La cooperazione penale in ambito europeo di quali strumenti disponiamo?

Silvia Zinolli 15/12/20
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In un momento storico particolarmente difficile come quello odierno, in cui l’Europa subisce attacchi terroristici sempre piu’ frequenti, risulta di fondamentale importanza indagare le dinamiche che intercorrono tra gli Stati membri in materia di collaborazione penale. Tale ambito e’ rimasto, per molti anni, relegato a fonti pattizie e ancora oggi si basa sul principio della cooperazione volontaria, ma assume un’importanza sempre crescente all’interno della Comunità.

La progressiva attribuzione di poteri d’intervento in materia penale ad organi e, in particolar modo, ad apposite Agenzie dell’Unione Europea[1], costituisce, nel parere di chi scrive, il risvolto naturale della creazione di uno spazio comune con frontiere esterne uniche e rappresenta una notevole occasione per gli Stati membri di attuare politiche efficaci nei confronti di problemi comuni quali, in primis, la lotta alla criminalità organizzata di matrice terroristica.

Tale incremento delle funzioni comunitarie, tuttavia, continua ad essere guardato con sospetto da molti Stati membri, “gelosi” delle loro prerogative più intimamente pubblicistiche e restii, soprattutto, nel condividere le informazioni rilevanti connesse a questioni puramente penali.

Procediamo, quindi, alla descrizione di un istituto comunitario creato proprio per favorire la collaborazione penale europea

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1. L’ordine d’indagine europeo

L’ordine d’indagine europeo (d’ora in poi, OEI) è stato introdotto dalla direttiva 2014/41/UE[2] e, basandosi, in primis, sul principio del reciproco riconoscimento, s’inserisce nella rete crescente di un sistema globale di acquisizione della prova straniera. L’OEI puo’ essere definito, infatti, come «una decisione giudiziaria emessa o convalidata dall’autorità di un Paese membro, identificata in base alle regole interne (“Stato di emissione”) e finalizzata al compimento di uno o più atti investigativi, di acquisizione della prova o diretta a rendere disponibile […] la “fonte” di una prova in un diverso Paese membro (“Stato di esecuzione”)»[3]. Tale strumento, valido per qualsiasi istanza di assistenza giudiziaria, nonostante la simbolica denominazione, è, in realtà, pur sempre una richiesta che, a determinate condizioni, può essere rifiutata dallo Stato di esecuzione, corrispondendo esclusivamente a un interesse dello Stato di emissione. Piu’ nello specifico, questo significa che i motivi di rifiuto che lo Stato ricevente puo’ allegare sono tassativamente determinati dalla direttiva e collegati a ragioni di immunità, lesione di interessi fondamentali della sicurezza nazionale, violazione del ne bis in idem, incompatibilità con gli obblighi in materia di diritti fondamentali ed altri, espressi, tuttavia, in termini molto generici, tali da poter ricomprendere moltissimi casi e, per di piu’, senza che si possa mai effettuare una verifica della loro effettiva sussistenza e senza la previsione di sanzioni in caso di rifiuti illeggittimi.

Per quanto riguarda il concreto contenuto dell’atto, è richiesto un elevato grado di specificita’, dovendo comprendere, in primo luogo una «descrizione della condotta penale […] oggetto dell’indagine o del procedimento e le disposizioni di diritto penale applicabili», in modo da consentire allo Stato di esecuzione di effettuare una verifica di compatibilità con i propri principi interni, nonchè la valutazione della necessarieta’e della proporzionalita’ della richiesta. L’OEI deve specificare, inoltre, l’oggetto e motivi dell’atto stesso, tutti i dati di cui si disponde, le informazioni relative alle persone, a vario titolo, coinvolte e gli atti d’indagine che si ritiene debbano compiersi, anche se è lasciato un margine di autonomia piuttosto ampio allo Stato richiesto, in una posizione più idonea per stabilire modalità esecutive efficaci.

Per attivare la procedura dell’OEI, lo Stato di emissione deve trasmettere la relativa richiesta servendosi dei canali ufficiali e di un formulario standard, tradotto nella lingua ufficiale del Paese ricevente. Quando lo stesso perviene allo Stato di esecuzione, questo deve, innanzitutto, inviare allo Stato richiedente “l’allegato B”, entro massimo una settimana, in modo da dare conferma dell’avvenuta ricezione della domanda, e, nei successivi 30 gironi, valutare il contenuto dell’OEI e la sua compatibilità con il proprio diritto interno, anche se, almeno in linea teorica, tutti gli Stati membri condividono gli stessi principi fondamentali, per cui la compatibilità dovrebbe sussistere in re ipsa per il solo fatto di appartenere entrambi all’Unione Europea.

