La formulazione incerta di norme da poco entrate in vigore comporta un errore scusabile (Cons. di Stato N. 00014/2012)

Lazzini Sonia 19/03/12
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Nella nozione di errore scusabile vi è anche la formulazione incerta di norme da poco entrate in vigore

per la pacifica giurisprudenza amministrativa perché possa affermarsi che ci si trovi innanzi ad un danno risarcibile occorre che si pervenga al positivo riscontro dell’elemento soggettivo del dolo o della colpa in capo all’amministrazione, intesa come apparato.

Quanto a tale profilo, in passato, si è avuto modo di evidenziare il ridotto onere dimostrativo che grava in subiecta materia sul privato, atteso che “fermo restando l’inquadramento della maggior parte delle fattispecie di responsabilità della p.a., tra cui quella in esame, all’interno della responsabilità extracontrattuale, non è comunque richiesto al privato danneggiato da un provvedimento amministrativo illegittimo un particolare sforzo probatorio sotto il profilo dell’elemento soggettivo. Infatti, pur non essendo configurabile, in mancanza di un’espressa previsione normativa, una generalizzata presunzione (relativa) di colpa dell’amministrazione per i danni conseguenti ad un atto illegittimo o comunque ad una violazione delle regole, possono invece operare regole di comune esperienza e la presunzione semplice, di cui all’art. 2727 c.c., desunta dalla singola fattispecie.

Il privato danneggiato può, quindi, invocare l’illegittimità del provvedimento quale indice presuntivo della colpa o anche allegare circostanze ulteriori, idonee a dimostrare che si è trattato di un errore non scusabile.

Spetterà, di contro, all’amministrazione dimostrare che si è trattato di un errore scusabile, configurabile, ad esempio, in caso di contrasti giurisprudenziali sull’interpretazione di una norma, di formulazione incerta di norme da poco entrate in vigore, di rilevante complessità del fatto, di influenza determinante di comportamenti di altri soggetti, di illegittimità derivante da una successiva dichiarazione di incostituzionalità della norma applicata.(Consiglio Stato , sez. VI, 23 giugno 2006, n. 3981).

Nel caso di specie l’appellante non ha (non soltanto provato, ma neanche) allegato la mera ipotesi di una condotta connotata (quantomeno) da colpa, dal che discende l’inaccoglibilità del petitum risarcitorio fondato sulla mera pregressa riscontrata illegittimità di atti amministrativi.

Si legga anche, quale giurisprudenza segnalata

Il concetto di errore scusabile

L’ errore scusabile è configurabile, in caso di contrasti giurisprudenziali sull’interpretazione di una norma, di formulazione incerta di norme da poco entrate in vigore, di rilevante complessità del fatto, di influenza determinante di comportamenti di altri soggetti, di illegittimità derivante da una successiva dichiarazione di incostituzionalità della norma applicata: si deve, peraltro, tenere presente che molte delle questioni rilevanti ai fini della scusabilità dell’errore sono questioni di interpretazione ed applicazione delle norme giuridiche, inerenti la difficoltà interpretativa che ha causato la violazione

Il Consiglio di Stato con la decisione numero 3981 del 23 giugno 2006 ci offre alcuni importanti spunti di riflessione in tema di responsabilità della pubblica amministrazione:

<le condivisibili esigenze di semplificazione probatoria possono essere parimenti soddisfatte restando all’interno dei più sicuri confini dello schema e della disciplina della responsabilità aquiliana, che rivelano una maggiore coerenza della struttura e delle regole di accertamento dell’illecito extracontrattuale con i caratteri oggettivi della lesione di interessi legittimi e con le connesse esigenze di tutela, utilizzando, per la verifica dell’elemento soggettivo, le presunzioni semplici di cui agli artt.2727 e 2729 c.c

Fermo restando l’inquadramento della maggior parte di fattispecie di responsabilità della p.a., tra cui quella in esame, all’interno della responsabilità extracontrattuale, non è comunque richiesto al privato danneggiato da un provvedimento amministrativo illegittimo un particolare sforzo probatorio, sotto il profilo dell’elemento soggettivo. Infatti, pur non essendo configurabile, in mancanza di una espressa previsione normativa, una generalizzata presunzione (relativa) di colpa dell’amministrazione per i danni conseguenti ad un atto illegittimo o comunque ad una violazione delle regole, possono invece operare regole di comune esperienza e la presunzione semplice, di cui all’art. 2727 c.c., desunta dalla singola fattispecie.

Il privato danneggiato può, quindi, invocare l’illegittimità del provvedimento quale indice presuntivo della colpa o anche allegare circostanze ulteriori, idonee a dimostrare che si è trattato di un errore non scusabile.

Spetterà a quel punto all’amministrazione dimostrare che si è trattato di un errore scusabile, configurabile, ad esempio, in caso di contrasti giurisprudenziali sull’interpretazione di una norma, di formulazione incerta di norme da poco entrate in vigore, di rilevante complessità del fatto, di influenza determinante di comportamenti di altri soggetti, di illegittimità derivante da una successiva dichiarazione di incostituzionalità della norma applicata>

Inoltre, andando al di fuori dei confini italiani e spaziando in europa, il Supremo giudice Amministrativo ci fa notare che:

<Inoltre, va considerato che la stessa Corte di Giustizia, pur non facendo riferimento alla nozione di colpa della p.a., utilizza, a fini risarcitori, il criterio della manifesta e grave violazione del diritto comunitario, sulla base degli stessi elementi, descritti in precedenza e utilizzati nel nostro ordinamento per la configurabilità dell’errore scusabile (Corte Giust. CE, 5 marzo 1996, C- 46 e 48/93, Brasserie du Pecheur, in cui, al punto 78, viene riconosciuto che alcuni degli elementi indicati per valutare se vi sia violazione manifesta e grave sono riconducibili alla nozione di colpa nell’ambito degli ordinamenti giuridici nazionali).>

Giurisprudenza correlata

(DOSSIER_ERRORE SCUSABILE)

Commentate le seguenti decisioni del Consiglio di Stato:

n. 6274 del 28 novembre 2011

n. 5889 dell’ 8 novembre 2011

n. 3815 del 24 giugno 2011

n. 2102 del 4 aprile 2011

n. 1184 del 24 febbraio 2011

n. 785 del 12 febbraio 2010

n. 4241 dell’ 8 settembre 2008

n. 1346 del 20 marzo 2007:

n. 152 del 25 gennaio 2005

n. 32 del 10 gennaio 2005

n. 3046 del 23 maggio 2006

n. 5696 del 18 ottobre 2002

n. 6680 del 9 novembre 2006

Errore scusabile per la pa: dalla frammentarietà e contraddittorietà della normativa o orientamenti giurisprudenziali consolidati in seguito sconfessati

Ci si chiede innanzi tutto se nella fattispecie il ricorrente, per ottenere il risarcimento, abbia l’onere di provare la colpa dell’amministrazione.

In proposito si osserva che è molto discussa, in termini generali, la questione se la responsabilità della p.a. per danni derivanti da lesione di interessi legittimi presupponga l’accertamento della colpa, o se al contrario la colpa sia in re ipsa una volta accertata l’illegittimità dell’atto amministrativo.

Tale questione ha ricevuto sinora risposte diversificate e per lo più empiriche.

Per lo più si ritiene che il mero accertamento dell’illegittimità dell’atto non renda superfua l’indagine sulla colpa, ma non tanto nel senso che spetti al danneggiato darne piena dimostrazione, quanto nel senso che la p.a. possa darne la prova contraria dimostrando la buona fede e/o la scusabilità dell’errore ovvero l’imputabilità di questo a terzi.

Peraltro il problema si può porre in termini diversi a seconda del tipo di vizio riconosciuto a carico dell’atto impugnato. Se si tratta di eccesso di potere, ad es. per travisamento di fatti o per difetto d’istruttoria e simili, è ragionevole che si proceda alla disamina se l’errore in cui è caduta l’autorità emanante sia colpevole o incolpevole.

Quando invece si tratta – e questo è il caso – di violazione di legge, allora è difficile ipotizzare che l’errore sia incolpevole, tranne che in ipotesi particolari caratterizzate ad es. dalla frammentarietà e contraddittorietà della normativa, ovvero dalla presenza di orientamenti giurisprudenziali consolidati cui la p.a. si sia attenuta, ma siano stati in seguito sconfessati dalla giurisprudenza sopravvenuta.

