La coltivazione della cannabis nel diritto italiano

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  1. Profili storico-giuridici

Negli Anni Novanta del Novecento, in tema di coltivazione di cannabis, la Giurisprudenza italiana di legittimità è stata molto antinomica e controversa. Anche negli Anni Duemila, Cass., SS.UU., n. 47604 del 18/10/2012 non ha risolto alla radice il problema e si è limitata a sottolineare che “ la mera offerta in vendita di semi di pianta dalla quale siano ricavabili sostanze stupefacenti non è penalmente rilevante, configurandosi come atto preparatorio non punibile, perché non idoneo, in modo inequivoco, alla consumazione di un determinato reato, non potendosi dedurne l’ effettiva destinazione dei semi “. Senza alcun dubbio, il menzionato Precedente del 2012 è ardito e discutibile e s’ innesta nel solco di un anti-proibizionismo poco credibile che si spinge ai limiti della legalità. Altrettanto nebulosa è pure la Sentenza della Consulta n. 360/1995, la quale, sempre in tema di coltivazione di haschisch e di marjuana, ha valutato come non punibile piantare e coltivare semi, “poiché manca, nella coltivazione, l’ immediatezza con l’ uso personale, e ciò giustifica il minor rigore da parte del legislatore “.

A parere di molti altri interpreti, Corte Costituzionale n. 360/1995 costituisce un Precedente incompleto, in tanto in quanto non si può dubitare circa la potenziale ed acuta pericolosità socio-sanitaria del possesso e dell’ uso di sementi idonee a produrre marjuana. Il lemma “ coltiva “, enunziato nell’ incipit del comma 1 Art. 73 TU 309/1990, non deve ammettere la probatio diabolica della non punibilità della vendita di semi di canapa. Ovverosia, a livello empirico, l’ atto preparatorio di seminare è ragionevolmente e necessariamente finalizzato al consumo di uno stupefacente e, dunque, è risibile o, quantomeno, iper-garantista consentire o non punire la circolazione di semi della canapa. Non si tratta di un delitto di mero sospetto, bensì di una normale e corretta correlazione ontologica non contestabile con bizantinismi, casi e sotto-casi.

Giustamente, Manes ( 2012 ) ha avuto il merito di rimarcare che la coltivazione rientra, sempre e comunque, nel campo precettivo del comma 1 Art. 73 TU 309/1990, giacché “ quando dalle piante si estraggono quantità non irrisorie di sostanze stupefacenti, il principio di offensività è soddisfatto e si applica la sanzione penale. Spetterà, quindi, al giudice [ di merito ] sussumere la condotta concreta del coltivatore nell’ alveo della coltivazione di cui all’ art. 73 dpr 309/90 – punibile penalmente – ovvero in una fase preliminare non punibile o nella detenzione per uso personale di cui all’ art. 75 – punibile solo in via amministrativa – “. A parere di chi redige, Cass., SS.UU., n. 47604 del 18/10/2012 e, precedentemente, Corte Costituzionale n. 360/1995 hanno surrettiziamente appoggiato la propaganda liberalizzatrice che, anche in epoca contemporanea, tenta di stravolgere il TU 309/1990 nel nome della falsa categoria delle presunte “droghe leggere “ non pericolose dal punto di vista socio-sanitario. Questa confusione esegetica fortemente politicizzata o, comunque, ideologizzata è denunziata anche da Renoldi ( 2013 ), secondo cui troppi Precedenti di legittimità in tema di coltivazione della canapa “ presentano qualche forzatura logica e, soprattutto, hanno molti limiti sul piano concreto, dato che non determinano ciò che è irrisorio e ciò che invece è offensivo, considerato anche che molto dipende dalla concentrazione [ di THC ] e dall’ abbinamento con altre sostanze presenti nella pianta “. In ogni caso, si ribadisce, contro corrente ed in maniera politicamente scorretta, che non esiste una minore offensività tossicologica della marjuana rispetto alla pericolosità medico-legale delle cc.dd. “ droghe dure “. Nel lungo periodo, infatti, i cannabinoderivati recano ad un uncinamento devastante e tutt’ altro che leggero.

