La Consulta dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 512, comma 1, del codice di procedura penale: vediamo in che modo

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Corte costituzionale, 23 settembre 2020 (ud. 23 settembre 2020, dep. 20 ottobre 2020), n. 218 (Presidente Morelli, Relatore Petitti)

(Riferimento normativo: Cod. proc. pen., art. 512, c. 1)

Il fatto

La vicenda processuale, tra cui è scaturita la pronuncia che esamineremo da qui a breve, traeva origine dall’arresto in flagranza di una persona trovata in possesso di alcuni involucri di eroina.

Orbene, all’atto dell’arresto e del sequestro della sostanza stupefacente, costui aveva ingaggiato una violenta colluttazione con i carabinieri operanti, e gli veniva perciò contestato di aver opposto resistenza e cagionato lesioni ai pubblici ufficiali fatti per i quali lo stesso era definitivamente condannato con sentenza emessa dal Tribunale di Roma.

Ciò posto, sottoposto a misura cautelare, in sede di interrogatorio davanti al giudice per le indagini preliminari, ai sensi dell’art. 294 cod. proc. pen., l’arrestato, ricevuti gli avvertimenti di cui all’art. 64, comma 3, cod. proc. pen., aveva peraltro reso dichiarazioni accusatorie nei confronti dei pubblici ufficiali che avevano proceduto al suo arresto.

Costoro risultavano perciò imputati nel processo pendente davanti al Tribunale di Roma per i reati di cui agli artt. 110, 582, 61, numero 9), del codice penale nonché agli artt. 110, 479 in relazione all’art. 476, comma 2, cod. pen., oltre che per il reato di cui all’art. 605 cod. pen..

A fronte di ciò, con ordinanza, su richiesta del pubblico ministero, veniva ammesso l’esame testimoniale del dichiarante, ai sensi dell’art. 197-bis cod. proc. pen., ma il Tribunale di Roma esponeva, tuttavia, come, nel prosieguo del dibattimento, fosse stata accertata l’irreperibilità sopravvenuta del medesimo arrestato presso la Casa circondariale di Roma Regina Coeli in quanto scarcerato sicché, alla luce delle «vane ricerche effettuate», il pubblico ministero aveva chiesto l’acquisizione, ai sensi dell’art. 512 cod. proc. pen., delle dichiarazioni rese dal medesimo nell’interrogatorio dinanzi al giudice per le indagini preliminari.

I difensori degli imputati, a loro volta, avevano contestato l’utilizzabilità di tali dichiarazioni.

In relazione a quanto sin qui prospettato, il Tribunale di Roma osservava che: a) l’art. 512 cod. proc. pen. non consente di disporre la lettura del verbale di dichiarazioni rese al giudice per le indagini preliminari dall’imputato giudicato in un procedimento per reato collegato; b) non sono condivisibili le argomentazioni del pubblico ministero,secondo cui le dichiarazioni in questione dovrebbero intendersi assunte dallo stesso pubblico ministero ed avrebbero in sostanza natura di denuncia, in quanto tali comprese tra le letture consentite dall’art. 512 cod. proc. pen.; c) l’interrogatorio della persona sottoposta a misura cautelare, ai sensi dell’art. 294 cod. proc. pen., è atto cui procede il giudice che ha deciso in ordine all’applicazione di tale misura, di tal che il contenuto eteroaccusatorio delle dichiarazioni ivi rese dall’indagato non ne permette comunque l’assimilazione ad una denuncia;

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La questione prospettata nell’ordinanza di rimessione

Il giudice capitolino, alla luce delle considerazioni appena richiamate poco prima, rilevava come non risultasse manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 512 cod. proc. pen. nella parte in cui tale norma non ammette l’acquisizione e la lettura delle dichiarazioni rese al giudice per le indagini preliminari da imputato in un procedimento collegato, da escutersi ai sensi dell’art. 197-bis cod. proc. pen., in caso di impossibilità di ripetizione per fatti o circostanze imprevedibili, quale, come nel caso in esame, «la sopravvenuta irreperibilità del dichiarante», non prevedibile al momento in cui quelle dichiarazioni vennero rese così come stimata altresì rilevante tale questione in ragione del rilievo probatorio delle dichiarazioni rese in sede di interrogatorio di garanzia ai fini della decisione.

Oltre a ciò, nell’ordinanza di rimessione, il giudice di merito osservava come la condizione soggettiva del dichiarante (“testimone assistitoex art. 197-bis, cod. proc. pen.) rendesse inapplicabile la distinta ipotesi di lettura dibattimentale contemplata dall’art. 513 cod. proc. pen. essendo questa riferibile all’imputato e alle persone indicate nell’art. 210, comma 1, cod. proc. pen. (imputati in un procedimento connesso a norma dell’art. 12, comma 1, lettera a, nei confronti dei quali si procede o si è proceduto separatamente e che non possono assumere l’ufficio di testimone).

