La Conferenza ONU Durban 2 sul Razzismo e la difesa dei diritti umani

Pavone Mario 14/05/09
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 “L’Italia deve porre fine alla discriminazione e alla xenofobia e migliorare la propria politica in materia di immigrazione” come ha dichiaratoil commissario dei diritti umani del Consiglio d’Europa, Thomas Hammarberg. è stato tra l’altro segretario generale di Amnesty International, e rappresentante del segretario generale delle Nazioni Unite, Kofi Annan, per il rispetto dei diritti umani in Cambodia.
Hammarberg ha affermato di essere molto preoccupato per la criminalizzazione dell’immi grazione irregolare in Italia e punta il dito soprattutto su due norme:
  • quella che prevede il ricorso da parte dell’Italia, in vista di ritorni forzati, ad accordi bilaterali e multilaterali con Paesi che "si è accertato ricorrono alla tortura",
  • quella sulla possibilità per i medici di denunciare gli immigrati irregolari che si rivolgono al sistema sanitario.
“Nonostante siano stati compiuti degli sforzi, permangono preoccupazioni per quanto riguarda la situazione dei rom, le politiche e le pratiche in materia di immigrazione e il mancato rispetto dei provvedimenti provvisori vincolanti richiesti dalla Corte europea dei Diritti dell’Uomo” ha dichiarato Hammarberg,nel presentare il proprio rapporto sull’Italia.
“Le autorità dovrebbero condannare più fermamente ogni manifestazione di razzismo o di intolleranza e garantire l’effettiva applicazione della legislazione anti-discrimiazione ,raccomandando di accrescere il numero di rappresentanti dei gruppi etnici in seno alle forze di polizia e di istituire un organismo nazionale indipendente, quale il mediatore, per rafforzare la tutela dei diritti umani.
Hammarberg raccomanda inoltre di migliorare la situazione dei rom. “Permane nei loro confronti un clima di intolleranza e le loro condizioni di vita sono tuttora inaccettabili in un certo numero di campi da me visitati. Le buone prassi a livello locale esistono nel paese e dovrebbero essere estese”.
Il Commissario Europeo ha espresso,inoltre,profonda inquietudine circa l’opportunità di effettuare un censimento nei campi rom e sinti e si dichiara preoccupato per la sua “compatibilità con le norme europee che disciplinano la raccolta e il trattamento di dati a carattere personale”.
Occorre creare dei meccanismi di consultazione a ogni livello con i rom e i sinti, ad evitare le espulsioni che non sono accompagnate da alcuna offerta di risistemazione e ad attuare soluzioni educative appropriate per i bambini.
D’altro canto che “il nuovo piano d’azione relativo alle misure di protezione sociale e di integrazione sarà messo in opera quanto prima e che le autorità manterranno al più presto la promessa di ratificare senza riserve la Convenzione del Consiglio d’Europa sulla nazionalità, che tutelerà in particolare gli interessi dei bambini rom di fatto apolidi”.
Il Commissario ha ribadito le proprie critiche sul disegno di legge sulla sicurezza pubblica, che rischia di avere effetti negativi sui diritti degli immigrati. “La criminalizzazione degli immigrati è una misura sproporzionata, che potrebbe avere l’effetto di acuire le tendenze discriminatorie e xenofobe che già si manifestano nel paese” ha dichiarato. “Inoltre, la recente disposizione adottata dal Senato, che consente al personale medico di segnalare alla polizia gli immigrati irregolari che si rivolgono al sistema sanitario è profondamente ingiusta e potrebbe portare a una loro maggiore emarginazione”.
Il Commissario Hammarberg esprime preoccupazione per un certo numero di ritorni forzati in Tunisia imposti per motivi di sicurezza a persone che corrono tuttavia gravi rischi di essere torturate nel loro paese.
“Gli Stati hanno evidentemente il dovere di proteggere le società dal terrorismo, ma non devono, per questo, violare le norme in materia di diritti umani, quali il divieto assoluto della tortura o dei trattamenti disumani.
