La coltivazione di stupefacenti nel TU 309/90

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Le linee-guida di Cass., SS.UU., 19 dicembre 2019, n. 12348.

La questione di Diritto analizzata in Cass., SS.UU., 19 dicembre 2019, n. 12348 è: “ se, ai fini della configurabilità del reato di coltivazione di piante dalle quali sono estraibili sostanze stupefacenti, è sufficiente che la pianta, conforme al tipo botanico previsto, sia idonea, per grado di maturazione, a produrre la sostanza per il consumo, non rilevando la quantità di principio attivo ricavabile nell’ immediatezza, ovvero se è necessario verificare anche che l’ attività sia concretamente idonea a ledere la salute pubblica ed a favorire la circolazione della droga alimentandone il mercato “.

Cass., sez. pen. VI, 18 gennaio 2007, n. 17983 ( ripresa da Cass., sez. pen. VI, 20 giugno 2007, n. 31968, nonché da Cass., sez. pen. VI, 11 ottobre 2007, n. 40362 ) afferma che la coltivazione domestica, e non professionale, di stupefacenti “ ricade nella nozione di detenzione, sicché occorre verificare se, nella concreta vicenda, [ tale coltivazione ] sia destinata ad un uso esclusivamente personale del prodotto “. Viceversa, Cass., SS.UU., 24 aprile 2008, n. 28605 ( ripresa assai fedelmente da Cass., SS.UU., 24 aprile 2008, n. 28606 ) reputa, in maniera più apodittica e rigoristica, che “ costituisce condotta penalmente rilevante [ ex Art. 73 TU 309/90 ] qualsiasi attività non autorizzata di coltivazione di piante dalle quali sono estraibili sostanze stupefacenti, anche quando [ la coltivazione ] sia realizzata per la destinazione del prodotto ad uso personale “. Tuttavia, il retribuzionismo categorico di Cass., SS.UU., 24 aprile 2008, n. 28605 è mitigato dalla previsione, nel corso del giudizio di merito, di un correttivo qualitativo, nel senso che la precettività concreta dell’ Art. 73 TU 309/90 dipende anche dal tenore di principio attivo estraibile dalla pianta matura. P.e., basti pensare, a tal proposito, alla canapa light o a quella per usi cosmetici, alimentari oppure tessili. In effetti, anche dopo la L. 49/2006, il lemma “coltivazione“ non è depenalizzato né nel comma 1 bis Art. 73 TU 309/90, né nel comma 1 Art. 75 TU 309/90. La lett. a) comma 1 bis Art. 73 TU 309/90 parla di “ sostanze [ … ] destinate ad un uso esclusivamente personale “ e, del pari, il comma 1 Art. 75 TU 309/90 è riferito all’ importazione, all’ esportazione, all’ acquisto, alla ricezione ed alla detenzione “ per farne uso personale “. Viceversa, il verbo “coltivare “ rimane nell’ alveo sanzionatorio del comma 1 Art. 73 TU 309/90. In effetti, come puntualizzato da Cass., SS.UU., 19 dicembre 2019, n. 12348, “ la volontà del Legislatore è quella di mantenere comunque la rilevanza penale della coltivazione, non trovando alcun fondamento normativo [ de jure condito ] la distinzione [ che è giurisprudenziale, ndr ] tra coltivazione tecnico-agraria e coltivazione domestica. Questa distinzione è sostenuta da taluni per affermare che la coltivazione domestica sarebbe piuttosto riconducibile alla nozione di detenzione, la quale è penalmente irrilevante se finalizzata al consumo personale “ [ ex lett. a) comma 1 bis Art. 73 TU 309/90 ed ex comma 1 Art. 75 TU 309/90 ]. Come osservato da Cass., SS.UU., 24 aprile 2008, n. 28605, gli Artt. dal 27 al 30 TU 309/90, nel giuridificare le coltivazioni autorizzate di stupefacenti, si riferiscono non ad un’ improvvisata coltivazione domestica, bensì a modalità tecnico-agricole  ben organizzate, con sistemi di semina, di vigilanza e di raccolta professionali. Sempre Cass., SS.UU.,  24 aprile 2008, n. 28605 si rifiuta di omologare la coltivazione domestica alla detenzione depenalizzata “ anche per via di un argomento di carattere naturalistico, basato sulla distinzione ontologica tra coltivazione e detenzione [ poiché ] [ … ] la coltivazione, anche qualora intrapresa con l’ intento di soddisfare esigenze di consumo personale, a differenza della detenzione, [ … ] è suscettibile di creare nuove e non predeterminabili disponibilità di stuepefacenti “. Del resto, la ratio proibizionistica del TU 309/90 è e rimane incompatibile con la legalizzazione indiscriminata della coltivazione domestica, la quale, sotto il profilo della Prassi, rientra pur sempre in un’ ambigua zona grigia prodromica allo spaccio p. e p. ex comma 1 Art. 73 TU 309/90. E’ ben difficile, nella pratica quotidiana, separare una coltivazione domestica dalla eventuale finalità della cessione dello stupefacente a terzi. A tal proposito, pure Cass., SS.UU., 19 dicembre 2019, n. 12348 asserisce anch’ essa che, con afferenza alla c.d. coltivazione non professionalmente organizzata, “ restano ipotetiche o, comunque, scarsamente affidabili le valutazioni in merito alla destinazione della droga all’ uso personale piuttosto che alla cessione a terzi “. Il coltivatore artigianale sarà, presto o tardi, inevitabilmente e spontaneamente tentato di dilatare la propria produzione per scopi lucrativi non strettamente individuali e non relativi a quantità esigue. Ciò premesso, in ogni caso, esistono pur sempre, nel merito, coltivazioni di stupefacenti non pericolose dal punto di vista del tenore drogante della sostanza ricavata. Dunque, in tal caso, la coltivazione, tanto domestica quanto professionale, non è punibile ex Art. 73 TU 309/90, in tanto in quanto “ la sostanza ricavata dalla pianta non è idonea a produrre un effetto drogante rilevabile [ … ] atteso che inoffensiva è la condotta che non leda o non ponga in pericolo il bene tutelato nemmeno in grado minimo “ ( Cass., SS.UU., 21 settembre 1998, n. 9973 ). Quel che veramente conta è, in definitiva, la tutela della salute dei consociati ex comma 1 Art. 32 Cost., a prescindere dalla natura domestica oppure organizzata della coltivazione. La qualità è più importante della quantità del prodotto della pianta dello stupefacente, come dimostra la fattispecie del diverso e discriminante grado di cannabinoidi contenuti nella marjuana e nell’ haschisch essiccate.