D’altro canto, sempre ad avviso del Tribunale di Roma, il censurato art. 512 cod. proc. pen. non consente la lettura delle dichiarazioni davanti al giudice nel corso delle indagini preliminari rese da chi sia poi citato in dibattimento quale “testimone assistito” giacché imputato di un reato collegato a norma dell’art. 371, comma 2, lettera b, cod. proc. pen. (nel caso previsto dall’art. 64, comma 3, lettera c, cod. proc. pen.) ancorché, «per fatti o circostanze imprevedibili», ne sia «divenuta impossibile la ripetizione» posto che l’interrogatorio della persona sottoposta a misura cautelare non rientra fra gli atti tassativamente elencati nell’art. 512 cod. proc. pen..

Secondo il Tribunale di Roma, in particolare, non potrebbe a ciò ovviarsi mediante un’interpretazione analogica di detta disposizione, per avere la stessa natura eccezionale, consentendo la deroga al principio costituzionale della formazione della prova in contraddittorio e alla facoltà dell’imputato, costituzionalmente garantita, di interrogare o far interrogare le persone che rendono dichiarazioni a suo carico così come neppure sarebbe ammissibile un’interpretazione estensiva della norma impugnata, visto che l’art. 513 cod. proc. pen., disciplinando analoga materia, prevede espressamente la lettura delle dichiarazioni rese dalle persone indicate nell’art. 210, comma 1, cod. proc. pen., sia dinanzi al giudice dell’udienza preliminare, sia davanti al giudice per le indagini preliminari, sicché la formulazione dell’art. 512 cod. proc. pen. appare frutto di una diversa scelta del legislatore.

Siffatta scelta di escludere la lettura delle dichiarazioni a suo tempo rese al giudice per le indagini preliminari dalla persona poi citata quale teste assistito ex art. 197-bis cod. proc. pen., nonostante la sopravvenuta impossibilità di ripetizione dell’esame, appariva dunque al Tribunale di Roma in contrasto con l’art. 3 Cost. in quanto irragionevole e lesiva del principio di eguaglianza essendo viceversa consentita la lettura delle dichiarazioni rese, fuori del contraddittorio, dinanzi alla polizia giudiziaria e al pubblico ministero (e, dunque, in assenza di un giudice terzo), come anche delle dichiarazioni rese dai soggetti di cui all’art. 210 cod. proc. pen..

La medesima scelta legislativa di sottrarre irrimediabilmente tali dichiarazioni al materiale probatorio valutabile per l’accertamento dei fatti sarebbe stata tra l’altro per il giudice a quo in contrasto con l’art. 111 Cost. il quale rimette alla legge di regolare i casi di deroga al principio del contraddittorio nella formazione della prova per accertata impossibilità in modo da permettere l’acquisizione nella fase dibattimentale di atti di indagine allorché sussista la non ripetibilità dell’elemento raccolto dovuta a cause imprevedibili.

L’ordinanza di rimessione evidenziava, inoltre, come, per le dichiarazioni contenute nel verbale di interrogatorio ex art. 294 cod. proc. pen., nemmeno operi il meccanismo di acquisizione previsto dal comma 3 dell’art. 238 del medesimo codice.

Dopo avere affermato ciò, veniva quindi richiamata dal giudice rimettente l’ordinanza n. 164 del 2003 con la quale la Consulta aveva dichiarato la manifesta inammissibilità della questione di legittimità costituzionale dell’art. 512 cod. proc. pen. che era stata sollevata, in riferimento agli artt. 3 e 111 Cost., «nella parte in cui non consente la lettura per impossibilità sopravvenuta delle dichiarazioni rese al giudice nel corso delle indagini preliminari da soggetto che nel corso del dibattimento ha assunto la veste di “testimone assistito” ex art. 197-bis cod. proc. pen.», non avendo il giudice a quo precisato quale fosse la posizione processuale del soggetto, giudicato separatamente, nel momento in cui aveva reso le dichiarazioni divenute irripetibili.

Oltre a ciò, si notava come la citata ordinanza avesse avuto modo di rilevare, in particolare, come il giudice rimettente non avesse chiarito se quelle dichiarazioni erano state raccolte nell’ambito di un procedimento cumulativo a carico anche dell’imputato da giudicare ovvero in un procedimento diverso il che impediva di valutare se nel caso in esame avrebbe potuto applicarsi l’art. 238, comma 3, cod. proc. pen. che prevede l’acquisizione della documentazione di atti di altri procedimenti di cui è divenuta impossibile la ripetizione per fatti o circostanze imprevedibili.