In questo caso però non si ravvisano gli estremi per riconoscere la scusabilità dell’errore o comunque la mancanza della colpa.

In buona sostanza, la Regione ha applicato a danno dell’interessato una disposizione inesistente.

Passaggio tratto dalla decisione numero 6274 del 28 novembre 2011 pronunciata dal Consiglio di Stato

Quanto al danno, la difesa della Regione afferma che l’interessato non ha dato prova dell’esistenza di un danno risarcibile e tanto meno della sua entità.

Il Collegio osserva che il danno di cui si chiede il risarcimento è, in sostanza, il mancato guadagno derivante dalla mancata assegnazione della gestione provvisoria per l’intero periodo in cui detta gestione è stata tenuta dalla controinteressata.

Ciò posto si deve ritenere sufficientemente provata l’esistenza del danno ingiusto, e che anche la sua entità sia di non difficile quantficazione.

Ed invero:

(a) che il dott. Ricorrente avesse pieno titolo a conseguire la gestione provvisoria della sede n. 1 di Sant’Angelo a Cupolo emerge univocamente dagli atti impugnati;

(b) allo stesso modo è certo che l’unica ragione addotta (peraltro erroneamente) per privarlo di tale bene della vita era il supposto difetto del requisito dell’età; altre ragioni ostative non sono state indicate, neppure in forma ipotetica;

(c) l’illegittimo diniego della gestione della farmacia ha privato l’interessato dei relativi ricavi, il cui ammontare presuntivo può essere facilmente stimato, assumendo come primo riferimento i ricavi lordi realizzati dalla controinteressata; considerate le peculiari caratteristiche dell’esercizio farmaceutico (natura dei beni offerti in vendita; regime amministrativo dei prezzi; monopolio di fatto garantito entro una certa area; etc.), è verosimile che l’afflusso della clientela e la relativa domanda siano scarsamente influenzati dalla personalità del gestore e dalle sue iniziative imprenditoriali;

(d) allo stesso modo è ragionevole stimare che i costi della gestione non siano significativamente diversi; e così pervenire alla stima dell’utile netto non percepito dal ricorrente;

(e) dall’importo del danno va detratto quanto l’interessato abbia percepito, nel frattempo, quale retribuzione di altra attività lavorativa;

(f) saranno calcolati interessi e rivalutazione nella misura di cui alle norme vigenti.

L’amministrazione non ha dimostrato la scusabilità dell’errore

il danneggiato può invocare l’illegittimità del provvedimento quale indice presuntivo della colpa o allegare circostanze ulteriori, idonee a dimostrare che si è trattato di un errore non scusabile

spetterà all’amministrazione dimostrare che si è trattato di errore scusabile (come ad es. in caso di contrasti giurisprudenziali sull’interpretazione di una norma, di formulazione incerta di norme da poco entrate in vigore, di rilevante complessità del fatto, di influenza determinante di comportamenti di altri soggetti, di illegittimità derivante da una successiva dichiarazione di incostituzionalità della norma applicata) (Cons. Stato, VI, 23 giugno 2006, n. 3981)

la complessiva condotta dell’amministrazione va valutata unitariamente e si deve qui escludere che abbia superato le presunzioni dimostrando la scusabilità dell’errore

la pretesa giustificazione del ritardo nell’emanazione del decreto ministeriale gravato e degli atti connessi con la complessità degli adempimenti da porre in essere a cura delle amministrazioni contrasta logicamente con l’opposta censura – già disattesa – per cui il ritardo è imputabile alla ritardata trasmissione da parte dell’appellata dei dati contabili. Essa non supera la rilevata violazione delle regole di buon andamento, con immediatezza connessa al mancato rispetto del termine naturale di adozione del provvedimento finale, insito nella fattispecie che la stessa amministrazione aveva avviato. Si osserva che l’appello neppure confuta la statuizione in tema di colpa operata della sentenza di primo grado, che ritiene applicabile al caso la “presunzione semplice di colpevolezza di cui all’art.2727 Cod. civ., desunta dalla fattispecie concreta”.

Essa appare condivisibile riguardo al caso del provvedimento adottato in ritardo, dove lo stesso superamento del termine finale richiede una prova, che spetta all’amministrazione dare, circa l’esistenza di errori scusabili o fatti non imputabili all’amministrazione medesima, nell’ambito dell’ordinario dovere di diligenza sulla stessa incombente: prova che non è stata oggetto di adeguate allegazioni neppure con l’appello.

Invero è ridotto l’ onere dimostrativo che a questo proposito grava sul privato, atteso che non è richiesto al privato danneggiato da un provvedimento amministrativo illegittimo un particolare sforzo probatorio sotto il profilo dell’elemento soggettivo, perché – pur non essendo configurabile, nel silenzio della legge, una generalizzata presunzione relativa di colpa dell’amministrazione per i danni conseguenti ad atto illegittimo o ad una violazione delle regole – possono operare regole di comune esperienza e la presunzione semplice, di cui all’art. 2727 Cod. civ,, desunta dalla singola fattispecie.

Passaggio tratto dalla decisione numero 5889 dell’ 8 novembre 2011 pronunciata dal Consiglio di Stato

Non possono conclusivamente accogliersi le censure incentrate sulla carenza dell’elemento soggettivo colposo, che rimane perciò ascrivibile alle appellanti amministrazioni.

4. Appare infine destituita di fondamento la pretesa delle appellanti amministrazioni (e peraltro neppure decisamente articolata) contenuta nell’ultimo motivo del ricorso in appello di fare discendere da una pattuizione privata (sottoscrizione dell’accordo di programma tra l’Enac e la Controinteressata in data 6 agosto 2009 contenente la rinuncia a coltivare i contenziosi inerenti la misura dei compensi da liquidarsi a Controinteressata) che seppure trasfusa in un decreto interministeriale approvativo mantiene valenza privatistica, e perdipiù ha un oggetto diverso (determinazione degli importi, e non già ritardi nella determinazione della tariffa applicabile ad un servizio in precedenza svolto) un effetto di rinuncia all’originario ricorso di primo grado (ovvero di sopravvenuta carenza di interesse al mezzo di primo grado).

In disparte la oggettiva non riconducibilità della odierna controversia a quelle indicate dalla difesa erariale, milita contrariamente all’accoglimento della eccezione, peraltro formulata in termini perplessi, la espressa esclusione da parte dell’appellata di qualsivoglia volontà estintiva (si rammenta che per pacifica giurisprudenza l’effetto estintivo discendente da rinuncia o sopravvenuta carenza di interesse si ricollega al positivo e certo riscontro di elementi certi, che rendano indubitabile tale carenza di una condizione dell’azione: ex multis, si veda Consiglio Stato, sez. V, 03/06/1989, n. 345).

Quanto alle censure articolate in punto di quantificazione del danno, è necessaria una precisazione.

Nessuna specifica contestazione, infine, è stata articolata in primo grado, in ordine ai prospetti riepilogativi in base ai quali il primo giudice ha liquidato in favore dell’appellata le somme dovute. Tale contestazione, generica e tardiva, fondata anche sulle modalità di acquisto dei macchinari e sulla ratio della fusione per incorporazione della Nias s.r.l., non può trovare ingresso nell’odierno giudizio d’appello, e si deve altresì respingere la connessa richiesta di disporre consulenza tecnica sul punto (es. Cons. Stato, IV, 13 marzo 2009 , n. 1517); si deve semmai solo precisare che l’ulteriore e distinta argomentazione critica adombrata dalle appellanti amministrazioni, fondata sulla compensatio lucri cum damno, è stata negativamente vagliata da questa Sezione del Consiglio di Stato con la più volte citata decisione n. 65/2009, alle cui argomentazioni in questa sede ci si riporta, essendo sufficiente ribadire che la tesi per cui – dato che l’appellata avrebbe comunque conseguito un ricavo e avrebbe coperto i costi, non sarebbe individuabile alcun danno risarcibile- appare destituita di fondamento, afferendo a circostanze distinte, successive ed indipendenti rispetto al fatto (ritardo nell’emanazione del decreto ed attivazione del servizio in carenza di “copertura” tariffaria) che ha generato il credito risarcitorio esattamente ritenuto fondato dal primo giudice.