L’Italia non ha provveduto ad applicare le misure provvisorie vincolanti richieste dalla Corte europea dei Diritti dell’Uomo per porre fine alle espulsioni, compromettendo in tal modo gravemente l’efficacia del sistema europeo di protezione dei diritti umani”.
Il Commissario ha infine espresso soddisfazione per un certo numero di misure positive prese dalle autorità italiane, e in particolare per l’adozione di programmi di educazione interculturale, per la decisione di ratificare la Convenzione del Consiglio d’Europa sulla lotta contro la tratta degli esseri umani e per lo sviluppo di un programma nazionale di protezione dei minori stranie ri non accompagnati.
Bisona prendere atto che più di quattro milioni di persone di origine straniera vivono oggi in Italia.
Si tratta in gran parte di lavoratrici e lavoratori che contribuiscono al benessere di questo Paese e che lentamente e faticosamente, sono entrati a far parte della nostra comunità.
Persone spesso vittime di pregiudizi e usate come capri espiatori specialmente quando aumentano l’insicurezza economica e il disagio sociale.
Chi alimenta il razzismo e la xenofobia attraverso la diffusione di informazioni fuorvianti e campagne di criminalizzazione fa prima di tutto un danno al Paese.
L’aumento degli episodi di intolleranza e violenza razzista a cui assistiamo sono sintomi preoccupanti di un corto circuito che rischia di degenerare e che ci allontana dai riferimenti cardine della nostra civiltà.
Tutti gli esseri umani nascono liberi ed eguali in dignità e diritti.
Ad ogni individuo spettano tutti i diritti e tutte le libertà enunciate nella Costituzione italiana e nella Dichiarazione Universale dei Diritti Umani, senza distinzione alcuna di nazionalità, colore della pelle, sesso, lingua, religione, opinione politica, origine, condizioni economiche e sociali, nascita o altro.
Sono questi i principi fondamentali che accomunano ogni essere umano e costitui scono la base di ogni moderna democrazia.
Una società che si chiude sempre di più in se stessa, che cede alla paura degli stranieri e delle differenze, è una società meno libera, meno democratica e senza futu ro.
Non si possono difendere i nostri diritti senza affermare i diritti di ogni individuo, a cominciare da chi è debole e spesso straniero.
Il benessere e la dignità di ognuno di noi sono strettamente legati a quelli di chi ci vive accanto, chiunque esso sia.
In questo senso appare pienamente condivisibile l’appello lanciato da Acli, Alto Commissariato delle Nazioni unite per i rifugiati, Amnesty International, Antigone, Arci, Asgi, Cantieri Sociali, Caritas italiana, Centro Astalli, Cgil, Cir, Cisl, Cnca, Comunità di Sant’Egidio, Csvnet, Emmaus italia, Federazione Chiese evangeliche in Italia, Federazione Rom e Sinti, FioPsd, Gruppo Abele, Libera, Rete G2 – Seconde generazioni, Save the Children, Sei – Ugl, Terra del Fuoco, Uil Tavolo della Pace.
Va ricordato che con il decreto legislativo n.215 del 9 luglio 2003 l’Italia ha attuato la direttiva 2000/43/CE per la parità di trattamento tra le persone indipendentemente dalla razza e dall’origine etnica.
Il provvedimento recepisce i criteri direttivi della direttiva precisando le nozioni di molestie, "discriminazione diretta" e "indiretta" e riconoscendo la facoltà di agire in giudizio anche ad associazioni rappresentative degli interessi lesi dalla discriminazione.
In particolare, ai sensi dell’art.2 del DLvo(Nozione di discriminazione)
1. Ai fini del presente decreto, per principio di parita’ di trattamento si intende l’assenza di qualsiasi discriminazione diretta o indiretta a causa della razza o dell’origine etnica. Tale principio comporta che non sia praticata alcuna discriminazione diretta o indiretta, cosi’ come di seguito definite:
a) discriminazione diretta quando, per la razza o l’origine etnica, una persona e’ trattata meno favorevolmente di quanto sia, sia stata o sarebbe trattata un’altra in situazione analoga;
b) discriminazione indiretta quando una disposizione, un criterio, una prassi, un atto, un patto o un comportamento apparentemente neutri possono mettere le persone di una determinata razza od origine etnica in una posizione di particolare svantaggio rispetto ad altre persone.
