La compatibilità tra misure cautelari e misure alternative alla detenzione nel caso di contestuale esecuzione

Redazione 18/06/03
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F.Fiorentin

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E’ possibile l’applicazione di una misura alternativa alla detenzione contestuale ad una misura cautelare, dovendosi soltanto valutare, in concreto, la compatibilità tra l’una e l’altra con prevalenza, in caso di ravvisata incompatibilità tra le stesse,delle ragioni della cautela (Cass., I, n. 43226 dd. 19/12/2002 , De Tommaso , conforme a Cass., I, n. 24710 dd. 26/06/2002 , Rigoli).

Non sussiste incompatibilità automatica tra la prosecuzione della misura della detenzione domiciliare ed il provvedimento cautelare di custodia in carcere, ma è rimesso alla valutazione del tribunale di sorveglianza il giudizio sull’incidenza che il fatto-reato ascritto al condannato riverbera sulla perdurante idoneità della misura alternativa a conseguire gli obiettivi di prevenzione speciale e risocializzazione suoi propri, con conseguente illegittimità della revoca della detenzione domiciliare sulla base del mero sopravvenire, in corso di esecuzione, di un’ordinanza di custodia cautelare in carcere (Cass., I, n. 23190 dd. 17/06/2002, Calia).

massime a cura dell’autore

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1.Le decisioni sopra riportate in massima ripropongono la dibattuta questione del rapporto tra misure cautelari e misure alternative alla detenzione, affrontando, in particolare, il problema della loro eventuale possibile coesistenza in capo ad un soggetto che si trovi condannato per un titolo definitivo (su cui insiste- o potrebbe insistere- la misura alternativa) e, contestualmente, indagato o imputato per altro fatto-reato ( e su tale status incida l’eventuale provvedimento custodiale).
La prima sentenza in rassegna ammette la possibilità di concessione di una misura alternativa al condannato che – per altra causa – sia attinto da provvedimento cautelare, mentre la seconda pronuncia prende in esame l’eventualità che la misura custodiale intervenga mentre un beneficio penitenziario è già in corso di esecuzione, ed analizza l’incidenza del titolo cautelare sulle possibilità di sopravvivenza della misura concessa dal tribunale di sorveglianza.

2.Il corso giurisprudenziale che pare ormai consolidatosi in Cassazione – ed al quale le due sentenze massimate possono ricondursi – fa perno sul principio dell’esclusione di qualsiasi meccanismo automatico di diniego, ovvero di revoca, della misura alternativa in dipendenza della sussistenza , o della sopravvenienza, di un provvedimento di tipo cautelare a carico del medesimo soggetto interessato.
Leading case – a quanto consta – di tale orientamento è costituito dal procedimento chiuso dalla Prima sezione della Corte con sentenza n. 877/93 in data 14.4.93[1], che ha iniziato a stabilire le guidelines nella materia, prendendo in esame il rapporto tra la misura dell’affidamento in prova al servizio sociale e la misura cautelare personale degli arresti domiciliari.
Nell’occasione, il giudice di legittimità ha stabilito il principio della possibile coesistenza e dunque della astratta possibilità di contemporanea esecuzione delle misure alternative alla detenzione e di quelle cautelari, fondandosi sull’esegesi dell’art. 298, comma 2, c.p.p., per il quale la misura cautelare non e’ sospesa, ma trova invece esecuzione quando la pena deve essere espiata in regime di misura alternativa alla detenzione[2].
Su tale premessa, scandisce il ragionamento della Cassazione, deve ritenersi consentita, in linea di diritto, la contestuale esecuzione di una delle misure alternative alla detenzione previste dall’Ordinamento Penitenziario e di una misura cautelare personale.
Compito del giudice di merito è allora quello di verificare, in concreto e tenuto conto della natura delle limitazioni connaturate, rispettivamente, alla misura alternativa e alla misura cautelare, l’effettiva compatibilita’ fra l’una e l’altra, nel rispetto, dall’ordinamento ritenuto imprescindibile, della prevalenza della misura cautelare qualora sia accertata una situazione di incompatiiblità tra le stesse.
In altri termini, la Cassazione, con la pronuncia citata, afferma per la prima volta i principi che poi costituiranno il punto fermo di tutta l’elaborazione giurisprudenziale successiva, nei termini seguenti:

