La devolution una legge ambivalente – parte 1

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E’ stato definitivamente approvato in seconda lettura il progetto di riforma Costituzionale denominato “Modifiche della Parte II della Costituzione”, e comunemente denominato “Devolution”.
 
Quiesto atto conclude l’iter parlamentare iniziato con il disegno di legge Costituzionale d’iniziativa governativa presentato dal Presidente del Consiglio dei ministri Silvio Berlusconi, dal Vice presidente Gianfranco Fini, dal Ministro per le riforme istituzionali e la devoluzione Umberto Bossi e dal Ministro per le politiche comunitarie Rocco Bottiglione, di concerto con il Ministro dell’interno Giuseppe Pisanu e con il Ministro per gli affari regionali Enrico La Loggia
 
Tuttavia sin dal primo consenso, arrivato il 25 marzo 2004 con l’approvazione da parte del Senato della prima formulazione del testo di legge che, in seguito, è stato modificato alla Camera dei Deputati, non sono mancate polemiche anche all’interno della stessa maggioranza proponente.
 
Oltre che sui conteniuti le polemiche si sono concentrate anche sul metodo, poiché da molte parti, anche all’interno della maggioranza di governo, si ritirene che una riforma così profonda della Costituzione dovesse essere approvata non da una sola parte politica ma da un’assemblea costituente.
 
Poiché i numeri non consentono di raggiungere una maggioranza favorevole pari ai due terzi del Parlamento, l’entrata in vigore della legge sarà subordinata alla vittoria dei sì nel referendum confermativo che si terrà sicuramente subito dopo le elezioni politiche di primavera.
 
 
LA DEVOLUTION NEL NOSTRO PAESE
 
            Il termine “Devolution” si ricollega al mondo anglosassone non solo linguisticamente, ma anche politicamente poiché indica sostanzialmente quel vasto processo di riforma istituzionale avviato nel 1997 nel Regno Unito di Gran Bretagna e Irlanda e che ha consentito di raggiungere una soluzione di compromesso per assecondare, in qualche modo, le forti istanze di autonomia della Scozia senza stravoolgere l’unità nazionale della Corona Britannica.
 
            In realtà il contesto storico e politico dell’Italia ha poche affinità con il Regno unito, e se le pretese della Scozia sono basate sull’identità nazionale e culturale di questa regione, annessa forzosamente all’Inghilterra, appare difficile trovare dei paralleli nella variegata cultura, storia e tradizione degli stati preunitari Italiani che, peraltro, non si rispecchiano in alcun modo negli attuali confini regionali.
 
            Tuttavia questo disegno di legge non realizzerà sicuramente uno stato federale e, ben vedere, presenta un atteggiamento che potremo definire “asimmetrico” sul versante delle autonomie.
 
         Questa riforma infatti, mentre si propone di sostituire al Senato della Repubblica il “Senato federale”, quindi una camera legislative eletta a suffragio universale e diretto su base regionale, da eleggere contestualmente al rispettivo Consiglio o Assemblea regionale, nello stesso tempo si introduce il bicameralismo imperfetto.
 
         In questo modo, la Camera dei Deputati, diviene l’unico organo titolare della potestà legislative nelle materie rimesse alla competenza esclusiva dello Stato, mentre la futura camera “federale” si limiterà alla formazione delle leggi di principio nelle materie rimesse alla a competenza ripartita stato-regioni.
 
         Per quanto riguarda poi le affermate concessioni all’autonomia delle regioni, è opinione dello scrivente che con questa riforma la potestà legislative, nel complesso, non migliorerà affatto il quadro attuale, anzi forse lo peggiorerà.
 
         Innanzituto perché, come si vedrà più approfonditamente, si sono concesse competenze su settori, quale è la sanità, la scuola e la polizia locale, che le regioni già gestiscono da tempo e pagano integralmente con le proprie risorse.
 
         Inoltre in cambio di poche sostanziali concessioni si è globalmente ridimensionata tutta la potestà legislative delle regioni, che ritorna assogettata all’”interesse nazionale della Repubblica”, una formulazione indefinita che riporta indietro alla disciplina costituzionale che vigeva prima della riforma del Titolo V introdotta dalla Legge Costituzionale 18 ottobre 2001 n.3.
 