Deve invece essere accolto tale profilo “quantificatorio” dell’impugnazione, come peraltro lealmente ammesso dall’appellata società nella propria conclusiva memoria, limitatamente all’importo del credito da liquidarsi, erroneamente determinato dal primo giudice in € 1562.576//00, invece che nella somma, inferiore, pari ad € 1.353.041//00 in quanto inesattamente il primo giudice ha sommato l’importo della tariffa non percepita al costo del lavoro, mentre avrebbe dovuto riferirsi unicamente ai mancati introiti (come peraltro richiesto dall’appellata in primo grado).

decisione numero 3815 del 24 giugno 2011 pronunciata dal Consiglio di Stato

L’errore scusabile deve essere dimostrato dalla pa.

Mentre il danneggiato deve dimostrare la ragionevole probabilità della, giuridicamente ed economicamente suscettibile di autonoma valutazione (la “chance”), di aggiudicarsi la gara

E’ a carico dell’Amministrazione l’onere di dimostrare che si è trattato di un errore scusabile per contrasti giurisprudenziali sull’interpretazione della norma, per la complessità del fatto ovvero per l’influenza di altri soggetti.

la domanda di risarcimento dei danni è regolata dal principio dell’onere della prova di cui all’art. 2697 c.c., in base al quale chi vuol far valere un diritto in giudizio deve provare i fatti che ne costituiscono il fondamento, per cui grava sul danneggiato l’onere di provare, ai sensi del citato articolo, tutti gli elementi costitutivi della domanda di risarcimento del danno per fatto illecito.

al fine di ottenere il risarcimento per perdita di chance, è necessario che il danneggiato dimostri, anche in via presuntiva, ma pur sempre sulla base di circostanze di fatto certe e puntualmente allegate, la ragionevole probabilità della, giuridicamente ed economicamente suscettibile di autonoma valutazione (la “chance” appunto), di aggiudicarsi la gara, alla cui dimostrazione è subordinata la verificazione del danno, fornendo al prova della realizzazione in concreto almeno di alcuni dei presupposti per il raggiungimento del risultato sperato ed impedito dalla condotta illecita della quale il danno risarcibile deve essere conseguenza immediata e diretta

decisione numero 2102 del 4 aprile 2011 pronunciata dal Consiglio di Stato

Puo’ esistere un errore scusabile anche nell’interpretazione delle norme

La colpa nella e della pa non e’ solo mera “inosservanza di leggi regolamenti, ordini o discipline” (secondo la formula dell’art. 43 Cod. pen.), ma va ricercata nell’ulteriore elemento della violazione dei canoni di imparzialità, correttezza e buona amministrazione, ovvero a negligenza, omissioni o anche errori interpretativi di norme, ritenuti non scusabili

Quanto agli elementi che in concreto possono fondare un titolo sostanziale al risarcimento dei danni – e tenuto conto del principio generale, secondo cui ignorantia legis non excusat – si può ammettere che l’errore sull’interpretazione delle norme sia, eccezionalmente, scusabile solo in presenza di oggettiva oscurità, sovrabbondanza o repentino mutamento delle norme stesse, ovvero di verificata sussistenza di contrasti interpretativi

In tema di domanda risarcitoria per lesione di interessi legittimi (ritenuta senz’altro ammissibile, dopo la sentenza della Corte di Cassazione, SS.UU., 22 luglio 1999, n. 500 e rientrante nella giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo a norma dell’art. 35, comma 1, d.lgs. 31 marzo 1998, n. 80, come modificato dall’art. 7 l. 21 luglio 2000, n. 205 – cfr. anche Cass., SS.UU. 9 marzo 2005, ord. n. 5078), l’interesse attuale coincide con i presupposti, che le norme e la giurisprudenza hanno definito in materia: sussistenza del danno, nesso di causalità fra tale danno ed un atto illegittimo dell’Amministrazione e colpa di quest’ultima, da ricondurre – sia secondo la citata sentenza n. 500 del 1999, sia in base alla giurisprudenza successiva – non a mera “inosservanza di leggi regolamenti, ordini o discipline” (secondo la formula dell’art. 43 Cod. pen.), ma all’ulteriore elemento della violazione dei canoni di imparzialità, correttezza e buona amministrazione, ovvero a negligenza, omissioni o anche errori interpretativi di norme, ritenuti non scusabili. Tali principi risultano applicabili per ravvisare, sotto il profilo residuale anzidetto, la procedibilità del presente giudizio, anche in rapporto ad atti non più efficaci.

Circa la prova della colpa dell’Amministrazione –che, in base ai parametri indicati, non si può ritenere in re ipsa, ma va dimostrata in riferimento alla condotta amministrativa in relazione ai suoi parametri generali – va considerata la particolare dimensione della responsabilità dell’Amministrazione per lesione di interessi legittimi: una responsabilità non del tutto coincidente con quella di cui all’art. 2043 Cod. civ.,, poichè implicante anche profili (di rilievo, in particolare, sul piano probatorio) assimilabili a quelli della responsabilità contrattuale; quanto sopra in ragione dell’interesse, giuridicamente protetto, al giusto procedimento amministrativo, quale interesse che sussiste nell’ambito del rapporto fra Amministrazione e amministrati e che implica, per l’Amministrazione stessa, uno specifico dovere di comportamento ispirato al rispetto dei principi generali di affidamento, non aggravamento, economicità ed efficacia (cfr. art. 1 l. 7 agosto 1990, n. 241), che sono parametri normativi dell’azione amministrativa (si è parlato, a tale riguardo, di “contatto sociale qualificato” o di “responsabilità da contatto”, implicante il corretto sviluppo dell’iter procedimentale e – salvo errore scusabile, nei termini qui esposti – corretta emanazione del provvedimento finale: cfr., in tal senso, Cons.Stato, V, 2 settembre 2005, n. 4461).

Quando pertanto, come nel caso di specie, la domanda di annullamento sia sorretta dall’interesse residuale al risarcimento del danno (essendo pacifica la sopravvenuta inefficacia della procedura espropriativa contestata), le censure prospettate a fondamento della domanda stessa debbono trovare disamina conforme all’interesse in questione, con riferimento ai vizi che giustificherebbero il soddisfacimento della pretesa risarcitoria nei confronti dell’Amministrazione

la decisione numero 1184 del 24 febbraio 2011 pronunciata dal Consiglio di stato

Errore scusabile – fa venir meno la colpa della pa _ illegittima aggiudicazione _ non è frutto di quella estrema leggerezza da cui può farsi discendere la colpa dell’Amministrazione, il cui comportamento è stato solo il frutto di una interpretazione di norme non particolarmente perspicue

Nella specie, infatti, non sussiste, come correttamente evidenziato dal primo giudice_ sentenza numero 688 del 16 aprile pronunciata dal Tar Sardegna, Cagliari_, l’elemento psicologico della colpa nell’attività della pubblica amministrazione che ha portato all’adozione del provvedimento che poi è stato annullato dal giudice amministrativo.

E la colpa, insieme con il dolo, sono elementi imprescindibili, ai sensi dell’art. 2043 del codice civile, perché si formi una fattispecie che possa dare luogo al danno ingiusto, mentre la mancanza dell’elemento psicologico (vale a dire la precisa predisposizione, anche derivante da superficialità o leggerezza ovvero da ignoranza di norme) non può dar luogo ad ipotesi di responsabilità, altrimenti si darebbe ingresso ad una fattispecie di responsabilità oggettiva (senza dolo e senza colpa) che il nostro ordinamento, salvo casi particolarissimi, non conosce.

Ora, nella specie qui considerata, è avvenuto che la mancata esclusione dell’impresa aggiudicataria per effetto della non allegazione del certificato generale del casellario giudiziale e di quello dei carichi pendenti di uno dei direttori tecnici dell’impresa era stato determinato dal fatto che, sulla base della normativa esistente e del bando di gara, l’amministrazione aveva ritenuto sufficiente l’allegazione del certificato suddetto soltanto con riferimento ai direttori tecnici al momento dell’offerta in servizio presso l’impresa e non anche quello di un direttore tecnico non più in attività presso la medesima impresa.

