La disciplina applicabile alle criptovalute

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SOMMARIO: 1.Introduzione; 2. Il funzionamento di blockchain e bitcoin;3. Criptomoneta come moneta;4. Criptomoneta come prodotto finanziario;5. I rischi connessi alle valute virtuali;6. Quale disciplina applicare alle criptomonete?; 6.1 La registrazione in Italia dei prestatori di servizi relativi all’utilizzo di valute virtuale;7. Altri modelli di regolamentazione.

 

  1. Introduzione

L’utilizzo delle criptovalute è strettamente connesso all’utilizzo della tecnologia “blockchain”, che è la prima delle sue applicazioni. Essa si basa su un sistema informatico che permette il trasferimento di moneta tra portafogli digitali c.d. e-wallet, attraverso un sistema distribuito c.d. peer to peer e basato sulla crittografia asimmetrica.

La moneta virtuale più conosciuta è il bitcoin, divenuto nel corso del tempo un diffuso sistema di pagamento alternativo a quello tradizionale.

L’invenzione della blockchain si deve a Satoshi Nakamoto, pseudonimo che venne usato per la prima volta per firmare un articolo[1] apparso il 31 ottobre 2008 in cui veniva descritta una nuova tecnologia, che avrebbe consentito di evitare il ricorrere alle istituzioni bancarie per effettuare scambi di denaro.

La prima transazione in bitcoins avvenne il 12 gennaio 2009, e da quel momento – sulla scia della sfiducia nei confronti delle istituzioni – ha avuto una enorme crescita.

 

  1. Il funzionamento di blockchain e bitcoin

La blockchain c.d. “catena di blocchi” consente lo scambio di valori senza forme di controllo centralizzate, assicurando la certezza della valuta virtuale.

Essa utilizza la tecnologia del sistema distribuito dove le informazioni sono replicate in una serie di computers detti “nodi” in una posizione di parità.

Si utilizza, infatti, il termine blockchain, in quanto le transazioni vengono ordinate in modo cronologico, attraverso la suddivisione in “blocchi”, univocamente identificati con una stringa alfanumerica c.d. “hash”, che include anche l’”hash” del blocco precedente, fino a costituire una catena di blocchi.

Alla luce di tale processo, appare evidente che qualsiasi tentativo di frode è particolarmente difficile da porre in essere, poiché la modifica di ogni “hash” spezzerebbe la catena, causando il mutamento degli “hash” successivi. Pertanto, sarebbe evidente il contrasto con le altre copie presenti nei restanti noti, c.d. network.

Si può parlare quindi di una “immutabilità unilaterale” della blockchain, la cui fiducia viene posta unicamente in un network di utenti[2].

La blockchain utilizza, altresì, la tecnologia della crittografia asimmetrica, al fine di inserire dati decriptabili solo da chi è in possesso della chiave privata[3]. Tale processo consente di mantenere inalterata la trasparenza della blockchain.

In bitcoin – la moneta virtuale più conosciuta – è possibile trasferire attraverso un portafoglio virtuale c.d. e-wallet moneta virtuale. L’account è visibile all’esterno con una serie di numeri e lettere disposti in modo casuale.

Il protocollo ripercorre le operazioni effettuate e verifica se è presente nel portafoglio un ammontare di bitcoin tale da consentire il perfezionamento dell’operazione.

In caso di esito positivo, la catena si allunga con l’inclusione – in un nuovo blocco parimente replicato tra i nodi – il passaggio di valuta effettuato.

Coloro che provvedono all’inserimento di nuovi blocchi sono detti “miners”, i quali in competizione tra loro cercano di risolvere un quesito matematico trovando un “hash”, composto da un numero di zeri nella parte iniziale. Colui che riesce a risolvere il quesito per primo è legittimato ad inserire un nuovo blocco e a ricevere, altresì, una ricompensa[4].

Per “conquistare” il sistema sarebbe necessario avere il controllo del 50% più uno dei nodi, tuttavia è sostanzialmente impossibile sia per l’ampiezza dei bitcoin sia per i costi connessi[5].

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  1. Criptomoneta come moneta

La valuta virtuale viene spesso associata alla moneta elettronica in virtù del medesimo utilizzo quale mezzo di pagamento di merci o servizi[6].

