La Corte Suprema degli Stati Uniti nella sentenza City of Boerne

Sgueo Gianluca 27/03/08
Scarica PDF Stampa
1. Antefatto – 2. L’altra giurisprudenza
 
1. Antefatto
Boerne è una piccola città del Texas, fondata nel 1849 da alcuni coloni tedeschi[1]. La città, originariamente chiamata Tusculum, deve la sua denominazione attuale a Ludwig Boerne, un poeta tedesco. L’economia locale, fondata sul turismo e sullo sfruttamento delle risorse naturale circostanti, è cresciuta considerevolmente negli ultimi anni. A partire dagli anni Cinquanta del secolo scorso, infatti, le dimensioni della città ed il numero degli abitanti (attualmente oltre settemila) sono aumentati in modo considerevole. Ciò ha contribuito a rendere Boerne una delle principali bedroom communities dell’area di San Antonio.
La comunità locale è prevalentemente di religione cattolica. Non a caso, uno degli edifici principali della città è la St. Peter Catholic Church, costruita nel 1929 nello stile architettonico coloniale tipico della zona. La struttura originaria dell’edificio è rimasta inalterata fino ai primi anni Novanta del secolo scorso. Successivamente, l’aumento del numero di abitanti, e l’impossibilità di accogliere tutti i fedeli alle celebrazioni domenicali, convinse l’Arcivescovo di San Antonio ad autorizzare il parroco ad intraprendere alcuni lavori di allargamento.
Il permesso, tuttavia, viene negato dal City Council di Boerne. Il diniego motiva in base alla necessità di preservare intatte le aree in cui esistono vincoli storici. Secondo un’ordinanza approvata pochi mesi prima dallo stesso Consiglio, infatti, è rimessa alla discrezionale valutazione di questo la concessione di qualsiasi tipo di autorizzazione ad intervenire in zone protette da vincoli storico-artistici.
L’Arcivescovo di San Antonio impugna la decisione presso la District Court for the Western District of Texas. Nelle motivazioni che accompagnano il ricorso si opera un richiamo al Religious Freedom Restoraction Act (d’ora in avanti, Freedom Act) emanato dal Congresso statunitense nel 1993. Secondo il ricorrente, il diniego di costruire ricevuto dalle autorità locali sarebbe in contrasto con i principi stabiliti dal Freedom Act. A seguito dell’inizio del dibattimento, al giudice è chiesto di pronunciarsi in ordine alla costituzionalità dello stesso. Secondo il City Council il Freedom Act è incostituzionale, perché eccede i poteri legittimamente concessi al Governo nell’attività di enforcement. Esso, pertanto, non può essere opposto al diniego di costruire. Invece, secondo le motivazioni dell’Arcivescovo di San Antonio e del governo federale, intervenuto nella causa, il Freedom Act costituisce un valido esempio enforcement act del quattordicesimo emendamento, che prevede la cd. Free Exercise Clause.
La District Court ritiene l’atto incostituzionale, in quanto emanato in violazione dei limiti del potere di enforcement, che consentono, è vero, al governo federale di dare attuazione alle previsioni costituzionali. Tuttavia, non è consentito al governo apportare interpretazioni ulteriori delle stesse, come invece, ritiene il giudice, è avvenuto nel caso di specie. La decisione viene invertita dalla Fifth Circuit Court of Appeal, che accoglie, invece, le motivazioni dei ricorrenti originari. Sul caso è chiamata a pronunciarsi la Corte Suprema.
La decisione, emessa il 25 giugno del 1997, inverte nuovamente l’esito della sentenza e conferma la decisione emessa in primo grado, dichiarando il Freedom Act incostituzionale. Al di là delle riflessioni relative all’interpretazione dei limiti del potere di enforcement, che qui non interessano, è interessante segnalare le opinioni dei giudici Scalia e O’Connor. Entrambe, seppure in contrasto tra loro (consurring opinion la prima e dissenting opinion la seconda), operano un interessante riferimento al pamphlet di James Madison, Memorials of Remonstrance, del 1785[2]. Nel memoriale, l’allora Presidente degli Stati Uniti si oppose all’emanazione del Virginia’s General Assessment Bill del 1874. Un provvedimento in cui si sviluppava un approccio preferenziale a favore della religione cattolica, attraverso la creazione di un apposito fondo. Per contrastare l’approvazione della legge, il Memorial del Presidente Madison ricorda che la libertà religiosa degli individui è inalienabile e, soprattutto, inalterabile in conseguenza degli interessi della società civile.
Il richiamo dei giudici della Corte Suprema al pamphlet, nelle parti in cui ricorda che “(…) Every man who becomes a member of any particular Civil Society, [must] do it with a saving of his allegiance to the Universal Sovereign”, e che, anche, “(…) in matters of Religion, no man’s right is abridged by the institution of Civil Society, and that Religion is wholly esempt from its cognizance”, è interessante per due ragioni. La prima, e più importante, risiede nell’accoglimento, seppure implicito, dell’idea per cui società civile e le ideologie religiose restano due concetti distinti. Nell’opinione di Madison cui i giudici fanno richiamo la religione viene prima della società civile. Pertanto, la seconda non può imporre i propri interessi sulla prima.
Questa circostanza, tuttavia, solleva un problema. Mantenere separate le idee religiose dal contesto in cui si inserisce ed opera la società civile crea un problema allorchè si tratta di qualificare o meno i gruppi religiosi quali membri della società civile. Il legame tra le associazioni religiose e le ideologie che essi rappresentano, infatti, non appare distinguibile. Le associazioni operano in funzione dell’ideologia che rappresentano, senza la quale non avrebbero ragione di esistere.
La decisione non è unica nel suo genere. Ad analoghe conclusioni la Corte Suprema era giunta, nel 1995, nella causa intentata da alcuni studenti cattolici cui l’Università della Virginia aveva negato lo stanziamento di una somma in danaro a copertura parziale delle spese di pubblicazione del giornale universitario. Nonostante la presenza di un fondo appositamente costituito, infatti, l’Università aveva ritenuto non opportuno concedere il finanziamento a causa del contenuto degli articoli, dichiaratamente orientati a favore della religione cattolica. Nella concurring opinion del giudice Thomas si cita nuovamente il pamphlet di Madison, in particolare laddove lo interpreta sostenendo che “Madison’s Remonstrance decried the fact that the assessment bill would require civil societyto take “cognizance” of religion”.
 