2. E’ fatto salvo il disposto dell’articolo 43, commi 1 e 2, del testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione dello straniero, approvato con decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286, di seguito denominato: «testo unico».
3. Sono, altresi’, considerate come discriminazioni, ai sensi del comma 1, anche le molestie ovvero quei comportamenti indesiderati, posti in essere per motivi di razza o di origine etnica, aventi lo scopo o l’effetto di violare la dignita’ di una persona e di creare un clima intimidatorio, ostile, degradante, umiliante e offensivo.
4. L’ordine di discriminare persone a causa della razza o dell’origine etnica e’ considerato una discriminazione ai sensi del comma 1.
Inoltre,in base al successivo art. 3(Ambito di applicazione)
1. Il principio di parita’ di trattamento senza distinzione di razza ed origine etnica si applica a tutte le persone sia nel settore pubblico che privato ed e’ suscettibile di tutela giurisdizionale, secondo le forme previste dall’articolo 4, con specifico riferimento alle seguenti aree:
a) accesso all’occupazione e al lavoro, sia autonomo che dipendente, compresi i criteri di selezione e le condizioni di assunzione;
b) occupazione e condizioni di lavoro, compresi gli avanzamenti di carriera, la retribuzione e le condizioni del licenziamento;
c) accesso a tutti i tipi e livelli di orientamento e formazione professionale, perfezionamento e riqualificazione professionale, inclusi i tirocini professionali;
d) affiliazione e attivita’ nell’ambito di organizzazioni di lavoratori, di datori di lavoro o di altre organizzazioni professionali e prestazioni erogate dalle medesime organizzazioni;
e) protezione sociale, inclusa la sicurezza sociale;
f) assistenza sanitaria;
g) prestazioni sociali;
h) istruzione;
i) accesso a beni e servizi, incluso l’alloggio.
2. Il presente decreto legislativo non riguarda le differenze di trattamento basate sulla nazionalita’ e non pregiudica le disposizioni nazionali e le condizioni relative all’ingresso, al soggiorno, all’accesso all’occupazione, all’assistenza e alla previdenza dei cittadini dei Paesi terzi e degli apolidi nel territorio dello Stato, ne’ qualsiasi trattamento, adottato in base alla legge, derivante dalla condizione giuridica dei predetti soggetti.
3. Nel rispetto dei principi di proporzionalita’ e ragionevolezza, nell’ambito del rapporto di lavoro o dell’esercizio dell’attivita’ di impresa, non costituiscono atti di discriminazione ai sensi dell’articolo 2 quelle differenze di trattamento dovute a caratteristiche connesse alla razza o all’origine etnica di una persona, qualora, per la natura di un’attivita’ lavorativa o per il contesto in cui essa viene espletata, si tratti di caratteristiche che costituiscono un requisito essenziale e determinante ai fini dello svolgimento dell’attivita’ medesima.
4. Non costituiscono, comunque, atti di discriminazione ai sensi dell’articolo 2 quelle differenze di trattamento che, pur risultando indirettamente discriminatorie, siano giustificate oggettivamente da finalita’ legittime perseguite attraverso mezzi appropriati e necessari
Sin qui la presa di posizione della UE contro il razzismo dilagante contro gli stranieri che continuano ad arrivare in Europa alla ricerca di un futuro migliore per sé e per le proprie famiglie.
E’ in questa chiave di lettura che va letta la nuova conferenza Durban 2 sul razzismo promossa dall’ONU.
Come ha scritto Ferdinando Pelliccia sulle pagine di LiberoReporter la Conferenza Durban 2 sul razzismo promossa dall’ONU per molti è stata un  successo  mentre per tanti altri un fallimen to.
Il giudizio su come sia andata realmente resterà a lungo controverso e ambiguo ed,invero, offre un quadro desolante.
Forti lacerazioni tra i Paesi partecipanti hanno finito per spaccare addirittura l’unità dell’Ue e così solo 22 dei 27 Paesi membri si sono recati a Ginevra.