La definizione di moneta elettronica è stata indicata dalla direttiva Europea 2009/110/CE attuata in Italia con il D.Lgs. 16 aprile 2012 n. 45, quale “il valore monetario memorizzato elettronicamente, ivi inclusa la memorizzazione magnetica, rappresentato da un credito nei confronti dell’emittente che sia emesso dietro ricevimento di fondi per effettuare operazioni di pagamento […] e che sia accettato da persone fisiche o giuridiche diverse dall’emittente di moneta elettronica”.

Alla luce di tale definizione emergono delle analogie con la valuta virtuale, ossia il carattere dematerializzato, la presenza di una serie di bit memorizzati su un supporto elettronico, l’utilizzo delle stesse per effettuare acquisti.

Tuttavia, la differenza sostanziale è data dal fatto che la valuta virtuale non ha corso legale nello Stato, pertanto la sua emissione non avviene da parte di emittenti riconosciuti e controllati dalle banche centrali nazionali[7].

Tenuto conto che non è possibile equiparare le valute virtuali alla moneta elettronica, tale circostanza non impedisce di considerare lecito l’acquisto, l’utilizzo e accettazione in pagamento di valute virtuali, in quanto le parti sono libere di obbligarsi come ritengono più opportuno. Tale processo si chiama  principio consensualistico, secondo cui “l’adempimento, che consiste nella prestazione dovuta dalla quale consegue l’estinzione dell’obbligazione e quindi la definitiva liberazione del debitore dal vincolo obbligatorio che lo lega al creditore, deve intendersi quale esatto adempimento nel senso di prestazione esattamente eseguita tanto nella sua quantità e che nella sua qualità-identità[8].

In questa prospettiva la funzione della valuta virtuale è la medesima della moneta, ossia mezzo di scambio, seppur sia emessa e accettata su base consensualistica e non legale.

Occorre evidenziare che l’Opinione dell’Autorità Bancaria Europea del luglio 2014[9] e la comunicazione di Banca d’Italia del gennaio 2015[10] hanno chiarito che l’acquisto e l’utilizzo delle valute virtuali è considerato una attività lecita, in quanto le parti sono libere di obbligarsi e corrispondere somme non aventi corso legale.

Al riguardo è opportuno citare una sentenza della Corte Europea circa l’obbligo di versare l’IVA in caso di prestazione di servizi di cambio bitcoin/valuta tradizionale[11]. Tale sentenza ha chiarito che la valuta virtuale non è assimilabile alla moneta legale, seppur abbia la medesima finalità di mezzo di pagamento.

Infine, è da sottolineare la direttiva UE 2018/243 del Parlamento Europeo e del Consiglio del 30 maggio 2018, di modifica della direttiva UE 2015/849 in materia di antiriciclaggio c.d. V Direttiva AML, la quale ha fornito una definizione di valuta virtuale, ossia “una rappresentazione di valore digitale che non è emessa o garantita da una banca centrale o da un ente pubblico, non è necessariamente legata a una valuta legalmente istituita, non possiede lo status giuridico di valuta o moneta, ma è accettata da persone fisiche e giuridiche come mezzo di scambio e può essere trasferita, memorizzata e scambiata elettronicamente[12].

  1. Criptomoneta come prodotto finanziario

Parte della dottrina ritiene che la valuta virtuale sia da includere nel novero dei c.d. strumenti finanziari.

Effettivamente, le valute virtuali in relazione alla loro volatilità possono essere considerate una tipologia di investimento speculativo.

Tuttavia, l’art. 1, comma 2 del D.Lgs. 58/1998 (c.d. T.U.F.) indica con un apposito elenco gli strumenti finanziari, da cui sono escluse le valute virtuali.

Sembrerebbe, invece, compatibile una associazione con la definizione di prodotto finanziario, di cui all’art. 1, comma 1, lett. u) del T.U.F., che comprende – oltre agli strumenti finanziari – anche l’ampia nozione di “ogni altra forma di investimento di natura finanziaria”.

Una parte della dottrina, cui si associano alcune comunicazioni della Consob[13],sostiene che le “altre forme di investimento” ricomprenderebbero “ogni strumento che sia idoneo alla raccolta del risparmio, comunque denominato o rappresentato, purché rappresentativo di un impego di capitale[14].