Nella Giurisprudenza di merito, dopo il Precedente di Corte Costituzionale n. 360/1995, molti avevano scelto la via felice e limpida del proibizionismo totale, grazie a cui le gravi sanzioni ex Art. 73 TU 309/1990 erano inflessibilmente comminate anche nella fattispecie della vendita e della coltivazione dei semi, il tutto a prescindere dall’ eventuale uso personale o meno dell’ haschisch e della marjuana, light o meno che fosse. Altri interpreti, invece, hanno preferito, nella seconda metà degli Anni Novanta del secolo scorso, il ritorno alla categoria della “ modica quantità“ applicata alle sementi ed ai fusti di canapa coltivati e maturati, ma, anche in questo caso, è stato difficile stabilire, in maniera algebrica, dei limiti certi sotto il profilo giuridico. Altri ancora, dopo l’ inutile intervento di Corte Costituzionale n. 360/1995, distinguevano la coltivazione domestica per uso personale da quella organizzata per ottenere notevoli quantitativi da dividere in panetti spacciabili. A tal proposito, Beltrani ( 2008 ) reputa sanzionabile ex comma 1 Art. 73 TU 309/1990 soltanto la “ coltivazione industriale della canapa con mezzi ed approccio imprenditoriali“

La L. 49/2006 ha abrogato la differenziazione tra droghe leggere e droghe pesanti. Infatti, nei Lavori Preparatori, con afferenza al THC ed alla cannabis indica, viene ( giustamente ) specificato che “ la distinzione tra sostanze leggere e pesanti non ha più concreta ragione di esistere, in quanto i più recenti e scientificamente accreditati risultati della ricerca tossicologica hanno dimostrato come il principio attivo [ THC ] è oggi incomparabilmente maggiore rispetto al passato […] nella cannabis, forse per le diverse modalità di coltivazione, sembra che il principio attivo sia passato dallo 0,5-1,5 % degli anni ’70 ed ’80 ai valori attuali del 20-25 % “. Ciononostante, la predetta L. 49/2006 non ha abrogato, nel comma 1 Art. 73 TU 309/1990, il divieto di coltivare “ per qualunque scopo, sostanze stupefacenti o psicotrope di cui alla Tabella I prevista dall’ articolo 14 “. Ciò premesso, nella L. 49/2006 e nel correlato DM dell’ 11/04/2006 sui limiti ponderali, manca uno specifico regime regolatorio e sanzionatorio per i semi dell’ haschisch e della marjuana e questa lacuna, pertanto, non ha pienamente ed espressamente risolto il problema della coltivazione di piante di canapa indiana e sativa.

Provvidenzialmente e prevedibilmente, le lacune precettive della L. 49/2006 sono state colmate da Cass., SS.UU., 24 aprile 2008, n. 28605 e da Cass., SS.UU., 24 aprile 2008, n. 28606, le quali, unanimemente, stabiliscono che “ costituisce condotta penalmente rilevante qualsiasi attività non autorizzata di coltivazione di piante dalle quali sono estraibili sostanze stupefacenti, anche quando [ la coltivazione ] sia realizzata per la destinazione del prodotto ad uso personale “. In buona sostanza, la Corte Suprema, nei due summenzionati Precedenti del 2008, ha sancito il divieto totale di coltivazione ex comma 1 Art. 73 TU 309/1990, a prescindere dalle attenuanti dell’ uso personale (comma 1 Art. 75 TU 309/1990 ) o della coltura di quantità esigue e/o di un modesto quantitativo per solo uso medico-analgesico ( lett. A e lett. B comma 1 bis Art. 73 TU 309/1990 ). Finalmente, nel 2008, le Sezioni Unite della Corte di Cassazione hanno scelto la via, sebbene successivamente edulcorata, del proibizionismo rigido e rigoroso, anche nella fattispecie della coltivazione “domestica“ di un numero ridotto di piante di canapa destinate al consumo personale. A tal proposito, Cass., SS.UU., 24 aprile 2008, n. 28605 rimarca con vigore che “ ogni coltivazione [ di canapa ], anche minima e finalizzata al mero uso personale, è vietata “, pur se, come normale, la forbice edittale del comma 1 Art. 73 TU 309/1990 sarà comunque gestita e contestualizzata dal Magistrato di merito, che circostanzierà debitamente l’ atto del piantare semi di cannabinoidi per farli crescere fino alla maturazione dei fusti e dei peli ghiandolari delle foglie.

