La concorrenza nel settore degli appalti pubblici è favorita dalla legalità dell’azione amministrativa, così come il perseguimento di questa (finalità di cui è garante la Corte dei Conti) favorisce, al contempo, il miglior funzionamento del mercato concor

Lazzini Sonia 02/06/11
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Tutela della concorrenza – Corte dei Conti – mancata adozione di un modello contrattuale conforme alle normali regole di contabilità pubblica – necessità del rispetto delle regole di evidenza pubblica è regola generale – danno erariale quantificato in euro 10.441,00

la concorrenza nel settore degli appalti pubblici è favorita dalla legalità dell’azione amministrativa, così come il perseguimento di questa (finalità di cui è garante la Corte dei Conti) favorisce, al contempo, il miglior funzionamento del mercato concorrenziale e, di conserva, l’economicità dell’azione amministrativa

Sussiste il danno alla concorrenza da parte di un’amministrazione per la violazione dei parametri di imparzialità e buon andamento sussumibili nel principio di concorrenza che deve presiedere le scelte dell’amministrazione medesima aventi ad oggetto qualsiasi commessa pubblica di lavori, forniture e servizi, tenuto conto che tutti gli operatori di diritto e massimamente gli organi giurisdizionali debbano contribuire ad inverare nella prassi amministrativa i principi dell’ordinamento comunitario ai quali esso si ispira e che costituiscono principi dell’ordinamento nazionale, secondo l’interpretazione autentica fornita dall’art. 1 della legge n. 241/1990, come attualmente modificato dall’art. 1 della legge 11.2.2005, n. 15.

Per avere un perfetto funzionamento dei meccanismi di mercato è necessaria non solo una situazione di concorrenza effettiva, ma anche una condizione di legalità, intesa questa come diffuso e comune rispetto delle regole, garanzia di crescita economica, nonché sociale, sicché, il vulnus inferto al funzionamento di detti meccanismi non può non rilevare sul piano della responsabilità amministrativo-contabile, per il costo sociale che esso comporta, salvo il ricorso alla valutazione meramente equitativa dell’ammontare del relativo danno

In particolare, la necessità del rispetto delle regole di evidenza pubblica è, per ciò stesso, da intendere quale regola generale, come confermato sia dalla Corte di Giustizia della Unione Europea, secondo la quale anche gli appalti pubblici di scarso valore, seppure non espressamente ricompresi nell’ambito di applicazione delle procedure particolari e rigorose delle direttive, non sono esclusi dall’ambito di applicazione del diritto comunitario, in quanto, a prescindere dalla diretta applicazione della normativa comunitaria sugli appalti di servizi e forniture, vanno comunque rispettati i principi di non discriminazione, parità di trattamento e trasparenza.

Occorre poi ricordare come, nell’ordinamento nazionale, la normativa in tema di evidenza pubblica, nata al fine di favorire l’economicità dell’azione amministrativa ed evitare sprechi e danni all’erario pubblico, ha finito con il divenire modus agendi tipico della pubblica amministrazione, in quanto modalità procedimentale idonea a garantire il perseguimento non solo dei fini di economicità, efficacia ed efficienza dell’azione amministrativa, ma altresì di quelli di legalità, trasparenza e responsabilità.

Nondimeno, si vuole evidenziare come la concorrenza nel settore degli appalti pubblici venga favorita dalla legalità dell’azione amministrativa, così come il perseguimento di questa (finalità di cui è garante la Corte dei Conti) favorisce, al contempo, il miglior funzionamento del mercato concorrenziale e, di conserva, l’economicità dell’azione amministrativa.

SEZIONE GIURISDIZIONALE REGIONALE PER LA LOMBARDIA – n. 447 del 14.7.2006 – Presidente: ************ – Relatore: F. LOMBARDO – Procura regionale c/ I.C. (avv. *******, *****) P.M. : ***************, con nota di *************, magistrato della Corte dei conti

1.– Giudizio di responsabilità amministrativa – responsabilità contabile ed amministrativa – danno indiretto – eccezione generica di carente azione difensiva dell’amministrazione presso altra giurisdizione – insufficienza – mancata collaborazione con i referenti processuali dell’amministrazione – responsabilità – sussiste.

2. Giudizio di responsabilità amministrativa – responsabilità contabile ed amministrativa – adozione degli atti di spesa in violazione delle norme poste a presidio dell’efficacia e dell’economicità dell’azione amministrativa – responsabilità – sussiste – pregiudizio finanziario per l’elusione delle norme poste a presidio dell’evidenza pubblica – sussiste – omissione di confronto concorrenziale – danno alla concorrenza – sussiste – vulnus al funzionamento dei meccanismi di mercato – responsabilità amministrativo-contabile – sussiste – valutazione dell’ammontare del relativo danno – ricorso al potere equitativo.

1. Nel giudizio di responsabilità amministrativa – avviato per le ipotesi di “danno indiretto” – il convenuto non può far leva, per esimersi dalle proprie responsabilità, su presunti errores in iudicando in cui sarebbe incorsa la sentenza emessa da altra giurisdizione, nonché sull’esercizio carente dello ius postulandi da parte dell’Avvocatura dello Stato o dell’attività dell’Ufficio contenzioso dell’amministrazione, perché si impone, in ogni caso, nei confronti di detti referenti processuali un atteggiamento di doverosa collaborazione a tutela delle ragioni erariali – quale la stesura di memorie che servano alla difesa dell’amministrazione stessa – e non certo un commodus discessus, diretto a contestare genericamente una carente attività difensiva.

2. Sussiste la responsabilità amministrativa di un dirigente scolastico che ha adottato atti di spesa in violazione del criterio di efficacia, con quello ad esso complementare dell’economicità, eretti a presidio dell’attività amministrativa dall’art. 1 della legge 7 agosto 1990, n. 241. In particolare, la mancata adozione, nel caso concreto, di un modello contrattuale conforme alle normali regole di contabilità pubblica, con omissione di un minimo di confronto concorrenziale per qualsiasi procedura contrattuale ad oggetto pubblico comporta il sorgere di pregiudizio finanziario, in quanto l’elusione dell’evidenza pubblica che deve sostenere la decisione di spesa di un organo della P.A. significa anzitutto sottrarre la stessa al controllo della corretta e proficua redistribuzione del prelievo fiscale, da attuarsi secondo l’indefettibile predeterminazione dei criteri e delle modalità di tipo concorsuale indicati dall’art. 12 della legge n. 241 del 1990, la cui effettiva osservanza deve risultare dai singoli provvedimenti attributivi di specifici vantaggi economici a valere sulle risorse pubbliche considerate.

Sussiste il danno alla concorrenza da parte di un’amministrazione per la violazione dei parametri di imparzialità e buon andamento sussumibili nel principio di concorrenza che deve presiedere le scelte dell’amministrazione medesima aventi ad oggetto qualsiasi commessa pubblica di lavori, forniture e servizi, tenuto conto che tutti gli operatori di diritto e massimamente gli organi giurisdizionali debbano contribuire ad inverare nella prassi amministrativa i principi dell’ordinamento comunitario ai quali esso si ispira e che costituiscono principi dell’ordinamento nazionale, secondo l’interpretazione autentica fornita dall’art. 1 della legge n. 241/1990, come attualmente modificato dall’art. 1 della legge 11.2.2005, n. 15.

Per avere un perfetto funzionamento dei meccanismi di mercato è necessaria non solo una situazione di concorrenza effettiva, ma anche una condizione di legalità, intesa questa come diffuso e comune rispetto delle regole, garanzia di crescita economica, nonché sociale, sicché, il vulnus inferto al funzionamento di detti meccanismi non può non rilevare sul piano della responsabilità amministrativo-contabile, per il costo sociale che esso comporta, salvo il ricorso alla valutazione meramente equitativa dell’ammontare del relativo danno.

 

Inoltre, la Sezione Lombardia ha messo ancora in evidenza che la posta di danno erariale viene addebitata al convenuto a titolo di sanzione per violazione della concorrenza.

In particolare, la necessità del rispetto delle regole di evidenza pubblica è, per ciò stesso, da intendere quale regola generale, come confermato sia dalla Corte di Giustizia della Unione Europea, secondo la quale anche gli appalti pubblici di scarso valore, seppure non espressamente ricompresi nell’ambito di applicazione delle procedure particolari e rigorose delle direttive, non sono esclusi dall’ambito di applicazione del diritto comunitario, in quanto, a prescindere dalla diretta applicazione della normativa comunitaria sugli appalti di servizi e forniture, vanno comunque rispettati i principi di non discriminazione, parità di trattamento e trasparenza.

Alla medesima stregua, l’art. 24 della legge 27 dicembre 2002 n. 289, ha limitato in via generale la possibilità per le pubbliche amministrazioni di ricorrere alla trattativa privata ai soli casi eccezionali e motivati, imponendo, peraltro, il previo esperimento di una documentata indagine di mercato.

Occorre poi ricordare come, nell’ordinamento nazionale, la normativa in tema di evidenza pubblica, nata al fine di favorire l’economicità dell’azione amministrativa ed evitare sprechi e danni all’erario pubblico, ha finito con il divenire modus agendi tipico della pubblica amministrazione, in quanto modalità procedimentale idonea a garantire il perseguimento non solo dei fini di economicità, efficacia ed efficienza dell’azione amministrativa, ma altresì di quelli di legalità, trasparenza e responsabilità.

Nondimeno, si vuole evidenziare come la concorrenza nel settore degli appalti pubblici venga favorita dalla legalità dell’azione amministrativa, così come il perseguimento di questa (finalità di cui è garante la Corte dei Conti) favorisce, al contempo, il miglior funzionamento del mercato concorrenziale e, di conserva, l’economicità dell’azione amministrativa.