Hanno evitato di partecipare alla riunione oltre all’Italia, Germania, Olanda, Polonia e, dopo l’intervento del leader iraniano, la Repubblica Ceca. A questi Paesi si devono poi, aggiungere Stati Uniti, Israele, Canada, Nuova Zelanda e Australia.
La Francia è stato uno dei 182 Paesi che hanno invece partecipato ai lavori di Ginevra.
Dei 192 Paesi rappresentati alle Nazioni Unite sono di fatto mancati solo 10 Paesi.
Per l’Onu, nonostante tutto, è andata bene.
A riprova, l’approvazione della dichiarazione finale della Conferenza che è avvenuta per accla mazione, già il secondo giorno dei lavori, in un chiaro tentativo di voler lasciarsi in fretta alle spalle le polemiche.
In molti erano quelli che la ritenevano non molto distante dalla dichiarazione adottata alla prima Conferenza sul razzismo nel 2001 a Durban in Sudafrica che fu contrassegnata da manifestazioni di anti-semitismo a margine dell’incontro e fu abbandonata da Usa e Israele. Effettivamente il documento approvato al vertice ‘Durban 2’ riafferma la dichiarazione adottata a quello ‘Durban 1’, solo che dopo essere stato al centro di un braccio di ferro tra il gruppo dei Paesi musulmani ed i Paesi occidentali a causa delle divergenze sulla questione mediorientale e la diffamazione delle religioni ha prevalso la linea occidentale.
Il testo adottato infatti, non menziona Israele nè il concetto di diffamazione delle religioni.
Il paragrafo sull’Olocausto è stato invece mantenuto malgrado le richieste dell’Iran, che ha però aderito al documento.
Ed ora si spera che vi aderiscano anche quei Paesi che hanno scelto di non venire a Ginevra.
Il documento finale è composto da 143 articoli e da un preambolo che fa riferimento alle conclusioni della conferenza di Durban del 2001.
A pesare sul vertice infatti sono state le tante defezioni e anche una forte campagna di disinfor mazione, vasta ed orchestrata, almeno secondo quanto denunciato, nell’ultimo giorno dei lavori  dall’Alto commissario dell’Onu per i diritti umani, Navi Pillay.
Per la sudafricana, “contro la Conferenza è stata messa in atto una vera e propria campagna di disinformazione con l’intenzione di ‘annullare’ la Conferenza e che ha indotto alcuni Paesi a boi cottarla”.
Le sue parole hanno trovato un valido sostegno nei Paesi che hanno preso parte alla riunione ginevrina sul razzismo e che hanno sottolineato quanto sia stato importante l’incontro e ancor di più essere stati presenti, a prescindere da alcuni episodi controversi e che hanno innescato polemiche tra i partecipanti.
Nei giorni dei lavori sono stati presenti in sala molte organizzazioni non governative che hanno nell’insieme espresso soddisfazione sul documento finale e come la Pillay hanno lanciato un appello all’adesione ad esso di tutti i Paesi.
Comunque la si giudichi, la Conferenza di Ginevra ha segnato un passo importante nella lotta contro il razzismo che ha trovato,in alcuni recenti episodi, nuova linfa e che rischia di degene rare ulteriormente.
Come è stato ricordato nell’Appello lanciato dall’Associazione Nazionale dei Sociologi,la violenza razzista non nasce oggi in Italia.
Come nel resto dell’Europa, essa è stata, tra Otto e Novecento, un corollario della modernizzazione del Paese.
Negli ultimi decenni è stata alimentata dagli effetti sociali della globalizzazione, a cominciare dall’incremento dei flussi migratori e dalle conseguenze degli enormi differenziali salariali.
Con ogni probabilità, nel corso di questi venti anni è stata sottovalutata la gravità di taluni fenomeni.
Nonostante ripetuti allarmi, è stato banalizzato il diffondersi di mitologie neo-etniche e si è voluto ignorare il ritorno di ideologie razziste di chiara matrice nazifascista.
Ma oggi si rischia un salto di qualità nella misura in cui tendono a saltare i dispositivi di interdizione che hanno sin qui impedito il riaffermarsi di un senso comune razzista e di pratiche razziste di massa.
