La delinquenza femminile nella criminologia occidentale

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Le bande criminali e i ruoli della donna.

 

È assai raro che una banda criminale sia interamente composta da donne. Altrettanto scarso è il ruolo della donna nelle bande miste, formate e gestite da soli maschi. A livello meta-geografico e meta-temporale, la criminalità organizzata risulta essere un fenomeno tipicamente maschile. Le funzioni di comando femminile si manifestano, piuttosto, all’ interno della famiglia mediterranea di stampo matriarcale. Questa marginalità criminologica viene confermata, in modo unanime, da tutti gli Autori della Criminologia anglofona (MORASH 1986; CAMPBELL 1990; RHODES & FISHER 1993). Eccezionalmente, TRASHER (1927) reputava che << la banda non è solo un fenomeno maschile … la donna è “ invisibile “ nel senso che ella è relegata a ruoli puramente subalterni di assistenza ai ragazzi maschi, come nascondere gli oggetti rubati, custodire l’ automobile di un membro della banda, portare l’ arma da fuoco agli uomini per un conflitto, osservare un luogo perché i ragazzi possano poi compierci un furto o una rapina >>. In realtà, non esistono bande vere e proprie formate da ragazze, poiché << la femmina che fa parte di una banda di maschi o che è in contatto con una banda di maschi è, nella maggior parte dei casi, percepita come “ donna oggetto “. Ella non è una persona autonoma, bensì l’ oggetto di una valutazione maschile. La ragazza non dispone che di due ruoli: imitare gli uomini ed essere quello che si potrebbe chiamare “ un maschio mancato“. Le bande di donne che praticano la violenza sono rare. Laddove esistono, esse non sono altro che imitazioni delle bande maschili >> (CAVAN & FERDINAND 1962 / 1975). Soltanto negli Anni Sessanta e Settanta del Novecento, negli USA, nel Regno Unito ed in Sud-America, nasce la nuova figura della <<ragazza di strada >>, la quale diventa sempre più parte integrante delle organizzazioni criminali maschili, ovverosia si assiste ad un << cambiamento dell’ immagine che si aveva della delinquenza delle ragazze … la ragazza non è più considerata come un semplice prodotto dei discorsi e delle attività maschili >> (CAMPBELL 1995). Anche in America Latina, dopo gli Anni Settanta del Novecento, le bande di << latinos >> sono composte, per il 10-20 % da << ragazze di strada >>, che lasciano il focolare domestico ed infrangono i loro ruoli tradizionali (LUCCHINI 1996).

Prima della seconda metà del Novecento, la ragazza viveva in famiglia ed assisteva i fratelli e le sorelle minori, per consentire alla Madre di famiglia di lavorare all’ esterno. Dunque, fino ad una sessantina d’ anni fa, il ragazzo lavorava, mentre la figlia femmina aveva esclusivamente delle responsabilità domestiche all’ interno della casa d’ origine, tranne quando sopraggiungeva l’ evento del matrimonio e, dunque, la trasformazione del ruolo di figlia e sorella nel ruolo di moglie e Madre.

Nella tradizione occidentale, e non solo, il figlio maschio era meno sorvegliato della figlia femmina, in tanto in quanto la ragazza era percepita come corresponsabile della reputazione familiare. Un ragazzo che fuggiva e delinqueva non cagionava il medesimo scandalo provocato da una sorella che si prostituiva o assumeva comportamenti libertini in un contesto extra-familiare.

Si tenga conto pure del fatto che, nelle famiglie patologiche senza un fondamento valoriale, la bambina è sottovalutata e umiliata. Dopodiché, in età adolescenziale, elle ricercherà una riscossa gratificante nella << vita di strada >> e nella devianza anti-normativa ed anti-sociale. Se, poi, la ragazza patisce in famiglia dinamiche incestuose, litigi ossessivi tra i genitori o uso di alcool e droghe, più facilmente ella cercherà rifugio nei gruppi della micro-criminalità di periferia, al fine di sentirsi valorizzata e ripagata sia a livello affettivo sia a livello identitario.