Riportiamo qui di seguito la sentenza numero 447 del 14 luglio 2006 pronunciata dalla Corte dei Conti SEZIONE GIURISDIZIONALE REGIONALE PER LA LOMBARDIA

SENTENZA

nel giudizio di responsabilità iscritto al n. 23409 del registro di segreteria, promosso ad istanza della Procura Regionale nei confronti del sig. omissis, rappresentato e difeso dall’Avv. **************** del Foro di Roma ed elettivamente domiciliato in Milano presso lo Studio Legale dell’Avv. ****************, in via Martora 53.

Visti gli atti e i documenti tutti di causa;

Uditi nella pubblica udienza del 12 aprile 2006 il Magistrato relatore dr. ******************, il Pubblico Ministero, nella persona del Vice Procuratore Generale dr. ******************** e l’Avv. ******* per il convenuto;

Ritenuto in

FATTO

Con nota prot. 8509 dell’11 luglio 2003 il Servizio Legale del Ministero dell’Istruzione – Ufficio Scolastico Regionale per la Lombardia, relazionava la Procura Regionale sugli esiti della verifica ispettiva effettuata nel giugno del 2003, presso l’Istituto scolastico I.P.S.I.A. “******” di Lissone, a seguito della segnalazione di presunte irregolarità nella relativa gestione amministrativo-contabile.

Con nota prot. 175/RIS del 28.10.2004, la competente Direzione Generale dell’indicato Ufficio Regionale del Ministero disponeva un supplemento di indagine, i cui esiti – riportati nella relazione all’uopo predisposta in data 18.1.2005 dal funzionario incaricato – integrano per relationem il contenuto dell’atto di citazione depositato in data 30.11.2005, con il quale è stato chiamato in giudizio il sunnominato convenuto, nella qualità di Preside dell’Istituto, per rispondere della fattispecie di danno erariale ivi ravvisata.

In sintesi, le singole vicende prospettate come rilevanti sul piano della responsabilità amministrativa sono le seguenti:

a) mancata stipula del contratto di supplenza annuale con l’Assistente tecnica Sovran;

b) recesso dal contratto individuale di lavoro a tempo determinato con la sig.ra ******, in qualità di ATA supplente;

c) affidamento dei lavori per l’esecuzione dell’impianto di riscaldamento dell’edificio “A”, di proprietà della Provincia;

d) pagamento di prestazioni di lavoro straordinario, a favore del dirigente amministrativo *************, con applicazione di un “criterio desuntivo”;

e) liquidazione di spese non riconducibili ai canoni della regolarità contabile.

In relazione ai singoli episodi è emerso quanto segue:

a) il convenuto rifiutava di assumere l’assistente tecnica *********** designata dal C.S.A. di Milano, quale destinataria dell’incarico di supplenza annuale. In seguito a tale rifiuto, l’interessata proponeva ricorso al Giudice del lavoro, che disponeva l’immediata assunzione della ricorrente, condannando l’Istituto al risarcimento del danno ed al pagamento delle spese di giudizio;

b) in data 11.9.2000 il convenuto stipulava con la sig.ra ****** un contratto di lavoro a tempo determinato, ex art. 18 CCNL 4.8.1995 – Comparto Scuola – in base al quale la suddetta veniva assunta in qualità di ATA supplente “fino alla nomina dell’avente diritto”, con decorrenza 11.9.2000. In data 12.3.2001, il convenuto recedeva dall’anzidetto contratto “per problemi organizzativi interni”. Anche in questo caso, l’interessata proponeva ricorso al Giudice del lavoro che, accertata l’illegittimità del recesso, condannava l’Istituto al risarcimento del danno ed al pagamento delle spese di giudizio;

c) in data 23.12.2002, il convenuto appaltava i lavori di manutenzione dell’impianto di riscaldamento di alcuni corpi dell’Istituto, richiedendo successivamente alla Provincia, proprietaria dell’immobile, il rimborso della somma anticipata, quale corrispettivo dei lavori effettuati. Indipendentemente dall’esito del rientro della somma di euro 48.958,80 anticipata a detto titolo, la Procura ha accolto le deduzioni difensive formulate sul punto dall’intimato, odierno convenuto, stralciando la relativa voce di danno dal petitum dedotto in giudizio, in considerazione della dimostrata necessità ed utilità funzionale della relativa spesa che, pertanto, non sarà oggetto di esame da parte del Collegio;

d) in data 12.7.2002, il convenuto sottoscriveva, in applicazione di un “criterio desuntivo”, un mandato di pagamento di euro 1.315,67 a favore del D.S.G.A. *************, quale corrispettivo di prestazioni di lavoro straordinario per 100 ore, effettuate dalla stessa nel corso dell’anno 2000/2001, benché nello stesso anno la sunnominata avesse fatto 153 giorni di assenza (92 per malattia e 61 per ferie). Successivamente, in base al medesimo criterio, in data 9.9.2002, il convenuto sottoscriveva un mandato di pagamento di euro 1.500,00 in favore della medesima, per 165 ore di straordinario in parte effettuate nel 2001-2002 ed in parte da effettuarsi, in guisa di acconto sui futuri compensi relativi all’anno scolastico 2002-2003;

e) la voce relativa comprende 15 atti di spesa asseritamente irregolari, dei quali sarà dato conto nella parte motiva. A fronte della pluralità di tali atti – dei quali viene contestata la regolarità contabile – e della difficoltà di procedere ad una puntuale quantificazione di detto postulato “danno diretto” – atteso l’indubbio vantaggio collettivo ritratto dall’Istituto da alcuni di tali atti – la Procura, facendo dichiarato agio sull’art. 1, comma 1-bis della legge n. 20 del 1994 ed implicito riferimento all’art. 1226 c.c. , quantifica l’ammontare di esso in misura pari al 50% della consistenza accertata di euro 98.462,01, al quale aggiunge le restanti voci di “danno indiretto”, di ammontare complessivo pari ad euro 11.102,99, e così per un petitum complessivo pari ad euro 60.334,00, del quale chiede il ristoro a carico del convenuto. Questi in replica, all’atto di costituirsi in giudizio, richiama integralmente il contenuto delle deduzioni difensive formulate, su invito della Procura, in data 23.8.2005 e ribadite in data 11.10.2005, in sede di audizione personale, che possono sintetizzarsi come segue:

a) il convenuto non oppose alcun rifiuto alla nomina della ****** (alla quale venne peraltro corrisposta la relativa retribuzione), ma ritardò solamente la formale stipula del contratto, in attesa che venissero sciolte le riserve cautelativamente frapposte – in relazione al possesso del solo diploma di Liceo artistico – al suo impiego in mansioni operative di falegnameria, che comportavano specifiche attitudini manuali. Le conseguenze di ordine giudiziario sono semmai da imputare ad una evidente carenza difensiva delle ragioni dell’Amministrazione, imputabili all’Ufficio contenzioso del C.S.A. ed all’Avvocatura erariale. Pertanto, non sussistono valide ragioni di addebito al convenuto della somma imputata a detto titolo;

b) la risoluzione del contratto di lavoro con la ****** era giustificata dal negligente comportamento di quest’ultima, integrante la fattispecie del licenziamento per giusta causa. Il profilo della non rispondenza della formula adottata per il recesso non è tale da configurare la “colpa grave” necessaria per addebitare al convenuto le conseguenze ritraibili dalla postulata ricorrenza, nel caso concreto, di una fattispecie di responsabilità amministrativa da “danno indiretto”;

d) i corrispettivi erogati alla D.S.G.A. ************* per le ore di straordinario corrispondono ad attività lavorativa effettivamente resa dalla stessa, in disparte il lungo periodo di assenza dal servizio nell’anno di riferimento. La possibilità di un effettivo riscontro contabile del lavoro straordinario reso fa venir meno il presupposto essenziale del danno risarcibile e cioè la certezza della lesione patrimoniale in pregiudizio dell’Erario;

e) l’estrapolazione dal contesto fattuale dei soli aspetti formali delle irregolarità contabili contestate costituisce un travisamento dei fatti che non permette di apprezzare appieno l’indubbia utilità economica ed il vantaggio morale conseguiti dall’intera collettività amministrata, per l’opera lodevolmente svolta dal convenuto per conto dell’Istituto dal medesimo diretto – promossa e condivisa dalle stesse Autorità scolastiche regionali – di cui fanno fede le numerose attestazioni di merito ed i contributi economici della sponsorizzazione, espressamente richiamati nell’atto difensivo.

Conclude parte convenuta per il proscioglimento da ogni addebito, stante l’evidente carenza dell’elemento soggettivo qualificato per l’imputabilità della responsabilità amministrativa nelle fattispecie A) e B) e per l’insussistenza del danno nelle fattispecie D) ed E) della citazione.

Considerato in

DIRITTO

In assenza di questioni pregiudiziali di rito e preliminari di merito, il Collegio esamina direttamente il merito della domanda, così come articolata dalla Procura regionale.

1. Il capo a) della domanda attrice concerne la mancata stipula del contratto di supplenza annuale con l’assistente tecnica ***********, nonostante la stessa fosse stata individuata dal C.S.A. di Milano, quale destinataria dell’incarico per l’anno scolastico 2001/2002.

Il postulato attoreo poggia sull’inadempimento dell’obbligo discendente dall’art. 1, commi 5 e 6 del D.M. 13 dicembre 2000, n. 430 “Regolamento per le supplenze del personale ATA”, da cui sarebbe conseguita la sentenza n. 155/02 del Giudice del lavoro di Monza – notificata unitamente all’atto di precetto in data 17.4.2002 -costitutiva degli effetti del contratto non concluso ex art. 2932 c.c. e la condanna dell’Amministrazione scolastica al risarcimento del danno, pari alle retribuzioni non corrisposte dal 28.11.2001 all’8.1.2002. Il relativo pregiudizio economico – posto a base della domanda risarcitoria del “danno indiretto” formulata dalla Procura nei confronti del convenuto – viene circoscritto al pagamento delle spese del giudizio, pari ad euro 2.722,80, in considerazione del fatto che la Direzione Provinciale del Tesoro aveva comunque corrisposto alla dipendente le retribuzioni a far data dal 28.11.2001.