Gli avvenimenti di questi giorni, spesso amplificati e distorti dalla stampa, rischiano di riabilitare il razzismo come reazione legittima a comportamenti devianti e a minacce reali o presunte.
Ma qualora nell’immaginario collettivo il razzismo cessasse di apparire una pratica censurabile per assumere i connotati di un «nuovo diritto», allora davvero varcheremmo una soglia cruciale, al di là della quale potrebbero innescarsi processi non più governabili.
Si vorrebbe che questo allarme venisse raccolto da tutti, a cominciare dalle più alte cariche dello Stato, dagli amministratori locali, dagli insegnanti e dagli operatori dell’informazione.
Il pericolo appare troppo grave, tale da porre a repentaglio le fondamenta stesse della convi venza civile, come già accadde nel secolo scorso – e anche allora i rom furono tra le vittime designate della violenza razzista.
Mai come in questi giorni è apparso chiaro come avesse ragione Primo Levi nel paventare la possibilità che quell’atroce passato tornasse.
Basti ricordare quanto affermato di recente dalla Prima Sezione della  Suprema Corte con la pregevole sentenza n. 324/2009 con cui ha dichiarato illegittime le espulsioni immotivate di immigrati.
La Corte di Cassazione ha affermato che non sono legittime le espulsioni immotivate, soprat tutto quando il clandestino è in gravi difficoltà economiche: in questo caso non può essere allontanato senza accompagnamento alla frontiera, da parte delle autorità, con un provve dimento del questore non motivato,come sta accadendo sempre più spesso in varie Città d’Italia sull’onda di un generica “criminalizzazione” del clandestino siccome privo del permesso di soggiorno.
Ricorda la Corte che che l’obbligo di motivazione non può essere soddisfatto attraverso il “mero richiamo al provvedimento prefettizio di espulsione”, in quanto diversi sono i presupposti dell’uno e dell’altro provvedimento e diverso ne è l’oggetto; il provvedimento del questore opera inoltre una scelta tra diverse opzioni (espulsione coattiva immediata; espulsione coattiva previo trattenimento;intimazione) specificamente previste e tassativamente individuate quanto a ragioni giustificatrici, rimesse a valutazioni discrezionali tecniche che danno luogo a situa azioni assolutamente diverse, nessuna delle quali è priva di conseguenze giuridicamente rilevanti per l’espulso.
La Suprema Corte ha ricordato inoltre che “la normale situazione di disagio di cui versa il migrante economico, in genere, e lo straniero privo del permesso di soggiorno, in particolare, non consente davvero di presumere che l’ordine di allontanarsi con i propri mezzi entro cinque giorni pena la commissione di un delitto per il quale è minacciata (oggi) una pena minima di un anno di reclusione, sia per lui evenienza «favorevole»”, enunciando il principio di diritto, oramai consolidato, secondo il quale la motivazione che assiste il provvedimento di intimazione a lasciare il territorio nazionale può essere anche particolarmente stringata e meramente enunciativa, in quanto l’impossibilità di trattenere lo straniero presto un centro di permanenza temporaneo è conseguenza di fatti aventi carattere obiettivo che non necessitano di una particolare o diffusa illustrazione, ma è sicuramente necessario, al fine di assicurare il controllo di legalità, che questi fatti vengano indicati, non bastando invece che il decreto si limiti a riprodurre letteralmente la formula della legge.
 
 
Ben venga, dunque, il documento finale di Durban 2, a condizione ,tuttavia, che gli Stati ed i Governanti lo attuino pienamente!!
In caso contrario, potrebbe accadere quello che Bertold Brecht lamentò in una celebre affermazione:
"Prima di tutto vennero a prendere gli zingari e fui contento perché rubacchiavano.
Poi vennero a prendere gli ebrei e stetti zitto perché mi stavano  antipatici.
Poi vennero a prendere gli omosessuali e fui sollevato perché mi erano fastidiosi.
Poi vennero a prendere i comunisti ed io non dissi niente perché non ero comunista.
Un giorno vennero a prendere me e non c’era rimasto nessuno a protestare."

 
Mario Pavone
Presidente
ANIMI Onlus

Pavone Mario

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