Anche nel caso di non sussistenza di violenze fisiche o di abusi morali, la figlia femmina, non raramente, è sovraccaricata di responsabilità domestiche, deve pulire la casa, aiutare i fratelli e le sorelle minori, sottomettersi a figure maschili talvolta troppo autoritarie, come il padre, gli zii, i cognati, i fratelli maggiori, i nonni. In buona sostanza, spesso << la strada >> diviene strumento di emancipazione e di libertà. Detto in altri termini, i ragazzi maschi delle piccole bande di quartiere si tramutano in sinonimo di autonomia e di novità. Nella fase dell’ adolescenza, la ragazza si potrebbe ribellare al controllo eccessivo della famiglia, in tanto in quanto avverte il fascino ambiguo di un mondo esterno che prima le era vietato perché comunemente visto come maschile e pericoloso. Il ghetto “ sporco e proibito “, le prime esperienze affettive e le nuove compagnie maschili possono diventare, per la figlia femmina, una via di fuga dalla noia quotidiana e dai doveri del vecchio focolare, rappresentato dalla famiglia d’ origine.

In molti casi, la ragazza si ribella agli impegni domestici anche attraverso lo strumento della prostituzione professionale (LUCCHINI, ibidem). Si tratta, in epoca contemporanea, di un problema criminologico che coinvolge molte giovani e giovanissime adolescenti in Sud-America. In primo luogo, la ragazza << di strada >> tende a mettere in evidenza i propri attributi femminili con il trucco, con la capigliatura e con un certo abbigliamento attraente. Pertanto, la giovane evita il pericolo delle violenze divenendo, nel gruppo, l’ amica di tutti che soddisfa, senza resistere, le concupiscenze dei maschi incontrati. In secondo luogo, la ragazza, concedendosi a uomini più grandi di lei, si sente accettata e realizzata come donna. Viceversa, la vita domestica le imponeva rigore e sottomissione. In terzo luogo, la prostituta attira la stima della banda, provoca, sottomette e si gestisce in maniera autonoma nell’ abbigliamento e nel denaro guadagnato con il meretricio.

 

I ruoli delle giovani donne nelle bande criminali.

 

A partire dagli Anni Sessanta del Novecento, le giovani donne hanno iniziato ad avere un ruolo primario in bande criminali miste o nella micro-criminalità organizzata. A parere di CAMPBELL (1990), << la delinquenza delle ragazze è collegata a relazioni familiari deficitarie, specialmente con il proprio padre. Ciò porta la figlia femmina a cercare affetto nelle relazioni in cui la promiscuità sessuale con i ragazzi predomina … questa spiegazione riguarda soprattutto le ragazze appartenenti a ceti sociali molto sfavoriti>>. SHORT & STRODTBECK (1965) nonché ROSENBERG & SILVERSTEIN (1969) asseriscono che la donna del gruppo non pratica la forza fisica, tuttavia riesce egualmente ad essere stimata attraverso l’ uso astuto della propria femminilità, per mezzo della quale domina, dispone e placa le contese tra i ragazzi del gruppo malavitoso. ROSENBERG & SILVERSTEIN (ibidem) sottolineano che la ragazza, nelle bande criminali, è costretta ad intrattenere rapporti fisici intimi con tutti i gregari del gruppo, poiché la sua sessualità facile ed accessibile si trasforma in una << prova di fedeltà >> che le conferisce il prestigio e la possibilità di comandare senza uso alcuno di armi o lesioni personali. La << donna di tutti >> è la Madre generosa e comprensiva di un nuovo focolare atipico dove l’ essere femmina riporta la calma, l’ ordine e l’ affetto, grazie ad una genitalità disinibita che accoglie e consola tutti. Prima degli Anni Sessanta e Settanta del Novecento, la ragazza frustrata poteva diventare adulta ed indipendente divenendo Madre. La gravidanza emancipava l’ adolescente in breve tempo, mentre, nelle bande, è richiesta una sessualità senza prole. I ragazzi maschi della << gang >> trovano nella ragazza fisicamente facile e disponibile lo sfogo per la loro rabbia anti-sociale e per le loro frustrazioni esistenziali (WHITE 1943). Nel gruppo delinquenziale, i ragazzi di strada e la ragazza di strada trovano calore affettivo, identità, solidarietà e superamento dei conflitti con la famiglia d’ origine. Avere una donna in comune sessualmente fruibile da tutti è un motivo di solidarietà tra gli uomini che delinquono insieme. La compagna in comune diventa la Madre buona, la sorella comprensiva, la moglie complice, la fidanzata amica, che incoraggia, che consola, che riporta la quiete e la cordialità in un contesto fatto di violenza e anche di sostanze d’ abuso (YABLONSKY 1962; HIRSCHI 1969; MUCCHIELLI 1972).