Dagli atti processuali si evince che al convenuto non era riservato alcun margine di discrezionalità in ordine all’assunzione in servizio della citata supplente e che, pertanto, il rifiuto – o anche il semplice ritardo – opposto alla stipula del contratto si configurava a guisa di vero e proprio “eccesso di potere” consumato ai danni della ******. Inoltre, la chiarezza esplicita della normativa regolamentare e di contrattazione collettiva – per cui la stipula del contratto, a valle della designazione effettuata dall’Ufficio Scolastico Regionale, rappresentava solamente una modalità attuativa – impediscono di accogliere la tesi difensiva di assenza della colpa grave. Tanto più che, come emerge dall’evitabile esito negativo del processo lavoristico, al rifiuto prima facie opposto alla stipula del contratto seguiva, da parte del convenuto, un altrettanto esiziale comportamento di sdegnosa riluttanza a collaborare con l’Amministrazione scolastica, al fine di far valere le presunte ragioni ostative all’impiego della supplente in mansioni di lavorazione del legno – ritenute non conformi al diploma di Liceo artistico posseduto dalla medesima – che vengono dinanzi a questo Giudice inutilmente, quanto tardivamente, postulate. Sta di fatto, che è stata dichiarata la contumacia dell’Istituto che, malgrado la regolarità della notifica, non si è costituito in giudizio per far valere le proprie ragioni.

Prive di pregio, ai fini del presente giudizio, risultano, pertanto, le ragioni di cautela addotte dal convenuto a giustificazione del ritardo nella stipula del contratto, come anche la necessità di richiedere preventivi lumi al C.S.A. Altrettanto inutilmente il convenuto fa leva su presunti errores in iudicando in cui sarebbe incorsa, a suo dire, la sentenza del Giudice del lavoro e men che meno gli presta soccorso l’argomentazione svolta in ordine alla pertinenza dello ius postulandi all’Avvocatura erariale o all’Ufficio contenzioso del C.S.A., in quanto si impone, in ogni caso, nei confronti di detti referenti processuali un atteggiamento di doverosa collaborazione a tutela delle ragioni erariali – quale la stesura di memorie che servano alla difesa dell’Amministrazione – e non certo un commodus discessus, quale quello praticato dal convenuto nella circostanza. Pertanto, il Collegio ritiene che la somma di euro 2.722,80, pagata in data 18.7.2003, debba essere accollata a costui.

2. Il capo b) della domanda attrice concerne il recesso ingiustificato dell’Amministrazione scolastica dal contratto di lavoro a tempo determinato stipulato in data 11.9.2000, ex art. 18 del CCNL 4.8.1995 – Comparto Scuola, con la signora *******************, in base al quale la stessa veniva assunta in qualità di ATA supplente “fino alla nomina dell’avente diritto”, con decorrenza dall’11.9.2000.

In data 12.3.2001, il convenuto recedeva dall’anzidetto contratto per “problemi organizzativi interni”. Anche in questo caso, la collaboratrice scolastica si rivolgeva al Giudice del lavoro di Monza, ottenendo – in forza della sentenza n. 118/02 in data 26.2.2002, munita di formula esecutiva in data 12.3.2002 – l’accertamento dell’illegittimità del recesso e, per l’effetto, la condanna dell’Istituto al risarcimento del danno ed al pagamento delle spese legali. A seguito di atto di pignoramento notificato in data 21.6.2002, veniva pagata alla ******, nella medesima data del 18.7.2003, la somma complessiva di euro 8.380,19, che il Collegio ritiene di accollare al convenuto per le seguenti ragioni.

Dalla motivazione della sentenza del Giudice del lavoro si evince l’illegittimità dell’anzidetto recesso ante tempus, non assistito da una giusta causa che avrebbe dovuto essere provata dall’Istituto recedente (e, per esso, dal convenuto, autore del recesso) ex art. 2119 c.c.

Stante il quadro giuslavoristico ut supra delineato, il Collegio ritiene che, anche dal lato strettamente giuspubblicistico, il recesso medesimo non regga ad un penetrante sindacato di legittimità. In vero, la stereotipa giustificazione (“problemi organizzativi interni”) evidenziata non costituisce un valido presupposto cui ancorare la causa del potere esercitato nella fattispecie, di modo che l’avervi fatto surrettiziamente riferimento per motivare il provvedimento risolutivo espresso integra un vizio di eccesso di potere, sotto il profilo dello sviamento della causa tipica dell’atto. Fatto si è che deve ritenersi illegittimo – perché affetto da eccesso di potere per sviamento e violazione di legge ex art. 2119 c.c. – il recesso come sopra motivato, anziché sulla base di fatti di rilievo essenzialmente disciplinare: nella specie è agevole evincere – dalla stessa ammissione difensiva sul punto, contenuta a pag. 6 della memoria di costituzione – che il motivo inespresso della risoluzione del contratto fosse l’elusione delle cautele procedurali previste dalla legge per far seguito ad un licenziamento per motivi disciplinari, dovuto all’espletamento di un servizio molto scadente e incompleto ed all’allontanamento ricorrente ed ingiustificato dal posto di lavoro. In altri termini, l’evidenza pubblica che contrassegna la c.d. “fase ascendente” di ogni sottostante contratto stipulato dalla pubblica amministrazione, comporta nella “fase discendente” della gestione del contratto il potere-dovere del datore di lavoro pubblico di esternare l’effettiva e reale sussistenza dei presupposti di fatto che legittimano la risoluzione del rapporto di lavoro, al fine di impedire l’abuso del corrispondente diritto e cioè comportamenti – quale quello adottato dal convenuto – che, piegando la funzione direttivo – organizzativa ostentata nel caso di specie alla realizzazione di non dichiarati fini disciplinari, implicano uno sviamento della causa dell’attribuzione del relativo potere. Pertanto, ove il datore di lavoro ometta di procedere alla necessaria ricognizione ed evidenziazione di siffatti fini, non può ex post invocare il suddetto abuso come giustificato motivo di risoluzione del rapporto di lavoro e, tanto meno, addurre – come è dato evincere dalla memoria difensiva a pag. 6 – una sorta di compensazione tra la valenza dello scopo perseguito in relazione alle circostanze del caso concreto e la colpa al medesimo attribuibile, a diminuzione della gravità della stessa. Né vale addurre quanto assertivamente postulato dal convenuto medesimo a pag. 3 delle deduzioni all’invito rivoltogli dalla Procura e cioè che “la Scuola non si costituì in giudizio per la mancata prestazione di assistenza (inutilmente richiesta) da parte dell’Ufficio Legale del CSA”. Di fatto, ancora una volta, l’Istituto non fu messo in condizione di esercitare il diritto di difesa per mancanza delle necessarie simmetrie informative, dovute all’atteggiamento di colpevole noncuranza assunto dal convenuto in stridente contraddizione con le decisioni da questi temerariamente assunte a discapito delle ragioni erariali. Priva di pregio risulta, a questo riguardo, la generica affermazione (oltretutto non dimostrata) di una inutile richiesta di assistenza legale.

 

3. All’interno della posta di danno relativa al capo d) della citazione si colloca la condotta della dirigente *************, dall’1.9.1997 in servizio presso l’Istituto in qualità di Responsabile amministrativo e confermata nella medesima sede con l’attribuzione del nuovo profilo dirigenziale dall’1.9.2000. La contestazione della fattispecie di danno erariale in argomento muove dall’attribuzione alla sunnominata di un monte ore di straordinario, verso un corrispettivo retribuito di euro 2.815,67, secondo criteri desuntivi non rispettosi delle ordinarie procedure contabili. In vero, dall’indagine ispettiva condotta dall’Amministrazione scolastica è risultato che la dirigente provvedeva ad attribuire a sé medesima il monte ore di straordinario suddetto – al di fuori della tipica attestazione costituita dalla timbratura dei cartellini, solo in parte reperiti – mediante autodichiarazioni. Per di più, una parte del suddetto corrispettivo era stata accreditata come acconto su futuri compensi, in aperto sviamento del principio di postnumerazione che valida il corrispettivo della prestazione lavorativa resa dal dipendente pubblico. Per ammissione dello stesso convenuto sul punto (punto 1 della documentazione allegata sub 5.) “il reperimento degli atti comprovanti le prestazioni lavorative straordinarie effettuate dalla sig.ra ************* risulta notevolmente difficoltoso…”; sicché, “per il calcolo del lavoro straordinario spettante (alla dirigente), viste le difficoltà di cui sopra, si è fatto ricorso ad un criterio desuntivo…”. Appare priva di pregio, pertanto, l’argomentazione difensiva (pp. 7-8 della memoria difensiva) circa il mancato assolvimento dell’onere attoreo di allegare la prova di un danno certo e definito nel suo preciso ammontare: in subiecta materia, in vero, trattandosi in tutta evidenza di gestione contabile, contrassegnata dall’obbligo del custodiam praestare che incombe su quanti a diverso titolo debbano rendere conto della proficua spendita delle risorse finanziarie pubbliche di cui dispongono, il parametro di riferimento dell’onus probandi è quello dell’art. 1218 c.c. , secondo cui “il debitore che non esegue esattamente la prestazione dovuta è tenuto al risarcimento del danno, se non prova che l’inadempimento…è stato determinato da impossibilità della prestazione derivante da causa a lui non imputabile”. E non può esservi dubbio, al riguardo, che ogni procedura di spesa – per essere esattamente adempiuta – deve essere “doppiata” dalla fase del controllo, da esercitare obbligatoriamente, all’atto dell’emissione del relativo titolo, da parte dell’organo sovraordinato che, nella fattispecie, era il convenuto, nella sua qualità di Preside dell’Istituto. A questi, pertanto incombeva il prefato onus probandi che, nella fattispecie, è stato eluso.

