La delega al difensore deve avvenire per iscritto

La disposizione contenuta nell’art. 14, comma 2, della legge 247/2012 secondo cui “gli avvocati possono farsi sostituire o coadiuvare da altro avvocato, con incarico anche verbale” va interpretata nel senso che la sostituzione può avvenire anche oralmente, ma al di fuori del processo, nel cui ambito vige, invece, la regola specificamente dettata dagli artt. 96/2 cod. proc. pen. e 34 D.A. c.p.p..

(Ricorso rigettato)

(Normativa di riferimento: Legge n. 247/2012, art. 14, c. 2; C.p.p. art. 96, c. 2, Disp. att. c.p.p. art. 34)

Il fatto

Il Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Roma archiviava, ai sensi dell’art. 410 cod. proc. pen., il procedimento iscritto contro C.A. per il reato di diffamazione. 

I motivi addotti nel ricorso per Cassazione

Avverso questa provvedimento proponeva ricorso per Cassazione la parte offesa la quale lamentava la violazione del contraddittorio, in quanto all’udienza del 26 aprile 2017, svoltasi dinanzi al Giudice per le indagini preliminari, era stato impedito all’avv. I.C., presente in udienza per delega “orale” del difensore officiato (avv. M.C.), di esporre le proprie ragioni

Valutazioni giuridiche della Corte di Cassazione

La Corte di Cassazione riteneva il ricorso infondato alla stregua delle seguenti considerazioni.

Prima di tutto gli ermellini circoscrivevano il quesito giuridico da doversi affrontare nei seguenti termini: “La questione posta dal ricorrente attiene, evidentemente, alle modalità di conferimento – da parte del difensore officiato della delega prevista dall’art. 102 cod. proc. pen.: vale a dire, se debba essere conferita necessariamente per iscritto, ovvero se possa essere conferita oralmente”.

Orbene, i giudici di Piazza Cavour reputavano di addivenire per la prima opzione ermeneutica (necessità che la delega sia conferita per iscritto) evidenziando prima di tutto che, per il chiaro disposto degli artt. 96 cod. proc. pen. e 34 delle D.A. C.P.P.: la prima di dette norme – nel prevedere, per l’imputato, il diritto di nominare non più di due difensori di fiducia – stabilisce, al secondo comma, che “la nomina è fatta con dichiarazione resa all’autorità procedente ovvero consegnata alla stessa dal difensore o trasmessa con raccomandata“; la seconda – rubricata espressamente “designazione del sostituto del difensore” – stabilisce che “il difensore designa il sostituto nelle forme indicate nell’art. 96, comma 2, del codice“.

Tal che se ne faceva conseguire come la chiave di lettura fosse, quindi, l’art. 96, comma 2, cod. proc. pen., per il quale la nomina (come la designazione del sostituto, in virtù del rimando fatto dall’art. 34 D.A.c.p.p.) deve essere documentata per iscritto, perché solo in tal modo può avere effetto dinanzi all’Autorità giudiziaria; ed infatti, prosegue la Corte nel suo ragionamento decisorio, a) se la nomina è fatta con “dichiarazione resa all’autorità procedente“, essa è necessariamente inserita in un verbale, non essendo concepibile una nomina affidata alla memoria degli operatori giudiziari; b) se “è consegnata all’autorità procedente dal difensore” vuol dire che è stata effettuata per iscritto e in tale forma consegnata all’Autorità giudiziaria; c) se “è trasmessa con raccomandata” all’autorità giudiziaria procedente vuol dire che è stata previamente raccolta in forma scritta.

Da questa considerazioni giuridiche gli ermellini pervenivano, come logico corollario, ad una ulteriore conseguenza ossia che, dovendo la designazione del sostituto avvenire nelle stesse forme, non è ammissibile la designazione orale la quale a sua volta può avvenire con dichiarazione resa personalmente dal difensore all’autorità procedente (nel qual caso è inserita a verbale), ovvero consegnata o trasmessa per iscritto all’autorità procedente.

La Corte, inoltre, precisava altresì come tale vincolo non spettasse solo al sostituto del difensore dell’imputato, ma anche, a maggior ragione, al sostituto del difensore delle altre parti private (art. 100 cod. proc. pen.) e della persona offesa (art. 101 cod. proc. pen.), dal momento che l’art. 34 D.A. c.p.p. si riferisce, indistintamente, ad ogni difensore, sia per la sua collocazione sistematica (è ricompreso nel capo IV del titolo I, che detta norme per ogni “difensore“), sia per il suo contenuto semantico (parla, genericamente, del “difensore“).