La prospettiva or ora descritta cambia negli Anni Settanta ed Ottanta del Novecento, quando, soprattutto negli USA, la ragazza-oggetto del crimine diviene ella stessa protagonista ed assume ruoli attivi. Nascono bande composte da sole donne, cresce la percentuale delle ragazze arrestate per crimini violenti, le giovani femmine si “ mascolinizzano “ e la ragazza di strada assume posizioni paritarie in confronto ai delinquenti maschi.

CAMPBELL (1981 e 1984), a partire dal 1978, dimostra, a livello statistico-scientifico, che una nuova generazione di adolescenti inglesi guida automobili rubate, ferisce con armi bianche, diventa capace di usare armi da fuoco. Inoltre, anche negli USA, << l’ identità della ragazza del gruppo dipende dalle competenze che ella ha acquisito nella vita di strada e non dai favori in termini di rapporti sessuali concessi ai ragazzi >> (BROWN 1977). Anche in America Latina, le giovani delinquenti cominciano a detenere posizioni attive, si picchiano tra di loro in pubblico e si rendono responsabili di risse fisicamente violente.

A parere di CERNKOVICH & GIORDANO (1989), << la ragazza usa spesso la messa in gioco della sua reputazione per giustificare il proprio comportamento aggressivo. La questione identitaria, oltretutto, è molto presente nelle dinamiche che sfociano nelle aggressioni fisiche. D’ altronde, il bisogno di un supporto identitario è più forte per la ragazza delinquente che non per il ragazzo delinquente >>. Quando la giovane figlia femmina è stata maltrattata o addirittura sessualmente abusata in famiglia, la vita di strada si trasforma in un’ occasione gratificante di riscatto esistenziale. La ragazza entra a far parte delle bande della micro-criminalità di periferia perché << il gruppo >> costituisce un mezzo di rivalsa sulla famiglia d’ origine. (CHESNEY-LIND 1986). Nel caso dei maschi, l’ ingresso nella cricca malavitosa reca, mano a mano, al compimento di delitti sempre più gravi, mentre, nel caso della criminalità femminile, le giovani o giovanissime donne si specializzano piuttosto nel possesso e nell’ uso professionale di armi da fuoco, nelle aggressioni a mano armata e nelle vie di fatto (RHODES & FISHER 1993; CAMPBELL 1990). Quando si costituisce una banda di sole devianti femmine, esse, per essere rispettate, massimizzano sino all’ estremo il bullismo e la violenza, poiché << la ragazza patisce una duplice discriminazione. In primo luogo, ella vive sulla strada e, quindi, è oggetto di pregiudizi maschili. In secondo luogo, ella è vittima di diseguaglianze sociali >> (CAMPBELL 1990). La giovane criminale, dopo gli Anni Settanta ed Ottanta del Novecento, ha bisogno di dimostrare, nel gruppo e con il gruppo, che non è un’ imitatrice passiva degli uomini e che non è nemmeno soltanto o prevalentemente una prostituta.

 

La droga e le bande criminali femminili.

 

