La gestione delle crisi umanitarie. I problemi che emergono nella disciplina internazionale

Sgueo Gianluca 21/06/07
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1. Premessa. Il significato di crisi umanitaria – 2.1 I problemi che comporta la gestione delle crisi umanitarie. Interventi coercitivi e non coercitivi – 2.2 L’ammissibilità dell’uso della forza – 3. I rapporti tra le amministrazioni coinvolte – 4. Conclusioni
 
1. Premessa. Il significato di crisi umanitaria
Per comprendere le tematiche che si profilano nel diritto internazionale umanitario è necessario avere chiara la nozione di “crisi umanitaria”. Con tale espressione si è soliti fare riferimento ad una modalità di intervento nella sfera autoritaria di uno Stato da parte di un altro Stato o di un’organizzazione sovranazionale.
L’esigenza di proteggere i civili dalle violenze perpetuate all’interno di uno Stato nasce nel corso degli anni ’70 del secolo scorso, in pieno bipolarismo Stati Uniti-Unione Sovietica. Fu immediatamente chiaro allora che una simile crisi doveva essere risolta necessariamente attraverso l’affidamento della gestione ad una forza internazionale che potesse rappresentare la volontà di tutte le nazioni.
Con la fine della guerra fredda, nei primi anni ’80 del secolo scorso, le crisi umanitarie aumentarono esponenzialmente. Le ragioni dell’aumento furono dovute appunto al fatto che, finita la guerra fredda, vi fosse maggiore disponibilità di risorse (es. strutture militari). Fu allora che sia l’Unione europea, sia la Nato, passarono da una politica di sostanziale difesa ad una di gestione delle crisi umanitarie
 
2.1 I problemi che comporta la gestione delle crisi umanitarie. Interventi coercitivi e non coercitivi
Come risulta evidente dalla definizione offerta, il problema principale che creano le crisi umanitarie è quello relativo alla legittimazione dell’intervento. Bisogna distinguere però, a tale proposito, tra due diverse situazioni. Il primo tipo di interventi prende il nome di “interventi non coercitivi” e presuppone la collaborazione dello Stato nel cui territorio ha luogo la crisi umanitaria. In questo caso, infatti, il governo territoriale non è in grado, da solo, di far fronte alla crisi che gli si presenta.
Va aggiunto che il consenso del sovrano territoriale, oltre a costituire il fondamento legittimante dell’intervento, ne costituisce anche il limite. Ovvero accade spesso che il governo territoriale interessato ponga alcune condizioni vincolanti affinchè l’intervento umanitario possa aver luogo.
Inoltre, c’è da aggiungere che spesso il solo consenso del governo locale non basta. Se c’è un conflitto armato ed il territorio risulta controllato da forze insurrezionali, il consenso del governo territoriale da solo potrebbe non bastare. In questi casi si cerca di avere anche il consenso delle forze militari operanti sul territorio.
Quando manca il consenso del governo territoriale si parla di “intervento non coercitivo”. Si tratta però di tipologie di intervento estremamente controverse, e quasi mai ritenute legittime da parte della dottrina internazionalistica.
 
2.2 L’ammissibilità dell’uso della forza. Le decisioni autorizzative
Un secondo problema che si lega alla gestione delle crisi umanitarie è legato all’uso della forza. Com’è noto, l’uso della forza è stata vietata nel diritto internazionale a seguito dell’emanazione della Carta O.N.U. Si sono fatti salvi due casi: il primo è quello della legittima difesa, che, come tale, non interessa gli aiuti umanitari. Il secondo è quello della possibilità di usare la forza a seguito di minaccia o di aggressione[2].
Quello che però più importa è che, secondo la Carta delle Nazioni Unite, per aversi un intervento militare legittimo ci vorrebbe sempre una Risoluzione che lo autorizzi. Quando si ha un intervento consensuale il problema non si pone perché gli Stati membri sono generalmente d’accordo ad intervenire sul territorio. Quando, invece, si presenta un intervento coercitivo si creano alcuni seri problemi derivanti dal fatto che gli Stati membri non sempre sono disponibili a mettere a disposizione le proprie forze senza mantenerne anche il controllo.
Per risolvere il problema l’ONU ha intrapreso la prassi di adottare decisioni di tipo autorizzativo. In sostanza cioè ha consentito agli Stati di intervenire sui territori mantenendo il controllo operativo delle forze inviate. Tale prassi, lungamente criticata in origine, viene oggi accettata come il “male minore”, in quanto in grado di salvaguardare almeno la verifica formale da parte dell’ONU.
 