La Consob – riassumendo differenti delibere[15] della stessa autorità aventi ad oggetto società offerenti criptovalute – ha chiarito che per definire un’attività quale investimento devono ricorrere l’impiego di capitale, un’aspettativa di rendimento di natura finanziaria, l’assunzione del rischio connesso all’impiego del capitale.

Tutti elementi che ricorrono congiuntamente nel caso di utilizzo della valuta virtuale a fini speculativi.

  1. I rischi connessi alle valute virtuali

L’utilizzo delle valute virtuali può esporre l’utente a numerosi rischi.

In prima battuta occorre evidenziare l’anonimato che caratterizza la blockchain, o pseudo anonimato[16]. Nelle blockchain classiche il soggetto che si procura un e-wallet non viene pre-identificato. Pertanto, non è possibile dimostrare la titolarità del conto, ma si può solo presumere in quanto il medesimo risulta il possesso della chiave privata che legittima al compimento di atti di disposizione.

Secondariamente, l’assenza di un ente che protegge il valore della criptomoneta – soggetta a mutamenti in base alla legge della domanda e dell’offerta – è caratterizzata da una estrema volatilità. Inoltre, tenuto conto che la struttura su cui si poggiano le operazioni sulla blockchain sono del tutto decentralizzate, non è presente un soggetto cui imputare l’emissione di criptovalute, e di conseguenza non è possibile individuare intermediari responsabili contro cui muovere azioni legali[17]. Infatti, coloro che ad oggi si addentrano nel modo delle criptovalute rinunciano ai presidi normativi, che, invece, sussistono per gli utenti che utilizzano servizi di pagamento e moneta elettronica.

Infine, tenuto conto che le operazioni poste in essere sulla blockchain sono irreversibili, non è possibile ripetere quanto traferito, nell’eventualità in cui l’operazione sia stata effettuata per errore o per frode, e neppure esperire pignoramento o sequestro[18].

In relazione a quanto esposto, occorre evidenziare che l’EBA nel suo parere del 2014 ha indicato alcuni dei rischi connessi all’utilizzo del sistema delle valute virtuali, tra cui l’assenza di tutela per il consumatore, il pericolo di instabilità finanziaria, l’incentivo per il mercato nero e per il riciclaggio di denaro, favorito dal carattere distributivo della tecnologia e dall’anonimato. Tali rischi sono stati recepiti anche del Parlamento Europeo con la risoluzione 2016/2007 del 26 maggio 2016[19].

Il Parlamento Europeo, infatti, ha suggerito di rendere applicabile anche alle valute virtuali la normativa europea principale in materia finanziaria[20] e a rivedere la disciplina europea sui pagamenti, tenuto conto delle nuove tecnologie.

Con la successiva risoluzione 2016/2243 del 17 maggio 2017 il Parlamento europeo ha invitato la Commissione europea a monitorare il fenomeno e a predisporre una relazione illustrativa.

Il 1° febbraio 2018 la Commissione europea ha avviato the EU Blockchain Observatory and Forum, al fine di individuare le iniziative esistenti, monitorare gli sviluppi e determinare eventuali problemi connessi.

  1. Quale disciplina applicare alle criptomonete?

L’utente può procurarsi criptomonete convertendo moneta avente corso legale in valore digitale da operatori preposto c.d. exchange[21] oppure acquistandola da un altro utente.

La diffusione dell’utilizzo delle criptomonete ha comportato la nascita di nuove figure professionali che, ad oggi, non sono assoggettate a nessuna normativa di settore.

Come detto nei paragrafi precedenti, la criptomoneta viene definita come moneta – seppur non avente corso legale – oppure come prodotto finanziario acquistato e venduto a scopo di investimento.

Nel caso in cui la criptomoneta viene considerata come mezzo di pagamento è stato chiarito nei precedenti paragrafi che non è assimilabile alla moneta elettronica, di conseguenza non è applicabile la direttiva 110/2009/CE c.d. Direttiva EMD2, attuata in Italia con il D.Lgs. 45/2012.

Alla valuta virtuale intesa come mezzo di pagamento non risulta applicabile neppure la Direttiva UE 2015/2366 del 25 novembre 2015 sui servizi di pagamento, in quanto quest’ultima indica una lista tassativa di attività commerciali, in cui non rientrano quelle svolte dai prestatori di servizi di moneta virtuale, poiché la direttiva in argomento individua un sistema intermediato da banche o altri soggetti autorizzati e basati su monete con corso legale.