Tale valutazione dell’Amministrazione, che rispondeva ad esigenze sostanzialistiche, è stata poi considerata non corretta in sede giurisdizionale ed è stato conseguentemente annullato il provvedimento di aggiudicazione originariamente posto in essere, ma la medesima valutazione, per quanto illegittima, non è frutto di quella estrema leggerezza da cui può farsi discendere la colpa dell’Amministrazione, il cui comportamento è stato solo il frutto di una interpretazione di norme non particolarmente perspicue.

Escluso l’elemento psicologico, non si rinviene alcuna fattispecie che possa determinare un risarcimento del danno.

L’appello va, perciò, respinto

decisione numero 785 del 12 febbraio 2010, emessa dal Consiglio di Stato

Vi è errore scusabile qualora vi siano <<contrasti giurisprudenziali nell’interpretazione di una norma; formulazione incerta od oscura di una norma di recente entrata in vigore; complessità oggettiva della fattispecie; comportamenti di altri soggetti rilevanti e particolarmente determinanti; illegittimità derivante da declaratoria di incostituzionalità della norma applicata intervenuta successivamente all’emanazione dell’atto contestato>>.

Il privato danneggiato, infatti, può invocare l’illegittimità del provvedimento quale indice presuntivo della colpa od anche allegare circostanze ulteriori che siano idonee a dimostrare che si è trattato di un errore non scusabile, spettando poi all’Amministrazione provare che, invece, si sia trattato di errore scusabile, concretatesi in una delle forme individuate dalla stessa giurisprudenza

il Comune appellante, con il proprio primo motivo di impugnazione, critica la decisione del Giudice di prima istanza di respingere l’eccezione di intervenuta prescrizione del diritto al risarcimento del danno affermando che detto Giudice non avrebbe tenuto conto che la responsabilità dell’Amministrazione resterebbe pur sempre inserita nel sistema dell’illecito aquiliano, di cui all’art. 2043 del codice civile; che il diritto al risarcimento del danno comincerebbe a decorrere sempre e comunque dal giorno in cui si è verificato l’inadempimento od è stata tenuta la condotta illecita, quand’anche il creditore l’abbia scoperta in epoca successiva; che sarebbe errato il riferimento operato, al riguardo, alla sentenza della Corte di cassazione n. 13660 del 2006.

Qual è il parere dell’adito giudice di appello del Consiglio di Stato?

Orbene, ritiene il Collegio che tale critica non colga nel segno tenuto conto che è pienamente condivisibile la motivazione sul punto resa dal primo Giudice che, in tema di responsabilità civile conseguente ad attività procedimentale della Pubblica Amministrazione, il termine di prescrizione del diritto al risarcimento del danno decorra dal momento del passaggio in giudicato della sentenza che, in sede di annullamento degli atti impugnati, accerta l’antigiuridicità di detti atti e ,quindi, consente di individuare l’elemento costitutivo della complessa fattispecie dannosa.

Nella specie, il termine decorreva, dunque, dalla data di passaggio in giudicato della decisione di questo Consiglio (sez. V^, n. 7218 del 2003) -che ha confermato la sentenza del TAR di accoglimento del ricorso della Cooperativa avverso gli atti comunali di annullamento della Concessione Edilizia n. 88 del 1994 rilasciata a detta Cooperativa- per cui deve escludersi che il diritto dell’appellata alla prestazione risarcitoria si sia prescritto, tenuto conto che il ricorso di primo grado deciso con la sentenza appellata è stato presentato poco più di un anno dopo (nel 2005) e, dunque, ampiamente nei cinque anni di legge.

2.3 – Né coglie nel segno il Comune appellante con il proprio secondo motivo di impugnazione in quanto il Collegio condivide la giurisprudenza di questo Consiglio richiamata dal primo Giudice, essendosi da tempo consolidato l’avviso, dal quale non v’è motivo di discostarsi nella specie, secondo il quale, sotto il profilo dell’elemento soggettivo della colpa, non è richiesto un particolare sforzo probatorio al privato danneggiato da un provvedimento della Pubblica Amministrazione, potendosi ben fare applicazione, a tal fine, delle regole di comune esperienza e della presunzione semplice di cui all’art. 2727 del codice civile, ovviamente desunta dalla singola fattispecie, pur non essendo configurabile, in mancanza di una espressa previsione normativa, una generalizzata presunzione relativa di colpa della P.A. per i danni conseguenti ad un atto illegittimo o, comunque, ad una violazione di regole. Il privato danneggiato, infatti, può invocare l’illegittimità del provvedimento quale indice presuntivo della colpa od anche allegare circostanze ulteriori che siano idonee a dimostrare che si è trattato di un errore non scusabile, spettando poi all’Amministrazione provare che, invece, si sia trattato di errore scusabile, concretatesi in una delle forme individuate dalla stessa giurisprudenza (contrasti giurisprudenziali nell’interpretazione di una norma; formulazione incerta od oscura di una norma di recente entrata in vigore; complessità oggettiva della fattispecie; comportamenti di altri soggetti rilevanti e particolarmente determinanti; illegittimità derivante da declaratoria di incostituzionalità della norma applicata intervenuta successivamente all’emanazione dell’atto contestato).

Nella specie, la Cooperativa ha correttamente dedotto in primo grado come dalla sentenza di merito del TAR, confermata in appello da questo Consiglio, fossero state sottolineate le plurime illegittimità inficianti il complessivo comportamento tenuto dal Comune di Calvi nel procedimento di annullamento della concessione edilizia rilasciata molti anni addietro alla Cooperativa stessa (1994) e come dette illegittimità fossero state rese palesi dalla motivazione della sentenza, sia attraverso l’individuazione delle valutazioni palesemente viziate poste in essere dall’Amministrazione, sia attraverso l’evidenziazione dell’omessa considerazione da parte del Comune delle aspettative ingenerate in capo alla Cooperativa con il citato atto concessorio del 1994

Altrettanto correttamente il Giudice di prima istanza ha rilevato che, in presenza di un tale quadro di elementi, emergesse in maniera del tutto evidente la colpa del Comune di Calvi siccome riconducibile ad una serie di atti indicativi dell’errata complessiva condotta procedimentale tenuta dallo stesso Comune in danno dell’appellata Cooperativa. Consegue che non può non ribadirsi che è infondato anche l’esaminato secondo motivo di appello.

Infine, sono infondate anche le deduzioni svolte con il terzo ed ultimo motivo di appello di violazione dell’onere della prova e di falsa applicazione degli articoli 2697 e 2704 del codice civile) in quanto, in parte, valgono le considerazioni già espresse nel capo di motivazione che precede e, per la restante parte, è sufficiente rilevare che il documento utilizzato dal primo Giudice per la quantificazione del danno (peraltro in misura molto più ridotta della richiesta, avendo detto Giudice esclusa l’ammissibilità di alcune voci pure proposte dalla Cooperativa) è una scrittura privata non autenticata che correttamente è stata ritenuta prova valida, non rilevando la mancata autenticazione della sua sottoscrizione, siccome incontestato da controparte il contenuto dispositivo della scrittura stessa.

ESCLUSIONE DEL RISARCIMENTO DEL DANNO IN PRESENZA DI UN ERRORE SCUSABILE

Per chiedere il risarcimento del danno a causa di una presunta illegittima esclusione, bisogna ricorrere anche all’aggiudicazione definitiva; si può ravvisare l’errore scusabile qualora novità, complessità e opinabilità delle circostanze nelle quali si è trovata da operare, escludano la illiceità dell’attività della p.a.