possibilità, in linea di principio ammessa dal disposto dell’art.298, comma 2, c.p.p., che misure cautelari personali e misure alternative alla detenzione abbiano contemporanea esecuzione, salva la verifica giudiziale, nel singolo caso, della loro compatibilità in concreto;

prevalenza alle ragioni della cautela, che il giudice deve riconoscere nel caso ritenga le due misure incompatibili, con la conseguente reiezione o caducazione per revoca della misura alternativa.

3.Con successive pronunce, la Corte ha meglio precisato l’iter logico-giuridico che il giudice di merito è tenuto a seguire al fine di verificare la concreta applicabilità di una misura alternativa alla detenzione nel caso di soggetto che si trovi in c.d. “doppia posizione” giuridica.
La Cassazione ha, in proposito, più volte preso in esame la fattispecie che – in astratto – presenta i punti di maggiore frizione tra il principio della finalizzazione rieducativa delle misure alternative alla detenzione e le ragioni di compressione della libertà personale, alla luce delle ravviste esigenze cautelari, proprium delle misure cautelari personali: l’istanza di affidamento in prova al servizio sociale formulata da soggetto attinto da ordinanza di applicazione di una misura cautelare custodiale.
Esclusa radicalmente la possibilità di una declaratoria presidenziale (ex art.666 c.p.p.) di inammissibilità della domanda, la Corte ha affermato, con giurisprudenza costante, che il tribunale di sorveglianza è tenuto ad esaminare nel merito il singolo caso sottoposto, dovendo in particolare accertare la natura del titolo dell’altra causa di detenzione (quella, cioè, sofferta a titolo non definitivo) e quindi verificare, se nel caso di specie i limiti alla liberta’ derivanti dalla restrizione in forza della misura cautelare siano compatibili con lo svolgimento della misura alternativa e se questa possa essere concessa per tutte le condanne definitive in esecuzione[3].
Con la seconda decisione sopra massimata, invece, il parametro di valutazione che al giudice incombe di applicare (nella diversa fattispecie della sopravvenienza di un titolo cautelare in capo a persona soggetta a misura alternativa alla detenzione) è stato ritenuto non già quello della compatibilità tra i limiti imposti alla libertà del soggetto dalla misura cautelare ed il proficuo dispiegarsi del beneficio penitenziario, bensì l’incidenza del fatto-reato imputato al soggetto sulla persistente idoneità della misura alternativa a dispiegare efficacemente la propria funzione rieducativa.
La Corte ha dunque affermato due ulteriori principi-guida nella materia in esame:

esclusione di qualsiasi meccanismo di automatica preclusione alla concessione o al mantenimento di una misura alternativa alla detenzione per il solo fatto della sussistenza in capo al condannato di una misura cautelare personale. Corollario del principio enunciato dalla Corte è l’illegittimità di una declaratoria di inammissibilità pronunciata ante iudicium, ai sensi dell’art. 666 c.p.p., da parte del Presidente del Tribunale di sorveglianza[4];
obbligo, per il giudice della misura alternativa, di vagliare tanto l’obiettiva compatibilità delle prescrizioni limitative della misura cautelare con il necessario ambito di autonomia del soggetto proprio dell’espiazione della pena in regime alternativo alla detenzione ordinaria; quanto, in caso di sopravvenienza del titolo cautelare rispetto all’esecuzione della misura alternativa, l’impatto negativo che la commissione di un nuovo fatto-reato comporta sulla persistente validità rieducativa della prosecuzione del beneficio penitenziario.