Il Tribunale rimettente richiamava, per di più, la successiva ordinanza n. 112 del 2006 con la quale la Corte costituzionale aveva dichiarato la manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale dell’art. 512 cod. proc. pen. sollevata, sempre in riferimento agli artt. 3 e 111 Cost., nella parte in cui non consente di dare lettura, in dibattimento, delle dichiarazioni già rese al giudice per le indagini preliminari da soggetto che, successivamente, abbia assunto la veste di “testimone assistito” ai sensi dell’art. 197-bis cod. proc. pen. e delle quali sia sopravvenuta l’impossibilità di ripetizione.

Nel dettaglio, l’ordinanza n. 112 del 2006 aveva affermato che l’inapplicabilità, nella specie, dell’art. 513 cod. proc. pen., ritenuta dal giudice a quo, si fondava sul presupposto erroneo che il dichiarante avesse già assunto la qualità di “testimone assistito” (nonostante che la sua audizione, in realtà, fosse stata impedita per la sopravvenuta morte) mentre, al contrario, la “qualifica” del dichiarante, nella prospettiva del regime delle letture di cui agli artt. 512 e 513 cod. proc. pen., doveva essere valutata solo all’atto della dichiarazione dibattimentale sicché la mera potenzialità dell’acquisizione della veste di “testimone assistito” non poteva ritenersi preminente sulla condizione processuale già effettivamente rivestita dal soggetto al momento in cui le dichiarazioni, poi divenute irripetibili, fossero state rese.

Al riguardo, il Tribunale di Roma affermava oltre tutto che «il dichiarante di cui è sopravvenuta l’irreperibilità, nel caso di specie, per quanto evidenziato, non poteva che essere citato nel presente dibattimento quale teste assistito ex art. 197-bis c.p.p., rivestendo la qualità di imputato di reati collegati a norma dell’art. 371, comma 2, lett. b), c.p.p., ricorrendo l’ipotesi di cui all’art. 64, comma 3, lett. c) c.p.p.» e, nella descritta condizione soggettiva, concludeva il rimettente, non è applicabile l’art. 513 cod. proc. pen. e l’art. 512 cod. proc. pen. non prevede la possibilità di disporre la lettura delle dichiarazioni rese da «persona che non è stato possibile escutere in dibattimento quale testimone assistito, stante la sua sopravvenuta irreperibilità, e, dunque, per impossibilità di natura oggettiva».

Le argomentazioni sostenute dalle parti

Depositava atto di intervento il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che la questione fosse dichiarata inammissibile ovvero infondata.

Ad avviso dell’Avvocatura generale, l’ordinanza di rimessione avrebbe rilevato una carenza di motivazione in quanto il giudice a quo non chiariva le ragioni per le quali il pubblico ministero non aveva valutato l’opportunità di esperire l’incidente probatorio ai sensi dell’art. 392 cod. proc. pen con il quale sarebbe stato possibile anticipare davanti al giudice per le indagini preliminari la formazione della prova in contraddittorio cristallizzando le dichiarazioni di accusa rese dal detenuto nei confronti dei pubblici ufficiali autori del suo arresto.

L’atto di intervento deduceva inoltre che la motivazione dell’ordinanza non avrebbe chiarito, sotto il profilo della rilevanza, perché fosse applicabile al caso di specie l’art. 512 cod. proc. pen. ovvero quale fosse la ragione per cui il giudice riteneva non solo non ripetibile oggettivamente l’audizione del “testimone assistito” ma anche imprevedibile tale irripetibilità.

La difesa dello Stato osservava altresì, ulteriormente, che nel merito la questione appariva essere infondata atteso che l’art. 512 cod. proc. pen. consente al giudice del dibattimento di acquisire le dichiarazioni predibattimentali purché rese in presenza di «adeguate garanzie procedurali» individuabili nell’accurato vaglio di credibilità dei contenuti accusatori e nella compatibilità della dichiarazione con i dati di contesto tenuto conto altresì del fatto che, in caso di irreperibilità sopravvenuta del soggetto che abbia reso dichiarazioni predibattimentali, il giudice deve accertare con estremo rigore se sia oggettiva l’impossibilità di formazione della prova in contraddittorio essendo l’irripetibilità dell’atto dovuta a fatti o circostanze imprevedibili.

L’Avvocatura richiamava, infine, la già citata ordinanza n. 112 del 2006 della Consulta circa la rilevanza delle diverse condizioni soggettive dei dichiaranti ai fini dell’applicabilità degli artt. 512 e 513 cod. proc. pen. nonché le sentenze della Corte europea dei diritti dell’uomo 13 ottobre 2005, Bracci contro Italia e 8 febbraio 2007, Kollcaku contro Italia circa l’inammissibilità della condanna fondata essenzialmente sulle dichiarazioni di un testimone che la difesa non abbia avuto occasione di controinterrogare nel corso delle indagini preliminari o in dibattimento indipendentemente dal fatto che questi si sia sottratto al contraddittorio in modo consapevole e volontario.