Il traffico di droga, nella prima metà del Novecento, era riservato ai devianti maschi ed era raro trovare bande femminili incentrate sullo spaccio di sostanze d’ abuso. SOMMER & BASKIN (1994) lamentano che << poco è stato scritto sulle varie forme della criminalità violenta della donna >>, in tanto in quanto, nella Criminologia occidentale, gli Autori si limitano a studiare il passaggio della ragazza dalla violenza domestica in casa alla violenza privata << di strada >>. Non si tiene conto del fatto che, anche nel caso delle donne, vivere nelle bande di periferia significa pure, o presto o tardi, assumere droghe ed abusare dell’ alcool, esattamente come avviene per i ragazzi maschi. Nei censimenti criminologici di GRAHAM & WISH (1994), la tipica ragazza di strada contemporanea è ragazza-Madre, senza titoli di studio, semi-prostituta e proveniente da famiglie mono-parentali e disagiate sotto il profilo abitativo ed economico. Quando i Ricercatori parlano di << crimine di strada >>, << iniziazione al crimine >> e << carriera delinquenziale >>, bisogna anzitutto analizzare la singola storia personale della giovane adolescente, che, nella maggior parte dei casi, ha avuto un’ infanzia disastrosa, molte difficoltà scolastiche, conflitti continui con i genitori ed un grande desiderio di fuggire dalla quotidianità entrando in gruppi di devianti anti-sociali ed anti-normativi. Assai importante è (rectius: sarebbe) pure, negli USA ed in America Latina, l’ etnia di appartenenza, poiché, secondo MILLER (1986), << nel caso delle ragazze di pelle bianca, l’ inizio di una carriera delinquenziale è legato alla violenza familiare ed a fughe da casa reiterate, mentre, nel caso delle ragazze appartenenti alla minoranza nera, l’ iniziazione alla delinquenza è connessa a legami di parentela e di vicinato >>. In tutti i casi, comunque, entrano (rectius: entrerebbero) nelle bande soprattutto le figlie di famiglie emarginate, povere e patologiche, ma, per ora, esistono ancora pochi Studi scientifici sulla tematica dell’ iniziazione giovanile al crimine. Secondo MILLER (1995), la delinquenza femminile, unitamente alla prostituzione, è stata completamente modificata e, anzi, peggiorata dall’ ingresso, nella storia occidentale, dell’ uso diffuso e popolare di eroina e crack negli Anni Sessanta e Settanta del Novecento. Senza dubbio, le ragazze di strada che si prostituiscono usano droghe per resistere meglio ai ritmi stancanti del meretricio (SOMMER & BASKIN 1994). Inoltre, è altrettanto evidente che la donna delinquente contemporanea associa droga, violenza e prostituzione. Anzi, sotto il profilo statistico, oggi le adolescenti << di strada >> si auto-definiscono come tossicodipendenti che si prostituiscono per poter acquistare sostanze illecite. Ovverosia, nell’ auto-percezione delle ragazze devianti, è sempre ben solido il trinomio “ drogarsi-rubare-prostituirsi “.

Negli USA ed in America Latina, il crack e le altre droghe non recano, nella donna, ad un aumento dell’ aggressività criminale (GILFUS 1992). La donna << del branco >> è soltanto una vittima dei ragazzi maschi della banda. Essi la costringono a drogarsi per sopportare meglio i frequenti rapporti intimi semi-prostitutivi. Viceversa, le ragazze che hanno un protettore si drogano meno. Certamente, nei quartieri neri ed ispanidos, negli USA, la prostituzione porta all’ uso di stupefacenti e viceversa, ma bisogna anche distinguere la prostituzione professionale quotidiana dal meretricio episodico, a prescindere dal predetto contesto etnico afro-americano piuttosto che spagnolo. Inoltre, non sempre il rapporto con la prostituta è pagato automaticamente con una dose di droga. Infine, vanno distinti i vari tipi di stupefacente. P.e., nel caso della cannabis, dell’ acido lisergico o di altri allucinogeni, non è algebricamente confermata l’ equazione “ meretricio = droga / droga = meretricio “. Comunque, senza alcun dubbio, << il consumo di droghe ha condotto ad una svalutazione veloce del corpo delle donne tossicodipendenti. Questo non è solamente legato al bisogno individuale di droga della donna tossicodipendente ed alla sua degradazione fisica, bensì anche alla tensione che caratterizza il mercato del sesso di strada >> (MAHER & CURTIS 1992). Anzi, secondo MILLER (1995), sono relativamente poche le donne che si prostituiscono per pagarsi la dose quotidiana di eroina o cocaina. Molto, infatti, dipende dal protettore, che sovente è anche fidanzato / compagno ed impedisce le violenze eccessive ed i ricatti degli spacciatori.

 

Profili meta-geografici e meta-temporali.