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L’ orientamento ermeneutico di Cass., sez. pen. IV, 28 ottobre 2008, n. 1222.

 

L’ orientamento qualitativo, legato all’ apprezzamento chimico-tossicologico della purezza della sostanza, è il fulcro di Cass., sez. pen. IV, 28 ottobre 2008, n. 1222, a parere della quale la perseguibilità penale della coltivazione di stupefacenti “ dipende dalla capacità, effettiva ed attuale, della sostanza ricavabile a determinare un effetto drogante, ossia a produrre nell’ assuntore alterazioni di natura psico-fisica “. Cass., sez. pen. IV, 28 ottobre 2008, n. 1222 tiene nel debito conto i dati normativi che, nel TU 309/90, rimarcano, anzitutto e soprattutto, la qualità della droga, anziché la quantità grezza e, talvolta, insignificante, nell’ ottica suprema del comma 1 Art. 32 Cost. . P.e., il criterio tossicologico è ben illustrato nella lett. e) comma 1 Art. 80 TU 309/90. Oppure ancora, il comma 5 Art. 73 TU 309/90 contiene anch’ esso il lemma “ qualità “, riferito al grado di purezza e, quindi, alla pericolosità psico-fisica menzionata in Cass., sez. pen. IV,  28 ottobre 2008, n. 1222. La “ potenzialità lesiva “ ( lett. e comma 1 Art. 80 TU 309/90 ) è di gran lunga più determinante ed incisiva rispetto ad una quantità ingente, ma scarsamente psicotropa o psichedelica. A parere di chi redige, tuttavia, Cass., sez. pen. IV, 28 ottobre 2008, n. 1222 ipostatizza eccessivamente “ il bene della salute “ ex comma 1 Art. 32 Cost. . Esso, secondo tale Precedente del 2008, supererebbe, per importanza, altri valori altrettanto meritevoli di tutela, come la “ [ … ] lotta al mercato della droga, la tutela delle giovani generazioni, la sicurezza, l’ ordine pubblico ed il normale sviluppo delle giovani generazioni “. Sette anni dopo, anche Cass., sez. pen. VI, 21 ottobre 2015, n. 2618 ha pur’ essa esaltato o, comunque, evidenziato il criterio del principio attivo, in tanto in quanto “ è penalmente irrilevante la coltivazione [ ex comma 1 Art. 73 TU 309/90 ] qualora il ciclo di maturazione delle piante, pur conforme al tipo botanico, non sia tale da produrre, al momento dell’ eccertamento, un principio attivo dotato di efficacia drogante “. Il grado di purezza della sostanza conta, in buona sostanza, più del singolo e non rappresentativo dato ponderale in sé e per sé.