 

V’è, tuttavia, da considerare specularmene l’art. 1227 c.c. , secondo cui “se il fatto colposo del creditore ha concorso a cagionare il danno, il risarcimento è diminuito secondo la gravità della colpa e l’entità delle conseguenze che ne sono derivate”. E non può esservi dubbio, al riguardo, sul fatto che la dirigente – creditrice dei corrispettivi per le ore di straordinario effettuate – abbia concorso a cagionare il “danno erariale da mancato riscontro del titolo di spesa” addebitabile al convenuto in misura equitativamente pari, ai sensi dell’art. 1226 c.c. , al 50% dell’anzidetto petitum di euro 2.815,67 e cioè pari ad euro 1.400,00. Quest’ultima è la somma che va, pertanto, posta a carico del convenuto.

 

4. Le poste di danno relative al capo e) della domanda attrice, rubricato come “spese non riconducibili ai canoni della regolarità contabile” sono relative alla liquidazione di una serie di fatture e/o ricevute, delle quali occorre singolarmente delibare la suddetta regolarità, ai fini dell’afferente giudizio di responsabilità da formulare nei confronti del convenuto.

4.1. Mandato n. 26 del 10.2.2004 di euro 2.400,00 liquidati al Bar Duomo di Lissone di cui alla fattura n. 42 per 80 pasti a prezzo fisso.

Nelle controdeduzioni all’invito a dedurre la spesa viene ricondotta alla visita effettuata dal *******************, Direttore del Centro Nazionale delle ricerche IVALSA, su invito del Preside dell’I.P.S.I.A., nell’ambito di iniziative volte alla promozione dell’attività dell’Istituto, delle quali è stata prodotta la relativa documentazione. Trattandosi di una spesa proporzionata all’importanza della finalità di cui sopra, si tralascia di sindacarne la regolarità contabile.

4.2. Mandato n. 15 del 3.2.2004 di euro 2.112,00 liquidati alla Ditta CGS di Lissone per la stampa di n. 27 poster.

In ordine alla spesa suddetta, è documentata la condivisione dell’Amministrazione scolastica regionale al progetto per l’allestimento di uno stand dell’U.S.R. Lombardia e del MIUR allo SMAU 2002/2003. Ritiene, non di meno, il Collegio la sussistenza di un addebito contabile a carico del convenuto, per l’assenza di un minimo confronto concorrenziale, fondante la scelta del contraente fornitore.

Non v’è chi non scorga, in proposito, l’indefettibile coniugazione del criterio di efficacia, con quello ad esso complementare dell’economicità, eretti, non a caso congiuntamente, a presidio dell’attività amministrativa dall’art. 1 della legge 7 agosto 1990, n. 241.

Sicché, non può non affermarsi che ciò che rileva in questa sede è la mancata adozione, nel caso concreto, di un modello contrattuale conforme alle normali regole di contabilità pubblica, che non autorizzano ad omettere – come nella fattispecie all’esame – l’incipit di un minimo di confronto concorrenziale per qualsiasi procedura contrattuale ad oggetto pubblico. Tanto più oggi che i principi basilari in materia di concorrenza e libera prestazione dei servizi, di cui agli artt. 81 e ss. e 49 e ss. del Trattato CE si impongono al rispetto degli Stati membri indipendentemente dall’ammontare delle commesse pubbliche: basti considerare in proposito, con riferimento all’epoca dei fatti per cui è causa, che i commi 1, 2, 4, 5 e 9 dell’art. 24 l. n. 289 del 2002 (legge finanziaria 2003) – nell’estendere agli acquisti sotto soglia di beni e servizi la normativa nazionale di recepimento della normativa comunitaria, nell’imporre la gara per l’acquisto di beni e servizi secondo procedure di evidenza pubblica, nel fissare l’ambito soggettivo ed oggettivo di tale obbligo, nel limitare il ricorso alla trattativa privata e nel collegare alla violazione dell’obbligo sanzioni civili (nullità dei contratti) e forme di responsabilità -implicano l’osservanza generalizzata dei principi desumibili dalla normativa comunitaria (Corte costituzionale, 15 novembre 2004, n. 345).

La necessità del rispetto delle regole di evidenza pubblica è, per ciò stesso, da intendere quale regola generale, come confermato sia dalla Corte di Giustizia della Unione Europea, secondo la quale anche gli appalti pubblici di scarso valore, seppure non espressamente ricompresi nell’ambito di applicazione delle procedure particolari e rigorose delle direttive, non sono esclusi dall’ambito di applicazione del diritto comunitario (in tal senso ordinanza 3 dicembre 2001, in C-59/00, punto 19), in quanto, a prescindere dalla diretta applicazione della normativa comunitaria sugli appalti di servizi e forniture, vanno comunque rispettati i principi di non discriminazione, parità di trattamento e trasparenza.

Ne deriva, pertanto, che, anche per gli appalti sottosoglia, il diritto comunitario considera il ricorso alla scelta diretta (che nell’ordinamento nazionale tradizionalmente corrisponde, come noto, alla trattativa privata), in deroga ai principi di trasparenza e concorrenza, quale evenienza eccezionale, giustificabile solo in presenza di specifiche ragioni tecniche ed economiche, necessitanti di adeguata motivazione, che rendano impossibile, in termini di razionalità, l’individuazione di un soggetto diverso da quello prescelto (cfr. in tal senso, anche la circolare della Presidenza del Consiglio dei Ministri, Dipartimento per le politiche comunitarie n. 8756 del 6 giugno 2002).

In virtù della loro finalità intrinseca, pertanto, il principio della libera concorrenza e quello di non discriminazione, si atteggiano quali principi di ordine generale e di diretta derivazione comunitaria, non limitabili, in quanto tali, agli appalti cd. “comunitari”, anche a prescindere dalla mancata menzione di analoga prescrizione restrittiva nella normativa nazionale regolamentare relativa alla semplificazione delle procedure di aggiudicazione di forniture sotto soglia, di cui al d.P.R. 18 aprile 1994 n. 573. La suddetta somma di euro 2.112,00 vale, pertanto, quale posta di danno erariale addebitabile – nella misura di seguito indicata – al convenuto a titolo di sanzione per violazione della concorrenza, come sarà meglio esplicato nel prosieguo della motivazione.

4.3. Mandato n.9 del 3.2.2004 di euro 203,00 per pasti consumati dai Revisori dei conti dott. ************* (proveniente da Roma), prof. *************** (proveniente da Napoli) e Rag. *************** (residente a Monza), presso il Ristorante Pizzeria “Da ******” di Lissone nei giorni 27 e 28 gennaio 2004.

Dalle controdeduzioni al riguardo formulate si evince che trattasi di somma anticipata dal convenuto, che il DSGA Rosamilia ************** ha provveduto a detrarre dalle liquidazioni delle missioni dei Revisori medesimi. Non si rinvengono, pertanto, ut supra particolari addebiti di responsabilità amministrativa.

4.4. Mandato n. 4 del 12.1.2004 di euro 3.000,00 liquidati al Sig. ************** (un assistente tecnico), quale nota spese di un viaggio a Madrid nel gennaio 2004.

Dalle controdeduzioni si evince che trattasi di rimborso spese per n. 4 componenti una delegazione di docenti in viaggio a Madrid, per l’Assemblea Generale InnovaWood, laddove come creditore unico è indicato il sunnominato assistente tecnico, con la motivazione della necessità di avere l’immediata disponibilità di denaro prelevato dalla Banca cassiera, per fare fronte alle esigenze di pronta liquidità che tali viaggi all’estero comportano. Vengono documentate spese per un totale di euro 2.480,00 ed il riversamento della differenza di euro 520,00 sul conto corrente dell’Istituto. L’irregolarità contabile sopra rilevata non è, pertanto, tale da consentire al Collegio la formulazione di specifici addebiti di responsabilità amministrativa.

4.5. Mandato n. 2 del 14.1.2004 di euro 3.822,00 liquidati alla Ditta LIMNEA di Lissone per l’acquisto di n. 1050 cappellini, con relativo logo dell’U.S.R.Lombardia, destinati agli alunni.

Il convenuto adduce, in proposito, le medesime considerazioni svolte nel precedente punto 4.2 ed il Collegio non può che pervenire alle medesime conclusioni di violazione delle regole concorsuali per la scelta del contraente, con riferimento al quadro delle iniziative promozionali di che trattasi, ugualmente condivise dall’Amministrazione scolastica regionale. La somma di euro 3.822.00 vale, pertanto, quale posta di danno erariale anch’essa addebitabile al convenuto, nella misura di seguito indicata.

4.6. Mandato n. 259 del 22.5.2004 di euro 1.080,00 liquidati alla Ditta LIMNEA di Lissone per l’acquisto di 10 bandiere con il logo “INNOVAWOOD”.

Valgono, in proposito, le medesime conclusioni di cui al punto che precede, per cui anche la somma di euro 1.080,00 vale quale posta di danno erariale addebitabile al convenuto, nella misura di seguito indicata.

4.7. Mandato n. 257 del 22.5.2004 di euro 3.628,80 spesi per l’acquisto di n.1080 magliette con il logo “INNOVAWOOD”.

Valgono le medesime considerazioni che precedono e, pertanto, anche il suddetto importo di euro 3.628,80 vale quale posta di danno erariale addebitabile al convenuto, nella misura di seguito indicata.

4.8. Mandato n. 168 del 24.3.2004 di euro 696,00 rimborsati al convenuto per spese anticipate relative a 41 pasti consumati al Bar Duomo di Lissone dai partecipanti all’iniziativa del dialogo Nord/Sud.

Valgono le medesime considerazioni sananti di cui al punto 4.1 che precede.

4.9. Mandato n. 177 del 5.4.2004 di euro (1.000-142,15 non spesi) 857,85 anticipati al Vice Preside prof. *************** per la gestione di talune iniziative promozionali e fieristiche.

Dalle controdeduzioni si evince il dettaglio delle spese ed il relativo rendiconto, per cui non si ritiene di formulare alcun addebito specifico a detto titolo

4.10. Mandato n. 260 del 22.5.2004 di euro 10.240,00 liquidati all’Arch. ************ per il coordinamento del progetto esecutivo LA SCUOLA INTELLIGENTE realizzato per l’EXPO fieristico a Milano.