         La legge regionale ritorna quindi ad essere fonte subrimaria del nostro ordinamento poiché, a differenza della legge dello Stato, non trova limiti nella sola Costituzione, ma anche nel giudizio del governo, che può addirittura richiedere al Parlamento l’annullamento della Legge regionale!
 
         In alcuni casi poi, a ben vedere l’ampliamento delle competenze è stato solamente di facciata, come nel caso della polizia locale, dove ci si è limitati a sostituire alla competenza esclusiva, e senza i limit dell’interesse nazionale, in material di “polizia amministrativa locale” la nuova competenza in materia di “polizia amministrativa regionale e locale”, come se la dimensione regionale non rientrasse già nel concetto di sicurezza locale.
 
            Tuttavia è opportuno ricordare il processo di revisione costituzionale che si è operato sino a questo momento e che è attualmente in vigore, per comprendere al meglio la portata delle riforme che prevede il disegno di legge sulla devolution.
 
 
I NUOVI RAPPORTI STATO-REGIONI-ENTI LOCALI DOPO LA RIFORMA DEL TITOLO V (Legge Costituzionale 3/01)
 
            Prima di questa proposta di legge costituzionale, la riforma del Titolo V della Costituzione, operata con la Legge Costituzionale 18 ottobre 2001 n.3, ha pienamente equiparato la produzione normativa dello Stato e delle Regioni che sono divenute entrambe, nell’ambito delle rispettive competenze, fonti primarie dell’ordinamento giuridico.
 
            In precedenza le leggi regionali erano considerate fonte “subprimaria” del nostro ordinamento e di livello inferiore alla legge dello Stato, poiché la carta Costituzionale imponeva alla produzione legislativa delle regioni, come limiti generali, il rispetto dei “principi fondamentali” contenuti nelle stesse leggi dello Stato, stabilendone, di fatto, una subordinazione ed inoltre un ulteriore limite, incerto e mutevole, costituito da ”l’interesse nazionale”.
 
            Oggi queste limitazioni sono state cancellate, così come la vigilanza dello Stato centrale attraverso un proprio rappresentante, il commissario di governo, che apponeva il visto (quasi un placet) sulle leggi regionali, pertanto oggi il sindacato di legittimità sulle leggi regionali, come per quelle dello Stato, è rimesso esclusivamente alla Corte Costituzionale.
 
            Inoltre, mentre la precedente formulazione dell’art.117 della Costituzione definiva tassativamente le materie rimesse alla competenza legislativa delle regioni, l’attuale riforma ha invertito completamente il criterio, definendo tassativamente le materie rimesse alla competenza esclusiva dello stato e quelle nella quali la competenza delle regioni è subordinata ai principi generali fissati dallo stato (legislazione concorrente), mentre tutte le altre materie si intendono attribuite alla competenza esclusiva delle regioni.
 
 
LE PRINCIPALI RIFORME DELLA DEVOLUTION-IL SISTEMA PARLAMENTARE
 
         La prima grande riforma che prevede questo disegno di legge Costituzionale riguarda il sistema parlamentare che dall’attuale sistema bicamerale, con un bicameralismo perfetto, intende sostituire una struttura più snella di tipo monocamerale.
 
         L’originale formulazione dell’art.55 della Costituzione recita testualmente: “Il Parlamento si compone della camera dei deputati e del Senato della Repubblica”, mentre con questa riforma il testo si modifica in: “Il Parlamento si compone della camera dei deputati e del Senato federale della Repubblica.
 
            In questo modo si sostituisce completamente il processo di formazione delle leggi, che per essere approvate non richiederebbero una doppia deliberazione da parte delle due camere.
 
