costituzionale di licenziamento per giusta causa (art. 53 della Costituzione)2 e la dimensione di proporzionalità del principio del carattere restrittivo delle restrizioni dei diritti, delle libertà e delle garanzie dei lavoratori della Pubblica Amministrazione di cui all’art. 18, 2º comma, della Costituzione3.

In effetti, i presupposti della cessazione del vincolo lavorativo dei pubblici dipendenti, fondati su ragioni obiettive, devono essere costituzionalmente giustificati alla luce del concetto di giusta causa contenuto nell’art. 53 della Costituzione portoghese del 1976 e, in qualità di restrizione al diritto alla sicurezza dell’impiego, devono sottostare al principio di carattere restrittivo delle restrizioni dei diritti, libertà e garanzie che si evince dall’art. 18, commi 2º e 3º, della Costituzione stessa4.

In pratica, vengono a sussistere tre motivi che giustificano la cessazione del vincolo lavorativo, espressi secondo formule indeterminate nell’ambito dell’art. 4, 2º comma, le quali non includono quelle garanzie di precisione e certezza normativa, nonché di garanzia del giusto processo, nella misura in cui la collocazione unilaterale del pubblico dipendente in una situazione di riqualificazione può dare adito alla cessazione del contratto di lavoro, nel caso che non venga ricollocato nell’esercizio delle sue funzioni al termine dello stesso periodo di riqualificazione (art. 18, 2º comma).

Ciò può avvenire a causa della riduzione del bilancio dell’organo o del servizio come conseguenza di riduzioni previste nel bilancio statale o come conseguenza di riduzioni delle entrate proprie.

Tutto ciò non pare inserirsi nel concetto di giusta causa del licenziamento costituzionalmente previsto, in quanto la cessazione del vincolo lavorativo non può dipendere da circostanze imponderabili, occasionali o fortuite quali la riduzione del bilancio di un’unità organica in un determinato anno, che possono condurre le amministrazioni a scelte di natura politica di riduzione dei costi, in virtù delle quali potrebbero verificarsi vere e proprie arbitrarietà contingenti quanto alla riduzione del personale.

Sebbene il vincolo lavorativo del dipendente con la Pubblica Amministrazione non vada inteso in modo assoluto, essendo comunque possibili casi di licenziamento di personale, ciò non può e non deve essere oggetto di decisioni assolutamente incontrollabili e prive di tutela giurisdizionale, che paiono sorgere in virtù delle disposizioni in esame.

Queste sono state in sintesi le argomentazioni usate dal PR in relazione agli articoli di legge analizzati.

3. – Passiamo adesso al contenuto delle altre norme di cui è stata sollevata la questione di incostituzionalità.

L’art. 4, 1º comma, si esprime come segue: «Ai lavoratori della Pubblica Amministrazione appartenenti a organi, servizi e sub-unità che siano oggetto di riorganizzazione o di razionalizzazione del personale di ruolo, come previsto dal Decreto-Legge n. 200/2006, si applicano i procedimenti previsti dagli articoli seguenti.»

L’art. 47, lettera b), abroga in modo esplicito gli articoli 33, commi 8º, 9º e 10º, e 88, 4º comma, della Legge n. 12-A/2008.

Mediante tali disposizioni va ad essere applicato ai dipendenti pubblici di ruolo, ossia che abbiano ottenuto la nomina definitiva, l’art. 4, 2º comma, del Decreto n. 177/XII, di cui abbiamo già visto il contenuto, in quanto viene abrogata la precedente normativa (Legge n. 12-A/2008).

La nuova normativa limita i diritti, le libertà e le garanzie dei lavoratori e, in questo modo, pregiudica situazioni giuridiche preesistenti, le quali hanno creato aspettative di stabilità di impiego: in pratica viene leso il principio di tutela della fiducia.

In effetti, la già citata Legge n. 12-A/2008, pur ammettendo la possibilità di licenziamento dei pubblici dipendenti, per giusta causa fondata su ragioni obiettive, aveva escluso da tale regime proprio coloro i quali avessero ottenuto la nomina definitiva prima della sua entrata in vigore; essa si riferiva soltanto agli altri pubblici dipendenti, per i quali venivano in ogni caso previste specifiche garanzie sostanziali.