A detto titolo di spesa non esiste altra documentazione contabile all’infuori della fattura, sulla quale risulta l’annotazione: “PAGARE” (firmato *******). Non possono non valere, pertanto, i medesimi rilievi critici (di cui ai precedenti punti 4.2 – 4.5 – 4.6 – 4.7) di violazione delle procedure concorsuali di evidenza pubblica a supporto della spesa in rubrica – posto che l’Istituto scolastico non può essere parificato ad una impresa commerciale – cui non si sottraggono le prestazioni d’opera professionale annoverabili tra i contratti a titolo oneroso aventi ad oggetto servizi; a meno che non si dimostri la ricorrenza di speciali circostanze, alla stregua dell’art. 41, n. 6, del r.d. n. 827/1924, quali – parafrasando l’art. 7, comma 2, lett. b) del D.Lgs. n. 157/1995 – motivi di natura tecnica, artistica, o ragioni attinenti alla tutela di diritti esclusivi, per i quali la prestazione non possa che essere eseguita da un determinato soggetto. Alla medesima stregua, l’art. 24 della legge 27 dicembre 2002 n. 289, sopra citata, ha limitato in via generale la possibilità per le pubbliche amministrazioni di ricorrere alla trattativa privata ai soli casi eccezionali e motivati, imponendo, peraltro, il previo esperimento di una documentata indagine di mercato (T.A.R. Abruzzo Pescara, 20 novembre 2003, n. 1032). Anche la somma di euro 10.240,00 vale, pertanto, quale posta di danno erariale addebitabile al convenuto, nella misura di seguito indicata.

4.11. Mandato n .236 del 7.2.2004 di euro 300,00 liquidati all’Hotel della Regione, relativi al soggiorno del Prof. ************* e degli assistenti universitari ***** e *********, in occasione del seminario del 6.2.2004, tenutosi nell’ambito delle iniziative promozionali illustrate in precedenza.

Valgono le medesime considerazioni di cui al punto 4.1.

4.12. Mandato n. 239 del 6.5.2004 di euro 200,00 quale indennizzo alla collaboratrice scolastica **************** per il danneggiamento del cappotto – durante l’espletamento del servizio -ad opera di alcuni ignoti autori di un atto vandalico.

Considerate la valenza solidale del prefato indennizzo e la tenuità della relativa spesa, il Collegio ritiene di applicare la regola di buon senso del “de minimis”.

4.13. Mandato n. 109 del 15.3.2004 di euro 490,35 liquidati a titolo di rimborso spese effettuate dal convenuto.

Dal dettaglio delle spese prodotto dal convenuto nelle controdeduzioni, si evince che le stesse sono in rapporto di occasionalità necessaria con le funzioni di istituto e, pertanto, il Collegio non ritiene le stesse rilevanti ai fini del giudizio di responsabilità amministrativa che ne occupa.

4.14. Mandato n. 346 del 21.7.2004 di euro 13.264,00 liquidati alla Kanguro Viaggi di Lissone per un viaggio di istruzione a Parigi.

Dalle controdeduzioni fornite dal convenuto e dalla documentazione versata in atti, si evince il puntuale riferimento al progetto di formazione sotteso alla determinazione a contrarre ed alla procedura di “Scelta preventivo viaggio di istruzione a Parigi” adottata dal Consiglio di Classe. Per il relativo servizio risulta che sono state interpellate 3 agenzie di viaggi e pervenute n. 2 offerte, tra le quali quella prescelta dal Consiglio di Classe, a seguito di congrua motivazione appositamente verbalizzata. Il Collegio non rinviene, pertanto, specifici addebiti contabili a carico del convenuto, pur stigmatizzando il “localismo” delle ditte invitate a presentare l’offerta, in quanto non congruente con gli odierni mezzi di comunicazione telematica.

4.15. Fondo d’Istituto 2002/2003 iscritto tra le entrate per euro 53.808,34, non ancora liquidato sebbene siano state effettuate le riversali di incasso.

Questo capo della domanda è carente sotto il profilo processuale ai sensi dell’art. 164 c.p.c., in quanto risulta assolutamente incerto il requisito stabilito nel n. 3 dell’art. 163 e manca l’esposizione dei fatti e degli elementi di diritto che ne stanno a fondamento. Peraltro, risultano regolarmente pagate, senza costi aggiuntivi, le somme spettanti al personale docente e non docente per incarichi aggiuntivi e, pertanto, il Collegio ritiene di non procedere nella disamina del petitum esposto a detto titolo.

5. Divisate ut supra le poste di danno erariale addebitabili al convenuto, il Collegio non condivide la ratio posta dalla Procura a fondamento del metodo di quantificazione del danno dalla medesima utilizzato, poiché utilizza il criterio equitativo di cui all’art. 1226 c.c. in ragione dell’impossibilità di “procedere ad una precisa valutazione dell’incidenza del vantaggio acquisito sul danno prodotto” e cioè in relazione alla fattispecie, tutt’affatto diversa, di cui all’art. 1, comma1-bis, della legge 14 gennaio 1994, n. 20.

In vero, il ricorso al criterio equitativo per la liquidazione del danno patrimoniale previsto dall’art. 1226 c.c. presuppone unicamente che l’ammontare del pregiudizio economico del quale si chiede il ristoro – per esserne stata previamente accertata l’esistenza, siccome dianzi s’è fatto – sia di difficile, se non addirittura impossibile, quantificazione. Trattasi, cioè, di un criterio di generale applicazione, le volte che si presenti una oggettiva difficoltà di provare l’esatto ammontare del danno per cui è causa. Peraltro, per quanto nell’operare in concreto la valutazione equitativa, il Giudice del merito non sia tenuto a fornire una dimostrazione minuziosa e particolareggiata dell’ammontare del danno liquidato, egli è tenuto, tuttavia, a fornire adeguata indicazione del procedimento logico attraverso il quale è pervenuto a giudicare proporzionata una certa misura del risarcimento ed a precisare i criteri assunti a base del procedimento valutativo (ex plurimis: Cassazione civile, sez. lavoro, 18 agosto 2005, n. 16992). A tutt’altra ratio si ispira l’art. 1, comma 1-bis, della legge n. 20/1994: infatti, la “compensatio lucri cum damno” a detta norma sottesa opera solo quando sia il danno contabile che il presunto vantaggio dipendano dal medesimo titolo – vale a dire, dall’illecito contabile per cui è causa – in tale fatto ritrovando entrambi il comune antecedente causale (Corte Conti, sez. III, 1 aprile 2003, n. 141). Nella fattispecie all’esame, viceversa, una volta precisati – alla stregua del punto seguente – i criteri posti a base del procedimento valutativo del danno de quo agitur – per le sole poste ritenute suscettibili di sanzione – non v’è chi non veda come, ai fini della richiamata “compensatio”, non siano valutabili come vantaggio gli eventi addotti dal convenuto – ai quali si riferisce la Procura medesima nel fare applicazione promiscua del criterio equitativo suddetto, consistente nel dimidiare le poste di danno in argomento per tener conto dei presunti vantaggi conseguiti dall’Amministrazione – siccome non dipendenti eziologicamente dalla commissione dell’illecito contabile per cui è causa, secondo l’”id quod plurumque accidit”. Trattasi, infatti, di apporti economici provenienti da più parti a beneficio delle numerose iniziative intraprese dall’Istituto scolastico presieduto dal convenuto. A questo riguardo – in disparte l’onere della prova relativa ai vantaggi comunque conseguiti dall’amministrazione che, in base al noto principio secondo cui ubi commoda et eius incommoda, dovrebbe incombere sul dipendente pubblico soggetto al giudizio di responsabilità – risulta indimostrato, dalla documentazione prodotta dal convenuto, che le specifiche utilità, alle quali viene fatto riferimento, non sarebbero state ugualmente acquisite al patrimonio dell’amministrazione, a guisa di utiliter coeptum, quantunque fosse difettato, nel caso specifico, il suddetto fattore causale, costituito dalla commissione dell’illecito contabile de quo. A questo concetto – assimilabile a quello procedimentale di “irregolarità formali” e quindi sanabili, odiernamente mutuabile dall’art. 21- octies della legge n. 241/1990, al quale la difesa del convenuto pretende di riferire il comportamento del proprio assistito (cfr. pag. 9 della memoria di costituzione) – sono aliene le procedure di contabilità pubblica tese a garantire l’evidenza economica del risultato e l’imparzialità delle procedure di spesa. In altri termini, non è affatto dimostrabile che da un corretto modo di procedere non potesse ugualmente conseguire il beneficio all’immagine dell’Istituto di cui il convenuto giustamente si compiace, attribuendolo per contro alla manipolazione manageriale delle regole di contabilità; così come non risulta dimostrato il nesso eziologico che legherebbe le procedure di spesa in concreto adottate all’apporto delle risorse economiche sponsoriali alle quali viene fatto riferimento alle pp. 13 e ss. della memoria di costituzione.

6. Procedendo, quindi, alla quantificazione delle sole poste di danno rivenienti dalla irregolarità contabile delle spese sostenute relative ai punti 4.2, 4.5, 4.6, 4.7 e 4.10 della trattazione, il Collegio rileva che le stesse sono accomunate dal medesimo profilo di “danno alla concorrenza”, più sopra individuato sulla base di indici rivelatori univoci della violazione dei parametri di imparzialità e buon andamento sussumibili nel principio di concorrenza che deve presiedere le scelte dell’Amministrazione aventi ad oggetto qualsiasi commessa pubblica di lavori, forniture e servizi. A proposito di questo “danno alla concorrenza”, il Collegio ritiene che tutti gli operatori di diritto e massimamente gli organi giurisdizionali debbano contribuire ad inverare nella prassi amministrativa i principi dell’ordinamento comunitario ai quali esso si ispira e che costituiscono principi dell’ordinamento nazionale, secondo l’interpretazione autentica fornita dall’art. 1 della legge n. 241/1990, come attualmente modificato dall’art. 1 della legge 11.2.2005, n. 15.