In applicazione del principio sub 3) , la Cassazione ha – con giurisprudenza costante[5] – escluso che, ai fini della revoca dell’affidamento in prova al servizio sociale, rilevi di per se sola l’emissione di un provvedimento applicativo di una misura cautelare personale, relativo a fatti-reato commessi antecedentemente alla concessione del beneficio penitenziario.
A tale conclusione è pervenuta la Corte tanto sul rilievo che soltanto condotte tenute successivamente alla concessione del beneficio possano inficiare il giudizio di permanenza dell’efficacia rieducativa della misura; quanto in base all’applicazione dell’illustrato principio secondo cui è da ritenere possibile, in linea di principio, la contestuale esecuzione della misura alternativa alla detenzione e della misura cautelare, dovendosi poi solo verificare, nella fattispecie, la concreta compatibilità tra le misure anzidette[6].

4.Tanto premesso in ordine allo stato attuale dell’elaborazione giurisprudenziale sul tema in rassegna, va compiuto qualche ulteriore approfondimento circa il principio affermato in linea di diritto dalla Cassazione per ciò che concerne il potere-dovere del giudice di sorveglianza di verifica della compatibilità tra la misura alternativa e la misura cautelare che grava sull’istante.
Occorre a tal proposito distinguere le diverse fattispecie che possono verificarsi:

a) caso della domanda di applicazione di una misura alternativa alla detenzione da parte di chi sia detenuto in forza di titolo cautelare, ovvero da condannato in c.d. “doppia posizione giuridica”(detenuto quale condannato definitivo e sottoposto a misura cautelare personale per altra imputaizone).

In tal caso, spetta al giudice di sorveglianza verificare la compatibilità della misura alternativa che si domanda concessa con il provvedimento cautelare già applicato .
La Cassazione – come si è visto – ha stabilito che tale verifica deve essere condotta “in concreto”, vale a dire avuto riguardo alla natura delle limitazioni connaturate alla misura al-ternativa e alla misura cautelare, e all’effettiva compatibilita’ tra l’una el’altra nel rispetto, dalla legge ritenuto preminente, della misura cautelare.[7]
Qualora si ravvisi incompatibilità, devono, dunque, prevalere le ragioni della cautela .
Quanto il citato criterio di giudizio affermato dalla Cassazione risulti, in realtà, assai labile è reso palese dalle stesse incertezze che emergono dall’esame della giurisprudenza della Corte, in particolare nell’ipotesi di concessione della misura dell’affidamento in prova al servizio sociale a colui che si trovi – per altro titolo – ristretto in regime cautelare di arresti domiciliari.
Alcune decisioni, infatti, ammettono tale possibilità[8], che è – al contrario – negata in nuce da altri pronunciamenti[9], con la motivazione – di indubbia fondatezza – che la sussistenza degli obblighi e prescrizioni degli arresti domiciliari impedisce al soggetto, eventualmente sottoposto alla contemporanea misura dell’affidamento in prova al servizio sociale, di fornire concretamente la prova della sua partecipazione alle finalità rieducative proprie della misura alternativa, attraverso il conseguimento e la responsabile gestione di margini di libertà e autonomia sempre maggiori in rapporto al progressivo incremento del suo reinserimento sociale.
Con riferimento alla concedibilità della misura della semilibertà, la Cassazione ha condiviso la linea di ritenere che l’emissione di un provvedimento custodiale costituisse un dato particolarmente negativo a carico dell’istante, sotto il particolare profilo del presupposto normativo (art.50 L. 354/75) circa la verifica – ai fini della concessione del beneficio – dei progressi compiuti dal condannato nel corso del trattamento e della sussistenza delle condizioni per formulare una prognosi favorevole in ordine ad un suo graduale reinserimento nella società[10].
Per quanto concerne il giudizio di compatibilità tra la misura cautelare degli arresti domiciliari e la detenzione domiciliare, gli elementi di comunanza, pur sussistenti in parte sotto il profilo del regime concreto delle limitazioni alla libertà personale cui il condannato/imputato è sottoposto, sintetizzate nelle prescrizioni imposte con il provvedimento applicativo della misura; non possono indurre la conclusione della omogeneità delle due situazioni, di tal che in presenza dell’una sia applicabile, de plano, l’altra misura, quasi a sancire un rapporto di fungibilità tra le misure stesse.
Mentre, infatti, gli obblighi limitativi cui l’indagato/imputato è sottoposto hanno esclusiva attinenza al momento cautelare e sono elettivamente finalizzati alla prevenzione dei noti pericula specificamente indicati dalla normativa processuale (fuga, reiterazione di reati, tutela del materiale probatorio), essendo la preservazione delle risorse di risocializzazione soltanto parzialmente considerata, attraverso la previsione delle autorizzazioni di cui all’art. 284 c.p.p.; le prescrizioni connesse alla detenzione domiciliare, pur non scevre da una finalità di contenimento della residua pericolosità sociale dell’istante, hanno, invece, precipua finalità risocializzante[11].
Le finalità delle due misure, cautelare ed alternativa., si pongono, in altri termini, tra loro specularmente con riguardo ai diversi obiettivi, di prevenzione e rieducazione, considerati dal legislatore nel disegnare il contenuto delle stesse.
Appare allora evidente in tutta la sua complessità la delicatezza dell’indagine che incombe al giudice chiamato a vagliare, nel caso concreto, l’effettiva compatibilità tra le due misure: che appare, alla luce di quanto sopra detto, meno scontata di quanto a primo acchito potrebbe ritenersi.
La Cassazione, peraltro, ammette , con giurisprudenza costante, la concedibilità della misura della detenzione domiciliare a colui che, in altro procedimento, sia attinto da ordinanza applicativa della misura cautelare degli arresti domiciliari[12].
Per quanto concerne l’applicabilità della liberazione condizionale, la Corte ritiene, analogamente a quanto visto in rapporto alle misure alternative alla detenzione, che essa, in linea di principio, possa essere concessa anche a soggetto che sia sottoposto,per altri fatti, a misura cautelare (arresti domiciliari), salva sempre la doverosa disamina giudiziale sulla effettiva compatibilità fra le limitazioni dipendenti dalla liberta’ vigilata (da applicarsi, ai sensi dell’art. 176 c.p., in conseguenza della liberazione condizionale) e l’osservanza delle prescrizioni connesse alla misura cautelare[13].

