La coerenza dell’azione amministrativa è un valore perseguito dall’ordinamento e pertanto al fine di tutelare tale valore è ammissibile l’uso dei poteri di autotutela al fine di rimuovere atti viziati per contraddittorietà

Lazzini Sonia 16/11/06
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Il Consiglio di Stato con la decisione numero 5328 del 14 settembre 2006, in tema di possibilità di annullare gli atti di gara da parte della pa, sottolinea che:
 
<L interesse della p.a. alla conservazione dei propri atti non può assumere valore preminente quando essa li giudichi invalidi, per vizi di legittimità o di merito; in tali casi, infatti, l’amministrazione può sempre rimuoverli nell’esercizio di una potestà di autotutela che è direttamente fondato sul principio costituzionale di buon andamento che la impegna ad adottare gli atti il più possibile rispondenti ai fini da conseguire ed autorizza, quindi, anche il riesame degli atti adottati ove reso opportuno da circostanze sopravvenute o per un diverso apprezzamento della preesistente situazione, con l’obbligo, ovviamente, di dare esplicita e puntuale contezza del potere esercitato
 
 
La contraddittorietà con precedenti manifestazioni costituisce una figura sintomatica di eccesso di potere alla quale, spesso, si accompagna l’esistenza oggettiva del vizio; pertanto, quando tale figura viene riscontrata, il giudice non può dichiarare immediatamente l’illegittimità del provvedimento, ma deve verificare se ad essa si accompagni, in concreto, quella divergenza dell’atto dalle sue finalità istituzionali che concreta il vizio di eccesso di potere (C. Stato, sez. VI, 13-10-1993, n. 713).
 
L’amministrazione ha annullato la procedura di gara, utilizzando un potere generale già previsto nell’ambito dell’ordinamento amministrativo, in ragione dell’irrealizzabilità del progetto posto a base di gara che avrebbe comportato l’imbonimento di tutta la cassa di colmata e, quindi, la completa ed irreversibile distruzione della flora e della fauna protette dalla proposta di istituzione del S.I.C. ( vedasi motivazione dell’atto del 19 settembre 2001 di annullamento della gara ).
 
Non si tratta di un atto adottato solo con riguardo al fine di sottoporre a valutazione di incidenza il progetto, ma, con tutta evidenza, di un atto adottato al fine di proteggere il bene ambientale, nella logica di estrema difesa della utilità della proposta avanzata alla Commissione in considerazione dell’effetto di manifesta violazione del vincolo istituendo che sarebbe derivato dall’esecuzione dei lavori >
 
Ma vi è di più.
 
<E’ pacifico i che la discrezionalità di cui gode la p.a. nel fissare le condizioni di una gara d’appalto, e cioè sia le coordinate progettuali sia i requisiti da richiedere agli aspiranti sia le modalità da osservare nella presentazione dei documenti e dell’offerta, in aggiunta, ove possibile, a quelli già previsti in via generale dalla normativa di settore nella richiesta dei quali è vincolata, è di ampia latitudine ma deve comunque essere esercitata in conformità dei principi di ragionevolezza, non contraddittorietà, imparzialità e correlazione al fine di interesse pubblico perseguito atteso che l’eventuale inosservanza di detti principi si risolve in vizio di eccesso di potere delle scelte effettuate>
 
A cura di Sonia Lazzini
 
 
 
REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Sesta) ha pronunciato la seguente
 
DECISIONE
 
sul ricorso in appello proposto da Società Italiana ** s.p.a., in proprio e nella qualità di mandataria della Associazione Temporanea di imprese ** spa e **, in persona del legale rappresentante p.t., rappresentata e difesa dall’avv. prof. Raffaele Titomanlio ed elettivamente domiciliata presso lo studio del medesimo in Roma alla via G. Porro n. 8;
 
contro
 
Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti in persona del Ministro pro tempore, rappresentato e difeso dall’Avvocatura Generale dello Stato e domiciliato ex lege in Roma via dei Portoghesi n. 12 ;
 
Regione Autonoma del Friuli Venezia Giulia, in persona del Presidente della Giunta regionale pro tempore, rappresentata e difesa dall’avv. Gino Marzi ed elettivamente domiciliata presso l’ufficio legale della Regione Friuli Venezia Giulia in Roma Piazza Colonna n. 355;
 
per l’annullamento
 
della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale del Friuli Venezia Giulia, n. 365 del 2002;
 
       Visto il ricorso con i relativi allegati;
 
       Visto l’atto di costituzione in giudizio delle parti appellate;
 
       Viste le memorie prodotte dalle parti a sostegno delle rispettive difese;
 
       Visti gli atti tutti della causa;
 
       Alla pubblica udienza del 5 maggio 2006 relatore il Consigliere   Giancarlo Montedoro.
 