A questo riguardo, occorre ricordare come, nell’ordinamento nazionale, la normativa in tema di evidenza pubblica, nata al fine di favorire l’economicità dell’azione amministrativa ed evitare sprechi e danni all’erario pubblico, ha finito con il divenire modus agendi tipico della pubblica amministrazione, in quanto modalità procedimentale idonea a garantire il perseguimento non solo dei fini di economicità, efficacia ed efficienza dell’azione amministrativa, ma altresì di quelli di legalità, trasparenza e responsabilità. Ora, seppure è vero che il fine precipuo della normativa di evidenza pubblica di derivazione comunitaria sia, invece, quello di favorire la concorrenza, è anche vero che il perseguimento di tale fine può coesistere con altri, soprattutto se ad esso collegati o addirittura funzionali al suo raggiungimento. In particolare, si vuole evidenziare come la concorrenza nel settore degli appalti pubblici venga favorita dalla legalità dell’azione amministrativa, così come il perseguimento di questa (finalità di cui è garante la Corte dei Conti) favorisce, al contempo, il miglior funzionamento del mercato concorrenziale e, di conserva, l’economicità dell’azione amministrativa.

In altri termini, si può dire che la garanzia della legalità, trasparenza, efficacia ed efficienza dell’azione dei pubblici poteri, garantita dall’attività della Corte dei Conti (sia in sede di controllo che in sede giurisdizionale), è connessa e funzionale alla tutela della concorrenza in tutti quei mercati contraddistinti dalla presenza di operatori pubblici (in quanto la legalità del loro agere adiuva la formazione, il consolidamento ed il miglioramento di un mercato concorrenziale). Ciò che si richiede, per l’appunto, è che l’azione amministrativa sia improntata al rispetto dei principi di trasparenza ed imparzialità e, quindi, conformata ai canoni della concorsualità. D’altro canto, è ormai un dato acquisito dalla scienza economica che il perfetto funzionamento dei meccanismi di mercato non necessita solo di una situazione di concorrenza effettiva, ma anche di una condizione di legalità, intesa questa come diffuso e comune rispetto delle regole, garanzia di crescita economica, nonché sociale. Sicché, il vulnus inferto, nel caso concreto, al funzionamento di detti meccanismi non può non rilevare sul piano della responsabilità amministrativo-contabile, per il costo sociale che esso comporta, salvo il ricorso alla valutazione meramente equitativa dell’ammontare del relativo danno. Né varrebbe obiettare il fatto che a detta stregua, con lo strumento della responsabilità amministrativa, il giudice contabile finirebbe con l’apprestare una specifica tutela – riconoscendone la perseguibilità – delle lesioni agli interessi generali (o diffusi) in materia di equilibrio economico-finanziario (secondo il ragionamento formulato da Cass. SS.UU. 13 aprile 1992, n. 4486, con riferimento ad una ipotesi ivi genericamente divisata alla stregua di “danno all’economia nazionale”). Siffatto modo di ragionare trascurerebbe, infatti, di considerare che lo sviamento dalle norme di contabilità pubblica che presiedono alle procedure conseguenti ad ogni decisione di spesa – poste dall’ordinamento nazionale, prima ancora che dai principi di diritto comunitario, come apprestatrici di una specifica protezione della regolarità e proficuità nella utilizzazione delle risorse pubbliche (art. 3 del R.D. n. 2440 del 1923; art. 41 del R.D. n. 827 del 1924), nonché come sanzione di eventuali fenomeni di devianza (artt. 81 e 82 del R.D. n. 2440 del 1923; art. 2043 del Codice civile; art. 41 ed 81 della Carta costituzionale) – concretizza di per sé la lesione di interessi generali dello Stato – comunità che non possono non godere della stessa protezione accordata ai diritti soggettivi perfetti di natura patrimoniale. In vero, eludere l’evidenza pubblica che deve sostenere la decisione di spesa di un organo della P.A. significa anzitutto sottrarre la stessa al controllo della corretta e proficua redistribuzione del prelievo fiscale, da attuarsi secondo l’indefettibile predeterminazione dei criteri e delle modalità di tipo concorsuale indicati dall’art. 12 della legge n. 241 del 1990, la cui effettiva osservanza deve risultare dai singoli provvedimenti attributivi di specifici vantaggi economici a valere sulle risorse pubbliche considerate. Tanto più dopo il riconoscimento (v. Cass. SS.UU. 1 marzo 2006, n. 4511) dell’attrazione alla giurisdizione contabile dell’incidenza negativa sul budget della spesa pubblica ad opera del privato beneficiato, anche sotto il mero profilo di sottrarre ad altri soggetti ugualmente meritevoli il vantaggio economico di una commessa che il mancato ricorso ad un minimo di confronto concorrenziale ha loro impedito: non diversamente – per quel che rileva in ambito nazionale – possono essere lette, in combinato disposto tra loro, le disposizioni di cui agli artt. 92 del r.d. n. 827 del 1924 – secondo cui “la trattativa privata ha luogo quando, dopo aver interpellato, se ciò sia ritenuto conveniente, più persone o ditte, si tratta con una di esse” – 6 del r.d. n. 2440 del 1923 e 41 n. 6 del r.d. n. 827 del 1924 che consentono il ricorso all’affidamento diretto della prestazione sol quando ricorrano “speciali ed eccezionali circostanze” per le quali non possano essere utilmente seguite le aste o le licitazioni, tra le quali certamente si annovera l’esigenza di una prestazione infungibile in virtù di determinati “requisiti tecnici” che solo un determinato prestatore è in grado di fornire, come può argomentarsi dal n. 3 del prefato art. 41 (meglio specificata per gli appalti di servizi sopra soglia nell’art. 7, comma 2, lett. b) del D.Lgs. n. 157 del 1995). Né, d’altronde, il convenuto ha diversamente giustificato il proprio modus operandi, facendo riferimento ad apposita normativa interna dell’Amministrazione regolante, ai sensi dell’art. 8 del r.d. n. 2440 del 1923 – di cui costituisce vigente applicazione per i contratti sotto soglia l’art. 2 del DPR n. 384/2001 – l’acquisizione in economia di specifici servizi, quali quello di prestazione d’opera professionale in argomento. A ciò si aggiunga, come si è avuto modo di precisare, che la tutela della concorrenza si intreccia con il valore unificante della disciplina comunitaria, che mira a garantire, anche sotto soglia, agli operatori economici analoghe modalità, trasparenti e non discriminatorie, di aggiudicazione degli appalti. A questo riguardo, in vero, secondo gli organi comunitari e secondo la giurisprudenza nazionale, anche i contratti sotto soglia comunitaria devono rispettare i principi del Trattato a tutela della concorrenza e, segnatamente, i principi di trasparenza, non discriminazione, parità di trattamento (Corte di Giustizia CE, 3 dicembre 2001, C. 59/2000, ord., in Foro it. , 2002, IV, 67; circolare del Dipartimento per le politiche comunitarie 29 aprile 2004, in G.U. 12 luglio 2004); e ciò non può non valere anche per i servizi di natura intellettuale. Inoltre, anche a livello costituzionale l’art.97 Cost. pretende che siano assicurati il buon andamento – sub specie di andamento pubblico dell’economia – e l’imparzialità dell’Amministrazione, che ne costituiscono il tratto caratteristico della personalità giuridica pubblica.

Né varrebbe ad esimere il convenuto sotto il profilo della gravità della colpa, nel caso concreto, la considerazione che l’anomalia del processo di spesa in argomento possa essere stata conseguenza di una “asimmetria informativa”, intendendo con ciò una situazione in cui il decisore della spesa abbia agito senza il necessario bagaglio di conoscenze specifiche, poiché se si accedesse a tale considerazione verrebbe meno la fluidità di quel processo circolare di autonomia decisionale e di controllo sulla legittimità degli atti posti in essere che connota l’agire degli organi esponenziali della pubblica amministrazione, quale per l’appunto è da considerare il Preside di una scuola.

Fatte queste doverose premesse di ordine sistematico, il Collegio procede alla valutazione equitativa più consona dell’ammontare di tale tipo di danno addebitabile al convenuto, che appare senz’altro quella che contempera l’esigenza di sanzionare il vulnus inferto al bene della vita costituito dal buon andamento e dall’imparzialità dell’amministrazione – garantito dall’art. 97 Cost., quale espressione dei “principi dell’ordinamento comunitario” cui deve uniformarsi l’attività amministrativa degli organi nazionali per quanto sopra detto – con l’utilità comunque ritratta dalle prestazioni summenzionate. Entro questo limite, appare ragionevole che il convenuto risponda, a titolo personale, delle obbligazioni derivanti dai contratti stipulati, alla stregua del combinato disposto dei commi 4 e 5 dell’art. 24 della sopra menzionata legge n. 289 del 2002, che ha limitato in via generale la possibilità per le pubbliche amministrazioni di ricorrere alla trattativa privata ai soli casi eccezionali e motivati, imponendo, peraltro, il previo esperimento di una documentata indagine di mercato. A questo preciso riguardo, il Collegio ritiene meglio aderente alla fattispecie in esame quella giurisprudenza (Cons. Stato, Sez. IV, 27 ottobre 2003, n. 6666), ad avviso della quale il vizio che inficia la procedura di evidenza pubblica – al quale può quindi parificarsi la stessa omissione della procedura medesima – determina come conseguenza la mancanza del requisito della legittimazione a contrarre. Ed, invero, il vizio che inficia la corretta manifestazione della volontà contrattuale dell’Amministrazione dà luogo alla conseguenza di privare l’Amministrazione stessa, con efficacia ex tunc, della legittimazione a negoziare, per cui, in sostanza, l’organo amministrativo che ha stipulato il contratto si trova nella condizione di aver stipulato quale falsus procurator, privo di legittimazione. La categoria che viene in gioco in tal caso non è la nullità, ma l’inefficacia relativa o nullità in senso atecnico.