Posto ciò, i giudici di legittimità ordinaria osservavano per di più, per un verso, come non sarebbe ipotizzabile, per il sostituto di detti difensori, una soluzione diversa, dal momento che già per il difensore della parte civile, del responsabile civile e della persona civilmente obbligata per la pena pecuniaria l’attribuzione del ministero deve avvenire per procura speciale, trattandosi di soggetti che agiscono nell’ambito di un rapporto civilistico, ancorché inserito nel processo penale, mentre, per il difensore della persona offesa, la forma scritta è prescritta dall’art. 101 cod. proc. pen. (che rimanda, ancora una volta, all’art. 96/2 cod. proc. pen.), per altro verso, come andasse considerato, sotto il profilo dell’inquadramento giudico, che la sostituzione processuale è sussumibile nello schema della rappresentanza (art. 1387 cod. civ.); il che conferma che il conferimento dell’incarico deve avvenire con le forme previste per la nomina del difensore (art. 1392 cod. civ. e 96 cod. proc. pen.).
Veniva altresì ritenuto sussistente l’adempimento di questa formalità anche avuto riguardo alla documentazione della qualità di difensore all’autorità procedente dato che, per tutti i “difensori“, la documentazione della qualità (all’autorità procedente) può avvenire solo in forma scritta (si veda l’art. 27 D.A.c.p.p.), sicché – anche tralasciando quanto prevede, per la nomina, l’art. 34 cit. – non è concepibile, ad avviso della Corte, che il sostituto del difensore sia esonerato dall’obbligo di documentare, alla stessa maniera, la sua qualità, trattandosi di soggetto che fa le veci del difensore e sottostà, quindi, alla medesima disciplina anche perché non sarebbe possibile pervenire a conclusione diversa facendosi riferimento alla disciplina positiva della professione forense, contenuta nel R.D.L. n. 1578 del 27 novembre 1933 (Ordinamento delle professioni di avvocato e procuratore) e nella legge 31 dicembre 2012, n. 247 (Nuova disciplina dell’ordinamento della professione forense) sia perché l’art. 9 del R.D.L. 1578/33 prevede espressamente che “il procuratore può, sotto la sua responsabilità, farsi rappresentare da un altro procuratore esercente presso uno dei Tribunali della circoscrizione della Corte d’appello e Sezioni distaccate. L’incarico è dato di volta in volta per iscritto negli atti della causa o con dichiarazione separata“, sia perchè tale norma non è stata abrogata dalla legge 31 dicembre 2012, n. 247 (Nuova disciplina dell’ordinamento della professione forense), dal momento che, da una parte, l’art 65 della legge suddetta fa salve le norme anteriori fino all’entrata in vigore dei regolamenti previsti dalla stessa legge (regolamenti che non risultano – allo stato – emanati), dall’altra, non risulta esercitata la delega prevista dall’art. 64 della medesima legge (secondo cui il Governo avrebbe potuto adottare, entro ventiquattro mesi, uno o più decreti legislativi contenenti un testo unico di riordino delle disposizioni vigenti in materia di professione forense).

Alla luce delle considerazioni sin qui esposte, pertanto, i giudici di Piazza Cavour giungevano a postulare, da un lato, che la disposizione contenuta nell’art. 14, comma 2, della legge 247/2012, richiamata dal difensore di V., secondo cui “gli avvocati possono farsi sostituire o coadiuvare da altro avvocato, con incarico anche verbale” va interpretata, pertanto, nel senso che la sostituzione può avvenire anche oralmente, ma al di fuori del processo, nel cui ambito vige, invece, la regola specificamente dettata dagli artt. 96/2 cod. proc. pen. e 34 D.A. c.p.p., dall’altro, che non potesse essere accolta l’opinione del ricorrente e del Procuratore Generale della Repubblica presso la Corte di Cassazione, secondo cui la legge 247/2012 avrebbe implicitamente abrogato l’art. 9 del R.D.L. n. 1578/1933, sia perché a siffatta conclusione non inducono motivi di ordine logico (la “vanificazione” della previsione contenuta nell’art. 14 cit.), giacché l’interpretazione qui accolta non esclude l’operatività dell’art. 14 cit. in ambito extra-processuale (laddove rilevano esclusivamente i rapporti tra parti private), sia perché niente impedisce al difensore di officiare per iscritto altro avvocato, allorché voglia delegare la rappresentanza processuale pure poiché, anche se si fosse voluto ritenere abrogato l’art. 9 cit. dalla legge 247/2012 non per questo sarebbe venuta meno la previsione degli artt. 96/2 cod. proc. pen. e 34 D.A.c.p.p., atteso che queste norme dettano una disciplina valevole in ambito settoriale, sicché non sarebbero toccate da una normativa disciplinante – in via generale – la professione forense, e perché non può dirsi che la legge 247/2012 regoli “l’intera materia già regolata dalla legge anteriore” (art. 15 delle preleggi), dal momento che ne resta fuori l’istituto della rappresentanza processuale.

Conclusioni

Nella sentenza in esame si affronta un problema molto ricorrente nella prassi giudiziale ossia la questione della forma da doversi conferire alla delega conferita dal titolare di una difesa al suo sostituto.

Ebbene, se nel passato, la stessa Cassazione aveva affermato che, in materia di designazione di sostituto processuale, la legge non richiede, per la validità dell’atto, la forma scritta ad substantiam, dal momento che la dichiarazione di nomina può essere resa verbalmente dinanzi all’autorità giudiziaria (così: Cass. pen., sez. VI, 2/02/2010, n. 15229), in questa pronuncia, si addiviene ad un indirizzo ermeneutico di segno opposto affermandosi, come visto prima, la necessità che la nomina a sostituto processuale avvenga per iscritto.

Nel prendere atto delle considerevoli e molteplici argomentazioni giuridiche che connotano la decisione in commento, chi scrive ritiene però opportuno, per una evidente esigenza di certezza del diritto, che su un tema così delicato visto le evidente ricadute processuali che l’applicazione di un indirizzo nomofilattico, anziché l’altro, possono avere nei confronti dell’assistito (in questo caso è venuto meno il suo diritto al contraddittorio), sarebbe opportuno che sulla questione intervenissero le Sezioni Unite al fine di chiarire quale dei due indirizzi interpretavi debba essere quello da doversi seguire in tali situazioni.

Sentenza collegata

59701-1.pdf 277kB

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Avv. Di Tullio D’Elisiis Antonio

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