       Uditi l’avv. Titomanlio e l’avv. dello Stato Sica; 
 
       Ritenuto e considerato in fatto e in diritto quanto segue:
 
F A T T O
 
     La ricorrente in primo grado ed attuale appellante premette di aver partecipato, in associazione temporanea con altre imprese in epigrafe specificate, alla licitazione privata per l’affidamento di lavori, consistenti nell’escavazione di fondali fino alla quota di 12,5 mt. e nello scarico dei relativi sedimenti in cassa di colmata, di **o nel porto di Monfalcone, indetta dall’amministrazione statale intimata e di esserne risultata aggiudicataria, con verbale n. 1041 del 14/5/2001.
 
     Nonostante che lo scarico nella cassa di colmata fosse autorizzato dal Ministero dell’Ambiente, che aveva altresì comunicato che i lavori non erano soggetti alla procedura di VIA, opinione condivisa dalla Direzione dell’ambiente dell’intimata regione, l’amministrazione appaltante non ha provveduto all’approvazione degli atti di gara, fino a determinarsi quattro mesi dopo , negativamente.
 
     Ha infatti provveduto con il decreto del dirigente responsabile del procedimento di accordo di programma dell’Ufficio del Genio civile per le opere marittime di Trieste prot. n. 2960 del 28/9/2001 di non approvazione dei verbali di licitazione privata e di annullamento della gara per i lavori di **o ed approfondimento dei fondali del porto di Monfalcone, costituente il primo atto impugnato con il ricorso di primo grado, all’annullamento dell’intera procedura di gara, sulla base delle considerazioni svolte dalla Regione, con la nota del Direttore regionale dell’Ambiente prot. AMB/1908/01 del 27/7/2001, che segnala la qualificazione della cassa di colmata, destinata a raccogliere il materiale scavato a seguito dei lavori suddetti, come sito di interesse comunitario, da sottoporre a valutazione di incidenza ai sensi dell’art. 5 del d.p.r. 8/9/1997 n. 357 di impossibile esito positivo.
 
     I motivi di ricorso articolati in primo grado sono i seguenti:
 
1) Violazione dell’art. 4 della direttiva del Consiglio 94/43 CE del 21/5/1992 e dell’art. 5 del D.P.R: 8/9/1997 n. 357 . Eccesso di potere per difetto dei presupposti.
 
     Il procedimento per la classificazione di parte della cassa di colmata per i progettati lavori di **o fra i siti di importanza comunitaria ( nella specie in quello denominato “foce del Timavo”) non sarebbe ancora completato, essendo stata formulata la relativa proposta dalle autorità nazionali e non essendo ad essa ancora seguita l’inclusione nell’elenco dei sopradetti siti ad opera della Commissione Europea ai sensi dell’art. 4 paragrafo 5 della direttiva 94/43 CE , onde non sarebbero ancora in vigore , a suo riguardo , le necessarie misure di conservazione e l’obbligo della valutazione preventiva sui progetti che abbiano su detto sito, incidenza significativa ai sensi del successivo art. 6 paragrafi 1, 2, 3, e 4.
 
     Ne seguirebbe l’erroneità del presupposto su cui si fonda la decisione di annullamento della gara , ancorché fondato sull’impugnata nota della Direzione regionale dell’Ambiente che tale valutazione richiede.
 
     Tale nota inoltre si fonderebbe a sua volta sulla deliberazione della Giunta Regionale n. 16 del 10/1/2001, impugnata all’occorrenza dalla società ricorrente, in quanto interpretata dall’amministrazione in modo da ritenerla immediatamente operativa, e ad efficacia retroattiva, in contrasto con la normativa comunitaria e nazionale di recepimento.
 
2) Incompetenza. Eccesso di potere per difetto di istruttoria, illogicità, contraddittorietà, difetto di motivazione e sviamento.            
 
     Con il secondo motivo si contesta l’anticipazione in senso assolutamente negativo della valutazione di incidenza, effettuata da un Ufficio, quello del Genio Civile responsabile dei lavori, privo di competenza in relazione a valutazioni ambientali.
 