  1. Precedenti giurisprudenziali in tema di coltivazione di piante di cannabis

Alla luce dell’ Art. 3 Cost., la Sentenza n. 109/2016 della Corte Costituzionale ha parzialmente corretto Cass., SS.UU., 24 aprile 2008, n. 28605 e Cass., SS.UU., 24 aprile 2008, n. 28606. Ovverosia, la coltivazione di piante di cannabis non beneficia mai del trattamento attenuato e depenalizzato statuito, relativamente all’ uso personale, nell’ Art. 75 TU 309/1990, rubricato, dopo la novellazione del 2006, “ condotte integranti illeciti amministrativi “. In effetti, prima della raccolta delle foglie da parte del soggetto coltivatore, la PG e l’ AG non sono concretamente ed oggettivamente in grado di distinguere tra una coltura per uso personale ex Art. 75 TU 309/1990 ed una coltura per fini di spaccio ex comma 1 Art. 73 TU 309/1990. Dunque, la Sentenza n. 109/2016 della Corte Costituzionale ha reputato sempre e comunque prevalente il comma 1 Art. 73 TU 309/1990 nella fattispecie della coltivazione dell’ haschisch e della marjuana, poiché è impossibile, prima della raccolta, sapere se le infiorescenze saranno spacciate oppure usate a titolo strettamente personale. Il Precedente n. 109/2016 della Consulta, visto l’ Art. 3 Cost., equipara il coltivatore-consumatore al coltivatore-spacciatore, per evitare distorsioni interpretative che recherebbero ad una prevalenza irragionevole nonché ipertrofica del regime sanzionatorio giustiziale e non giurisdizionale ex Art. 75 TU 309/1990.

Per la verità e nonostante l’ intervento chiarificatorio della Consulta nella Sentenza n. 109/2016, Brancaccio ( 2016 ) afferma che “ la vaghezza delle indicazioni delle Corti legittima il sorgere, nuovamente, di una pluralità di orientamenti, soprattutto in relazione all’ offensività di qualsiasi coltivazione che abbia efficacia drogante “. P.e., la Corte di Cassazione ha riconosciuto che, a volte, “ la sostanza ricavabile in concreto [ dalla pianta di canapa ] risulta priva della concreta attitudine ad esercitare l’ effetto psicotropo [ … ] evocato dall’ art. 14 del Dpr 309 del 1990 “ ( Cass., sez. Pen. IV, 20 settembre 2013, n. 43184 ). Analogamente, Cass., sez. Pen. III, 9 maggio 2013, n. 23082 reputa inapplicabile il comma 1 Art. 73 TU 309/1990 quando le piante di canapa coltivate rendono, nella marjuana confezionata e pronta all’ uso, un tenore di THC pari allo zero o, ognimmodo, insufficiente per scopi tossico-voluttuari. Parimenti, Cass., sez. Pen.  IV, 27 ottobre 2015, n. 44136 asserisce che “ l’ offensività in concreto [ delle piantine di canapa ] può essere esclusa quando la sostanza ricavabile risulta priva della concreta attitudine ad esercitare, anche in minima misura, l’ effetto psicotropo ricercato “. Basti pensare alla cannabis “ light “.

Nella Giurisprudenza italiana di legittimità, negli Anni Duemila, si insiste molto sulla non rilevanza penale della coltivazione di piante di canapa contenenti un tenore scarso o quasi nullo di THC. A tal proposito, Cass., sez. Pen. VI, 22 gennaio 2013, n. 8393 precisa che “ ai fini della configurabilità del reato di cui all’ art. 73 dpr 309 del 1990 è necessario dimostrare, con assoluta certezza, che il principio attivo contenuto [ nelle piantine ] destinate allo spaccio o, comunque, oggetto di cessione, sia di tale entità da poter produrre, in concreto, un effetto drogante [ … ] il principio attivo contenuto nella singola sostanza oggetto di spaccio deve superare la cosiddetta soglia drogante “. Tuttavia, il testé citato Precedente di Cass., sez. Pen. VI, 22 gennaio 2013, n. 8393 nota anche che la Medicina Legale e la Tossicologia Forense non possono indicare la cifra percentuale esatta della “ soglia drogante “, in tanto in quanto molto dipende dalla reazione metabolica personale del singolo assuntore. Pertanto, l’ “ effetto drogante “ va soggettivizzato e contestualizzato a seconda di ciascuna fattispecie processuale.