Nel caso in cui, invece, si procede all’offerta di criptomoneta come prodotto finanziario – ossia nel caso di exchanges, che non si limitano a scambiare moneta avente corso legale con criptomoneta, ma danno luogo a forme di vendita/acquisto di moneta virtuale a fini speculativi – sembrerebbe che ci siano delle discipline applicabili.

In particolare, il codice del consumo D.Lgs. 6 settembre 2005 n. 206 nella sezione IV bis “Commercializzazione a distanza di servizi finanziari ai consumatori”, che all’art. 67-ter definisce un servizio finanziario come “un qualsiasi servizio di natura […] di investimento” sembrerebbe poter ricomprendere anche la vendita di criptomonete.

A tal riguardo è opportuno evidenziare la sentenza della Seconda Sezione civile del Tribunale di Verona, n. 195 del 24 gennaio 2017, che ha riconosciuto la nullità di un contratto di acquisto di criptomoneta posto in essere con una società promotrice finanziaria di una piattaforma crowfunding. Il giudice ha qualificato l’acquisto di criptomonete come erogazione di servizi finanziari ai consumatori e ha, altresì, previsto l’applicazione degli artt. 67 quater e ss. del D.Lgs. 6 settembre 2005 n. 206, relativi agli obblighi di informativa precontrattuale in favore del consumatore.

Inoltre, il giudice nella sopra menzionata sentenza ha stabilito che sono applicabili le disposizioni della parte IV, Titolo II, Capo I, Sez. I del T.U.F., “offerta al pubblico di strumenti finanziari comunitari e di prodotti finanziari diversi dalle quote o azioni di Oirc aperti”, che disciplina la predisposizione di un prospetto informativo da sottoporre alla Consob.

Infine, occorre evidenziare che la V Direttiva AML ha sottoposto agli obblighi antiriciclaggio sia i prestatori di cambio valute virtuali/valute averti corso legale che i prestatori di servizi di portafoglio digitale.

Tenuto conto che gli utenti non sono sempre tutelati dall’anonimato nelle operazioni, si è ritenuto opportuno procedere alla registrazione degli operatori, al fine di garantire una prima forma di controllo.

A tal riguardo l’Italia ha applicato tali disposizioni con il D.Lgs. 90/2017, il quale ha modificato il D.Lgs. 231/2007 nonché il D.Lgs. 141/2010, in materia di contratti di credito ai consumatori.

6.1 La registrazione in Italia dei prestatori di servizi relativi all’utilizzo di valute virtuale

In prima battuta occorre evidenziare che l’art. 1, comma 2, lett. ff) del D.Lgs. 231/2007 definisce i prestatori di servizi relativi all’utilizzo di valute virtuali come “ogni persona fisica o giuridica che fornisce a terzi, a titolo professionale, servizi funzionali all’utilizzo, allo scambio, alla conservazione di valuta virtuale e alla loro conversione da ovvero in valute aventi corso legale”.

In secondo luogo, come sopra esposto, è da rilevare che il D.Lgs. 25 maggio 2017, n. 90 ha modificato l’art. 17 bis, del D.Lgs. 141/2010, il quale dispone l’istituzione ad opera dell’OAM, Organismo degli agenti in attività finanziaria e dei mediatori creditizi, di un Registro dei cambiavalute.

La modifica introdotta – riportata al comma 8 bis del medesimo articolo – prevede a carico dell’OAM l’istituzione di una sezione speciale del predetto Registro, per il censimento dei prestatori di servizi relativi all’utilizzo di valuta virtuale e i prestatori di servizi di portafoglio digitale.

A seguito di tale modifica il MEF ha predisposto una bozza di decreto attuativo, la cui consultazione pubblica si è conclusa in data 16 febbraio 2018.

La bozza di decreto ministeriale prevede che i prestatori di servizi relativi all’utilizzo di valuta virtuale, i prestatori di servizi di portafoglio digitale e gli operatori commerciali – operanti sul territorio della Repubblica Italiana e che accettano valuta virtuale quale corrispettivo di qualsivoglia prestazione avente ad oggetto beni servizi od altre utilità – comunichino al MEF lo svolgimento di tale attività, il quale individua le modalità e le tempistiche con cui fornire la comunicazione di operatività sul territorio della Repubblica, come presupposto di liceità per l’esercizio dell’attività.