     Si rileva che, in ogni caso tale giudizio appare manifestamente illogico, irragionevole, non supportato da idonea istruttoria, ed, inoltre sproporzionato in quanto la necessità della valutazione di incidenza avrebbe dovuto condurre al più ad una dilazione della procedura e non al suo annullamento.
 
3) Violazione dell’art. 1 lett. b) e 6 paragrafo 4 della direttiva 93/43/CE. Eccesso di potere per illogicità e violazione del principio di proporzionalità.
 
     Le disposizioni comunitarie consentirebbero un esito diverso della valutazione di incidenza, considerata la definizione di habitat come zona distinta per caratteristiche naturali o seminaturali, non riscontrabili in una cassa di colmata, opera artificiale dell’uomo, sia per la possibilità di autorizzare comunque la realizzazione del progetto per motivi imperativi di interesse pubblico, inclusi motivi di natura sociale ed economica, previa adozione di misure compensative autorizzate dalla Commissione Europea.
 
     E’ stata formulata anche domanda di risarcimento danni. 
 
     In primo grado la Regione ha eccepito l’inammissibilità del ricorso per omessa impugnativa degli atti che hanno individuato il sito foce del Timavo come sito di importanza comunitaria ed ha controdedotto nel merito.
 
     Analoghe difese ha spiegato l’amministrazione statale.
 
     La sentenza di primo grado – impugnata in appello – ha in primo luogo ritenuto non fondate le censure che tendevano ad escludere la necessità dell’applicazione di una valutazione di incidenza sul progetto, sulla base del quale è intervenuta l’aggiudicazione dell’appalto, poi non approvato ed annullato del porto di Monfalcone.
 
     Il Tar Friuli, richiamando la propria giurisprudenza, ha ritenuto necessaria la valutazione di incidenza in una situazione in cui sia stato rinvenuto in un sito interessato da un progetto di lavori pubblici, oggetto di appalto, un habitat prioritario ossia un habitat che rischia di scomparire nel territorio dell’Unione europea.
 
     Si rileva in sentenza che sia la direttiva ( art. 4 ), sia il d.p.r. n. 357/1997 ( art. 3 comma 1 ed art. 4 ), delineano un procedimento in due fasi, la proposta che è di competenza dello Stato membro e la decisione circa l’inclusione o meno nell’elenco dei siti di importanza comunitaria , che è di competenza della Commissione europea, dalla quale ultima soltanto derivano obblighi di protezione ambientale.
 
     Il procedimento sarebbe diverso e più rapido in presenza di habitat prioritari previsti dall’art. 1 paragrafo 2 lettera d),ossia habitat che sono in pericolo di scomparsa, e la cui tutela deve essere per quanto possibile rapida, come nella fattispecie a giudizio.
 
     L’allegato III dell’atto comunitario, disciplinando i criteri di selezione dei siti atti ad essere individuati quali siti di importanza comunitaria, prevede un procedimento articolato in una Fase I che regola la valutazione dell’importanza comunitaria dei siti proposti a livello nazionale, la cui conclusione è la formazione di un elenco nazionale e la Fase II , che regola la valutazione a livello comunitario dei siti compresi negli elenchi nazionali e le determinazioni finali che ne conseguono, con l’indicazione dei relativi criteri.
 
     Detto allegato – secondo il giudice di primo grado – prevede una significativa eccezione nel procedimento alla Fase II disponendo che tutti i siti individuati dagli Stati membri nella Fase I, che ospitano tipi di habitat naturali o specie prioritari, sono considerati siti di importanza comunitaria.
 
     In sostanza quando uno Stato membro ha , come nel caso di specie , individuato un sito in cui si rinviene un habitat prioritario, in quanto non solo di interesse comunitario ma altresì in pericolo, e l’ha incluso nell’elenco inviato alla Comunità Europea – secondo la decisione di primo grado – eo ipso detto sito è considerato di importanza comunitaria ed assoggettato alle misure di salvaguardia, di cui all’art. 6 paragrafi 2, 3 e 4 della direttiva , a norma dell’art. 4 paragrafo 5, nonché alla prescritta valutazione di incidenza, contrariamente a quanto assumono i ricorrenti.
 
     Né di ostacolo sarebbe la previsione ai sensi dell’art. 4 paragrafi 2 e 3 della direttiva di una procedura di valutazione , da parte della Commissione , anche dei siti di importanza comunitaria in cui sono presenti habitat o specie prioritari.
 