Sulla base dell’iter logico – argomentativo suesposto, il Collegio ritiene di addossare al convenuto, per i titoli di spesa ut supra indicati (4.2 – 4.5 – 4.6 – 4.7 – 4.10), la metà dell’importo complessivo di essi, pari ad euro 10.441,00. Né vale obiettare quanto indicato dal convenuto nelle deduzioni difensive circa la provenienza (pubblica o privata che sia) di parte delle risorse impegnate a copertura di dette spese, in quanto una volta che i fondi siano stati iscritti in bilancio alla voce ENTRATE – come in tutte le ipotesi sopra considerate – non sfuggono alle norme di contabilità.

7. All’anzidetta somma di euro 10.441,00 vanno aggiunti gli addebiti riconosciuti dal Collegio di cui ai capi a), b) e d) della domanda attrice, per un totale complessivo di euro 22.944,00, costituente la somma per cui è condanna in favore del Ministero dell’Istruzione, alla quale vanno aggiunti la rivalutazione monetaria di ciascuna posta di danno ut supra riconosciuta a carico del convenuto, dal giorno dell’emissione del relativo titolo di spesa sopportata dall’Erario (18.7.2003 per le voci di danno sub a) e b); 9.9.2002 per la voce di danno sub d); 3.2.2004 per la voce di danno sub 4.2; 14.1.2004 per la voce di danno sub 4.5; 22.5.2004 per la voce di danno sub 4.6; 22.5.2004 per la voce di danno sub 4.7; 22.5.2004 per la voce di danno sub 4.10) al deposito della sentenza e gli interessi legali da quest’ultima data al soddisfo.

Le spese di lite seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.

P. Q. M.

La Corte dei Conti, Sezione Giurisdizionale per la Regione Lombardia, definitivamente pronunciando sulla domanda proposta dalla Procura Regionale con l’atto citazione in epigrafe, ogni contraria istanza ed eccezione respinte, condanna il convenuto sopra identificato al pagamento della somma di euro 22.944,00, in favore del Ministero dell’Istruzione, oltre rivalutazione monetaria ed interessi legali come in parte motiva.

Omissis

[1] La nullità è la forma più grave di invalidità del contratto, perché il contratto nullo è come se non fosse mai esistito e, di conseguenza, la nullità può essere fatta vale da chiunque ne abbia interesse. L’art. 1418 del c.c. stabilisce che l’atto è nullo quando manchi uno dei requisiti essenziali, oppure quando il negozio sia contrario a norme imperative, o sia comunque illecito. Non vi è dubbio che la norma imposta con l’art. 24 della legge n. 289 del 2002 abbia natura cogente per l’amministrazione, non residuando su quest’ultima alcuna possibilità di deroga.

[2] M.E. ********, in Atti del Convegno di Studi di Scienza dell’Amministrazione in Varenna 16-18 settembre 2004, l’Attuazione del titolo V della Costituzione, Milano, 2005, pag. 35. In ogni caso l’affidamento della tutela della concorrenza alla legislazione statale risponde all’esigenza di assegnare al potere centrale le norme sull’antitrust, dove non residuano spazi per la legislazione regionale, così ****’*******, La Tutela della concorrenza in un sistema a più livelli, in Atti del Convegno di Studi cit. .

[3] F. Basilica, Semplificazione del linguaggio e ****************, riv. Funzione Pubblica, n. 2/2005, pag. 91 e segg.

[4] Il Trattato di Nizza ha modificato il Trattato che ha costituito l’Unione europea e i Trattati che hanno costituito le Comunità europee ed alcuni atti connessi, il predetto Trattato è entrato in vigore il 1° febbraio 2003 (*********** C 80/1 del 10.3.2001), mentre il Trattato per la Costituzione europea è stato firmato a Roma il 29 ottobre 2004 ed entrerà in vigore dopo il deposito di tutti gli strumenti di ratifica e, comunque, non prima del 1° novembre 2006. È stato affermato che quest’ultimo Trattato sostanzialmente è un mero testo unico, solo in alcune parti innovativo, tenuto conto del numero rilevante degli articoli trasferiti puramente e semplicemente dai previgenti Trattati (353 articoli su 448), cfr. *******, A che serve la Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea ? Appunti preliminari, Giur. Cost. 2001, 194 e segg. e Contratto e Costituzione europea Convegno di studi in onore di ******************, CEDAM, Padova, 2004.

[5] Anche la Corte costituzionale con la sentenza n. 272 del 27 luglio 2004 ha affermato che la tutela della concorrenza non può essere intesa solo in senso statico e, dunque, con interventi di regolazione per il ripristino di equilibri perduti, ma in un’accezione dinamica che giustifica anche interventi promozionali dello Stato, per ridurre gli squilibri e consentire le condizioni per lo sviluppo del mercato.

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(Consigliere della Corte dei conti)

Il danno alla concorrenza nella responsabilità erariale.

Premessa.

Con la sentenza in rassegna la Sezione Lombardia della Corte dei conti afferma la sussistenza del danno alla concorrenza, con conseguenti riflessi negativi, dal punto di vista patrimoniale, per l’amministrazione pubblica; i riflessi negativi vengono valutati, ai fini dell’addebito del danno, in via equitativa a titolo di sanzione per la violazione delle regole di concorrenza.

Questo principio affermato dalla Sezione Lombardia ha il pregio di rafforzare l’obbligo del rispetto dei principi comunitari che devono essere attuati dalle amministrazioni con responsabilità e rispetto della legalità nell’ottica di un processo effettivo di integrazione europea che si fonda sui noti principi di trasparenza, democrazia, sussidiarietà, non discriminazione etc…

Il fatto.

La vicenda che ha portato alla decisione dei giudici lombardi nasce a seguito di un’azione di responsabilità nei confronti del preside di un istituto scolastico dove, a seguito di un’ispezione amministrativa, erano state rilevate numerose irregolarità amministrativo – contabili, con evidenti violazioni di legge che presentavano riflessi negativi dal punto di vista finanziario.

Tra le irregolarità contestate in sede ispettiva e poi trasposte nell’azione di responsabilità della Procura, emergeva anche l’assenza di un minimo confronto concorrenziale, fondante la scelta dei fornitori per i servizi e/o gli acquisti effettuati dall’istituto scolastico.

In sostanza, il Preside nella scelta dei contraenti ometteva il rispetto delle procedure negoziali che imponevano il rispetto della concorrenza attraverso un confronto tra offerte da proporre all’amministrazione.

L’assenza di riscontro concorrenziale implicava, a giudizio del collegio giudicante, la violazione del criterio di efficacia, con quello ad esso complementare dell’economicità, eretti, congiuntamente, a presidio dell’attività amministrativa dall’art. 1 della legge 7 agosto 1990, n. 241, norma che ha specificato, ancor meglio, sul piano economico il principio costituzionale del buon andamento dell’amministrazione (art. 97 Cost.).

I giudici lombardi hanno così rilevato che la mancata adozione, nel caso concreto, di un modello contrattuale conforme alle normali regole di contabilità pubblica, che non autorizzano ad omettere – come avvenuto nella fattispecie all’esame dei giudici contabili – un minimo di confronto concorrenziale necessario (se non indispensabile) per qualsiasi procedura contrattuale ad oggetto pubblico, comporta responsabilità erariale per colui che, per la posizione rivestita, aveva il dovere di attuare il rispetto dei principi posti a presidio della concorrenza.

Principi affermati.

Nella sentenza emerge l’importanza che l’azione amministrativa deve essere conforme ai principi basilari in materia di concorrenza e libera prestazione dei servizi, di cui agli artt. 81 e ss. e 49 e ss. del Trattato CE, principi che devono essere rispettati dagli Stati membri indipendentemente dall’ammontare delle commesse pubbliche, tanto è vero che all’epoca dei fatti di causa, i commi 1, 2, 4, 5 e 9 dell’art. 24 della legge n. 289 del 2002 (legge finanziaria 2003) – estendevano agli acquisti sotto soglia di beni e servizi la normativa nazionale di recepimento della normativa comunitaria.

Questa normativa imponeva la gara per l’acquisto di beni e servizi secondo procedure di evidenza pubblica e limitava il ricorso alla trattativa privata; nel contempo si collegava alla violazione dell’obbligo la sanzioni civile della nullità dei contratti[1] e le conseguenti forme di responsabilità, le quali con la decisione in rassegna trovano piena applicazione.

Per la Corte dei conti lombarda la necessità del rispetto delle regole di evidenza pubblica è, da intendere quale regola generale, come confermato dalla Corte di Giustizia della Unione Europea, secondo la quale anche gli appalti pubblici di scarso valore, seppure non espressamente ricompresi nell’ambito di applicazione delle procedure particolari e rigorose delle direttive, non sono esclusi dall’ambito di applicazione del diritto comunitario, perché, pur a prescindere dalla diretta applicazione della normativa comunitaria sugli appalti di servizi e forniture, vanno comunque rispettati i principi di non discriminazione, parità di trattamento e trasparenza.

A questo punto anche per gli appalti sottosoglia, il diritto comunitario considera il ricorso alla scelta diretta (che nell’ordinamento nazionale tradizionalmente corrisponde, com’è noto, alla trattativa privata), in deroga ai principi di trasparenza e concorrenza, quale evenienza eccezionale, giustificabile solo in presenza di specifiche ragioni tecniche ed economiche, da motivare adeguatamente, che rendano impossibile, in termini di razionalità, l’individuazione di un soggetto diverso da quello prescelto (cfr. Circolare della Presidenza del Consiglio dei Ministri, Dipartimento per le politiche comunitarie n. 8756 del 6 giugno 2002).

La finalità intrinseca del principio della libera concorrenza e di quello di non discriminazione, si atteggiano quali principi di ordine generale e di diretta derivazione comunitaria e non sono limitabili ai soli appalti cd. “comunitari”.