 

Lombroso esaminava i cadaveri delle donne reputate devianti e si concentrava soprattutto sulle mascelle, sul viso, sul cervello e sul cranio. Secondo Lombroso, la donna con tendenze anti-giuridiche è una prostituta mascolina affetta da una sindrome di adattamento. Ciononostante, la donna ha molte responsabilità familiari e, dunque, tende a condurre una vita ritirata, il che la protegge dai contesti criminogeni cui, normalmente, ha accesso il maschio. Anche DURKHEIM (1960) sdrammatizzava gli allarmi sociali sulla criminalità femminile, in tanto in quanto << la donna non partecipa alla vita collettiva … le mancano le occasioni per delinquere, poiché ella è meno impegnata nei problemi della vita >>. Dunque, i lombrosiani reputavano che l’ essere femmina è a-problematico perché le donne non hanno una posizione sociale che apra la strada alle devianze. Naturalmente, le Teorie di Lombroso fanno oggi sorridere. Provvidenzialmente, i lombrosiani contemporanei sono pochi e, in ogni caso, sono completamente inattendibili.

Thomas, nel 1907, ha pubblicato, negli USA, l’ Opera << Sex and Society >>, nella quale sostiene che la donna non è semi-incapace per via del proprio cervello più piccolo di quello del maschio. Infatti, i soggetti femmine delinquono o no << a seconda del loro inquadramento nella società >> (THOMAS 1907). A parere del Criminologo qui in esame, l’ essere umano, tanto maschio quanto donna, ha fondamentalmente quattro bisogni sociologici: fare nuove esperienze, evere sicurezze, ottenere risposte e possedere un’ identità specifica. Il bisogno di fare nuove esperienze e di aver risposte morali e materiali dai consociati è alla base dell’ altruismo, ma, in caso di frustrazioni sociali, queste due esigenze recano all’ irresponsabilità sociale ed al crimine. Inoltre, nella donna, il bisogno di risposte si realizza appieno nella maternità, la quale tutela dalla maggior parte delle devianze. Viceversa, il maschio non beneficia dell’ istinto materno ed è maggiormente aggressivo. Il bisogno di sicurezze reca all’ auto-conservazione, alla prudenza e persino alla timidezza. Trattasi, secondo Thomas, di caratteristiche molto femminili, mentre, nel maschio, prevale il desiderio del prestigio e della carriera. Infine, il bisogno di un’ identità stabile e forte si manifesta, nella donna border-line, con la prostituzione, che è uno strumento non violento per dominare il maschio, perennemente bisognoso di genitalità. Nei rapporti intimi, la prostituta decide e comanda. La sessualità femminile piega l’ uomo, che cede più volentieri alle richieste della donna che si concede, illudendo il maschio di essere più virile e più realizzato grazie ai rapporti fisici. La prostituta, per Thomas, è Madre / compagna / fidanzata / amica / confidente, ma anche padrona che convince con il mezzo dell’ erotismo.

Pollak, sociologo statunitense, non nega l’ importanza giuridico-protettiva delle mestruazioni, della gravidanza, della menopausa e di tutti quei cambiamenti ormonali che preservano la donna dalla criminalità violenta. Tuttavia, il crimine femminile è più << invisibile >> di quello maschile e spesso si nasconde tra le mura domestiche. Anche a livello di esecuzione penitenziaria, alle recluse femmine sono riservati privilegi ed attenuazioni di cui il maschio non può beneficiare. Persino sotto il profilo statistico, secondo Pollak, i reati femminili fanno parte di una << cifra oscura >>, allorquando le infrazioni commesse dagli uomini risultano socialmente più evidenti e scandalose.