     Detto procedimento avviene, come specificato dall’indicato paragrafo 2 , primo periodo, “in base ai criteri di cui all’allegato III”, ( Fase II ), fra i quali è compreso quello della considerazione, quali siti di interesse comunitario, di tutti i siti proposti dagli Stati membri ove si rinvengano habitat o specie prioritari.
 
     L’ulteriore intervento della Commissione CE, in questo caso,come risulta dal comma 2 del citato paragrafo 2 dell’art. 4 , sarebbe necessario per la facoltà , concessa agli Stati membri, in cui detti habitat e siti siano presenti in misura superiore al 5% del territorio nazionale, di chiedere che i criteri, in base ai quali è avvenuta la loro identificazione, “siano applicati in maniera più flessibile per la selezione dell’insieme dei siti di importanza comunitaria nel loro territorio” con conseguente richiesta ai sensi dell’art. 21 della direttiva, di un parere della Commissione ad un apposito Comitato, rappresentativo degli Stati membri, cui segue l’adeguamento della Commissione al parere o la rimessione dell’affare al Consiglio dell’Unione europea.
 
     Si tratta quindi, nel caso di siti in cui insistono habitat e specie comunitarie di tipo prioritario, di eventuale revisione di decisioni già prese, in quanto la loro inclusione nei siti di importanza comunitaria è già prevista dall’Allegato III – Fase II della direttiva, con conseguente applicazione immediata delle misure di salvaguardia e della valutazione di incidenza di cui all’art. 6.
 
     Questa conclusione è parsa al Collegio di primo grado obbligata in base al dettato normativo e l’unica idonea a dare un significato logico alla normativa comunitaria di protezione ambientale, che là dove è diretta a tutelare ambienti o specie a pericolo di scomparsa ed estinzione deve potere essere sia pure in via di salvaguardia, direttamente efficace.
 
     Quanto poi all’applicabilità della direttiva al caso di specie, nota la sentenza che la cassa di colmata, opera artificiale dell’uomo, è un ambito o sito seminaturale, nel quale si trovano formazioni erbose oggetto di tutela in ogni caso rilevando che non risultano impugnati gli atti che propongono la classificazione della Foce del Timavo fra i siti prioritari.
 
     Ciò premesso, sul presupposto della necessità della valutazione d’incidenza, la sentenza di primo grado accoglie le ulteriori censure proposte dalla società ricorrente, per l’omessa consultazione del pubblico interessato alla realizzazione del progetto, per l’omessa considerazione di soluzioni alternative a quelle definite in progetto prima di procedere all’annullamento degli atti di gara nonché per l’omessa valutazione della possibilità, da parte dell’autorità procedente , di esprimere una valutazione positiva con prescrizioni.
 
     In sostanza il Tar ha annullato i provvedimenti impugnati per difetto di istruttoria, in quanto la valutazione negativa sul progetto non risultava supportata dall’organo regionale competente anche da un punto di vista tecnico, a valutare sotto il profilo ambientale, la compatibilità del progetto con le esigenze di protezione del sito.
 
     In ultimo la sentenza ha rigettato la domanda di risarcimento danni in quanto nella specie si sarebbe solo di fronte ad interesse legittimo pretensivo, che potrà assumere valore e consistenza di interesse protetto solo dopo il riesercizio del potere, e la valutazione d’incidenza.
 
     L’appello ripropone il primo motivo del ricorso di primo grado sostenendo che l’interpretazione data dal Tar della disciplina contenuta nella direttiva comunitaria habitat ( direttiva 43/92 CE )non sarebbe conforme alle previsioni della normativa comunitaria.
 
     In particolare, data per scontata la natura bifasica della procedura, nonché la mancanza di discrezionalità della Commissione nell’individuazione dei siti aventi habitat comunitari definiti “prioritari”, si rileva che le misure di salvaguardia, ai sensi dell’art. 4 paragrafo 5 della direttiva sarebbero applicabili solo all’avvenuta formazione dell’elenco da parte della Commissione.
 
     Tanto troverebbe una sua conferma nella disciplina interna di recepimento che non distingue fra habitat prioritari e non prioritari, e, all’art. 4, fa decorrere il termine di tre mesi per l’adozione delle misure di salvaguardia dall’inclusione del sito nell’elenco definito dalla Commissione europea.         
 