Infatti, il legislatore nazionale con l’art. 24 della legge 27 dicembre 2002 n. 289, ha limitato – in via generale – la possibilità per le pubbliche amministrazioni di ricorrere alla trattativa privata ai soli casi eccezionali e motivati, imponendo, peraltro, il previo esperimento di una documentata indagine di mercato (cfr. T.A.R. Abruzzo Pescara, 20 novembre 2003, n. 1032).

L’intervento del legislatore, quando mosso dall’esigenza della tutela della concorrenza, oggi trova conforto anche nella copertura costituzionale che può trarsi dall’art. 117 Cost., il quale, al primo comma, afferma che la potestà legislativa è esercitata nel rispetto della Carta fondamentale e dei vincoli derivanti dall’ordinamento comunitario e la “tutela della concorrenza” rientra nella legislazione esclusiva dello Stato.

La tutela della concorrenza è definita, comunque, materia trasversale (quindi, interessa anche la legislazione regionale che non può porsi in contrasto), in quanto se non si fosse fatta espressa menzione in Costituzione i principi della stessa materia si sarebbero dovuti comunque applicare per il rispetto del diritto comunitario che vieta i comportamenti idonei ad alterare l’equilibrio competitivo del mercato[2].

Per quanto riguarda poi l’ammontare della posta di danno il Collegio giudicante ha proceduto alla valutazione equitativa del pregiudizio addebitabile al convenuto, in quanto tale scelta appare, senz’altro, quella che contempera l’esigenza di sanzionare il vulnus inferto al bene della vita costituito dal buon andamento e dall’imparzialità dell’amministrazione – garantito dall’art. 97 Cost., quale espressione dei “principi dell’ordinamento comunitario” cui deve uniformarsi l’attività amministrativa degli organi nazionali, tenuto conto anche dell’utilità, comunque, ritratta dalle prestazioni contrattuali adottate in violazione del principio della concorrenza.

Altro principio affermato riguarda la circostanza che la mancata adozione di un modello contrattuale conforme alle normali regole di contabilità pubblica, con omissione di un minimo di confronto concorrenziale per qualsiasi procedura contrattuale ad oggetto pubblico comporta la sottrazione della spesa al controllo della corretta e proficua redistribuzione del prelievo fiscale, da attuarsi secondo l’indefettibile predeterminazione dei criteri e delle modalità di tipo concorsuale indicati dall’art. 12 della legge n. 241 del 1990, la cui effettiva osservanza deve risultare dai singoli provvedimenti attributivi di specifici vantaggi economici a valere sulle risorse pubbliche.

Questo principio è di estrema importanza per l’esaltazione del principio di trasparenza, di parità di trattamento e di uguaglianza (anche per l’accesso in condizioni di parità alle risorse pubbliche), in quanto consente a tutti coloro che contribuiscono, attraverso il sistema impositivo, alle spese dell’amministrazione di partecipare alla redistribuzione delle stesse avvalendosi della possibilità di divenire contraenti della pubblica amministrazione.

Questa affermazione può consentire di arginare il fenomeno di malamministrazione che sorge attraverso i sistemi clientelari, dove solo una rete di conoscenze politiche o addirittura di patto corruttivo consente di percepire – in violazione della legalità – i benefici economici derivanti dai contratti con la pubblica amministrazione.

Su questo argomento occorre anche evidenziare che l’affidamento diretto di un contratto, in assenza di qualsivoglia indagine di mercato e concorsualità tra soggetti potenzialmente interessati, comporta un vantaggio al beneficiario idoneo a falsare o minacciare la concorrenza, perché quest’ultimo si trova, per così dire, alleviato dall’onere di competizione che grava (giustamente) sulle imprese quando propongono i prezzi in condizioni normali di mercato.

Infine, appare interessante anche un altro principio affermato per fondare la responsabilità delle irregolarità contabili contestate al convenuto per la presenza di danni indiretti conseguenti alle decisioni di altre giurisdizioni.

Non è possibile esimersi dalle proprie responsabilità in considerazione di presunti errores in iudicando in cui sarebbe incorsa la sentenza emessa da altra giurisdizione, nonché sull’esercizio carente dello ius postulandi da parte dell’Avvocatura dello Stato o dell’attività dell’Ufficio contenzioso dell’amministrazione, quando nei confronti di questi referenti processuali non è stato tenuto un atteggiamento di doverosa collaborazione a tutela delle ragioni erariali.

Per prima cosa, non è possibile contestare genericamente una decisione di altra giurisdizione, ma occorre fornire con dettagliato riscontro quegli elementi (non acquisiti dall’avvocatura pubblica e non per colpa del convenuto nel giudizio contabile) che, qualora fossero stati portati all’attenzione di quella giurisdizione, avrebbero potuto, con buona probabilità, portare ad una sentenza diversa (e forse anche favorevole) per l’amministrazione danneggiata.

Inoltre, quando gli elementi per la difesa in giudizio vengono richiesti alle persone responsabili degli atti di gestione oggetto di contenzioso deve emergere un atteggiamento collaborativo con la stesura di memorie che servano alla difesa dell’amministrazione stessa, fornendo, così, al proprio avvocato gli elementi utili per contrastare le pretese avversarie e consentendo alla difesa erariale, anche in presenza di gestione amministrativa confusa e irregolare, di limitare i danni (casomai attraverso una composizione della lite).

Per queste ragioni non serve a nulla nel processo di responsabilità amministrativa contestare genericamente una carente attività difensiva dell’avvocatura pubblica o dell’ufficio legale della propria amministrazione se non si dimostra di essere stati precisi e corretti nel fornire a questi referenti processuali tutti gli elementi per una proficua difesa pubblica.

Considerazioni finali.

Questa sentenza della Corte dei conti apre scenari interessanti per il contributo che la giurisdizione di responsabilità porta al consolidamento di una coscienza europea nelle nostre amministrazioni, dal momento che le violazioni delle normative comunitarie non comportano solo il mero annullamento degli atti amministrativi, con scarso significato per le singole responsabilità gestorie, ma anche conseguenze patrimoniali per coloro che, con grave negligenza, trascurano il rispetto dei principi comunitari.

Infatti, la promozione dei principi dell’Unione europea è diretta alla creazione non solo di una pubblica amministrazione moderna e dialogante con i cittadini (si pensi al noto principio di sussidiarietà, ma anche alla cd. **************** che intende favorire il processo di rinnovamento culturale nei cittadini e nell’amministrazione[3]), ma anche di una pubblica amministrazione fondata sui valori di pubblicità e trasparenza e su quelli dell’ordinamento comunitario (art. 1 legge n. 241 del 1990).

Quando l’azione amministrativa si pone in tensione con il principio di concorrenza risultano frustrati quei principi comunitari – oggi richiamati dalla nuova formulazione dell’art. 1 della legge n. 241 del 1990 – il cui rispetto consente, invece, alle imprese di concorrere, con pari opportunità, all’affidamento dei lavori e delle commesse pubbliche, con evidente aumento dell’efficienza e dell’economicità della p.a. perché viene aumentata, attraverso la competitività, la qualità dei prodotti e/o servizi offerti.

A questo proposito si deve ricordare che la tutela della concorrenza è tra gli obiettivi dell’Unione uno di quelli sui quali si presta la massima attenzione; infatti, essa deve essere effettiva e, quindi, libera e non falsata (art. I 3 del Trattato per la Costituzione europea[4]) e dove gli Stati membri agiscono nel rispetto di un’economia di mercato aperta e in libera concorrenza, favorendo un’efficace allocazione di risorse (art. III 178 del Trattato per la Costituzione europea)[5].

Operare con mentalità europea comporta per gli apparati di gestione il superamento tanto dei maggiori costi per l’amministrazione, quanto delle inefficienze e per questi motivi la sentenza dei giudici lombardi fornisce un significativo contributo all’applicazione dei principi sopra richiamati, perché non lascia immuni da sanzione le pratiche irresponsabili di spesa che confidano (spesso) nella scarsa incidenza dei controlli e in una mal interpretata visione autonomistica, dove il centro di spesa ritiene (o crede) di non dover rendere il conto della propria azione.

Giurisprudenza amministrativa in materia di trattativa privata che afferma l’eccezionalità di questa procedura, per consentire il più ampio numero di ditte accorrenti alle procedure di gara:

TAR LAZIO – ROMA, SEZIONE I – sentenza 23 agosto 2006 n. 7375, dove si afferma che anche per gli appalti c.d. sotto soglia sussiste in generale l’obbligo di seguire le norme di evidenza pubblica, comprese quelle concernenti l’adeguata pubblicizzazione della selezione, il tutto per consentire a tutte le imprese interessate di venir in tempo utile a conoscenza dell’intenzione amministrativa di stipulare il contratto e di giocare le proprie chances competitive attraverso la formulazione di un’offerta appropriata, tale da favorire la più ampia partecipazione di aspiranti alle procedure selettive.

CONSIGLIO DI STATO, SEZIONE VI – sentenza 15 novembre 2005 n. 6368, dove si afferma che anche quando un soggetto pubblico non è direttamente tenuto all’applicazione di una specifica disciplina per la scelta del contraente, il rispetto dei principi fondamentali dell’ordinamento comunitario (ritraibili principalmente dagli articoli 43 e 55 del trattato C.E.), nonché dei principi generali che governano la materia dei contratti pubblici impone all’amministrazione procedente di operare con modalità tali che preservino la pubblicità degli affidamenti e la non discriminazione delle imprese, mercé l’utilizzo di procedure competitive selettive.

CONSIGLIO DI STATO, SEZIONE V – sentenza 27 ottobre 2005 n. 5996, dove si afferma che la trattativa privata si pone in tendenziale contrasto con i canoni dell’efficienza, efficacia e trasparenza dell’attività della P.A., così come con il principio comunitario della concorrenza, di conseguenza che deve essere oggettivamente riconoscibile e giuridicamente qualificata l’urgenza che può consentire il ricorso a questo tipo «non concorrenziale» di individuazione del privato contraente.

Lazzini Sonia

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