 

Il tipo botanico della pianta e la sua ( fattuale ? ) offensività anti-normativa.

 

Secondo l’ orientamento del “ giudizio predittivo “, la pianta dello stupefacente è ontologicamente anti-normativa per il solo fatto di appartenere ad un tipo botanico di vegetali che producono, naturalisticamente, delle sostanze psicotrope vietate dalle Tabelle predisposte ex Artt. 13 e 14 TU 309/90. Dunque, secondo alcuni Precedenti di legittimità, diventa pleonastico verificare il tenore di principio attivo all’ atto del sequestro da parte della PG. Tale interpretazione, pertanto, è automatica e non fattualizza affatto la qualità finale tossicologica del prodotto vegetale, il quale è, o non è, proibito e sanzionabile per il solo fatto di aver prodotto o di poter produrre un preparato stupefacente sussumibile entro il divieto generale ex comma 1 Art. 73 TU 309/90. A tal proposito, è utile analizzare Cass., sez. pen. VI, 15 marzo 2013, n. 22459, a parere della quale “ il Legislatore ha inteso incriminare l’ attività di << coltivazione >> – così definita senza alcuna aggettivazione – di organismi vegetali da cui sono estraibili sostanze stupefacenti, con la conseguenza che tale coltivazione deve ritenersi integrata già alla messa a dimora dei semi “. A parere di chi redige, Cass., sez. pen. VI, 15 marzo 2013, n. 22459 è profondamente e non proporzionalmente retribuzionistica, in tanto in quanto il criterio della “ qualità “ finale della droga è concretamente più importante del tipo botanico. L’ elemento decisivo è pur sempre la capacità o meno finale della pianta di produrre effetti psico-fisici tossicovoluttuari e potenzialmente pericolosi per la salute alla luce del comma 1 Art. 32 Cost. . Il rigorismo anti-garantistico ed anti-democratico di Cass., sez. pen. VI, 15 marzo 2013, n. 22459 è provvidenzialmente corretto da Cass., SS.UU., 18 ottobre 2012, n. 47604, la quale specifica che “ non configura la condotta di cui all’ Art. 73 TU 309/90 [ … ] il commercio di semi di piante atte a produrre sostanze stupefacenti, il quale rifluisce piuttosto nella categoria degli atti meramente preparatori “. In effetti, Cass., sez. pen. VI, 15 marzo 2013, n. 22459 ipostatizza eccessivamente la ratio del tipo botanico. Il Magistrato non deve qualificare, del resto, il comma 1 Art. 73 TU 309/90 alla stregua di un delitto di mero sospetto, giacché il “ tenore drogante “ finale della pianta è e deve rimanere il criterio-cardine supremo. E’ profondamente erroneo l’ approccio de-contestualizzante e de-fattualizzante di Cass., sez. pen. VI, 15 marzo 2013, n. 22459. D’ altronde, nella Normativa del Consiglio d’ Europa, anche la decisone-quadro 2004/757/GAI del 25 ottobre 2004 non parla di tipo botanico, bensì focalizza l’ attenzione dell’ interprete sulla più o meno accentuata potenzialità stupefacente della pianta dopo l’ essiccazione, il taglio, la raffinazione chimica o, ognimmodo, la lavorazione finale. Parlare in astratto della tipologia vegetale significa aprire la strada agli orribili “ delitti di mero sospetto“. Sottilmente giustizialistica e non concretizzante è pure, in tema di grado di maturazione della pianta, anche Cass., sez. pen. III, 31 gennaio 2013, n. 21120, la quale sostiene che “ l’ idoneità offensiva della coltivazione [ rispetto all’ Art. 73 TU 309/90 ] [ … ] va valutata in assoluto [ quindi sulla base del tipo botanico, ndr ], non potendo dipendere da circostanze occasionali