Il Presidente del Consiglio dei ministri depositava poi memoria difensiva in data 1° settembre 2020 ribadendo i rilievi circa le carenze della motivazione dell’ordinanza di rimessione in ordine alla sussistenza delle condizioni di operatività dell’art. 512 cod. proc. pen., circa le alternative processuali che consentono l’acquisizione e la lettura delle dichiarazioni rese dall’imputato di un reato collegato e circa l’incensurabilità della scelta legislativa di non contemplare espressamente gli imputati di un reato collegato ex art. 371, comma 2, lettera b), cod. proc. pen. negli artt. 512 e 513 cod. proc. pen..

Le valutazioni giuridiche formulate dalla Consulta

La Consulta rilevava in via preliminare come l’eccezione prospettata dall’Avvocatura dello Stato fosse infondata atteso che il giudizio di rilevanza, per costante giurisprudenza costituzionale, è riservato al giudice rimettente sì che l’intervento del giudice delle leggi deve limitarsi ad accertare l’esistenza di una motivazione sufficiente, non palesemente erronea o contraddittoria, senza spingersi fino a un esame autonomo degli elementi che hanno portato il giudice a quo a determinate conclusioni; in altre parole, nel giudizio di costituzionalità, ai fini dell’apprezzamento della rilevanza, ciò che conta è la valutazione che il giudice a quo deve effettuare in ordine alla possibilità che il procedimento pendente possa o meno essere definito indipendentemente dalla soluzione della questione sollevata potendo la Consulta interferire su tale valutazione solo se essa, a prima vista, appaia assolutamente priva di fondamento (sentenze n. 122 del 2019, n. 71 del 2015).

Orbene, secondo i giudici di legittimità costituzionale, quanto appena esposto non si verificava nel caso di specie posto che, nell’ordinanza di rimessione, il Tribunale di Roma esponeva come, nel corso del dibattimento, fosse stata accertata l’irreperibilità sopravvenuta del dichiarante non prevedibile al momento in cui le medesime dichiarazioni erano state rese e, pertanto, disponendo in tal modo, il giudice a quo, secondo la Consulta, aveva operato una adeguata descrizione della fattispecie concreta e, nel postulare la riconducibilità del caso in esame all’art. 512 cod. proc. pen., in conseguenza della invocata declaratoria di incostituzionalità, aveva specificato in motivazione, sulla base di una valutazione comunque compiuta in una fase iniziale del processo, l’effettiva ricorrenza degli essenziali elementi costitutivi di tale norma e cioè che la sopravvenuta impossibilità di rintracciare il “testimone assistito” era ricollegabile a fatti o circostanze imprevedibili ed era assoluta tenuto conto delle ricerche e degli accertamenti effettuati, così adeguatamente, e comunque in modo non implausibile, motivando la rilevanza della questione.

Oltre a questo, veniva altresì fatto presente come non si potesse contestare al rimettente di non avere esperito un tentativo di interpretazione costituzionalmente conforme della norma impugnata, interpretazione che, a parere del giudice a quo, era comunque impedita dalla formulazione letterale della disposizione (sentenze n. 204 e n. 95 del 2016).

Conclusa la disamina di tale questione preliminare, i giudici di legittimità costituzionale ritenevano come la questione sollevata con riferimento all’art. 3 Cost. fosse fondata.

