La individualizzazione del trattamento in relazione alle legge di riforma dell’ordinamento penitenziario

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La riforma del ’75 consente ai detenuti, al fine della rieducazione e del conseguente reinserimento sociale, di avvalersi soprattutto dell’istruzione, del lavoro, della religione, delle attività ricreative, culturali e sportive, agevolando opportuni contatti con il mondo esterno e  i rapporti con la famiglia.

Sono questi gli elementi del trattamento che mirano a superare la chiusura e l’isolamento del mondo carcerario.

Un principio importante, è quello che prevede la partecipazione della comunità esterna, si profila la possibilità di uno scambio tra popolazione detenuta e popolazione libera, finalizzato alla rieducazione e al reinserimento dei detenuti nella società.

A questo proposito è di fondamentale rilevanza l’articolo 17 che apre definitivamente le porte del carcere al mondo esterno, stabilendo che la finalità del reinserimento sociale dei condannati e degli internati deve essere perseguita sollecitando la partecipazione di privati e di istituzioni pubbliche o private all’azione rieducativa.

Esso stabilisce che coloro i quali sono interessati all’opera di risocializzazione dei detenuti sono autorizzati a frequentare gli istituti penitenziari con il permesso del magistrato di sorveglianza, su parere favorevole del direttore, contribuendo, in tal modo, a promuovere lo sviluppo dei contatti tra la comunità carceraria e la società libera.

L’organizzazione di queste attività è affidata a una commissione composta dal direttore dell’istituto, dagli educatori e dagli assistenti sociali, dai rappresentanti dei detenuti e degli internati, la quale ha peraltro il compito di mantenere i contatti con il mondo esterno utili al reinserimento sociale.

L’art. 19 dell’ordinamento penitenziario, è relativo  alla formazione professionale, intesa come attività istruttiva parascolastica, che mira a favorire il reinserimento sociale del detenuto attraverso l’apprendimento delle tecniche per lo svolgimento di una attività produttiva.

La disciplina penitenziaria tende a favorire l’istruzione (anche professionale), non ricorrendo allo strumento dell’imposizione, ma prevedendo una serie di incentivi (economici, concessione di alcuni benefici) volti a stimolare il detenuto nel compimento di una scelta, tendenzialmente libera e responsabile, in ordine alla frequenza dei corsi.

L’impegno dell’amministrazione penitenziaria a sostenere gli interessi umani, culturali e professionali dei detenuti, non si traduce solo nel dovere di curare la formazione scolastica e professionale dei reclusi, ma è teso anche alla promozione di altri  stimoli e interessi rivolti al miglioramento del substrato culturale del condannato.

Ad esempio, nel corpo dell’articolo 19 dell’ordinamento penitenziario, è compresa la previsione dell’accesso alle pubblicazioni contenute nella biblioteca, che deve essere istituita presso ciascun istituto.

Nella scelta dei libri e dei periodici si deve realizzare una equilibrata rappresentazione del pluralismo culturale esistente nella società (ex art. 21 comma 2, reg. esec.).

L’ordinamento penitenziario distingue l’istruzione dalle attività culturali in genere, le quali sono più specificatamente menzionate nell’articolo 27 dell’ordinamento penitenziario, nel quale trova definitiva espressione l’apertura verso quelle attività che contribuiscono all’affermazione della personalità dei detenuti.

Oltre ai benefici che possono essere concessi per la partecipazione a queste attività, importante sembra la previsione secondo la quale “i programmi delle attività culturali, ricreative e sportive sono articolati in modo da favorire possibilità di espressioni differenziate”.

Anche in ambito penitenziario può e deve trovare espressione il pluralismo culturale e qualsiasi attività che contribuisca alla promozione dell’individuo e allo sviluppo della sua personalità. In questo senso particolare pregio rivestono quelle attività che vedono una diretta partecipazione dei detenuti quali, ad esempio, il teatro, lo sport, la redazione di giornali interni, la pittura e la musica.

Nel secondo titolo della legge troviamo una serie di disposizioni relative all’organizzazione penitenziaria in materia di istituti, di giudici di sorveglianza, di procedimento di sorveglianza, di servizio sociale e assistenza e di personale penitenziario.

Sono state introdotte, al fine dell’osservazione scientifica e del reinserimento sociale del detenuto, delle figure professionali del tutto nuove all’interno dell’istituzione carceraria.

Adesso accanto agli agenti di custodia preposti alla custodia del detenuto e al mantenimento dell’ordine pubblico, compaiono gli educatori, portatori del preciso mandato del trattamento rieducativo, e gli assistenti sociali, curatori della nascente “area penale esterna”, che prende corpo con la previsione delle “misure alternative alla detenzione”.

Il gruppo di osservazione scientifica della personalità è costituito da un nucleo stabile di componenti professionali.

Essi corrispondono alle aree di indagine che interessano le esigenze che il soggetto presenta sotto il profilo psicologico, affettivo, educativo e sociale.

Ad esso si aggiungono, con contributi diretti o mediati dai componenti stabili, coloro che a vario titolo entrano in relazione con il soggetto.

Nei compiti che la normativa penitenziaria raggruppa sotto le competenze dell’area educativa troviamo: l’interesse delle attività di istruzione scolastica e professionale, di quelle lavorative, culturali, ricreative, sportive e in genere miranti al trattamento rieducativo dei condannati e degli internati; l’offerta agli imputati di interventi diretti a sostenere i loro interessi umani, culturali e professionali, e ciò anche attraverso la collaborazione della comunità esterna.

La figura professionale alla quale la normativa riconosce un ruolo centrale nell’area è quella dell’educatore.

A costui è affidata la segreteria tecnica del gruppo d’osservazione e trattamento, nonché una pluralità di compiti che attengono al trattamento rieducativo del recluso. Dell’area, oltre agli educatori, fanno parte anche altre figure professionali, operatori e volontari, il quale lavoro viene svolto nelle cosiddette attività d’osservazione e trattamento.

La figura dell’educatore ha saputo portare, nella realtà chiusa del carcere, un elemento di cambiamento, di diverso approccio culturale, un ponte tra il mondo carcerario e quello esterno, sino a quel momento mediato esclusivamente attraverso la figura del cappellano.

Attraverso l’educatore, il carcere diventa un luogo sempre più aperto e sempre più avviato a colmare quelle distanze con le quali erano stati vissuti quei pochi metri di muro di cinta che separa il dentro dal fuori.

L’educatore colma queste distanze e occupa uno spazio che enfaticamente il legislatore definisce “umanizzazione della pena”, quasi a voler riconoscere la disumanizzazione di un sistema che, fino a quel momento, aveva fatto prevalere la carcerazione sempre più come vendetta sociale e sempre meno come rieducazione.

Dott.ssa Concas Alessandra

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