Oltretutto, i cannabinoderivati spesso provocano o non provocano, soprattutto durante le prime esperienze, un effetto placebo connesso a fattori psiocologici e situazionali personali. Viceversa, Cass., sez. Pen. VI, 10 novembre 2015, n. 5254 reputa concretamente “ drogante “ una quantità minima di 25 mg di haschisch o di marjuana, pari, di solito, ad una media di 20 foglie di canapa con peli ghiandolari già maturi. Similmente, Cass., 2 maggio 2013, n. 22110 “ esclude l’ idoneità offensiva [ ex Art. 73 TU 309/1990 ] della coltivazione domestica di solo tre piantine di marjuana [ … ] non dotate di potere drogante “. Interessante può essere pure Cass., sez. Pen. IV, 17 febbraio 2011, n. 25674, che, ex comma 2 Art. 49 CP, considera “ non dannosa e non pericolosa “ una pianta di canapa indiana con una concentrazione di THC pari o inferiore a 16 mg per foglia “. Nel solco della ratio dell’ “insufficienza drogante “ si collocano pure, sempre in tema di coltivazione di cannabis indica o sativa, Cass., 8 aprile 2014, n. 33835 e Cass., sez. Pen. VI, 17 febbraio 2016, n. 8058, giacché “ la punibilità è esclusa quando, per l’ inidoneità dell’ azione o per l’ inesistenza dell’ oggetto di essa, è impossibile l’ evento dannoso o pericoloso “ ( comma 2 Art. 49 CP ).

Molto diverso e decisamente proibizionista è stato il Precedente contemplato in Cass., sez. Pen. VI, 4 dicembre 2013, n. 51497, che reputa illegale, sempre e comunque, “ ogni coltivazione di piante da cui siano estraibili sostanze stupefacenti [ … ] posto che l’ attività in sé [della coltivazione di droghe ] è da ritenere potenzialmente diffusiva della droga “. Del pari, in tema di coltura di canapa, Cass., sez. Pen. VI, 28 aprile 2017, n. 35654 prescinde dal tenore di THC estraibile, in tanto in quanto “ non importa la quantità di principio attivo ricavabile, bensì la conformità della pianta al tipo botanico previsto e la sua attitudine, anche per le modalità di coltivazione, a giungere a maturazione e a produrre la [ pur scarsa ] sostanza stupefacente “ ( si veda, del resto, l’ inapplicabilità del comma 2 Art. 49 CP in Cass., sez. Pen. IV, 5 luglio 2017, n. 50970 ). Del resto, bisogna comunque sottolineare la malafede dolosa del coltivatore, che non può conoscere, prima del raccolto e delle infiorescenze, il grado di THC che verrà prodotto dai semi quando matureranno il fusto, le foglie ed i peli ghiandolari. Chi coltiva marjuana non è pressoché mai un agronomo esperto e persegue fini tossicovoluttuari illeciti o semi-leciti. In effetti, Cass., sez. Pen. IV, 5 luglio 2017, n. 50970 asserisce che il comma 1 Art. 73 TU 309/1990 “ vieta e punisce la coltivazione della pianta di canapa indiana senza riferimento alla sostanza stupefacente che da essa può trarsi in particolari fasi della sua crescita, del suo sviluppo e della sua maturazione [ … ] indipendentemente dal principio attivo estraibile “.

Una ratio, viceversa, diametralmente opposta è espressa in Cass, sez. Pen. VI, 21 ottobre 2015, n. 2618, la quale impone, alla luce del concetto di “ pericolosità “ ex Art. 49 CP, la “ verifica della quantità del principio attivo ricavabile “ e, analogamente, Cass., sez. Pen. VI, 17 febbraio 2016, n. 8058 afferma che “ si deve, invece, accertare l’ offensività in concreto della condotta “, perché la canapa priva o quasi priva di THC non ha nessun effetto psicotropo e si riduce ad un simbolo infantile e ridicolo di anarchia e di presunta trasgressione. Nello storico Precedente contenuto in Cass., sez. Pen. VI, 21 ottobre 2015, n. 2618, è precisato che “ non è sufficiente l’ accertamento della conformità della pianta al tipo botanico vietato [ … ]. Con riferimento alla coltivazione, bisogna accertare la potenziale lesività delle piantine, che devono essere in grado, in concreto, di mettere in pericolo la salute pubblica e ciò può accadere se la pianta ha un’ effettiva ed attuale capacità drogante “. Dunque, dalla sussistenza vera, e non soltanto potenziale, del comma 2 Art. 49 CP, dipende pure la precettività del comma 1 Art. 73 TU 309/1990.