Aver rivolto espressamente, nel ricorso introduttivo, l’impugnazione anche nei confronti dell’aggiudicazione definitiva è indice del perdurare dell’interesse della ditta esclusa a poter beneficare, nel caso di accoglimento, del risarcimento del danno anche se non della ripetizione della gara e del subentro all’aggiudicatario nella prestazione del servizio o della fornitura. Evenienza, questa, possibile, per la sola declaratoria d’illegittimità dell’esclusione, indipendentemente dal subentro o dalla ripetizione della gara alla presenza del concorrente escluso_Secondo la costante giurisprudenza di questo Consiglio, il risarcimento che consegue all’annullamento giurisdizionale implica la valutazione dell’atto che si assume illecito alla luce dei vizi che lo inficiano e della gravità delle violazioni imputabili all’Amministrazione dovendo verificarsi che l’adozione e l’esecuzione dell’atto impugnato sia avvenuta in violazione delle regole di imparzialità, di correttezza e di buona fede alle quali l’esercizio della funzione deve costantemente ispirarsi_Precetti questi che devono considerarsi osservati quando la novità, complessità e opinabilità delle circostanze nelle quali si è trovata da operare, escludano la illiceità dell’attività della p.a. E’ indubbio, nella presente fa ttispecie, che la complessità delle questioni, ancora sub judice al momento dell’emanazione del bando di gara e della conclusione dei lavori della Commissione aggiudicatrice, valgano appieno ad escludere l’ingiustificabilità e quindi l’illiceità dell’azione amministrativa

Merita di essere riportato il seguente passaggio tratto dalla decione numero 4241 dell’ 8 settembre 2008, emessa dal Consiglio di Stato

E’ noto al Collegio l’indirizzo sull’improcedibilità del ricorso avverso l’esclusione che consegue all’omessa impugnazione dell’aggiudicazione definitiva, perché solo con questa si conclude il subprocedimento di esclusione della società appellante (ex plurimis: Cons. Stato, V, 30 agosto 2006, n. 5076; IV, 22 giugno 2006, n. 3851; V, 22 novembre 2005, n. 6487; V, 6 marzo 2006 , n. 1068; sez. V, 02 settembre 2005, n. 4472; V, 7 febbraio 2002, n. 698; V, 8 aprile 1997, n. 334). Conseguenza dell’omessa l’impugnazione è l’inutilità dell’eventuale decisione di accoglimento del ricorso proposto contro l’esclusione (equiparata, per questo aspetto, all’aggiudicazione provvisoria), da cui non potrebbe derivare la rimozione dell’aggiudicazione definitiva. Una volta impugnato in via autonoma il provvedimento di esclusione dalla gara, è perciò onere del ricorrente estendere l’impugnazione agli ulteriori atti pregiudizievoli fino all’aggiudicazione definitiva (Cons. Stato, V, 02 settembre 2005, n. 4472, V, 15 settembre 2001 , n. 4820), ferma restando la facoltatività del ricorso contro l’aggiudicazione provvisoria, dato il sul carattere endoprocedimentale, riconosciuto anche dagli artt. 11 co. 4 e 12 D.Lgs. n. 163/2006).

2.3.2. In disparte l’esistenza di diverse impostazioni giurisprudenziali, nei casi in cui sia impugnato il provvedimento di esclusione dalla gara, perché l’impresa pretermessa conserva comunque l’interesse processualmente rilevante all’annullamento dell’esclusione, per richiedere, in presenza di tutti gli altri presupposti, il risarcimento del pregiudizio patrimoniale (Cons. Stato, IV, 21 gennaio 2003, n. 232; VI, 13 giugno 2005, n. 3089), osserva il Collegio che nel caso di specie il ricorso di primo grado si appunta anche contro “tutti gli atti consequenziali che fossero stato nella mora adottati (…) ed, in particolare, l’eventuale provvedimento di aggiudicazione che fosse nella more intervenuto e l’eventuale contratto che fosse stato nelle more stipulato con il controinteressato” (cfr. pag. 2 dell’atto introduttivo).>

E in merito alla domanda risarcitoria?

<Secondo la costante giurisprudenza di questo Consiglio, il risarcimento che consegue all’annullamento giurisdizionale implica la valutazione dell’atto che si assume illecito alla luce dei vizi che lo inficiano e della gravità delle violazioni imputabili all’Amministrazione (Cons. Stato, IV, 1 ottobre 2007 , n. 5052; V, 08 maggio 2007 , n. 2119), dovendo verificarsi che l’adozione e l’esecuzione dell’atto impugnato sia avvenuta in violazione delle regole di imparzialità, di correttezza e di buona fede alle quali l’esercizio della funzione deve costantemente ispirarsi (Cons. Stato, V, 06 marzo 2007, n. 1049).

5.2.2. Precetti questi che devono considerarsi osservati quando la novità, complessità e opinabilità delle circostanze nelle quali si è trovata da operare, escludano la illiceità dell’attività della p.a. (Cons. Stato, VI, 25 gennaio 2007 , n. 270). E’ indubbio, nella presente fa ttispecie, che la complessità delle questioni, ancora sub judice al momento dell’emanazione del bando di gara e della conclusione dei lavori della Commissione aggiudicatrice, valgano appieno ad escludere l’ingiustificabilità e quindi l’illiceità dell’azione amministrativa.

5.2.3. Le operazioni di gara si sono concluse il 10 agosto 2006, quasi contemporaneamente all’emanazione della sentenza n. 3241 del 21 giugno 2006 di questo Consiglio che dichiarato improcedibile l’appello nei confronti della citata sentenza del Tar della Lombardia n. 497/05, in considerazione della delibera di G.R. 18 gennaio 2006, n. VIII/1743, con la quale, in ossequio a quanto precisato nell’ordinanza della Sezione n. 2683/2005 (di rigetto dell’istanza cautelare avverso la citata sentenza del Tar), la regione aveva revocato la delibera di G.R. 16 aprile 2003, n. VII/12753 ed introdotto il criterio dell’equipollenza delle autorizzazioni rilasciate da altre Regioni a quelle degli operatori autorizzati nella Lombardia.

5.2.4. Nell’incertezza dovuta al susseguirsi di provvedimenti amministrativi e giudiziali di diverso segno e contenuto, non appare provato il comportamento illecito dell’Azienda Ospedaliera “Ospedale Fatebenefratelli e Oftalmico” di Milano e correttamente perciò, la sentenza impugnata ha respinto la domanda risarcitoria. Il Tar ha, poi rilevato che Croce Amica s.r.l. non aveva presentato domanda di equipollenza dei requisiti del proprio automezzo>

Elementi, pure indiziari, ascrivibili allo schema dell’errore scusabile

Idoneità ad attestare o ad escludere la colpevolezza dell’amministrazione dimostrando l’errore scusabile: esclusa la correttezza di ogni riferimento, pure in astratto invocabile, al livello culturale ed alle condizioni psicologiche soggettive del funzionario che ha adottato l’atto, risulta, accettabile il criterio della comprensibilità della portata precettiva della disposizione inosservata e della univocità e chiarezza della sua interpretazione, potendosi ammettere l’esenzione da colpa solo in presenza di un quadro normativo confuso e privo di chiarezza; restando, altrimenti, l’amministrazione soggetta all’inevitabile giudizio di colpevolezza nella violazione di un canone di condotta agevolmente percepibile nella sua portata vincolante

In tema di responsabilità extracontrattuale della pubblica amministrazione ex art. 2043 cc, merita di riportare il pensiero espresso dal Consiglio di Stato con la decisione numero 1346 del 20 marzo 2007:

< In tema di responsabilità dell’amministrazione per attività provvedimentale illegittima, la giurisprudenza di questa Sezione , pur dissentendo dalla ricostruzione che ha fatto applicazione dei principi che presiedono alla responsabilità contrattuale per inadempimento al fine di giustificare l’affermazione della presunzione relativa di colpa e l’ascrizione all’amministrazione dell’onere di dimostrare la propria incolpevolezza, ha già precisato come le condivisibili esigenze di semplificazione probatoria sottese a detta impostazione possono essere parimenti soddisfatte restando all’interno dei più sicuri confini dello schema e della disciplina della responsabilità aquiliana, che rivelano una maggiore coerenza della struttura e delle regole di accertamento dell’illecito extracontrattuale con i caratteri oggettivi della lesione di interessi legittimi e con le connesse esigenze di tutela, ma utilizzando, per la verifica dell’elemento soggettivo, le presunzioni semplici di cui agli artt. 2727 e 2729 c.c.

In tale ottica, il privato danneggiato, ancorchè onerato della dimostrazione della “colpa” dell’amministrazione, risulta agevolato dalla possibilità di offrire al giudice elementi indiziari – acquisibili, sia pure con i connotati normativamente previsti, con maggior facilità delle prove dirette – quali la gravità della violazione, qui valorizzata quale presunzione semplice di colpa e non come criterio di valutazione assoluto, il carattere vincolato dell’azione amministrativa giudicata, l’univocità della normativa di riferimento ed il proprio apporto partecipativo al procedimento.

Così che, acquisiti gli indici rivelatori della colpa, spetta poi all’amministrazione l’allegazione degli elementi, pure indiziari, ascrivibili allo schema dell’errore scusabile e, in definitiva, al giudice, così come, in sostanza, voluto dalla Cassazione con la sentenza n. 500/99, apprezzarne e valutarne liberamente l’idoneità ad attestare o ad escludere la colpevolezza dell’amministrazione.