     Irrilevante sarebbe poi la previsione dell’art. 4 paragrafo 2 comma 2 della direttiva che consentirebbe alla Commissione di valutare la richiesta degli Stati membri diretta ad ottenere l’applicazione di criteri più flessibili, qualora l’estensione dei siti prioritari superi il 5% del territorio nazionale, trattandosi di evenienza del tutto eventuale che è legata ad una facoltà concessa agli Stati membri.
 
     In merito alla necessità della valutazione di incidenza a seguito della mera inclusione di un sito nella proposta nazionale diretta alla Commissione europea si ritiene non sussistano dubbi nel senso della superfluità, in ogni caso si sollecita un interpello pregiudiziale alla Corte di Giustizia.
 
     Si rileva che in assenza dell’elenco dei siti formato dalla Commissione non sussisterebbe il presupposto per effettuare la valutazione di incidenza, per cui sarebbe superflua l’impugnazione degli atti delle amministrazioni regionali e nazionali che hanno individuato il sito Foce del Timavo come sito di importanza comunitaria prioritaria ( in particolare il D.M. Ambiente 3 aprile 2000 ).
 
     Con il secondo motivo di appello si ripropone la domanda di risarcimento danni rigettata in primo grado.
 
     Si sono costituite le amministrazioni appellate.
 
     Con la ordinanza di rimessione del 17 dicembre 2002 il Consiglio ha deciso che andava rimessa alla Corte di Giustizia delle Comunità Europee – ai sensi dell’art. 234 ( ex art. 177 lett. b) del Trattato ) questione interpretativa relativa alla portata ed alla valenza della norma di cui all’art. 4 paragrafo 5 della direttiva 21 – 5 – 1992 n. 92/43 CE ( detta anche direttiva habitat ).
 
     In detta ordinanza erano svolte considerazioni in diritto che appare utile riportare.   
 
La direttiva 92/43 CEE.
 
     La direttiva 92/43 CEE cd. direttiva habitat pubblicata sulla GUCE 22 luglio 1992 n. L 206 e modificata dalla direttiva 97/62 CE del 27 ottobre 1997 pubblicata sulla GUCE dell’8 novembre 1997 n. L 305 – come è stato segnalato in dottrina – rappresenta un’indubbia evoluzione dell’intervento comunitario in materia ambientale, sulla scorta delle indicazioni dell’Atto Unico Europeo del 1987 e del Quarto programma comunitario in favore dell’ambiente.
 
     Essa segna il superamento della sola prospettiva anti-inquinamento, che aveva fino ad allora indirizzato ed ispirato la normativa comunitaria, per rafforzare l’ambito di intervento con finalità di conservazione della natura (il primo intervento nel diritto armonizzato a fini conservativi è considerato la direttiva 79/409/CEE cd. direttiva “uccelli”).
 
     Le finalità perseguite dalla direttiva habitat sono – come di consueto – indicate nei considerando iniziali, si tratta di mantenere e conservare la biodiversità e di garantire lo sviluppo durevole.
 
     Allo scopo di mantenere la biodiversità la direttiva individua luoghi fisici che di questa biodiversità rappresentano la manifestazione ossia gli habitat naturali che l’art. 2 lett. b) definisce come “zone terrestri o acquatiche che si distinguono grazie alle loro caratteristiche geografiche , abiotiche o biotiche, interamente naturali o seminaturali.”
 
     Tutta la direttiva ruota attorno al concetto di habitat, alla sua identificazione e conservazione, quale oggetto di protezione sia in ragione delle caratteristiche geografiche sia come luogo in cui vivono specie animali e vegetali da salvaguardare.
 
     Si è notato , in dottrina, che, raffrontando il concetto di habitat introdotto dalla normativa comunitaria con analoghe forme di protezione previste dalla normativa interna a tutela dell’ambiente, la protezione dell’habitat si colloca quale via di mezzo tra la tutela integrale assicurata dai parchi e dalle aree protette dalla legge n. 394/1991 ( zone in genere estese ed individuate in base a caratteristiche eccezionali ) ed i vincoli ex lege previsti dalla legge n. 431/1985 (che riguardano zone assai vaste individuate in base a caratteristiche tipologiche per la loro connotazione fisica, a prescindere da una specifica concreta valenza paesaggistica ed ambientale).   
 
     Nella lettura della normativa si è poi rilevato che la Comunità – con la direttiva habitat – finisce per dettare regole incidenti sul territorio dei singoli Stati membri, anche in modo rilevante, al fine di tutelare e conservare il patrimonio naturale della Comunità a fronte di pericoli di compromissione dell’ambiente che ormai sono di natura transfrontaliera.
 