b) caso del procedimento di revoca, per fatto colpevole ex art. 51 ter O.P., della misura alternativa in corso di esecuzione, per effetto della sopravvenuta applicazione di una misura cautelare personale.

Nella fattispecie sopra indicata, la giurisprudenza della Cassazione ha costantemente negato che la mera sopravvenienza di un titolo cautelare custodiale determini ex se la caducazione per revoca della misura alternativa alla detenzione già concessa.
Al contrario, la Corte ha sempre affermato che occorre verificare l’incidenza che il fatto contestato al condannato puo’ avere sulla perdurante idoneita’ del beneficio concesso a perseguire i fini rieducativi e preventivi ad esso connessi, sicchè e’ illegittima la revoca di quest’ultimo disposta per il semplice sopraggiungere, nel corso della sua esecuzione, di un provvedimento custodiale.
In proposito, tuttavia, vanno distinte le due diverse fattispecie originate, rispettivamente, dal sopravvenire di titolo custodiale per un fatto-reato commesso antecedentemente alla concessione della misura alternativa ovvero a motivo di un delitto perpetrato in corso di esecuzione della misura altrrnativa.
Nel primo caso, non può parlarsi di revoca della misura alternativa “per fatto colpevole”, poiché la fattispecie di cui all’art.51 ter O.P. presuppone che le condotte, contrarie alla legge ovvero alle prescrizioni imposte al condannato, siano poste in essere successivamente all’inizio dell’esecuzione della misura.
Ne consegue che l’eventuale revoca del beneficio penitenziario dovrà essere fondata unicamente sulla impossibilità di formulare una prognosi di efficacia rieducativa della misura alla luce delle limitazioni alla libertà del soggetto imposte dalla misura cautelare.
Ulteriore, necessitata conclusione pare quella di ritenere che l’eventuale revoca della miura alternativa non possa che pronunciarsi con effetto ex nunc, con dichiarazione di pena validamente espiata fino al giorno di esecuzione del titolo cautelare.
Quando invece l’ordinanza di applicazione della misura cautelare concerne un fatto-reato commesso, in ipotesi accusatoria, in corso di misura alternativa, il parametro valutativo dovrà riguardare – ferma l’insussistenza di ipotesi di revoca automatica – la verifica in concreto se gli elementi indicati nell’ordinanza custodiale siano o meno sintomatici del fallimento dell’esperimento rieducativo tentato con la summenzionata misura alternativa alla detenzione e con l’impossibilità di formulare una prognosi di positivo esito della prova[14].