Appare utile, al riguardo, riferirsi alla giurisprudenza comunitaria (Corte Giustizia C.E., 5 marzo 1996, cause riunite nn.46 e 48 del 1993; 23 maggio 1996, causa C5 del 1994) che, pur assegnando valenza pressoché decisiva alla gravità della violazione, indica, quali parametri valutativi di quel carattere, il grado di chiarezza e precisione della norma violata e la presenza di una giurisprudenza consolidata sulla questione esaminata e definita dall’amministrazione, nonché la novità di quest’ultima, riconoscendo così portata esimente all’errore di diritto, in analogia all’elaborazione della giurisprudenza penale in tema di buona fede nelle contravvenzioni.>

Cosa comporta una siffatta applicazione delle regole della responsabilità civile extracontrattuale alla pubblica amministrazione?

Il Supremo giudice amministrativo, risponde così:

<La ricostruzione appena esposta soddisfa, in particolare, al contempo,

  • le esigenze di superare l’inaccettabile equazione illegittimità dell’atto-“colpa” dell’apparato pubblico, surrettiziamente reintrodotta con la sentenza n. 500/99,

  • di valorizzare gli aspetti obiettivi della condotta antigiuridica dell’amministrazione,

  • di restituire coerenza sistematica alla regola di riparto dell’onere della prova da applicarsi nello schema di responsabilità in questione

di agevolare le parti nell’adempimento del dovere di dimostrare la colpa, in prima battuta, o la sua mancanza, negli estremi dell’esimente dell’errore scusabile>

Responsabilità della pa da attività provvedimentale

:dall’onere della prova che incombe sul privato a norma dell’art. 2697 alla limitazione al solo elemento psicologico della colpa grave, in applicazione all’articolo 2236 cc: il Consiglio di Stato muta lo scenario del rischio

Per identificare l’ errore scusabile che consente di escludere la “colpa” dell’apparato amministrativo appare utile riferirsi alla giurisprudenza comunitaria che, pur assegnando valenza pressoché decisiva alla gravità della violazione, indica, quali parametri valutativi: il grado di chiarezza e precisione della norma violata e la presenza di una giurisprudenza consolidata sulla questione esaminata e definita dall’amministrazione, nonché la novità di quest’ultima, riconoscendo così portata esimente all’errore di diritto

La prima fattispecie viene sottoposta prima al Tar Sardegna (432/2004) e poi al Consiglio di Stato (152/2005) ed in entrambi i giudizi vengono ribaditi e seguenti concetti:

  • applicabilità dell’articolo 2043 alla pa

art. 2043 – dei fatti illeciti

<Qualunque fatto doloso o colposo che cagiona ad altri un danno ingiusto, obbliga colui che ha commesso il fatto a risarcire il danno>

  • obbligo da parte del danneggiato di dimostrare tutti gli elementi costitutivi il fatto illecito a norma dell’ articolo 2697 cc

art 2697 – onere della prova

<Chi vuol far valere un diritto in giudizio deve provare i fatti che ne costituiscono il fondamento.

Chi eccepisce l’inefficacia di tali fatti ovvero eccepisce che il diritto si è modificato o estinto deve provare i fatti su cui l’eccezione si fonda>

Da TAR Sardegna, Sez. I, n. 432 del 23 marzo 2004.

<(…)

La domanda risarcitoria va, invece, respinta.

In base alla regola generale racchiusa nell’art. 2697 cod. civ. (operante, in questa parte, anche nel processo amministrativo), il danneggiato ha l’onere di provare tutti gli elementi costitutivi (entità del danno, nesso di causalità, colpa) del fatto illecito addebitato alla pubblica amministrazione (cfr. da ultimo, Cons. Stato 19/11/2003 n°7473).

Nel caso di specie la ricorrente si è semplicemente limitata ad allegare di aver subito danni dal comportamento dell’amministrazione, ma ha omesso di provarne sia l’effettiva sussistenza, sia l’entità

Quanto alla colpa, non solo l’istante non ha fornito alcuna prova dell’esistenza di siffatto elemento soggettivo, ma non ne ha nemmeno adombrato l’esistenza.

La domanda è dunque del tutto generica ed indimostrata.>

Confermata da Consiglio di Stato, sezione V, decisione numero 152 del 25 gennaio 2005

<(…)

Parimenti infondata è l’ulteriore doglianza con la quale l’appellante sostiene:

a) che, per la quantificazione dei danni, sarebbe stato sufficiente fare applicazione dei criteri di elaborazione giurisprudenziale i quali consentono di integrare, ai fini di prova, i dati che la parte interessata può realisticamente fornire;

b) che nessuno dubbio poteva sussistere circa il nesso di causalità, in quanto la gara non le era stata aggiudicata a causa degli atti annullati;

c) che, in ordine alla colpa, l’onere della prova poteva considerarsi assolto, proprio alla stregua della richiamata decisione n. 7473/2003 (C.d.S. Sez. VI), secondo cui “… la colpa dell’amministrazione può essere ragionevolmente presunta alla luce di indici significativi, quali la accertata illegittimità dell’atto amministrativo”.

In proposito può, infatti, osservarsi come, a prescindere da ogni considerazione in ordine a quanto dedotto ai punti a) e b) – non senza, però precisare, che il precedente invocato (C.d.S., Sez. IV, n. 6666 del 2003) a sostegno della tesi di cui al punto a) non è in termini, in quanto nella cit. dec. la Sezione ha ritenuto di avvalersi della facoltà prevista dall’art. 35, secondo comma, d.lvo n. 80 del 1998, limitandosi a fissare all’amministrazione i criteri per la liquidazione del danno – nella specie, appare insuperabile l’argomentazione del TAR, il quale ha giustamente osservato che “non solo l’istante non ha fornito alcuna prova dell’esistenza di siffatto elemento soggettivo, ma non ne ha nemmeno adombrato l’esistenza”, omettendo, quindi, di allegare una componente essenziale della fattispecie della responsabilità aquiliana ex art. 2043 c.c..>

Ma non è tutto qui.

Il consiglio di stato, Sez. V, con la decisione numero 32 del 10 gennaio 2005 ci segnala quali sono gli elementi per la dimostrazione della colpa della pa (“La Suprema Corte di Cassazione, Sezioni Unite n. 500/99 chiarisce, innanzitutto, che l’indagine riservata al giudice deve riferirsi alla pubblica amministrazione come apparato impersonale e non al funzionario che ha adottato l’atto illegittimo”)

< (…) il privato danneggiato, ancorchè onerato della dimostrazione della “colpa” dell’amministrazione, risulta agevolato dalla possibilità di offrire al giudice elementi indiziari – acquisibili, sia pure con i connotati normativamente previsti, con maggior facilità delle prove dirette – quali la gravità della violazione, qui valorizzata quale presunzione semplice di colpa e non come criterio di valutazione assoluto, il carattere vincolato dell’azione amministrativa giudicata, l’univocità della normativa di riferimento ed il proprio apporto partecipativo al procedimento. (…)>

ma non solo;ci fornisce ulteriori elementi di riflessione sul concetto di <errore scusabile> che, se accerato, concorre all’esclusione della colpa grave nell’operato della pa:

< Così che, acquisiti gli indici rivelatori della colpa, spetta poi all’amministrazione l’allegazione degli elementi, pure indiziari, ascrivibili allo schema dell’errore scusabile e, in definitiva, al giudice, così come, in sostanza, voluto dalla Cassazione con la sentenza n. 500/99, apprezzarne e valutarne liberamente l’idoneità ad attestare o ad escludere la colpevolezza dell’amministrazione.

La rilevata semplificazione dell’onere probatorio, a carico e a discarico, appena descritta impone, quindi, di definire i caratteri che devono possedere gli elementi addotti a propria discolpa dalla pubblica amministrazione, a fronte della produzione degli indizi a suo carico, perché la situazione allegata integri gli estremi dell’errore scusabile e consenta, perciò, di escludere la “colpa” dell’apparato amministrativo.