2. L’altra giurisprudenza
Così, anche, in altre sentenze. Ad esempio, nella sentenza Wallace v. Jaffre, del 1985, in cui la Corte, investita della questione relativa alla legittimità di una legge dello Stato dell’Alabama, con cui si autorizzavano le scuole pubbliche ad osservare ogni giorno un minuto di silenzio per la preghiera. La Corte si pronuncia definendo la legge in oggetto “(…) an endorsement of religion lacking any clearly secular purpose, and thus was a law respecting the establishment of religion in violation of First Amendment”. Oppure, nella sentenza Walz v. Tax Commission of City of New York, del 1970, relativa al ricorso proposto da alcuni proprietari immobiliari nei confronti della decisione della New york City Tax Commission, tesa a concedere sostanziosi sgravi fiscali a favore degli edifici di culto delle organizzazioni religiose. Oppure, ancora, nella sentenza del 1947, Everson v. Board of Ed. of Edwing Tp., in cui la Corte, giudicando in merito alla decisione del Board of Education della città di Edwin, ritenne che la previsione di norme di favore per gli studenti delle scuole cattoliche rispetto a quelli delle scuole pubbliche, non fosse legittima. La circostanza per cui la società civile prevenga, nel tempo, la nascita della religione, produce, per la Corte, un effetto chiaro: “(…) if religion be exempt from the authority of the Society at large, still less can it be subject to that of the Legislative Body”.
È interessante notare, peraltro, che non sempre i giudici della Corte Suprema pervengono a questa soluzione seguendo lo stesso percorso logico. Si trova un esempio interessante nella dissenting opinion del giudice Scalia, nella causa Texas Monthly, Inc. v. Bullock, del 1989, relativa al ricorso presentato da alcuni editori di riviste non cattoliche nei confronti di una legge dello Stato del Texas che esentava dal pagamento delle tasse gli editori delle riviste religiose. Nell’occasione, il giudice ritenne che i valori religiosi che fondano una società civile non debbano essere modificati. In particolare, non spetta al giudice rimodellare il rapporto tra religiose e società civile. “It is not right, it is not constitutionally healthy” – egli sostiene – “that this Court should feel authorized to refashion anew our civil society’s relationship with religion, adopting a theory of church and state that is contradicted by current practice, tradition, and even our own case law”. In altri termini, Scalia è favorevole alla circostanza che la società civile e la religione non si confondano. Tuttavia, conclude in senso opposto rispetto al precedente: è la società civile – ed il giudice stesso – che non possono influenzare i valori della religione.
 
 
 


[1] Tutte le informazioni sono tratte dal sito ufficiale della cittadina: www.ci.boerne.tx.us
[2] La versione integrale è disponibile presso il seguente indrizzo: http://religiousfreedom.lib.virginia.edu/sacred/madison_m&r_1785.html

Sgueo Gianluca

Scrivi un commento

Accedi per poter inserire un commento