Successivamente, i sopra menzionati soggetti sono tenuti ad iscriversi nella sezione speciale del Registro dei cambiavalute tenuto dall’OAM.

Tuttavia, a seguito di una lettura dell’art. 17, del D.Lgs. 141/2010 sembrerebbe che gli operatori commerciali non siano ricompresi tra i soggetti tenuti ad iscriversi nel Registro in argomento.

Al riguardo si attende il decreto attuativo definitivo del MEF.

  1. Altri modelli di regolamentazione

Gli Stati hanno adottato modelli diversi di regolamentazione delle valute virtuali. Infatti, alcuni ne hanno vitato l’uso come Algeria, Bolivia, Marocco Nepal, Pakistan e Vietnam, altri come il Qatar e

Il Bahrain limitano i divieti ai confini nazionali, altri ancora quali Bangladesh, Iran, Tailandia, Lituania, Lesotho, Cina e Colombia impongono delle restrizioni alle istituzioni finanziarie.

Altri Stati, invece, hanno provato una sperimentazione legale come le Isole Marshall, il Venezuela o gli Stati Membri della Banca Centrale dei Caraibi Orientali.

Infine, vi sono gli Stati che hanno adottato soluzioni intermedie, consapevoli dei rischi e delle opportunità connesse, come i Paesi occidentali quali Stati Uniti che hanno visto nascere attività commerciali che accettano pagamenti in valuta virtuale. Infatti, gli operatori del settore dal 2015 sono tenuti ad avere una apposita licenza[22].

È possibile affermare che gli Stati Uniti hanno influenzato l’Unione Europea, dove nessuno Stato si è schierato contro la diffusione e l’utilizzo delle valute virtuali.

Ad oggi l’intervento più significativo è riconducibile alla V Direttiva AML, che indica una definizione di valuta virtuale e che sottopone agli obblighi di antiriciclaggio i prestatori di portafogli digitali e le piattaforme di cambio di valute virtuali.

In particolare, vi è la Germania che il primato della regolamentazione[23]. L’autorità federale di supervisione finanziaria c.d. BaFin, ai sensi della legge finanziaria c.d. KWB, ha ritenuto le valute virtuali come strumenti finanziari.

Ha, altresì, stabilito che le medesime – seppur non abbiamo corso legale – non hanno bisogno di autorizzazione in quanto utilizzata dai privati come strumento di pagamento. Nel caso in cui, invece, la valuta virtuale è utilizzato con finalità di investimento, i soggetti che ne permettono l’acquisto, la vendita o svolgano attività di intermediazione sono tenuti ad una relativa autorizzazione da parte dall’autorità di riferimento.

Anche la Francia si è attivata al riguardo con l’emissione di due ordinanze. La prima n. 520 del 28 aprile 2016 consente il ricorso alla blockchain e ne ha fornito una definizione. La seconda ordinanza n. 1674 dell’8 dicembre 2017 ha stabilito che i titoli finanziari non quotati possono essere registrati e trasferiti su blockchain, come sistema alternativo a quello tradizionale.

Infine, nel panorama europeo si è distinta Malta, la quale ha ottenuto dal Parlamento l’approvazione nel 2018 di tre leggi ad hoc, con lo scopo di creare un terreno fertile per gli investitori: il Malta Digital Innovatin Act, che istituisce una apposita autorità per l’innovazione digitale (MDIA); l’Innovative Technological Arrangement and Services Act, per registrazione e certificazione dei servizi tecnologici; Virtual Financial Assect Act per l’istituzione di un regime normativo per le ICOs ed altri servizi collegati alle criptovalute.

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Note

[1] S. Nakamoto, Bitcoin: A Peer-toPeer Eletronich Cash SyStem, in www.bitcoin.org.

[2] AA.VV. “Blockchain e criptovalute” in G. Finocchiaro e V. Falce “Fintech: diritti, concorrenza, regole”, Zanichelli, Bologna, 2019, p.269 ss.

[3] La crittografia asimmetrica è un sistema a doppia chiave pubblicoprivata. la chiave pubblica coincide con l’account dell’utente ed è conosciuta da tutti, cui è abbinata una chiave privata segreta. Cfr. G. Finocchiaro, firme elettroniche e firma digitale, in F. Delfini e G. Finocchiaro, Diritto dell’informatica, Torino, 2014;

[4] Tale metodo è chiamato “Proof of work”. Vi è poi il metodo “Proof of Stake”, in cui il vincitore è colui che decide di scommettere la maggiore quantità di valute virtuali.