Appare utile, al riguardo, riferirsi alla giurisprudenza comunitaria (Corte Giustizia C.E., 5 marzo 1996, cause riunite nn.46 e 48 del 1993; 23 maggio 1996, causa C5 del 1994) che, pur assegnando valenza pressoché decisiva alla gravità della violazione, indica, quali parametri valutativi di quel carattere, il grado di chiarezza e precisione della norma violata e la presenza di una giurisprudenza consolidata sulla questione esaminata e definita dall’amministrazione, nonché la novità di quest’ultima, riconoscendo così portata esimente all’errore di diritto, in analogia all’elaborazione della giurisprudenza penale in tema di buona fede nelle contravvenzioni.

Esclusa la correttezza di ogni riferimento, pure in astratto invocabile, al livello culturale ed alle condizioni psicologiche soggettive del funzionario che ha adottato l’atto, risulta, in proposito, accettabile il criterio della comprensibilità della portata precettiva della disposizione inosservata e della univocità e chiarezza della sua interpretazione, potendosi ammettere l’esenzione da colpa solo in presenza di un quadro normativo confuso e privo di chiarezza; restando, altrimenti, l’amministrazione soggetta all’inevitabile giudizio di colpevolezza nella violazione di un canone di condotta agevolmente percepibile nella sua portata vincolante.

Così come appaiono condivisibili i riferimenti, da più parti suggeriti, al criterio di imputazione soggettiva della responsabilità del professionista di cui all’art. 2236 c.c. che, riconnettendo il grado di colpevolezza richiesto per la costituzione dell’obbligazione risarcitoria alla difficoltà dei problemi tecnici affrontati nell’esecuzione dell’opera, introduce un parametro di ascrizione del danno che tiene conto del grado di complessità delle questioni implicate dall’esecuzione della prestazione e che attenua la responsabilità del prestatore d’opera quando il livello di difficoltà risulti rilevante.

La medesima ratio sottesa alla richiamata disposizione civilistica può, infatti, ravvisarsi nelle fattispecie nelle quali la situazione di fatto esaminata dal funzionario comporta la risoluzione di problemi tecnici particolarmente rilevanti ed in cui, in definitiva, l’accertamento dei presupposti di fatto dell’azione amministrativa implica valutazioni scientifiche complesse o verifiche difficoltose della realtà fattuale.

A fronte, infatti, di una situazione connotata da apprezzabili profili di complessità, può, in particolare, ritenersi giustificata, in analogia con la disciplina della responsabilità del prestatore d’opera intellettuale, un’attenuazione di quella dell’amministrazione che la circoscriva alle sole ipotesi di colpa grave.

La ricostruzione appena esposta soddisfa, in particolare, al contempo, le esigenze di superare l’inaccettabile equazione illegittimità dell’atto-“colpa” dell’apparato pubblico, surrettiziamente reintrodotta con la sentenza n. 500/99, di valorizzare gli aspetti obiettivi della condotta antigiuridica dell’amministrazione, di restituire coerenza sistematica alla regola di riparto dell’onere della prova da applicarsi nello schema di responsabilità in questione e, in definitiva, di agevolare le parti nell’adempimento del dovere di dimostrare la colpa, in prima battuta, o la sua mancanza, negli estremi dell’esimente dell’errore scusabile.>

L’errore scusabile è istituto di generalissima applicazione nel sistema della giustizia amministrativa

, volto a garantire l’effettività della tutela giurisdizionale, ed è quindi suscettibile di trovare applicazione sia quando siano ravvisabili situazioni di obiettiva incertezza normativa, connesse a difficoltà interpretative o ad oscillazioni giurisprudenziali, sia quando si sia di fronte a comportamenti, indicazioni o avvertenze fuorvianti provenienti dalla medesima amministrazione, da cui possa conseguire difficoltà nella domanda di giustizia ed un’effettiva diminuzione della tutela giustiziale

Il Consiglio di Stato con la decisione numero 3046 del 23 maggio 2006 che si occupa di problematiche di procedura, non considera un errore scusabile per un’impresa:

< Nessuna di queste circostanze è riscontrabile nel caso di specie.

L’appellante assume, infatti, che dall’esame della bolletta dell’UNEP della Corte d’appello di Milano emergerebbe che l’atto notificato sia stato scaricato per la successiva resa alla parte richiedente solo in data 8 marzo 2005, ovvero il quattordicesimo giorno successivo alla sua notificazione, ciò che avrebbe reso impossibile il ritiro del medesimo nel termine di legge; l’atto, infatti, sarebbe stato disponibile per la resa solo a partire dall’11 marzo 2005, data in cui sarebbe stato materialmente possibile provvedere al ritiro dello stesso.

Sennonché, l’8 marzo 2005 era martedì (ed era il tredicesimo giorno dalla notificazione, dovendosi fare riferimento all’ultima delle notificazioni, operata, nella specie, nei confronti del controinteressato); sicché non è dato comprendere il motivo per cui il ritiro dell’atto sarebbe stato possibile solo a partire dal successivo giorno 11 (venerdì) e non nei giorni precedenti e per quale motivo non sia stato possibile operare il deposito del ricorso stesso in quei medesimi giorni; e ciò non senza considerare, comunque, e a tutto concedere, che, se pure dovesse convenirsi, in astratta ipotesi, con l’appellante nel ritenere che prima del giorno 11 marzo 2005 non sarebbe stato possibile operare il deposito del ricorso, non di meno tale deposito ben avrebbe potuto e dovuto avvenire (nel rispetto dei principi di celerità fatti propri dal ripetuto art. 23 bis) nel più breve dei termini decorrenti da tale data, mentre, nella specie, il deposito è avvenuto dopo altri dodici giorni>

Speciali meccanismi processuali di cui all’art. 4 della legge n. 205/2000: non esiste la possibilità di appellarsi all’errore scusabile in caso di legge emessa da due anni e quotidianamente “usata”

Applicabile a provvedimenti a valenza pubblicistica (anche se adottati da stazioni appaltanti di natura giuridica non pubblica in senso stretto) in materia di opere pubbliche e di lavori pubblici (servizi e forniture)

Così nelle massime ufficiali del Consiglio di Stato, sez. IV, 18 ottobre 2002, n. 5696

L’evidente ed assoluta eccezionalità della disciplina di cui all’art. 4, legge n. 205/2000, (congiunta al palese intento acceleratorio di tutto l’impianto della legge stessa) impedisce di estendere la portata della norma in esame (che dimezza tutti i termini processuali tranne quelli per la proposizione del ricorso) al di là di quanto emerge da un’esegesi rigorosamente letterale della disposizione stessa, mentre neppure può ipotizzarsi un errore scusabile, trattandosi di una legge vigente ormai da quasi due anni e fatta oggetto di applicazione quotidiana.