Successivamente, nel caso in cui le suddette verifiche diano un esito positivo, lo Stato di ricezione determina quale sia l’atto nazionale che corrisponde alla richiesta straniera e stabilisce tutte le prescrizioni cui le proprie forze dell’ordine debbono attenersi nell’esecuzione dell’ordine, che, spesso, in Italia, viene affidato alla polizia giudiziaria. Non è escluso, tuttavia, che possano appositiamente costituirsi squadre investigative comuni e che, quindi, alle operazioni partecipino anche agenti e rappresentanti dello Stato di emissione, che, quando operano sul territorio dello Stato di esecuzione, sono giuridicamente assimilati ai funzionari dello stesso.

I tempi di esecuzione dell’OEI sono molto vari, come, del resto, le stesse indagini nazionali presentano tempistiche diverse a seconda delle specifiche circostanze del caso concreto, anche perchè la richiesta puo’ essere inoltrata non solo per acquisire prove gia’ formate, come, ad esempio, dei documenti cartacei, ma anche per svolgere investigazioni e atti che necessitano ancora di essere espletati, come degli interrogatori o delle intercettazioni. Secondo la direttiva, tuttavia, l’OEI, dovrebbe essere trattato dallo Stato di esecuzione con la stessa cura e, soprattutto, con la stessa priorita’ di un caso nazionale interno e dovrebbe essere eseguito non oltre i 90 giorni successivi alla presa in carico della richiesta.

Una volta portate a termine le operazioni di esecuzione dell’OEI, poi, salvo il caso in cui i rappresentanti dello Stato richiedente abbiano partecipato all’attività in questione e, quindi, siano in grado di ricevere manu propria le prove, i dati raccolti andranno trasferiti senza ritardo allo Stato di emissione, ferma la possibilità, per lo Stato di esecuzione, di stabilire un termine per la restituzione, qualora si tratti di prove non ripetibili e pertinenti anche a un procedimento in corso in loco, in modo da assicurare un’efficace circolazione del materiale probatorio che non pregiudichi nessuno dei due Paesi coinvolti[4].

Questo sistema rappresenta, indubbiamente, uno strumento e una tappa importante nella cooperazione penale europea, ma, purtroppo, ha diversi limiti connessi alla sua non obbligatorieta’ e, anche nel caso di  esito positivo di tutto il procedimento previsto, alla sua lentezza macchinosa. Ne è consapevole anche la Commissione Europea che il 17 aprile 2018 ha presentato una proposta di regolamento relativo a nuovi sistemi di acquisizione della prova elettronica, a cui, in attesa di approvazione, si guarda con grande fiducia per cambiare gli scenari della lotta al terrorismo.

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Note

[1] Si pensi a organi europei come EUROPOL, EUROJUST, OLAF, l’ufficio europeo per la lotta antifrode, EMCDDA, l’osservatorio europeo delle droghe e delle tossicodipendenze, EPPO, the European public prosecutor office, adibito a perseguire i reati che ledono gli interessi finanziari dell’Unione europea e Frontex, the European border and coast guard standing corps, il servizio europeo di polizia che aiuta gli Stati membri con frontiere esterne a svolgere efficaci azioni coordinate per gestire al meglio i flussi migratori e combattere la criminalità transfrontaliera.

[2] Essendo, tuttavia, una direttiva lo strumento istituivo dell’OEI, essa richiede di essere trasporta nei vari Stati membri tramite apposita normativa di recepimento che, in tal caso, doveva essere emanata in tutti gli Stati membri entro maggio 2017. Se questa mancasse, una richiesta in tal senso dovrà essere interpretata e trattata come un una normale domanda di assistenza giudiziaria rogatoriale. Lo stesso accade ancora con Irlanda e Danimarca, che non hanno aderito alla normativa.

[3] G. BARROCU, La cooperazione investigativa in ambito europeo, Cedam, 2017, p. 206.

[4] Per approfondimenti cfr. P. PAULESU, Operazioni sotto copertura e ordine europeo di indagine penale, in Arch. pen., 2018, n. 1.

Silvia Zinolli

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