5. Alla luce della disamina sopra svolta emergono alcune considerazioni di ordine generale sull’assetto della disciplina del rapporto tra misure alternative e misure cautelari nella fase esecutiva.
In primo luogo, si osserva come la giurisprudenza della Cassazione, nel porre il principio della possibile coesistenza tra le due tipologie di istituti, ha devoluto interamente all’interprete il non facile compito di sceverare, nel caso concreto, se quella compatibilità affermata in via di principio dalla legge possa effettivamente sussistere nel caso concreto.
Non è dato riscontrare, in altri termini, criteri normativi o pretori che possano in qualche misura orientare il giudice chiamato a verifikcare se, nel caso sottoposto al suo giudizio, “quella” misura alternativa sia compatibile con “quel” particolare regime cautelare.
Sotto l’indicato profilo, pare possibile, sul piano generale, ritenere che la compatibilità sia determinata principalmente dalla natura della misura cautelare.
Seguendo tale orientamento, dovrebbe dunque ritenersi che la misura degli arresti domiciliari sia compatibile con le misure alternative della detenzione domiciliare e della semilibertà.
Infatti, sia l’esecuzione di una misura alternativa della specie sopra indicata che il provvedimento applicativo degli arresti domiciliari privano la persona della liberta’ di locomozione, indipendentemente dal luogo in cui essa si trova fisicamente ristretta.
Tale conclusione trova appoggio testuale nella norma di cui all’art. 47 ter della legge n.354 del 1975, laddove si pone per tabulas l’equivalenza tra il regime detentivo ordinario e la pena espiata in detenzione domiciliare.
Ne’ l’incompatibilita’ potrebbe’ derivare dalle prescrizioni connesse alla misura cautelare (es. autorizzazione ad uscire dal domicilio per effettuare attività lavorativa, ovvero per recarsi presso strutture cliniche, ospedaliere al fine di effettuare terapie riabilitativa), dal momento che esse attengono unicamente alle modalita’ esecutive, senza che perciostesso mutare natura ed effetti del regime cautelare.
Il soggetto sottoposto agli arresti domiciliari, infatti, nel periodo in cui è autorizzato – ai sensi dell’art. 284 c.p.p. – ad allontanarsi dal domicilio, è considerato a tutti gli effetti agli arresti 8di tal che, ove la persona non si rechi puntualmente nel luogo di lavoro o di cura, è ritenuto essersi sottratto agli obblighi connessi alla misura in esecuzione).
Contra, tuttavia, militano i rilievi sopra mossi alla semplicistica operazione di equiparazione dei due istituti – quello degli arresti domiciliari e quello della detenzione domiciliare – la cui ratio obbedisce ad esigenze di tutela di beni giuridici affatto diversi.
Ancor maggiori perplessità desta la compatibilità – pure ritenuta da una parte della giurisprudenza di merito e non esclusa da quella di legittimità[15] – della misura degli arresti domiciliari con l’affidamento in prova al servizio sociale, ordinario o particolare ai sensi dell’art. 94 D.P.R. 309/90.
In tal caso, infatti, non vi è omogeneità sul piano del regime cui il soggetto è sottoposto (invero l’affidato in prova al servizio sociale non si considera in stato detentivo) e, soprattutto, il regime degli arresti domiciliari pare frapporsi in modo insuperabile alla sperimentazione della persona affidata, verifica, quest’ultima, che presuppone necessariamente la possibilità, per l’affidato, di essere messo alla prova attraverso la concessione di opportuni ambiti di libertà ed autonomia, non compatibili con il regime cautelare, anche se eventualmente temperato dalle autorizzazioni sopra ricordate.
Quanto alla misura della custodia cautelare, essa, applicata quale extrema ratio in rapporto a situazioni di elevata pericolosità, e priva, inoltre, di profili di affinità con regimi cautelari attenuati ovvero con le misure alternative alla detenzione, sembra totalmente incompatibile con la concessione o il mantenimento di queste ultime, sotto il duplice profilo tanto della sopra vista concreta compatibilità quanto al regime applicato; quanto dell’impatto negativo che la gravità dell’imputazione connessa al titolo cautelare custodiale provoca sulla diagnosi di pericolosità sociale e sulla possibilità di formulare una prognosi di efficacia risocializzante della misura alternativa.
Alla luce delle osservazioni che precedono, e quale che sia la soluzione giudicata maggiormente persuasiva, non pare comunque che l’eventuale concessione della misura alternativa a condannato attinto (anche) da una misura cautelare possa sottrarsi ad un onere di motivazione specifico e pregnante in ordine ad un duplice ordine di profili: il primo rappresentato dalla necessità di superare il contenuto negativo, sotto l’aspetto della pericolosità sociale, della attuale sussistenza della misura cautelare in capo al soggetto; il secondo costituito dalla prognosi favorevole rispetto all’efficacia risocializzante della misura alternativa richiesta pur alla luce delle obiettive limitazioni alla libertà personale connesse alla misura cautelare contemporaneamente sofferta.