e contingenti, come la tempestiva scoperta della piantagione da parte della polizia giudiziaria. Diversamente, si perverrebbe all’ irrazionale conclusione di escludere la rilevanza penale di una coltivazione anche di notevoli dimensioni, con un elevato numero di piante messe a dimora, per il solo fatto che ne sia stata accertata l’ esitenza all’ inizio del processo di maturazione e che, esclusivamente per tale circostanza fattuale, la stessa sia risultata non produttiva, nell’ immediato, di principio attivo “. Cass., sez. pen. III, 31 gennaio 2013, n. 21120, probabilmente e giustizialisticamente, sazia i malumori popolari, ma sotto il profilo tecnico, rimane inaccettabile un reato connotato da una pericolosità meramente astratta. Cass., sez. pen. III, 31 gennaio 2013, n. 21120 rischia di annichilire quel concetto di “ qualità “ che fonda, tra l’ altro, il comma 5 Art. 72 TU 309/90. Il “ tenore drogante “ è un  dato di fatto basilare e non è ragionevole, in ambito penalistico, parlare di una pericolosità potenziale e predittiva dei semi o della pianta non ancora matura, raccolta, trattata e lavorata. Il “ mero sospetto “, anche in tema di arbusti psicotropi, non deve avere alcuna cittadinanza nel TU 309/90, in tanto in quanto il Magistrato, nel campo del Diritto Penale, giudica la concretezza offensiva della condotta e non la pericolosità eventuale degli atti preparatori. In effetti, le presenti intrepretazioni anti-garantistiche sono smentite da Cass., sez. pen. VI, 9 gennaio 2014, n. 6753, secondo cui “ la coltivazione deve risultare ragionevolmente orientata [ … ] verso la materializzazione delle sostanze, con la conseguenza che l’ accertamento va rapportato al ciclo di sviluppo vegetale dell piante. L’ offensività risulta, dunque, assicurata, in astratto, dalla corrispondenza della specie al tipo botanico vietato, ma, in concreto, dalla verifica giudiziale della [ concreta ] capacità della condotta che, nei singoli casi, deve apparire tale da incrementare significativamente il rischio della produzione di sostanze utili al consumo [ … ] sicché la rilevanza della condotta potrà essere esclusa quando si riscontri l’ assenza di un’ efficacia stupefacente del prodotto “. Di nuovo e lodevolmente, Cass., sez. pen. VI, 9 gennaio 2014, n. 6753 concentra l’ attenzione del Magistrato del merito sul prodotto psicotropo maturato, raccolto e lavorato. Cass., sez. pen. VI, 9 gennaio 2014, n. 6753 non condivide un giudizio anticipato incentrato sulla potenzialità tossicologica della semente, dei peli ghiandolari o dei fusti non ancora maturi. Il comma 1 Art. 73 TU 309/90, quindi, configura sempre e comunque un delitto consumato e non astrattamente o anticipatamente pericoloso. Similmente, Cass., sez. pen. VI, 10 febbraio 2016, n. 10169 rimarca che si deve valutare “ l’ intero ciclo evolutivo dell’ organismo biologico “ e non la pianta non ancora matura, quindi priva di un discreto principio attivo. Anche Cass., sez. pen. IV, 21 maggio 2019, n. 27213 parla dell’ importanza fattuale “ dell’ esito del fisiologico sviluppo “ e non della sola conformità al tipo botanico. Infine, Cass. Sez. pen. VI, 28 aprile 2017, n. 35654 si focalizza anch’ essa sul “ prodotto finale dotato di effetti droganti “. Non è pericoloso il tipo botanico, bensì la sostanza finale ricavata, poiché, nella Giuspenalistica, non ha alcun rilievo il pericolo del pericolo non ancorato ad una realtà concreta.