Al fine di una più agevole comprensione della questione, appariva per la Consulta necessario procedere ad una sintetica ricostruzione del quadro normativo rilevante compiuta nei seguenti termini: “L’art. 512 cod. proc. pen. contiene la disciplina della «Lettura di atti per sopravvenuta impossibilità di ripetizione». Il comma 1 prevede che il giudice, a richiesta di parte, dispone che sia data lettura degli atti assunti dalla polizia giudiziaria, dal pubblico ministero, dai difensori delle parti private e dal giudice nel corso della udienza preliminare quando, per fatti o circostanze imprevedibili, ne è divenuta impossibile la ripetizione. L’art. 513 cod. proc. pen. riguarda, invece, la lettura delle dichiarazioni rese dall’imputato nel corso delle indagini preliminari o nell’udienza preliminare. Il comma 1 consente al giudice di disporre la lettura, a richiesta di parte, dei verbali delle dichiarazioni rese dall’imputato al pubblico ministero o alla polizia giudiziaria su delega del pubblico ministero o al giudice nel corso delle indagini preliminari o nell’udienza preliminare, sempre che l’imputato sia assente ovvero rifiuti di sottoporsi all’esame, non potendo tali dichiarazioni essere utilizzate nei confronti di altri senza il loro consenso, salvo che ricorrano i presupposti di cui all’art. 500, comma 4, cod. proc. pen. Il comma 2 dell’art. 513 cod. proc. pen. stabilisce poi che, se le dichiarazioni sono state rese dalle persone indicate nell’art. 210, comma 1, il giudice, a richiesta di parte, dispone l’accompagnamento coattivo del dichiarante o l’esame a domicilio o la rogatoria internazionale ovvero l’esame in altro modo previsto dalla legge con le garanzie del contradditorio. Se non è possibile ottenere la presenza del dichiarante o procedere all’esame, si applica l’art. 512 cod. proc. pen., sempre che l’impossibilità dipenda da fatti o circostanze imprevedibili al momento delle dichiarazioni. Qualora, infine, il dichiarante si avvalga della facoltà di non rispondere, il giudice dispone la lettura dei verbali contenenti le suddette dichiarazioni soltanto con l’accordo delle parti. L’art. 210 cod. proc. pen., sotto la rubrica «Esame di persona imputata in un procedimento connesso», stabilisce al comma 1 che «Nel dibattimento, le persone imputate in un procedimento connesso a norma dell’articolo 12, comma 1, lettera a), nei confronti delle quali si procede o si è proceduto separatamente e che non possono assumere l’ufficio di testimone, sono esaminate a richiesta di parte, ovvero, nel caso indicato nell’articolo 195, anche di ufficio». Tali persone, pur avendo l’obbligo di presentarsi al giudice (comma 2), e pur godendo della garanzia della presenza del difensore (comma 3), hanno comunque facoltà di non rispondere (comma 4). Per completezza, appare utile ricordare che l’art. 12, comma 1, lettera a), cod. proc. pen., dispone che «Si ha connessione di procedimenti: a) se il reato per cui si procede è stato commesso da più persone in concorso o cooperazione fra loro, o se più persone con condotte indipendenti hanno determinato l’evento». Ai sensi del comma 6 dell’art. 210 cod. proc. pen., poi, «Le disposizioni dei commi precedenti si applicano anche alle persone imputate in un procedimento connesso ai sensi dell’art. 12, comma 1, lettera c), o di un reato collegato a norma dell’art. 371, comma 2, lettera b), che non hanno reso in precedenza dichiarazioni concernenti la responsabilità dell’imputato. Tuttavia a tali persone è dato l’avvertimento previsto dall’art. 64, comma 3, lettera c), e, se esse non si avvalgono della facoltà di non rispondere, assumono l’ufficio di testimone». L’art. 197-bis cod. proc. pen., inserito dall’art. 6 della legge 1° marzo 2001, n. 63 (Modifiche al codice penale e al codice di procedura penale in materia di formazione e valutazione della prova in attuazione della legge costituzionale di riforma dell’articolo 111 della Costituzione), riguarda, invece, le persone imputate o giudicate in un procedimento connesso o per reato collegato che assumono l’ufficio di testimone. Il comma 1 di questa disposizione stabilisce che l’imputato in un procedimento connesso ai sensi dell’art. 12 o di un reato collegato a norma dell’art. 371, comma 2, lettera b) (reati dei quali gli uni sono stati commessi in occasione degli altri, o per conseguirne o assicurarne al colpevole o ad altri il profitto, il prezzo, il prodotto o l’impunità, o che sono stati commessi da più persone in danno reciproco le une delle altre, ovvero se la prova di un reato o di una sua circostanza influisce sulla prova di un altro reato o di un’altra circostanza), può essere sempre sentito come testimone quando nei suoi confronti è stata pronunciata sentenza irrevocabile di proscioglimento, di condanna o di applicazione della pena ai sensi dell’art. 444 cod. proc. pen. Il comma 2 estende la possibilità di assumere l’ufficio di testimone all’imputato di procedimento connesso ai sensi dell’art. 12, comma 1, lettera c) o di reato collegato a norma dell’art. 371, comma 2, lettera b), nel caso previsto dall’art. 64, comma 3, lettera c) (e cioè allorquando, prima che abbia inizio l’interrogatorio, la persona sia stata avvertita che se renderà dichiarazioni su fatti che concernono la responsabilità di altri, assumerà, in ordine a tali fatti, l’ufficio di testimone, salve le incompatibilità previste dall’art. 197 e le garanzie di cui all’art. 197-bis). In tali ipotesi, precisano i successivi commi dell’art. 197-bis cod. proc. pen., il testimone è assistito da un difensore; non può essere obbligato a deporre sui fatti per i quali è stata pronunciata in giudizio sentenza di condanna nei suoi confronti, se nel procedimento egli aveva negato la propria responsabilità ovvero non aveva reso alcuna dichiarazione; le dichiarazioni rese non possono essere utilizzate contro il dichiarante; le dichiarazioni rese da chi abbia così assunto l’ufficio di testimone sono valutate unitamente agli altri elementi di prova che ne confermano l’attendibilità (in forza del richiamo all’art. 192, comma 3, cod. proc. pen. contenuto nel comma 6)”.