6.La possibile coesistenza, in capo al medesimo soggetto che versi nella duplice posizione giuridica di imputato e condannato, di una misura alternativa alla detenzione e di una misura cautelare personale, pone articolati problemi, nella fase esecutiva, in tutti i casi in cui si tratti di imputare il periodo, espiato in regime cautelare contestualmente al beneficio penitenziario, in detrazione della pena concretamente eseguibile, una volta che la sentenza di condanna sia divenuta – per quel titolo – definitiva.
Com’è noto, infatti, l’imputazione del periodo trascorso in regime cautelare alla pena definitiva avviene, nei casi ordinari, secondo il principio stabilito, ai sensi dell’art. 297, c.p.p. .
Peraltro, l’applicazione, anche nella fattispecie in esame, del meccanismo di attribuzione del periodo detentivo presofferto alla pena determinata con la pronuncia di condanna definitiva, secondo il canone generale fissato nella norma processuale sopra indicata, deve essere necessariamente coordinato con la regola secondo cui uno stesso giorno (o periodo) di privazione di liberta’ personale non puo’ essere imputato a due diverse pene.
Si tratta, in altri termini, di operare il raccordo tra la norma dell’art. 298 , comma 2, c.p.p. (che ammette la coesistenza di misura alternativa alla detenzione e misura cautelare personale) e la disposizione dell’art.297, c.p.p. ( che disciplina l’imputazione alla pena definitiva del periodo detentivo trascorso in regime cautelare).
Tale operazione ermeneutica deve attuarsi computando, per quel che concerne la misura cautelare, il periodo espiato contestualmente in misura alternativa ed in misura cautelare al solo fine del decorso dei termini massimi di durata della cautela[16].
Deve, pertanto, escludersi che il periodo trascorso in regime cautelare successivo all’inizio dell’esecuzione della misura alternativa, contemporaneo all’esecuzione della misura cautelare per altro fatto, possa essere computato nella pena detentiva eventualmente da eseguire per quest’ultimo ai sensi dell’art. 657, comma primo, c.p.p. .
Ai fini della norma citata, dovra’ invece essere calcolata unicamente quella frazione degli arresti domiciliari relativamente alla quale non vi sia stata sovrapposizione con il tempo di esecuzione della misura alternativa.
F.F.