 

La pianta che aumenta la disponibilità e la diffusione dello stupefacente ( Cass., sez. pen. IV, 17 febbraio 2011, n. 25674 ).

 

Cass., sez. pen. IV, 17 febbraio 2011, n. 25674 ha analizzato la fattispecie di una piccola pianta di canapa munita di un tenore drogante scarso e riservata al solo uso personale. Tradotto con termini giuridici, Cass., sez. pen. IV, 17 febbraio 2011, n. 25674 reputa che, spesso, non si deve procedere se il fatto è irrilevante, in tanto in quanto la particolare tenuità del fatto esclude la procedibilità. Più nel dettaglio, Cass., sez. pen. IV, 17 febbraio 2011, n. 25674 ha reputato che “quando la condotta è assolutamente modesta, e ciò si desume dalle sue connotazioni fattuali, il reato è impossibile [ … ] è una versione al negativo del tentativo di cui all’ Art. 56 CP, che è un meccanismo per ritenere non punibili le condotte solo apparentemente conformi al tipo, ma che, in concreto, risultano del tutto carenti di lesività a posteriori “ Dunque, Cass., sez. pen. IV, 17 febbraio 2011, n. 25674 applica appieno, seppur implicitamente, la nozione di “ lieve entità “ ex comma 5 Art. 73 TU 309/90. Molto interessante è pure la “ non-lieve entità “ giudicata in Cass., sez. pen. III, 9 maggio 2013, n. 23082, la quale esclude la tenuità del fatto di fronte ad una “strutturazione professionale della coltivazione “, munita di una serra semi-industriale, con impianto di innaffiamento, riscaldamento dei locali indoor, uso di pesticidi, fertilizzanti ed altri meccanismi tecnici per favorire la crescita e lo sviluppo delle piantumazioni di haschisch e di marjuana. Anche questa volta, come si può notare, è risultato decisivo il contesto concreto e non è stato reputato sufficiente il tipo botanico vietato dalle Tabelle ex Artt. 13 e 14 TU 309/90. Analogamente, visto l’ Art. 131 bis CP, Cass., sez. pen. VI, 10 novembre 2015, n. 5254 reputa “ non punibile per particolare tenuità del fatto la coltivazione che “ non reca al pericolo di diffusione sul mercato per la quantità assolutamente minima di prodotto [ … ] nonostante le piante raggiungano una buona soglia drogante “. Nella fattispecie di Cass., sez. pen. VI, 10 novembre 2015, n. 5254, alla luce dell’ Art. 131 bis comma 1 CP, “ la punibilità è esclusa quando, per le modalità della condotta e per l’ esiguità del danno o del pericolo, valutate ai sensi del comma 1 Art. 133 CP, l’ offesa è di particolare tenuità ed il comportamento risulta non abituale “. Si noti, anche in Cass., sez. pen. VI, 10 novembre 2015, n. 5254 la concretizzazione operata dalla Corte Suprema, la quale ha rigettato l’ ipotesi di una delittuosità astrattamente pericolosa connessa soltanto al tipo botanico delle piante di canapa coltivate. Pure Cass., sez. pen. VI, 8 aprile 2014, n. 33835 “ esclude l’ offensività in concreto per la modesta entità della coltivazione e del principio attivo ricavato [ … ] destinato ad uso personale e inidoneo ad una ulteriore diffusione sul mercato “ ( si veda pure  Cass., sez. pen. VI, 17 febbraio 2016, n. 8058, che applica anch’ essa il comma 1 Art. 131 bis CP ). Interessante è pure Cass., sez. pen. IV, 19 gennaio 2016, n. 3787, secondo cui l’ Art. 131 bis CP è precettivo “ se la punibilità per l’ illecito di coltivazione [ ex comma 1 Art. 73 TU 309/90 ] è esclusa quando la condotta sia così trascurabile da rendere sostanzialmente irrilevante l’ aumento della disponibilità della droga e non prospettabile alcun pericolo di ulteriore diffusione della stessa “. Negli Anni Duemila, la Suprema Corte reca le parole d’ ordine: contestualizzare, concretizzare, specificare, circostanziare ad ogni costo, sin nei minimi dettagli del fatto criminoso. Nel comma 1 Art. 73 TU 309/90 nulla va concesso ai delitti di mero pericolo astrattamente pericolosi.

 

Altri approcci giurisprudenziali di legittimità.

 