Allo stato attuale, manca una Letteratura criminologica autenticamente e seriamente scientifica sulla criminalità femminile. Nella maggior parte dei casi, gli Studi effettuati non approfondiscono in maniera idonea le differenze tra le devianze del maschio e quelle della donna. Altri Autori si focalizzano eccessivamente sulla prostituzione, sul vagabondaggio delle ragazze anti-sociali e sulla recidiva delle meretrici tossicodipendenti. Altri ancora esasperano le dispercezioni o i disturbi psicologici delle adolescenti << di strada >>. Persino ADLER (1975) delude assai quando non effettua le debite distinzioni e si limita ad affermare che << la donna criminale è compagna di un uomo deviante. Ella non sa controllare le proprie emozioni o utilizza il rapporto sessuale in maniera utilitaristica … [ esiste ] una mascolinizzazione del comportamento femminile costruito sulla base di un meccanismo imitativo e competitivo >>. Secondo PARENT (1992), << bisogna criticare le vecchie teorie della devianza femminile poiché si fondano su pregiudizi di tipo sessista … bisogna quindi rimettere in questione i fondamenti della conoscenza sociologica e criminologica riguardanti le donne >>. DAVIS (1977) chiede con forza l’ abbandono totale dell’ epistemologia positivista, del funzionalismo e di tutte le teorie biosociologiche dei comportamenti. La testé menzionata Dottrinaria statunitense riconosce al femminismo novecentesco il merito di aver riscattato il ruolo sociale della donna, di aver appianato molte discriminazioni maschiliste e di aver coinvolto le donne nel mondo della politica e dell’ economia.

Certamente, è innegabile un aumento dei delitti violenti commessi da donne. ADLER (1977) reputa che sia normale che la parità tra i sessi comporti anche più << anomia >> e più aggressività negli ambienti femminili. Del resto, le adolescenti della seconda metà del Novecento sono meno controllate e mortificate rispetto alle loro coetanee dell’ Ottocento o dei primi decenni del Novecento. Molti Autori anglofoni concordano con ADLER (1977), nel senso che << le donne oggi dispongono di un accesso più agevole ai mezzi illegali. La convergenza dei ruoli maschili e femminili comporta per le ragazze più opportunità di commettere reati. E questo tocca soprattutto la delinquenza delle ragazze >> (CLOWARD & OHLIN 1960).

Rimane inspiegato dalla Criminologia contemporanea, nonostanti centinaia di Ricerche, il vero nesso tra prostituzione professionale, prostituzione occasionale e criminalità. Alcuni Dottrinari asseriscono che i rapporti fisici della donna deviante con maschi devianti costituiscono un non-problema, ovverosia un fatto puramente fisico. Esistono poi degli Studi che equiparano la normale sessualità tra coniugi a quella delle ragazze di strada con i compagni maschi delle bande delinquenziali, il tutto senza troppi problemi interpretativi e quelle che vengono definite << etichettature >>. In buona sostanza, la Criminologia attuale non distingue più tra rapporti “ ordinari ” e rapporti in contesti criminali. P.e., LUCCHINI (1996) nota che le ragazze di strada sud-americane << ricorrono alla prostituzione occasionale come strategia di sopravvivenza. Il ragazzo reputa che la ragazza non fa altro che utilizzare il proprio corpo di donna e questo non richiede un’ abilità o delle competenze particolari >>. Tali approcci criminologici, tuttavia, non tengono in conto il pericolo diseducativo dell’ oggettivizzazione del fisico femminile. Il rapporto intimo non è (rectius: non dovrebbe essere) un atto moralmente amorfo. Un femminismo sincero e consapevole non dovrebbe lasciare al caso o all’ anarchia la dignità della sessualità delle giovani infrattrici. Sarebbe dunque utile ri-analizzare le tematiche dell’ emancipazione vera e della liberazione vera delle donne dalla tirannia del maschilismo. SIMPSON (1989) parla di << organizzazione sessista dei ruoli sociali >>, nel senso che <<le diseguaglianze nella distribuzione del potere e della ricchezza tra i due sessi può essere un approccio promettente per spiegare il cambiamento internazionale della criminalità femminile >>. Detto in altre parole, le donne, essendo in basso nella c.d. << scala sociale >> si ribellano e la loro protesta consiste nel commettere reati, così come fanno i consociati maschi. Anche DAVIS (1977) reputa che << certi crimini violenti [ delle donne ] hanno una componente protestataria … la lotta tra i sessi è quindi uno dei fattori che conducono alla rivolta individuale, che si manifesta nel crimine violento >>. Probabilmente, anche il disagio economico femminile contribuisce a creare tensioni sociali e devianze anti-normative. Del resto, alcuni Dottrinari anglofoni affermano che l’ emarginazione economica e lavorativa delle donne costituisce una delle cause principali della protesta del Novecento contro il maschilismo e la cultura patriarcale.

 

 

B  I  B  L  I   O  G  R  A  F  I  A

 

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Dott. Andrea Baiguera Altieri

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