Orbene, concluso questo excursus normativo, il giudice delle leggi osservava come, dal richiamato quadro normativo, risultasse essere corretta la premessa dalla quale muoveva il rimettente e cioè che le dichiarazioni rese al giudice delle indagini preliminari dall’imputato di reato collegato ai sensi dell’art. 371, comma 2, lettera b), cod. proc. pen. in sede di interrogatorio di garanzia ex art. 294 cod. proc. pen., nel caso in cui le stesse divengano irripetibili per impossibilità dell’esame dello stesso imputato, non sono suscettibili di lettura nel corso del dibattimento atteso che, da un lato, l’art. 513 cod. proc. pen. si riferisce espressamente alle sole dichiarazioni rese dall’imputato nella precedente fase delle indagini preliminari ovvero, attraverso il richiamo all’art. 210, comma 1, c.p.p., a quelle rese dal coimputato ai sensi dell’art. 12, comma 1, lettera a), c.p.p. nei confronti del quale si procede o si è proceduto separatamente e che non può assumere l’ufficio di testimone, dall’altro lato, l’art. 512 cod. proc. pen. contiene una elencazione da ritenersi tassativa degli atti dei quali può essere data lettura in caso di impossibilità di ripetizione e, tra questi, non sono compresi quelli assunti dal giudice per le indagini preliminari essendo menzionati quelli assunti dalla polizia giudiziaria, dal pubblico ministero, dai difensori delle parti private e dal giudice nel corso della udienza preliminare.

A fronte di ciò, si notava oltre tutto come tale lacuna normativa fosse già stata portata alla cognizione della Consulta che, con l’ordinanza n. 112 del 2006, aveva dichiarato manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 512 cod. proc. pen., censurato in riferimento agli artt. 3 e 111 Cost., nella parte in cui «non consente la lettura, per impossibilità sopravvenuta, delle dichiarazioni rese al giudice nel corso delle indagini preliminari da soggetto che ha successivamente assunto la veste di testimone assistito ex art. 197-bis cod. proc. pen.».

In quella occasione la Corte aveva osservato come l’inapplicabilità dell’art. 513 cod. proc. pen., ritenuta nel caso di specie dal giudice rimettente, poggiasse sull’erroneo presupposto che il dichiarante, coimputato nel medesimo procedimento, giudicato con sentenza divenuta irrevocabile e successivamente morto, avesse già assunto la qualità di “testimone assistito” ed aveva quindi ritenuto che, stante la sopravvenienza della morte del dichiarante, la qualifica del soggetto dovesse essere comunque identificata non in via ipotetica, ma all’atto della dichiarazione dibattimentale, così da determinare le concrete modalità di svolgimento della prova.

La Consulta, inoltre, aveva poi posto in risalto che proprio la pregressa qualità già rivestita dal dichiarante al momento in cui le dichiarazioni erano state rese imponeva di dare soluzione alla questione nell’ambito di disciplina dell’art. 513 cod. proc. pen. restando inconferente l’evocazione dell’art. 512 cod. proc. pen., norma riferibile, piuttosto, a dichiarazioni di sicura matrice testimoniale.

In particolare, l’ordinanza n. 112 del 2006 aveva precisato che «la qualifica del dichiarante – nella prospettiva del regime delle letture e, quindi, di una utilizzazione processuale estranea al contraddittorio – deve essere riguardata alla stregua della “condizione” processuale rivestita da quel soggetto al momento in cui le dichiarazioni sono state rese, giacché è proprio in funzione di questa condizione soggettiva che gli artt. 512 e 513 cod. proc. pen. hanno rispettivamente calibrato la corrispondente disciplina delle letture: il primo, con riferimento alla condizione delle persone informate sui fatti e che rivestiranno in dibattimento la qualità di testimoni (donde la mancata previsione di dichiarazioni rese al giudice per le indagini preliminari nel corso delle indagini); il secondo, con riferimento a quella di soggetti a vario titolo ed in varia forma “compromessi” rispetto al tema del procedimento, e che perciò in sede dibattimentale assumeranno la qualità di dichiaranti diversa da quella del testimone “puro”».

Orbene, ad avviso della Consulta, meritava di essere rimeditata l’affermazione contenuta nell’ordinanza n. 112 del 2006 secondo cui la qualifica di “testimone assistito” viene assunta dal dichiarante al momento dell’esame dibattimentale valendo sino a quel momento, ai fini della eventuale lettura delle dichiarazioni in caso di irripetibilità, la posizione che il dichiarante aveva al momento in cui aveva reso le dichiarazioni in relazione alle quali ne era richiesto l’esame in qualità di “testimone assistito” in sede dibattimentale dato che, in realtà, ai fini della disciplina della lettura delle dichiarazioni predibattimentali, per l’assunzione della qualità di testimone – “puro” o “assistito” che sia – non rileva soltanto l’atto della deposizione dibattimentale ma già l’attribuzione dei relativi obblighi che discendono dalla citazione o dalla ammissione del giudice e, prima ancora, dall’avvertimento di cui all’art. 64, comma 3, lettera c), cod. proc. pen. formulato all’imputato di reato connesso o collegato a norma dell’art. 371, comma 2, lettera b) prima delle sue dichiarazioni sulla responsabilità di altri.