         Infatti, alla precedente formulazione dell’art.70 della Costituzione che dispone: “La funzione legislativa è esercitata collettivamente dalla due Camere”,si contrappone il nuovo testo dell’art.70 secondo il qualeLa Camera dei deputati esamina i disegni di legge concernenti le materie di cui all’articolo 117, secondo comma (materie rimesse alla competenza esclusiva dello Stato N.d.R.) fatto salvo quanto previsto dal terzo comma del presente articolo. Dopo l’approvazione da parte della Camera, a tali disegni di legge il Senato federale della Repubblica, entro trenta giorni, può proporre modifiche, sulle quali la Camera decide in via definitiva. I termini sono ridotti alla metà per i disegni di legge di conversione dei decreti-legge. Il Senato federale della Repubblica esamina i disegni di legge concernenti la determinazione dei principi fondamentali nelle materie di cui all’articolo 117, terzo comma (materie rimesse alla competenza ripartita dello Stato N.d.R.), fatto salvo quanto previsto dal terzo comma del presente articolo. Dopo l’approvazione da parte del Senato, a tali disegni di legge la Camera dei deputati, entro trenta giorni, può proporre modifiche, sulle quali il Senato decide in via definitiva. I termini sono ridotti alla metà per i disegni di legge di conversione dei decreti-legge.”.
 
         In questo contesto la Camera dei deputati ha competenza legislativa su tutte le materie rimesse alla competenza esclusiva dello Stato. Il Senato può chiedere di riesaminarle (serve una richiesta di due quinti dei senatori), quindi il testo torna alla Camera, che decide in maniera definitiva.
 
         Il Senato esamina le leggi con le quali si definiscono i principi generali, nelle materie a competenza ripartita, ai quali dovranno conformarsi le leggi regionali, ma anche le leggi di bilancio e la finanziaria. La Camera può chiedere di riesaminarle e nel termine di trenta giorni il Senato decide in via definitiva.
 
Solo in alcuni casi è previsto l’esercizio collettivo della funzione legislativa da parte delle due camere, e quindi l’approvazione da parte di entrambe del medesimo testo di legge, ad esempio per quanto riguarda le leggi elettorali, i livelli delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali, tributi e federalismo fiscale, deliberazione dello stato di guerra e in tutti gli altri casi in cui la Costituzione, senza specificarne la competenza, rinvia alla legge dello Stato o della Repubblica.
 
         In tutti questi casi è previsto che, qualora le due Camere non riescano ad approvare un disegno di legge nel medesimo testo, i rispettivi Presidenti possano convocare una commissione composta di trenta deputati e da trenta senatori, secondo il criterio di proporzionalità, incaricata di proporre un testo unificato da sottoporre al voto finale delle due Assemblee.
        
 
LA FORMA DI GOVERNO-IL PREMIERATO FORTE
 
            Anche la forma di governo è profondamente innovata da questa riforma che trasforma l’attuale sistema di governo parlamentare in premierato forte.
 
         Attualmente l’art.92 della Costituzione recita testualmente: “Il Governo della Repubblica è composto dal Presidente del Consiglio e dei Ministri, che costituiscono insieme il Consiglio dei Ministri. Il Presidente della Repubblica nomina il Presidente del Consiglio dei ministri e, su proposta di questo, i Ministri ”.
 
         Con questa riforma il nuovo testo dell’art.92 sarebbe modificato in: “Il Governo della Repubblica è composto dal Primo ministro e dai ministri, che costituiscono insieme il Consiglio dei Ministri. ….omissis….Il Presidente della Repubblica, sulla base dei risultati delle elezioni della Camera dei deputati, nomina il Primo ministro”.
 
         Il capo del governo, denominato non più Presidente del Consiglio ma Primo ministro, diviene molto più forte, innanzitutto perché sarebbe eletto direttamente dal popolo, attraverso un meccanismo di collegamento con i candidati alle elezioni della Camera dei deputati.
 
         Dopo la nomina (vincolata) da parte del Presidente della Repubblica, il capo del governo non avrà più bisogno della fiducia per insediarsi.
 
         E’ stata preclusa la possibilità dei c.d. “ribaltoni” e quindi, l’approvazione di una mozione di sfiducia nei confronti del governo o del Primo Ministro o la mancata approvazione di una proposta di legge sulla quale sia stata posta la fiducia da parte del governo determinano lo scioglimento della Camera dei deputati, tranne il caso che la maggioranza risultante dalle elezioni non approvi a maggioranza un nuovo Primo Ministro.
 
         Nel nuovo disegno istituzionale, il primo ministro determina la politica generale del governo e garantisce l’unità d’indirizzo politico e amministrativo ed i suoi poteri si estendono sino alla nomina ed alla revoca dei ministri, ed addirittura alla facoltà di sciogliere la Camera dei deputati, funzioni queste riservate oggi al Presidente della Repubblica.
 