L’art. 4 della legge n. 205/2000 (entrata in vigore il 10 agosto 2000) ha inserito un art. 23-bis nella legge n. 1034/1971, predisponendo speciali meccanismi processuali (di strettissima interpretazione ed operanti in un giudizio amministrativo abbreviato, che non ricomprende quello dinanzi a quel giudice amministrativo speciale che è il Tribunale Superiore delle Acque Pubbliche né quello ordinario, né quello arbitrale, né quello che si svolge in Cassazione per motivi di giurisdizione, né quello in Corte Costituzionale o Europea, né quello riconducibile al ricorso straordinario o amministrativo in genere e non deve confondersi con il giudizio immediato, genericamente previsto dall’art. 9, legge in commento, che ha introdotto il nuovo art. 26 nella legge n. 1034/1971) per i ricorsi aventi ad oggetto i provvedimenti (autoritativi, con implicita ma sicura esclusione degli atti paritetici) emessi da pubbliche amministrazioni o da concessionari (dopo la legge n. 109/1994 non più qualificabili come organi indiretti delle prime) di cui al n. 1, lettere a) – b) – c) – d) -e) – f) – g), del medesimo articolo. Si tratta essenzialmente di provvedimenti (uno solo dei quali, in caso di connessione, basterebbe a spiegare un effetto cumulativo) a valenza pubblicistica (anche se adottati da stazioni appaltanti di natura giuridica non pubblica in senso stretto) in materia di opere pubbliche e di lavori pubblici (servizi e forniture), nonchè di quelli emanati da tutte le autorità amministrative indipendenti (la cui concreta individuazione il legislatore ha correttamente lasciato all’interprete), di quelli pertinenti a privatizzazioni o dismissioni di imprese o beni pubblici come pure a costituzioni, modificazioni o soppressioni di società, aziende o istituzioni ex art. 22, legge n. 142/90, ora trasfuso negli artt. 112 e segg., d.lgs. n. 267/2000. Altrettanto deve dirsi per i provvedimenti di nomina (ivi compresi quelli di annullamento, modificazione od integrazione degli stessi) governativa di cui alla legge n. 400/1988 (artt. 3 ed 11, II co.), nonchè per quelli di scioglimento di (recte: “organi degli”) enti locali o riguardanti la formazione o il funzionamento di organi (considerati, dunque, operativi) degli stessi. Tutti i termini processuali in proposito ordinariamente previsti risultano (per i ricorsi instaurati a far tempo dal 10 agosto 2000 -e, dunque, data la sospensione feriale, inapplicabile solo alle vicende cautelari, di fatto dal 16 settembre 2000- o comunque pendenti a tale data) in questi casi ridotti alla metà, esclusi quelli relativi alla proposizione del ricorso (ma non alla riproposizione dello stesso dinanzi al TAR individuato previa adesione a regolamento di competenza, né -tantomeno- alle fasi successive): e qui la legge, usando il plurale, impone di ritenere che debbano essere (nonostante il settimo comma della norma, per l’appello, parli al singolare di un termine per la proposizione, così presumibilmente riferendolo alla sola notificazione) i due concernenti la proposizione del gravame principale da parte del ricorrente, vale a dire, di regola (ma lo stesso dovrebbe ritenersi per altri ricorsi analoghi, per i quali siano previsti termini differenti e cioè più lunghi o più brevi) sessanta giorni per la notificazione e trenta giorni per il deposito del ricorso. Risulta così ripristinato il dimezzato termine di cui all’art. 19, D.L. n. 67/1997, che peraltro manteneva inalterati quelli per la proposizione del ricorso, al contrario di quanto previsto nel nuovo caso di giurisdizione esclusiva amministrativa di cui all’art. 4, settimo comma, legge n. 109/1994, come novellato dalla legge Merloni-ter, n. 415/1998, in materia di provvedimenti sanzionatori dell’Autorità per la vigilanza sui lavori pubblici, che ha invece dimezzato solo il termine per la proposizione del gravame. Infine, i nuovi termini soggiacciono alla (non dimezzata) sospensione feriale e si applicano anche ai giudizi in corso, ma non quando la loro decorrenza sia iniziata prima del 10 agosto 2000. Orbene, l’evidente ed assoluta eccezionalità della citata disciplina, (congiunta al palese intento acceleratorio di tutto l’impianto della legge n. 205/2000) impedisce di estendere la portata della norma in esame al di là di quanto emerge da un’esegesi rigorosamente letterale della disposizione stessa, che ben a ragione è stata dunque interpretata in termini restrittivi dai primi giudici, mentre neppure può ipotizzarsi l’invocato errore scusabile, trattandosi di una legge vigente ormai da quasi due anni e fatta oggetto di applicazione quotidiana.

In tema di responsabilità civile extracontrattuale della pa è compito dell ’amministrazione dimostrare che si è trattato di un errore scusabile

Tale errore è configurabile in caso di contrasti giurisprudenziali sull’interpretazione di una norma, di formulazione incerta di norme da poco entrate in vigore, di rilevante complessità del fatto, di influenza determinante di comportamenti di altri soggetti, di illegittimità derivante da una successiva dichiarazione di incostituzionalità della norma applicata: si deve, peraltro, tenere presente che molte delle questioni rilevanti ai fini della scusabilità dell’errore sono questioni di interpretazione ed applicazione delle norme giuridiche, inerenti la difficoltà interpretativa che ha causato la violazione; in simili casi il profilo probatorio resta in larga parte assorbito dalla questio iuris, che il giudice risolve autonomamente con i propri strumenti di cognizione in base al principio iura novit curia

La decisone numero 6680 del 9 novembre 2006 emessa dal Consiglio di Stato merita di essere segnalata innanzitutto per l’interessante distinzione in essa contenuta fra elementi soggetti ed oggettivi dell’illecito extracontrattuale in capo alla pa:

Con riguardo alla responsabilità della pubblica amministrazione per i danni causati dall’esercizio illegittimo dell’attività amministrativa, questa Sezione ha già aderito a quell’orientamento favorevole a restare all’interno dei più sicuri confini dello schema e della disciplina della responsabilità aquiliana, che rivelano una maggiore coerenza della struttura e delle regole di accertamento dell’illecito extracontrattuale con i caratteri oggettivi della lesione di interessi legittimi e con le connesse esigenze di tutela

Sotto il profilo dell’elemento oggettivo, è evidente che il danno, consistente nella mancata aggiudicazione dell’appalto, costituisce una diretta conseguenza dell’illegittimità accertata, in quanto in assenza dell’(illegittimo) giudizio negativo sulla congruità delle giustificazioni presentate in sede di verifica dell’anomalia, la ricorrente (prima classificata) si sarebbe aggiudicata l’appalto>

Mentre per quanto concerne gli elementi soggettivi:

< Per quanto concerne, l’elemento soggettivo, sulla base dei richiamati precedenti giurisprudenziali, va ribadito che non è comunque richiesto al privato danneggiato da un provvedimento amministrativo illegittimo un particolare sforzo probatorio per dimostrare la colpa della p.a.. Infatti, pur non essendo configurabile, in mancanza di una espressa previsione normativa, una generalizzata presunzione (relativa) di colpa dell’amministrazione per i danni conseguenti ad un atto illegittimo o comunque ad una violazione delle regole, possono invece operare regole di comune esperienza e la presunzione semplice, di cui all’art. 2727 c.c., desunta dalla singola fattispecie.

Il privato danneggiato può, quindi, invocare l’illegittimità del provvedimento quale indice presuntivo della colpa o anche allegare circostanze ulteriori, idonee a dimostrare che si è trattato di un errore non scusabile.

Spetterà a quel punto all’amministrazione dimostrare che si è trattato di un errore scusabile, configurabile in caso di contrasti giurisprudenziali sull’interpretazione di una norma, di formulazione incerta di norme da poco entrate in vigore, di rilevante complessità del fatto, di influenza determinante di comportamenti di altri soggetti, di illegittimità derivante da una successiva dichiarazione di incostituzionalità della norma applicata.

Si deve, peraltro, tenere presente che molte delle questioni rilevanti ai fini della scusabilità dell’errore sono questioni di interpretazione ed applicazione delle norme giuridiche, inerenti la difficoltà interpretativa che ha causato la violazione; in simili casi il profilo probatorio resta in larga parte assorbito dalla questio iuris, che il giudice risolve autonomamente con i propri strumenti di cognizione in base al principio iura novit curia.

Spetta, quindi, al giudice valutare, in relazione ad ogni singola fattispecie, la presunzione relativa di colpa, che spetta poi all’amministrazione vincere; inoltre, in assenza di discrezionalità o in presenza di margini ridotti di essa, le presunzioni semplici di colpevolezza saranno più facilmente configurabili, mentre in presenza di ampi poteri discrezionali ed in assenza di specifici elementi presuntivi, sarà necessario uno sforzo probatorio ulteriore, gravante sul danneggiato, che potrà ad esempio allegare la mancata valutazione degli apporti resi nella fase partecipativa del procedimento o che avrebbe potuto rendere se la partecipazione non è stata consentita.>

Relativamente inoltre alla quantificazione del danno, i giudici di Palazzo Spada sottolineano che:

< la giurisprudenza ha anche precisato che il danno derivante ad una impresa dal mancato affidamento di un appalto è quantificabile nella misura dell’utile non conseguito, solo se e in quanto l’impresa possa documentare di non aver potuto utilizzare mezzi e maestranze, lasciati disponibili, per l’espletamento di altri servizi, mentre quando tale dimostrazione non sia stata offerta (come nel caso di specie) è da ritenere che l’impresa possa avere ragionevolmente riutilizzato mezzi e manodopera per lo svolgimento di altri, analoghi servizi, così vedendo in parte ridotta la propria perdita di utilità, con conseguente riduzione in via equitativa del danno risarcibile>

Riportiamo qui di seguito il testo integrale della decisione numero 14 del 10 gennaio 2012 pronunciata dal Consiglio di Stato.

Sentenza collegata

36594-1.pdf 180kB

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Lazzini Sonia

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