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Come accaduto, una ventina d’ anni fa, in Canton Ticino, anche in Italia le avanguardie della pseudo-emancipazione progressista stanno creando, attorno alla canapa indiana, una parvenza ingannatrice di normalità e di innocuità. Infatti, dai primi Anni Duemila, la cannabis priva di un elevato tenore di THC è usata come fibra per l’ assemblaggio di pannelli isolanti, calcestruzzi, carta, combustibili e prodotti cosmetici. Molto alla moda sono pure i cosmetici e gli alimenti a base di olio di canapa. Si tratta, in buona sostanza, di “ specchietti per le allodole “ che abituano la popolazione alla presunta ordinarietà dei cannabinoidi. A seguito della Circolare n. 73/1997 emessa dal Ministero delle politiche agricole e forestali, è attualmente consentita, previa autorizzazione della PG, la coltivazione della “ canapa da tiglio “, non psicotropa ed impiegata nelle cartiere e, soprattutto, nell’ industria tessile. In realtà, questo è pur sempre un settore agricolo-commerciale che non brilla certo in fatto di trasparenza e di legalità. D’ altronde, la finalità autentica e silenziosa delle lobbys è quella di incentivare, in definitiva e nel lungo periodo, la libera coltivazione dell’ haschisch e della marjuana ad uso ludico-ricreativo. Basti pensare alla tragicomica esperienza dei sacchetti odorosi, degli shampoo e delle tisane rilassanti al THC nella Svizzera italiofona della fine degli Anni Novanta del Novecento.

L’ Art. 5 bis del Regolamento CE n. 1251/99 del 17 maggio 1999 ha stabilito che l’ Unione Europea deve concedere agevolazioni e finanziamenti a chi coltiva, con modalità imprenditoriali, cannabis sativa L con un tenore di tetra-idro-cannabinolo inferiore allo 0,2 %. Come si può notare, la gloriosa UE disprezza l’ agricoltura tradizionale italiana, ma si concentra molto attentamente sul grande e capitale problema della canapa da tiglio, come se si trattasse di un prodotto indispensabile per la sopravvivenza dell’ intero genere umano. Anzi, la burocrazia di Bruxelles, nel 2002, si è precipitata a giuridificare alcuni ulteriori dettagli nella Circolare comunitaria NC 5302 10 00. In totale, le sementi di cannabinoidi oggi liberalizzate nell’ UE sono 62. Sul territorio italiano, il seme piemontese di Carmagnola, che non è psicotropo, è quello più diffuso a livello agricolo. Ognimmodo, vale la pena di notare che i cosmetici e gli integratori alimentari alla canapa rendono scarsi risultati e sono poco funzionali, a prescindere dalle mode giovanili e dalla propaganda naturalistica e vegetariana. Il fine ideologico ultimo, come pocanzi osservato, rimane quello di legalizzare il THC.