Cass., sez. pen. IV, 27 gennaio 2017, n. 17167 ha giustamente contestato che “ esiste un’ oggettiva ambiguità nel concetto di incremento del mercato [ delle droghe ] legata sia alla sua intrinseca vaghezza sia alle difficoltà di accertamento dovute al suo carattere clandestino, in relazione al quale vi è una sostanziale impossibilità di avere a disposizione dati certi e verificabili “. P.e., non si comprende nemmeno su quale base algebrica o ponderale Cass., sez. pen. V, 3 maggio 2011, n. 22766 abbia coniato il concetto criminologico di “ saturazione del mercato “, in tanto in quanto un mercato nero non è né misurabile né quantificabile ( si vedano, a tal proposito, anche Cass., sez. pen. II, 12 gennaio 2011, n. 4824 e Cass., sez. pen. V, 9 luglio 2008, n. 39205 ). Persino Cass., SS.UU., 19 dicembre 2019, n. 12348 denunzia le troppe incertezze esegetiche, giacché “manca la definizione di paradigmi ricostruttivi che possano valere in relazione alla coltivazione di entità oggettivamente modesta “. Un’ ermeneutica mista tra offensività concreta e offensività astratta è stata proposta da Corte Costituzionale n. 360/1995, ovverosia “ è importante il tipo botanico disciplinato e la sua attitudine, anche per le modalità di coltivazione, a giungere a maturazione e a produrre una sostanza stupefacente. Tale requisito è correttamente ritenuto imprescindibile ai fini della configurabilità del reato [ ex comma 1 Art. 73 TU 309/90 ]. [ Ma ] [ … ] perché vi sia una coltivazione penalmente rilevante è necessaria non solo una pianta che sia idonea a produrre sostanze vietate, ma anche che siano utilizzate, a tal fine, strumentazioni e pratiche agricole tecnicamente adeguate “. Dunque, Consulta n. 360/1995 richiama il requisito fondamentale della “ professionalità della coltivazione “, la quale non dev’ essere isolata, estemporanea, scarsa e limitata al solo uso personale. Pure Consulta n. 109/2016 distingue molto bene tra “ coltivazione imprenditoriale “ ( punibile penalisticamente ) e “coltivazione domestica “ ( non perseguibile ex Art. 131 bis CP  a causa dell’ estrema tenuità del fatto ). Consulta 360/1995 e Consulta 109/2016 lasciano al Magistrato comune il compito di concretizzare qualità e quantità della coltivazione, senza ipertrofizzare la ratio del tipo botanico. In terzo luogo, Consulta n. 443/1994 afferma che, per lieve entità, “ la coltivazione ad uso personale va valutata in termini di pericolo presunto “, dunque essa non è sussumibile nel campo precettivo penale del comma 1 Art. 73 TU 309/90. D’ altronde, Cassazione 17983/2007, sebbene non pacificamente condivisa, asserisce che “ la coltivazione domestica è riconducibile alla nozione di semplice detenzione, la quale è penalmente irrilevante se finalizzata al consumo personale [ … ]. E’ penalmente irrilevante la coltivazione di minime dimensioni se finalizzata esclusivamente al consumo personale “. Tuttavia, Cass., SS.UU., 19 dicembre 2019, n. 12348 si dissocia da Cassazione 17983/2007, giacché il tenore letterale dell’ Art. 73 TU 309/90 non contempla la distinzione giurisprudenziale tra la coltivazione industriale e quella domestica. Utile può essere anche Cass., sez. pen. VI, 17 febbraio 2016, n. 8058, secondo la quale “ le coltivazioni domestiche di minime dimensioni sono intraprese con l’ intento di soddisfare esigenze di consumo personale [ e ] hanno, per definizione, una produttività ridottissima e, dunque, non suscettibile di aumentare in modo significativo la provvista di stupefacente [ … ] le coltivazioni penalmente non rilevanti sono sempre caratterizzate da una produttività prevedibile come modestissima “. Parimenti, Cass., sez. pen. III, 31 gennaio 2013, n. 21120 depenalizza, senza troppe remore, “ la coltivazione di minime dimensioni “. Altrettanto vale per “ lo svolgimento [ della coltivazione ] in forma domestica e non indutriale “ in  Cass., sez. pen. VI, 9 gennaio 2014, n. 6753. Infine, Cass., sez. pen. VI, 8 aprile 2014, n. 33835 minimizza la “ rudimentalità delle tecniche [ agricole ] utilizzate “. Le conclusioni di Cass., SS.UU., 19 dicembre 2019, n. 12348 sono le seguenti:  “ il reato di coltivazione di stupefacenti è configurabile indipendentemente dalla quantità di principio attivo ricavabile nell’ immediatezza, essendo sufficienti la conformità della pianta al tipo botanico previsto e la sua attitudine, anche per le modalità di coltivazione, a giungere a maturazione e a produrre una sostanza stupefacente; devono però riternersi escluse, in quanto non riconducibili all’ ambito di applicazione della norma penale, le attività di coltivazione di minime dimensioni, svolte in forma domestica, che, per le rudimentali tecniche utilizzate, lo scarso numero di piante, il modestissimo quantitativo di prodotto ricavabile, la mancanza di ulteriori indici di un loro inserimento nell’ ambito del mercato degli stupefacenti, appaiono destinate in via esclusiva all’ uso personale del coltivatore “

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Dott. Andrea Baiguera Altieri

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