La giurisdizione applicabile nel caso di responsabilità di amministratori, sindaci e/o dipendenti di società partecipate dallo stato o da altri enti pubblici. Il caso specifico della partecipazione pubblica totalitaria (Cass. SSUU 7374/2013).

Campana Nadia 11/07/13
Scarica PDF Stampa

La questione della giurisdizione applicabile ai casi di responsabilità di amministratori, sindaci e/o dipendenti delle società partecipate dallo Stato o da altri enti pubblici è stata al centro di numerosi dibattiti dottrinali e giurisprudenziali e, negli ultimi anni, la Suprema Corte ha inaugurato un nuovo filone giurisprudenziale che, con motivazioni ricche di pregio giuridico, ha inteso riconoscere, nelle ipotesi indicate, la sussistenza della giurisdizione ordinaria.

A partire dal 2009 la Suprema Corte (Cass. SS.UU. n. 26806 del 2009) ha inaugurato un nuovo filone giurisprudenziale che ha segnato un punto di rottura evidente rispetto alle precedenti considerazioni in tema di giurisdizione contabile per le società partecipate.

La Cassazione, infatti, chiamata a rispondere della questione “..se agli amministratori e dipendenti di una s.p.a. cosiddetta “in mano pubblica” si applichino le norma di diritto societario o se dalla presenza di capitali pubblici consegua invece l’assoggettamento delle società stesse alle norme proprie della responsabilità amministrativa, con la conseguente giurisdizione della Corte dei Conti..” ha stabilito, in modo perentorio, che il danno arrecato, dagli organi della società, al patrimonio sociale non è idoneo a configurare anche un’ipotesi ricadente nella giurisdizione della Corte dei Conti perché non implica alcun danno erariale.

Per giungere alla conclusione siffatta, la Cassazione elabora un ragionamento chiaro e condivisibile.

Sostiene, difatti, l’Ecc.ma Corte di Legittimità che, in primis, occorre distinguere tra la posizione della società partecipata e quella personale degli amministratori (e dei dipendenti), i quali, ovviamente, “..non si identificano con la società, sicché nulla consente di riferire loro, sic et simpliciter, il rapporto di servizio di cui la società medesima sia parte.”

Ciò premesso, la Cassazione, nel prosieguo del ragionamento, sottolinea che la precisazione testé fornita, che assume comunque carattere pregiudiziale nella valutazione dell’intera vicenda, non basta di per sé ad escludere sempre la giurisdizione della Corte dei Conti in ordine ad eventuali comportamenti illegittimi imputabili agli organi della società a partecipazione pubblica dai quali sia scaturito un danno per il socio pubblico e, a tal uopo, elabora un criterio da utilizzare per verificare quando ricorre la giurisdizione contabile e quando, invece, può dirsi operante la giurisdizione ordinaria.

In particolare, la Suprema Corte non ha dubbi nell’affermare che vi sia la giurisdizione contabile allorquando l’ente pubblico sia stato direttamente danneggiato dall’azione illegittima, mentre vi è la giurisdizione ordinaria se il danno viene cagionato al patrimonio della società

La Cassazione, con riferimento al criterio elaborato, fornisce le dovute argomentazioni e sostiene: “Non solo….non è configurabile alcun rapporto di servizio tra l’ente pubblico partecipante e l’amministratore della società partecipata, ma neppure sussiste in tale ipotesi un danno qualificabile come danno erariale, inteso come pregiudizio direttamente arrecato al patrimonio dello Stato o di altro ente pubblico che della suindicata società sia socio. La ben nota distinzione tra la personalità giuridica della società di capitali e quella dei singoli soci e la piena autonomia patrimoniale dell’una rispetto agli altri non consentono di riferire al patrimonio del socio pubblico il danno che l’illegittimo comportamento degli organi sociali abbia eventualmente arrecato al patrimonio dell’ente, patrimonio che è e resta privato.”

Dopo l’approdo giurisprudenziali di cui si è appena detto, sono intervenute numerose altre pronunce della Cassazione che, nel ribadire il citato approdo, lo hanno arricchito di nuovi e più importanti chiarimenti soprattutto con specifico riguardo all’ipotesi in cui la società sia interamente partecipata dallo Stato o, comunque, partecipata in misura maggioritaria.

Molto spesso, infatti, le Corti dei Conti territoriali, al fine di escludere il difetto di giurisdizione nei casi in commento, avevano esposto la teoria in virtù della quale, nel caso di società partecipata al 100% da Enti Pubblici, comunque il danno arrecato al patrimonio della società si sarebbe tradotto in un danno erariale.