[5] P. De Filippi e A. Wrignt, Blochchain and the Law, the Rule of Code, Harward University Press 2018, p. 25.

[6] Consultando il sito www.coinmap.org è possibile visionare una mappa che traccia i luoghi ove i bitcoins sono accettati.

[7] Il concetto di moneta nel corso del tempo è stato dematerializzato, inizialmente scollegata da un valore intrinseco e dall’inquadramento nell’ambito delle obbligazioni. Successivamente, con l’avvento degli “strumenti alternativi di pagamento” – es. carte di credito – è stato rivisto il concetto di moneta che la ancorava alla mera dazione di denaro contante. Pertanto, il denaro va inteso ad oggi come una “astratta unità di valore” imposta dallo Stato per dar luogo agli scambi. A. Di Majo, Le obbligazioni pecuniarie, Torino, 1996.

[8] B. Inzitari, Obbligazioni pecuniarie, in Comm. c.c. Scialoja-Branca, sub art. 1277-1284 Zanichelli-Società editrice Il Foro italiano, Bologna-Roma, 2011, p. 94.

[9] European Banking Autority, EBA, Opinion on “virtual currencies”, EBA/Op/2014/08, 4 luglio 2014, in www.eba.europa.eu.

[10] Banca d’Italia, Avvertenze sull’utilizzo delle cosiddette “valute virtuali”, 30 gennaio 2015, in www.bancaditalia.it.

[11] C.Giust. UE, C-264-14, Skatterverket/David Hedqvist, 22 ottobre 2015, in www.curia.europa.eu. La corte ha escluso l’IVA per le prestazioni di servizi di cambio di valuta tradizionale contro unità della valuta virtuale.

[12] Direttiva UE 2015/849, art. 3, punto 18, come aggiornato dalla direttiva UE 2018/843 del 30 maggio 2018.

[13] Comunicazioni Consob nn. DAL/97006082, 10 luglio 1997; DIS/98082979, 22 ottobre 1998; DIS/99006197, 28 gennaio 1999; DIS/36167, 12 maggio 2000; DIN/82717, 7 novembre 2000; DEM/1043775, 1 giugno 2001; DTC/13038246, 6 maggio 2013.

[14] M. Passaretta, Il leadin case italiano, in Banca borsa, 2017, p. 471.

[15] Delibere nn. 20814 e 20815 del 14 febbraio 2019; 20786 del 22 gennaio 2019.

[16] Si sono sviluppate diverse tipologie di blockchain che richiedono – differentemente da quelle classiche – una pre-identificazione degli utenti, c.d. blockchain permissioned.

[17] N. Mancini, Bitcoin: rischi e difficoltà normative, in Banca imp. Soc., 2016, n. 1, p.120 ss.

[18] R.M. Morone, Bitcoin e successione ereditaria: profili civili e fiscali, in giustiziacivile.com, 2018, p. 7.

[19] Risoluzione del Parlamento europeo del 26 maggio 2016 sulle valute virtuali 2016/2007(INI). In www.europarl.europa.eu.

[20] I regolamenti EMIR e CSDR, la direttiva SFD, la direttiva MIFID e il regolamento MIFIR, le direttive OICVM e GEFIA.

[21] Gli exchangers si occupano della compravendita in nome proprio e per conto altrui do criptovaluta in cambio di valuta legale, oppure mettono in contatto acquirente e venditore. Secondo S. Capaccioli, Criptovalute e Bitcoin, un’analisi giuridica, Rizzoli, 2015, p. 151, nel primo caso si configura il contratto di commissione ai sensi dell’art, 1731 c.c., invece nel secondo caso un contratto di mediazione di cui all’art. 1754 c.c.

[22] S. Blemus, Law and Bockchain: a legal perspective on current regulatory trends worldwide, in Revue Ttimestrielle de Droit Financer, n. 4-2017, p. 2.

[23] G. Arangüena, Bitcoin: alla Germania il primato della regolamentazione, in www.key4biz.it, 13 febbraio 2014.

Alessandra Viceconte

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