Su ciò si era già pronunciato il Tribunale costituzionale (sentenza n. 154/2010)5, il quale si era espresso nei seguenti termini: «si verifica un’espressa esclusione dal regime di cessazione del rapporto giuridico di pubblico impiego che, se tale esclusione non sussistesse, sarebbe applicabile a tali lavoratori, ex art. 33 dello stesso atto, … tutelandosi l’applicazione del regime di cessazione giuridica di pubblico impiego e di riorganizzazione dei servizi e collocazione del personale in situazione di mobilità speciale proprio della nomina definitiva».

Le norme impugnate di fronte al Tribunale costituzionale hanno rimosso in modo repentino tale garanzia contro il licenziamento per ragioni obiettive e hanno permesso l’introduzione di nuove cause di licenziamento, più “agili”, causando in tal modo un cambiamento non previsibile e sfavorevole nell’ambito dell’ordinamento giuridico che può collidere con le aspettative dei pubblici dipendenti titolari di nomina definitiva, relativamente a quel nucleo di garanzie previste nell’art. 88, 4º comma, della Legge n. 12-A/20086.

In questo modo, secondo il ricorrente viene violato il principio di tutela della fiducia insito nell’art. 2 della Costituzione7.

4. – Con la sentenza n. 474/2013 l’organo di controllo della costituzionalità ha pienamente accolto l’istanza inoltrata dal PR, dichiarando incostituzionali le norme impugnate, sulla base delle stesse motivazioni di cui al ricorso e su cui ci siamo già soffermati.

Da segnalare l’opinione dissenziente del giudice José da Cunha Barbosa, secondo il quale non era da considerare incostituzionale l’art. 18, 2º comma, dell’atto in esame, in combinato disposto con la seconda, terza e quarta parte dell’art. 4, 2º comma, dello stesso, in quanto non sussisterebbe violazione del principio di proporzionalità previsto in Costituzione, perché la decisione di licenziare non costituisce una conseguenza automatica della decisione di razionalizzare e neppure di collocare il personale in situazione di riqualificazione, ma anche perché il procedimento previsto ai sensi dell’art. 9 dell’atto in questione soddisfa i requisiti sanciti dalla giurisprudenza costituzionale sulla materia, in modo assai più rigoroso di ciò che vale per il lavoro nel settore privato.

Un’ulteriore singolarità: a causa delle ferie sono intervenuti in camera di consiglio solo 7 giudici su 13; ciò costituisce il minimo legale, ovvero il 50% + 1 dei componenti del Tribunale costituzionale8.

1 Ex art. 280, 1º comma, della Costituzione e artt. 51, 1º comma, e 57, 1º comma, della legge n. 28/82, relativa all’organizzazione, al funzionamento ed al processo del Tribunale costituzionale.

2 «Ai lavoratori è garantita la sicurezza dell’impiego, essendo proibiti i licenziamenti senza giusta causa o per motivi politici o ideologici.»

3 «La legge può limitare i diritti, le libertà e le garanzie solo nei casi espressamente previsti dalla Costituzione, dovendo tali restrizioni limitarsi a ciò che sia necessario per salvaguardare altri diritti o interessi costituzionalmente protetti.

4 L’art. 18, 3º comma, della Costituzione portoghese afferma: «Le leggi che limitano i diritti, le libertà e le garanzie devono avere carattere generale e astratto e non possono avere effetto retroattivo né diminuire l’estensione o la portata del contenuto essenziale dei precetti costituzionali.»

5 Tutte le sentenze del Tribunale costituzionale portoghesi sono reperibili al sito www.tribunalconstitucional.pt.

6 «I lavoratori attualmente titolari di nomina definitiva che esercitano funzioni in condizioni differenti da quelle di cui all’art. 10 conservano il regime di cessazione del rapporto giuridico di pubblico impiego e di riorganizzazione dei servizi e collocazione del personale in situazione di mobilità speciale propri della nomina definitiva e transitano, senza ulteriori formalità, verso la modalità di contratto a tempo indeterminato.»

7 Nei termini del quale «la Repubblica portoghese è uno Stato democratico di diritto fondato … sul rispetto e sulla garanzia di effettività dei diritti e delle libertà fondamentali …»

8 L’art. 42, 1º comma, della legge n. 28/82 e successive modifiche recita che «Il Tribunale costituzionale, in sessione plenaria o in sezione, può funzionare solo se sia presente la maggioranza dei rispettivi membri in effettività di funzioni, compresi il presidente o il vicepresidente.» 

Vagli Giovanni

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