        
IL NUOVO PARLAMENTO ED IL SENATO FEDERALE
 
         Questa riforma prevede molte novità anche sulla composizione e sulla struttura del parlamento, a cominciare dalla creazione del Senato federale della Repubblica, quale Camera rappresentativa degli interessi del territorio e delle comunità locali, il cui presidente diviene la seconda carica istituzionale della Repubblica, con la funzione di sostituire il Capo dello Stato in tutti i casi in cui egli non possa assolverle.
 
         In questa nuovo organo è prevista anche la partecipazione delle rappresentanze dei Consigli regionali e delle autonomie locali, ma tutti senza diritto di voto, in particolare 42 rappresentanti complessivi, la metà in rappresentanza delle Regioni e delle Province autonome di Trento e Bolzano, e l’altra metà in rappresentanza delle Autonomie locali.
 
         In questo contesto le due camere si distinguono anche per il momento dell’elezione, poiché mentre i deputati sarebbero eletti ogni 5 anni, salvo scioglimento anticipato, la data di elezione dei senatori sarebbe comunque abbinata a quella delle regioni di appartenenza e quindi non solo non saranno eletti contestualmente ai colleghi deputati, ma le eventuali elezioni anticipate in una regione determineranno anche il rinnovo dei deputati di quello specifico collegio.
 
         Il nuovo Senato federale è privato completamente della funzione di controllo politico sul governo che ha l’attuale Senato della repubblica, quindi non potrebbe comunque votare una mozione di sfiducia nei confronti del Primo Ministro ne votaare un eventuale sostituzione.
 
         Si prevede anche una riduzione complessiva del numero dei parlamentari, 518 deputati prenderanno il posto degli attuali 630, 18 dei quali eletti nelle circoscrizioni estere, mentre gli attuali 315 senatori, eletti su base nazionale, saranno sostituiti da 252 senatori eletti contestualmente ai rispettivi Consigli regionali, scelti tra i residenti nella regione che abbiano già ricoperto pubbliche funzioni elettive.
 
         E’ stabilita un’identica indennità, fissata per legge, per tutti i parlamentari (deputati e senatori).
 
         Non sono più previsti senatori a vita, sostituiti dalla nuova figura dei "deputati a vita", previsti nel numero di tre di nomina presidenziale, ai quali si aggiungono gli ex capi dello Stato.
        
         Si interviene anche sull’età minima richiesta per l’elettorato passivo, ridotta dagli attuali 25 a 21 anni per i deputati, mentre per i senatori non sarà necessario aver raggiunto l’età di 40 anni ma l’età di 25 anni.
 
 
         LA FIGURA DEL PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA NELLA DEVOLUTION
 
         Attualmente l’art.87 della Costituzione recita: “Il Presidente della Repubblica è il capo dello Stato e rappresenta l’unità nazionale. …”, con la riforma in discussione il nuovo testo dell’art.87 reciterà: “Il Presidente della Repubblica è il capo dello Stato, rappresenta la nazione ed è garante della Costituzione e dell’unità federale della Repubblica. ….
 
         Con la devolution il nuovo Stato sara più federalista, almeno in alcuni casi, ma non certo federale, anzi in alcuni casi si riafferma un certo centralismo statale, come ad esempio con la reintroduzione del limite dell’interesse nazionale alla produzione normativa regionale.
 
         Il Presidente della Repubblica esce da questa riforma vincolato nel potere di nomina del capo del governo e fortemente limitato per fare posto ad un Primo Ministro molto forte, nelle cui mani sono riunite le attuali prerogative presidenziali della nomina e revoca dei ministri, il potere di autorizzare la presentazione alle Camere dei disegni di legge d’iniziativa del governo e la facoltà di scioglimento della Camera dei deputati.
 
         Con questo riforma sono riconosciute anche alcune nuove funzioni al Capo dello Stato, ovvero la nomina dei presidenti delle Authority e la designazione del vicepresidente del Consiglio superiore della magistratura.
 
            Cambia anche l’età minima richiesta per accedere al Quirinale, che scende a quarant’anni rispetto ai cinquanta previsti dalla vigente normativa.

Mancini Massimiliano

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