Putroppo, le Circolari dell’ UE del 1997 e del 2002 hanno creato una Normazione ambigua, che contrasta con la ratio giustamente e totalmente proibizionista contenuta nella L. 49/2006. La L. 79/2014 ha sciaguratamente novellato l’ art. 26 TU 309/1990, ai sensi del quale, dopo detta Riforma del 2014, “ salvo quanto stabilito nel comma 2, è vietata, nel territorio dello Stato, la coltivazione delle piante comprese nelle tabelle I e II di cui all’ articolo 14, ad eccezione della canapa coltivata esclusivamente per la produzione di fibre o per altri usi industriali, diversi da quelli di cui all’ articolo 27 e consentiti dalla normativa dell’ unione europea. Il ministro della sanità può autorizzare istituti universitari e laboratori pubblici, aventi fini istituzionali di ricerca, alla coltivazione delle piante sopra indicate per scopi scientifici, sperimentali o didattici “ ( testo così modificato dalla L. 16 maggio 2014, n. 79 ). Con estrema sincerità, la L. 79/2014 ha aggravato lacune, antinomie e fraintendimenti esegetici. Infatti, la tabella I vieta il delta-9-trans-tetraidrocannabinolo, mentre la tabella I, sempre nell’ alveo precettivo dell’ Art. 14 TU 309/1990, non menziona il delta-9-THC. Inoltre, la tabella II allegata al TU 309/1990 confonde le foglie e le infiorescenze della cannabis ( che sono psicoattive ) con l’ olio e la resina di cannabis ( che sono destinate al livero mercato lecito ). Si consideri pure che, nelle tabelle I e II del TU 309/1990, sono presenti anche molti fraintendimenti botanici in tema di canapa con / senza effetto stupefacente. Addirittura, Cass., sez. Pen. IV, 18 gennaio 2013, n. 10618 reputa “ psicotropa “ la cannabis sativa con un tenore di delta-9-THC dell’ 8,48 %, mentre la Normativa UE afferma che un tale prodotto vegetale può essere liberamente coltivato e smerciato. La confusione regna totale anche in Cass., sez. Pen. VI, 8 ottobre 2015, n. 46074, secondo la quale, a differenza di quanto statuito dall’ UE, “ la cannabis è sempre ( ? ) una sostanza ( rectius : pianta, ndr ) stupefacente, con riferimento a tutte le sue varianti ( indica e sativa L ) e alle diverse forme di presentazione ( foglie, infiorescenze, olio e resina ). Perciò, tutte le specie di cannabis, nessuna esclusa ( ? ), sono assoggettate alla disciplina del Dpr 309 del 1990 “. Per la verità, chi redige concorda con l’ anti-europeismo implicito di Cass., sez. Pen. VI, 8 ottobre 2015, n. 46074. La Magistratura italiana non deve inchinarsi di fronte alle menzogne oziose e fasulle dell’ UE. L’ Ordinamento giuridico italiano deve rimanere estraneo al tentativo paganeggiante di Bruxelles di creare una legalizzazione piena della marjuana fondata sul mito omicidario delle droghe “ leggere “

Il comma 2 Art. 1 L. 262/2016 consente, in Italia, di coltivare, per finalità non tossicovoluttuarie, le 62 sementi legalizzate, nel 2002, nel Catalogo europeo delle varietà delle specie di piante agricole. Attualmente, l’ agricoltore diretto non ha più l’ obbligo di informare, prima della semina, la più vicina Caserma di PG competente per territorio, ma, ex Art. 3 L. 262/2016, “ il coltivatore ha l’ obbligo della conservazione dei cartellini della semente acquistata per un periodo non inferiore a 12 mesi. Ha altresì l’ obbligo di conservare le fatture d’ acquisto della semente per il periodo previsto dalla normativa vigente “. Il nocciolo della problematica, in ogni caso, è che la canapa, una volta maturata, non abbia sviluppato un tenore di THC superiore al range 0,2 – 0,6 %. Nel caso di superamento di tale soglia, i fusti e le foglie con i peli ghiandolari sono sequestrati e distrutti. Senza dubbio, rimane l’ ombra ambigua del dolo e le responsabilità penali di chi ha fornito la semente portano inevitabilmente in una complessa zona grigia nella quale la legalità, facilmente e nebulosamente, si mescola all’ illegalità. Ex comma 6 Art. 4 L. 262/2016 ed escluso il dolo dell’ agricolatore diretto, “ il sequestro e la distruzione delle coltivazioni di canapa impiantate nel rispetto delle disposizioni stabilite dalla presente legge, possono essere disposti dall’ autorità giudiziaria solo qualora, a seguito di un accertamento effettuato secondo il metodo di cui al comma 3, risulti che il contenuto di THC, nella coltivazione, è superiore allo 0,6 %. Nel caso di cui al presente comma, è esclusa la responsabilità dell’ agricoltore [ che ha usato la semente in buona fede ] “

 

Bibliografia

Beltrani, coltivazione domestica di piante da stupefacenti: la fine di un equivoco, Cass. Pen. 12, 2008

Brancaccio, Relazione di orientamento dell’ Ufficio del Massimario della Corte di Cassazione, La Categoria dell’ offensività nel reato di coltivazione di piante da stupefacenti, n. 36/2016

Manes, produzione, traffico e detenzione illeciti di sostanze, in Insolera e Manes, La disciplina Penale degli stupefacenti, Milano, 2012

Renoldi, Le Sezioni Unite sulla messa in vendita, via internet, di semi di canapa, Cass. Pen., 7-8-2013

 

Dott. Andrea Baiguera Altieri

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