Note:
[1] Cass.,1,n.877 dd.14/04/1993,Labertucci (RV. 193670), in Ced Cass. . Nello stesso senso, cfr. Cass., I, 27.2 – 14.4.93, n.820.
[2] Cfr. anche Cass.,1, n.3020 dd.05/06/1997, Frappampina(RV.207682) in Ced Cass. Il testo della norma processuale citata è il seguente: ““1.L’esecuzione di un ordine con cui si dispone la carcerazione nei confronti di un imputato al quale sia stata applicata una misura cautelare personale per un altro reato ne sospende l’esecuzione, salvo che gli effetti delle misure disposte siano compatibili con la espiazione della pena.2.La sospensione non opera quando la pena è espiata in regime di misura alternativa alla detenzione.”

[3] Cass., 1, n.6503 dd. 04/01/2000, Giampietro (RV. 215120) in Ced Cass. .

[4] In tema e conforme cfr. Cass.,1, n.23291 dd.07/06/2001, Candeloro(RV. 219363), in Ced Cass. Si tratta di giurisprudenza ormai costante: cfr. Cass.,1, n.29046 dd. 18/07/2001 , Nani ( RV. 219494) ; Cass.,1, n.24690 dd. 16/06/2001, imp. PG in proc. Mazzone (RV. 219410) ; Cass., 1, n. 24651 dd. 16/06/2001, Cicognini ( RV. 219403) ; Cass., 1, n.24627 dd. 16/06/2001, La Guardia ( RV. 219399).

[5] Così Cass.,1, n.4717 dd.19/11/1996, imp. PG in proc. Russo (RV.206000) in Ced Cass. .
[6] Cass., 1, n.3020 dd.05/06/1997,Frappampina (RV. 207682) in Ced Cass. .

[7] Cass.,1,n.967 dd. 25/03/1995 , Marchese (RV. 200507), in Ced Cass.

[8] Cfr. Cass., 1, n.877 dd. 14/04/1993, Labertucci, cit. alla nota 1).

[9] Per la tesi possibilista, cfr. Cass.,1, n.3803 dd.10/01/1992, Malucelli (RV. 188860), in Ced Cass.; per l’opposto orientamento, cfr. Cass., 1, n.6360 dd. 08/03/97, Drago, (RV. 206982).

[10] Cass., 1, n.1572 dd. 25/05/1994 , Terzi, (RV. 197677) in Ced Cass.

[11] Per una interessante disamina del contenuto e dei limiti delle prescrizioni e degli obblighi connessi al regime degli arresti domiciliari e della detenzione domiciliare, cfr. Cass.,1, n.4298 dd.16/08/1995, Barbieri,(RV. 202183), in Ced Cass.
[12] Cass.,1, n.56 dd.04/03/1993, Fabozzo (RV. 193298) in Ced Cass.; Cass.,1, n.1395 dd.25/01/2001, Caccamo (RV. 217806), in Ced Cass.

[13] Cass.,1, n.903 dd.13/03/1998, Pronesti (RV. 209899) in Ced Cass.

[14] Nello stesso senso, cfr. cass.,1, n.45800 dd.20/12/2001. Orru,(RV. 220378) in Ced Cass. .
[15] Per gli orientamenti giurisprudenziali pro e contra, v. nota 8) e 9) .
[16]Cfr. Cass.,1, n.1846 dd.18/07/1990, Volpe (RV. 184959), in Ced Cass. ; Cass.,1, n.3803 dd.10/01/1992, Malucelli,(RV. 188860). V. anche giurisprudenza cit. alla nota 8) .

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