E’ di tutta evidenza che, se si accedesse ad un sillogismo giuridico come quello rappresentato poc’anzi , si finirebbe per svuotare di significato la scelta del Legislatore di concedere agli Enti Pubblici, per realizzare i loro specifici compiti, di avvalersi di uno strumento di diritto privato, quale la società di capitali, proprio al fine di sfruttarne la flessibilità gestionale.

Di fronte ad una scelta di siffatta natura da parte del Legislatore non è poi ragionevole considerare il soggetto giuridico in questione come “pubblico” sulla base di ulteriori e diversi elementi che prescindono dalla forma giuridica di organizzazione dello stesso.

In definitiva, se si vuole attribuire un significato logico alla scelta del Legislatore, riconoscendo un senso alla decisione di superare l’utilizzo del modello dell’ente pubblico economico a favore della società privata partecipata, occorre poi comportarsi conseguenzialmente nella scelta della disciplina applicabile alle società private partecipate dallo Stato o da altri enti pubblici.

Ciò implica che la partecipazione totalitaria dello Stato o di altro ente pubblico in una società privata, diversamente da quanto ritenuto da molte Corti territoriali, non crea una commistione tra patrimoni (quello societario e quello dell’ente partecipante), che rimangono scissi senza che il danno al patrimonio della società si riverberi su quello dell’Ente Pubblico; in una situazione siffatta, al contrario, vi è lo spazio necessario per poter deliberare se il danno arrecato dall’amministratore, dal sindaco o dal dipendente della società privata sia riferibile al patrimonio della società o a quello dell’Ente e, in base alla risposta, poter decidere sulla giurisdizione.

La conferma di quanto sinora detto si ricava inequivocabilmente dalle numerose sentenze della Cassazione che si sono pronunciate sul tema de qua.

La sentenza della Cassazione del 2009,già menzionata, non affronta in maniera diretta l’aspetto della rilevanza della partecipazione pubblica totalitaria o maggioritaria – non fosse altro perché, nel caso esaminando, si disquisiva di società che esercitavano funzioni di impresa e partecipate dalla Stato in misura minore al 50% – ma, comunque, nell’affrontare in termini generali la problematica sostiene: “Se quanto appena osservato vale certamente per gli enti pubblici economici – cfr. ovvero la sussistenza della giurisdizione contabile nei giudizi di responsabilità – i quali restano nell’alveo della pubblica amministrazione pur quando eventualmente operino imprenditorialmente con strumenti privatistici, è da stabilire entro quali limiti alla medesima conclusione si debba pervenire anche nel diverso caso della responsabilità di amministratori di società di diritto privato partecipate da un ente pubblico. Le quali non perdono la loro natura di enti privati per il solo fatto che il loro capitale sia alimentato anche da conferimenti provenienti dallo Stato o da altro ente pubblico.”

Dopo aver sollevato la questione predetta, la Suprema Corte, nella sentenza in commento, ritiene ed afferma in modo perentorio che”…la scelta della pubblica amministrazione di acquisire partecipazioni in società private implica il suo assoggettamento alle regole proprie della forma giuridica prescelta.”

Ben consapevole, però, che vi possano essere problemi con riguardo a società partecipate che svolgano funzioni di rilevanza pubblica, la Cassazione elabora in relazione a ciò, e ai fini precipui del riparto di giurisdizione, il ben noto criterio del danno diretto e del danno riflesso, stabilendo che gli organi della società privata possono essere assoggettati alla giurisdizione contabile se e quando dal loro comportamento illegittimo scaturisce un danno diretto al patrimonio dell’Ente pubblico.

Tutto quanto detto è confermato, altresì, dall’altra ordinanza della Cassazione del 2011 (Cass., SS. UU., n. 14655 del 05.07.2011) che, affrontando la vicenda di una società a partecipazione pubblica maggioritaria e svolgente anche servizio pubblico, stabilisce l’insussistenza della giurisdizione contabile nel giudizio di responsabilità promosso contro gli amministratori della stessa per mala gestio perché ritiene di dover applicare il criterio enunciato dalla Cassazione nella sentenza del 2009.