2.3 Le situazioni di emergenza
Diverso è il caso in cui sopravvenga una situazione di emergenza ed il consiglio di sicurezza non si pronunci all’unanimità dei voti (come richiede il regolamento). In questi casi è stato ritenuto ammissibile, per via dell’eccezionalità della situazione, che si ricorra all’uso della forza per gestire la crisi umanitaria.
Il fondamento giuridico di un simile intervento è tuttavia discusso. Secondo alcuni sarebbe da rinvenirsi nel diritto consuetudinario. Tuttavia, una simile circostanza, appare poco convincente, soprattutto se si pensa al fatto che le consuetudini operanti nel contesto internazionale discendono sempre dagli atti ufficiali (in questo caso la carta ONU) e raramente se ne discostano.
Una possibile soluzione è semmai quella che tiene in considerazione che la disciplina della forza è un elemento recente nel panorama internazionale[3]. Dunque, a rilevare sarebbero non soltanto aspetti giuridici, ma anche aspetti meta-giuridici, in ragione dei quali poter giustificare l’intervento in altri Stati.
 
3. I rapporti tra le amministrazioni coinvolte
Un altro aspetto che merita di essere considerato è quello relativo ai rapporti che si instaurano tra le amministrazioni nazionali e sovranazionali che vengono interessate dalle crisi umanitarie. Ci sono due punti che vanno distinti.
Il primo punto riguarda la partecipazione dello Stato a sistemi ultrastatali, all’interno delle crisi umanitarie. In alcuni casi l’amministrazione militare opera in funzione dela sicurezza della comunità internazionale. In altri casi, invece, l’amministrazione nazionale partecipa a missioni di pertinenza di sistemi sovranazionali di tipo regionale. A parte le differenze evidenti tra la prima e la seconda ipotesi, va detto che, in entrambe, le funzioni che vengono svolte dall’amministrazione nazionale sono ulteriori rispetto a quelle che essa svolge a livello interno. Questa circostanza crea alcuni problemi.
Il secondo punto riguarda questi problemi. Bisogna infatti rilevare una serie di relazioni piuttosto complesse tra il livello nazionale e quello sovranazionale. Si tratta di relazioni di tipo verticale (derivanti dalla supremazia dell’ONU rispetto agli ordinamenti statali) e di tipo orizzontale, ovvero tra i singoli Stati.
 
4. Conclusioni
La rassegna di problematiche legate ai profili giuridici che disciplinano la gestione delle crisi umanitarie è appena sufficiente a rendere l’idea della complessità del problema. Si può dire però in senso generale che il diritto internazionale umanitario è un diritto relativamente giovane, ed in fase di continuo sviluppo. Se si ha presente questa caratteristica sarà più agevole comprendere le problematiche di cui s’è detto.
La seconda considerazione, che si lega alla prima, deriva dagli aspetti politici che vengono interessati dalla gestione di queste crisi. In sostanza, i problemi che sono stati posti non possono essere risolti da sé, qualora si finga di ignorare la partecipazione del livello politico. È dunque necessario considerare i due problemi congiuntamente per poter offrire risposte certe alle questioni di cui si è discusso.
 
 


[1] Parte delle riflessioni qui esposte sono tratte dalle considerazioni svolte in occasione del primo convegno sulla gestione delle crisi umanitarie organizzato dalla Croce Rossa italiana in collaborazione con il Dipartimento di scienze giuridiche dell’Università di Viterbo, tenutosi il 14 maggio 2007, dal titolo: “La gestione delle crisi umanitarie. Problemi e prospettive”.
[2] L’interpretazione corrente e comunemente accettata dalla dottrina è quella estensiva, che comprende in questa definizione anche gli aiuti umanitari.
[3] In passato gli Stati erano propensi a disciplinare il diritto bellico in sé, ovvero il diritto relativo allo svolgimento delle operazioni militari all’interno di uno scenario di guerra. La scelta di disciplinare l’utilizzo della forza è un aspetto innovativo e del tutto inesplorato finora.

Sgueo Gianluca

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