Dalla necessità di configurare la qualificazione del dichiarante in termini temporalmente e funzionalmente meno rigidi discendeva, all’evidenza, per la Corte di legittimità costituzionale, come l’introduzione nell’ordinamento, per effetto della legge n. 63 del 2001, della figura del “testimone assistito”, di cui all’art. 197-bis cod. proc. pen., e la correlata contrazione dell’ambito di operatività dell’art. 210 cod. proc. pen., abbiano ampliato le lacune e le incongruenze della disciplina delle modalità di recupero in dibattimento delle dichiarazioni rese nelle fasi precedenti, quale risultante dal rapporto tra gli artt. 512 e 513 cod. proc. pen., dato che tali norme lasciano, senza soluzione, il problema della lettura degli atti qualora l’esame della persona da escutere ai sensi dell’art. 197-bis cod. proc. pen. sia divenuto impossibile per fatti o circostanze sopravvenute ed imprevedibili ed estranei alla volontà del dichiarante.

La esplicita previsione che nei casi di cui ai commi 1 e 2 dell’art. 197-bis cod. proc. pen. le persone ivi indicate possano essere sentite come testimoni, secondo il giudice delle leggi, rende evidente, da un lato, la non assimilabilità della posizione di costoro a quella di chi può avvalersi del diritto al silenzio (con la conseguente disciplina delineata dall’art. 513, comma 2, in caso di irripetibilità delle dichiarazioni) e, dall’altro, l’avvicinamento della posizione di tali soggetti a quella dei testimoni, sia pure con le garanzie procedurali e con le limitazioni di efficacia probatoria delineate compiutamente dai successivi commi del medesimo art. 197-bis c.p.p. tenuto conto altresì del fatto che, già con l’ordinanza n. 355 del 2003, la Consulta aveva avuto modo di sottolineare la “centralità” del modello offerto dall’art. 512 cod. proc. pen. agli effetti del recupero di dichiarazioni non riproponibili nel contraddittorio dibattimentale «per accertata impossibilità di natura oggettiva», come appunto prevede l’art. 111, quinto comma, Cost.; avendo, peraltro, la sentenza n. 440 del 2000 prima ancora chiarito come, sulla base del quadro delineato dalle modifiche introdotte nell’art. 111 Cost. dalla legge costituzionale 23 novembre 1999 n. 2 (Inserimento dei principi del giusto processo nell’articolo 111 della Costituzione), non possa più ammettersi una interpretazione estensiva dello stesso art. 512 cod. proc. pen. in quanto specifica ipotesi di deroga del principio del contraddittorio nella formazione della prova nel processo penale.

Ebbene, in tale prospettiva, dovendosi ora guardare all’art. 512 cod. proc. pen. come norma di riferimento e residuale in tema di recupero degli atti a contenuto dichiarativo di cui sia impossibile la ripetizione in dibattimento per circostanze sopravvenute, in conformità ai principi di cui all’art. 111, quinto comma, Cost., per la Consulta, risulta irragionevole, alla luce dell’art. 3 Cost., che tale disposizione non contempli le dichiarazioni su fatti che concernono la responsabilità dell’imputato, rese al giudice nel corso delle indagini preliminari da un soggetto giudicato per reato collegato, a norma dell’art. 371, comma 2, lettera b), cod. proc. pen, il quale abbia poi assunto l’ufficio di testimone ai sensi dell’art. 197-bis cod. proc. pen. poiché, dall’assunzione della qualità di testimone all’atto della deposizione dibattimentale, discendono l’attribuzione dei relativi obblighi nonché le modalità di escussione e i correlati adempimenti formali (fatte salve le garanzie e le regole di valutazione della prova espressamente previste nell’art. 197-bis cod. proc. pen.).

Di conseguenza, alla luce di quanto appena esposto, si imponeva, per la Corte costituzionale, l’applicabilità allo stesso soggetto del regime di acquisizione delle pregresse dichiarazioni dettato dall’art. 512 cod. proc. pen. ove la sua deposizione in dibattimento sia impedita da una impossibilità sopravvenuta di ripetizione.