Inoltre, sempre nella citata ordinanza, l’Ecc.ma Corte, in via incidentale, sul tema specifico della “natura pubblica” della società in parola, così argomenta: “Né a tale esclusione della giurisdizione contabile nei confronti degli amministratori di Autovie s.p.a. e dei terzi che hanno concorso con loro nel cagionare il danno a detta società osta la decisione di queste Sezioni Unite (1 aprile 2004 n. 6408) che ha affermato, in relazione alla disciplina in materia di appalti di servizi dettata dalla direttiva del Consiglio 92/50/CEE del 10 giugno 1992 (come interpretata dalla giurisprudenza comunitaria al riguardo: sentenze della Corte di giustizia 15 gennaio 1998, in causa 44/96, 10 novembre 1998, in causa 360/96, e 10 maggio 2001, in cause riunite C-223/99 e C-260/99) e dal decreto legislativo 17 marzo 1995, n. 157, di attuazione della medesima direttiva), la natura pubblica di s.p.a. Autovie Venete – in quanto istituita per soddisfare specifiche finalità di interesse generale non aventi carattere industriale o commerciale (tali essendo quelle, statutariamente connesse all’attività di costruzione e di gestione di autostrade, concernenti la sicurezza del traffico e il mantenimento dei livelli di esercizio) e rispondente a tutti i requisiti previsti dall’art. 1, lettera b), della citata direttiva (personalità giuridica, totale partecipazione pubblica, finanziamento pubblico, designazione di tutti i membri del consiglio di amministrazione e del collegio sindacale da parte dei soci pubblici) – e la giurisdizione del giudice amministrativo sulla controversia relativa all’aggiudicazione di un appalto di pubblico servizio da parte della predetta società, tenuta, in qualità di organismo di diritto pubblico, nell’affidamento dell’appalto, all’osservanza della disciplina di derivazione comunitaria in materia di procedure di aggiudicazione ad evidenza pubblica, poiché in discussione non è la soggezione della s.p.a. Autovie alla giurisdizione contabile come soggetto danneggiante degli azionisti pubblici, soci di maggioranza, ma dei suoi amministratori e del terzo contraente – nella specie S.T. con detta società.” (Cass., SS. UU., n. 14655 del 05.07.2011)

Sempre sulla scia dell’orientamento giurisprudenziale testé citato si colloca, da ultima, la sentenza della Cassazione a Sezione Unite n. 7374 del 2013 nella quale è stato dichiarata sussistente la giurisdizione ordinaria in un ipotesi di presunto danno erariale arrecato dal dipendente di una società a totale partecipazione pubblica nell’attività di svuotamento dei parcometri.

Sulla scorta di tutto quanto premesso si possono trarre due ovvie e decisive considerazioni.

La prima. Nei giudizi concernenti la responsabilità di amministratori, sindaci e/o dipendenti di società partecipate dallo Stato o da altri Enti pubblici occorre ripartire la giurisdizione tenendo conto del criterio del danno riflesso e del danno diretto al patrimonio del soggetto partecipante pubblico, riconoscendo la sussistenza della giurisdizione contabile solo ove si verta nella seconda delle ipotesi considerate.

La seconda. Nell’applicazione del criterio della tipologia di danno (riflesso o diretto) non rileva la “misura” della partecipazione pubblica, sia essa minoritaria, maggioritaria o totalitaria. Il criterio predetto del danno diretto e del danno riflesso, infatti, è stato elaborato dalla Suprema Corte proprio per cercare di risolvere il problema della giurisdizione nell’ipotesi di società partecipate da enti pubblici che svolgono servizi pubblici per cercare di risolvere quei casi dubbi in cui gli organi societari potrebbero ledere in maniera diretta il patrimonio dell’Ente pubblico.

Se così non fosse, infatti, la Suprema Corte, nell’ordinanza del 2011 richiamata, non avrebbe dichiarato la giurisdizione ordinaria per il giudizio di responsabilità promosso contro gli amministratori di una società, la Autovie S.p.A., di cui, dalla stessa Cassazione, in una sentenza pregressa, era stata affermata la natura pubblica della menzionata società perché istituita per soddisfare interessi generali e perché avente tutti i requisiti previsti dalla direttiva 92750/CEE del 1992 (tra cui la totale partecipazione pubblica), specificando, altresì, che la natura pubblica avrebbe rilevato se in discussione fosse stata la Autovie s.p.a. come soggetto danneggiante e non i suoi amministratori e, si può aggiungere, i suoi dipendenti.

Campana Nadia

Scrivi un commento

Accedi per poter inserire un commento