Avuto riguardo, peraltro, alla qualità che il soggetto, che ha poi assunto l’ufficio di “testimone assistito”, rivestiva al momento delle dichiarazioni predibattimentali delle quali sia divenuta impossibile la ripetizione, tra gli atti passibili di lettura, da aggiungere all’elenco già contenuto nell’art. 512 cod. proc. pen., secondo la Corte costituzionale, non possono non comprendersi le dichiarazioni rese al giudice per le indagini preliminari nell’interrogatorio di garanzia di cui all’art. 294 cod. proc. pen. rilevandosi al contempo che, se in base all’attuale formulazione dell’art. 512 cod. proc. pen., può essere data lettura degli atti assunti dalla polizia giudiziaria, dal pubblico ministero, dai difensori delle parti private e dal giudice nel corso della udienza preliminare quando, per fatti o circostanze imprevedibili, ne è divenuta impossibile la ripetizione, la mancata previsione di identica possibilità per il caso in cui l’atto assunto sia un atto formato dal giudice per le indagini preliminari risulta del tutto irragionevole tenuto conto altresì del fatto che le dichiarazioni rese dall’imputato di reato collegato ai sensi dell’art. 371, comma 2, lettera b), c.p.p., che abbia assunto la qualità di testimone assistito, sia per effetto dell’avvertimento di cui all’art. 64, comma 3, lettera c), c.p.p., sia per effetto dell’intervenuta pronuncia nei suoi confronti di sentenza di proscioglimento, di condanna o di applicazione della pena ai sensi dell’art. 444 cod. proc. pen., del resto, ben sarebbero suscettibili di lettura ove assunte dal pubblico ministero sicché risulta, anche da tale ulteriore prospettiva, sempre il giudice del leggi, del tutto irragionevole che ciò non sia possibile nel caso in cui l’interrogatorio sia stato assunto dal giudice per le indagini preliminari con le garanzie proprie di tale tipo di atto né appariva per la Corte significativo il fatto che l’interrogatorio di garanzia costituisca uno strumento di difesa (Corte di cassazione, sezione sesta penale, sentenza 4 dicembre 2002-23 gennaio 2003, n. 3388, venendo esso in rilievo per le dichiarazioni concernenti la responsabilità di altri.

Alla luce delle considerazioni sin qui esposte, i giudici di legittimità costituzionale dichiaravano l’ illegittimità costituzionale dell’art. 512, comma 1, cod. proc. pen., per violazione dell’art. 3 Cost., nella parte in cui non prevede che, alle condizioni ivi stabilite, sia data lettura delle dichiarazioni rese al giudice per le indagini preliminari in sede di interrogatorio di garanzia dall’imputato di un reato collegato a norma dell’art. 371, comma 2, lettera b), c.p.p., che, avendo ricevuto l’avvertimento di cui all’art. 64, comma 3, lettera c), c.p.p., sia stato citato per essere sentito come testimone.

Conclusioni

Con questa pronuncia la Consulta interviene sull’art. 512, c. 1, c.p.p. dichiarandolo costituzionalmente illegittimo, per violazione dell’art. 3 della Cost., nella parte in cui non prevede che, alle condizioni ivi stabilite, sia data lettura delle dichiarazioni rese al giudice per le indagini preliminari in sede di interrogatorio di garanzia dall’imputato di un reato collegato a norma dell’art. 371, comma 2, lettera b), c.p.p., che, avendo ricevuto l’avvertimento di cui all’art. 64, comma 3, lettera c), c.p.p., sia stato citato per essere sentito come testimone.

Di conseguenza, la prescrizione contenuta nell’art. 512, c. 1, c.p.p. ai sensi del quale, come noto, il giudice, a richiesta di parte, dispone che sia data lettura degli atti assunti dalla polizia giudiziaria, dal pubblico ministero, dai difensori delle parti private e dal giudice nel corso della udienza preliminare quando, per fatti o circostanze imprevedibili, ne è divenuta impossibile la ripetizione, deve rilevare, per effetto di questa decisione, anche qualora sia data lettura delle dichiarazioni rese al giudice per le indagini preliminari in sede di interrogatorio di garanzia dall’imputato di un reato collegato a norma dell’art. 371, comma 2, lettera b), c.p.p. (“Le indagini di uffici diversi del pubblico ministero si considerano collegate: (…) se si tratta di reati dei quali gli uni sono stati commessi in occasione degli altri, o per conseguirne o assicurarne al colpevole o ad altri il profitto, il prezzo, il prodotto o l’impunità, o che sono stati commessi da più persone in danno reciproco le une delle altre, ovvero se la prova di un reato o di una sua circostanza influisce sulla prova di un altro reato o di un’altra circostanza”), che, avendo ricevuto l’avvertimento di cui all’art. 64, comma 3, lettera c), c.p.p., (ossia l’avviso da doversi fare alla persona da doversi sentire che, prima dell’interrogatorio, “se renderà dichiarazioni su fatti che concernono la responsabilità di altri, assumerà, in ordine a tali fatti, l’ufficio di testimone, salve le incompatibilità previste dall’articolo 197 e le garanzie di cui all’articolo 197-bis”) sia stato citato per essere sentito come testimone.

Tale pronuncia, dunque, per l’evidente ricaduta che ha sulla portata applicativa dell’art. 512, c. 1, c.p.p., deve essere presa nella dovuta considerazione ove si verifichi una evenienza processuale di questo genere.

Il giudizio in ordine a quanto statuito in siffatto provvedimento, proprio per l’importanza che riveste sotto il profilo procedurale, inoltre, non può che essere positivo.

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