     Il procedimento di individuazione dei siti da proteggere in quanto corrispondenti ad uno o più degli habitat naturali elencati nell’allegato I alla direttiva avviene sulla base di una procedura articolata in più fasi.
 
     In primo luogo l’individuazione dei siti e la loro proposta spetta agli Stati membri , che trasmettono alla Comunità europea un elenco dei siti con le relative caratteristiche ( art. 4 paragrafo 1 della direttiva e , per quanto interessa la fattispecie, D.M. Ambiente 3/4/2000 in G. Uff. 22 aprile 2000 n. 95 S.O.)
 
     La Commissione poi elabora un progetto di elenco dei siti definiti di importanza comunitaria, ossia contenenti habitat di importanza comunitaria, in quanto rischiano di scomparire, o sono vulnerabili o rivestono una particolare importanza ; questo progetto di elenco individua altresì i siti cui spetta la qualifica di prioritari per i quali i pericoli di compromissione sono maggiori e rispetto ai quali la Comunità riconosce la propria particolare responsabilità ( art. 4 paragrafo 2; articolo 1 paragrafo 1 lettera d) ).
 
     La procedura ordinaria si conclude , ai sensi dell’articolo 21 della direttiva, con la sottoposizione del progetto al parere del Comitato di cui all’art. 20 della direttiva, formato dai rappresentanti degli Stati ; il parere del Comitato è vincolante per la Commissione, cui spetta la fissazione conclusiva dell’elenco.
 
     Nel caso in cui la Commissione intenda discostarsi dal parere o intenda procedere in assenza dello stesso, non reso nel termine assegnato , la decisione finale viene demandata al Consiglio che deciderà a maggioranza qualificata.
 
     Individuati i siti di importanza comunitaria la loro conservazione sarà a carico degli Stati membri che dovranno designarli quali zone speciali di conservazione, assoggettandoli alle necessarie misure conservative ( è possibile ottenere anche forme di cofinanziamento comunitario per adempiere gli obblighi di cui all’art. 6) ( artt. 6 ed 8 della direttiva ).
 
     Le misure di conservazione sono disciplinate dall’art. 6 della direttiva .  
 
La valutazione di incidenza
 
      Il paragrafo 3 dell’art. 6 della direttiva introduce la disposizione di maggiore rilievo , prevedendo che venga svolta una valutazione di incidenza sul sito ogni qual volta si intenda dar corso ad un piano o progetto, che non riguardi la gestione del sito stesso, ma possa avere sullo stesso incidenze significative.
 
     Si tratta di una procedura amministrativa nuova ed originale, che subordina l’assenso pubblico al piano o progetto alla certezza che esso non recherà pregiudizio al sito, tenendo conto degli obiettivi di conservazione degli habitat che costituiscono la finalità della direttiva.
 
     La valutazione di incidenza ha un ambito di operatività più ristretto della valutazione di impatto ambientale infatti mira semplicemente a valutare le esigenze di conservazione dell’habitat protetto e la compatibilità di esse con la realizzazione del progetto o del piano.
 
     La Commissione CE nel dettare le linee guida dell’interpretazione dell’art. 6 ha chiarito come il riferimento alla VIA ed alle norme che la disciplinano sia utile sotto una duplice prospettiva : in quanto può costituire per gli Stati un paradigma al quale ispirarsi per disciplinare la valutazione di incidenza , e poiché i criteri elaborati in tema di VIA possono essere utili al fine di individuare quali interventi possano avere incidenze significative sul sito. 
 
     Si noti, per completezza argomentativa, che il coordinamento comunitario tra le norme sulla valutazione di incidenza e le norme sulla valutazione di impatto è stato esplicitato con riguardo alla disciplina della valutazione degli effetti di piani e programmi sull’ambiente ( c.d. valutazione strategica o VAS ), con l’emanazione della direttiva 2001/42/CE del 27 giugno 2001 che, all’art. 3 paragrafo 2 lett. b) della direttiva dispone che la valutazione ambientale strategica venga effettuata , tra l’altro, per tutti i piani o programmi per i quali , in relazione ai possibili effetti sui siti, si ritiene necessaria la valutazione di incidenza, e si prevedono – come è stato segnalato in dottrina – adeguate forme di partecipazione del pubblico alla procedura di valutazione in conformità alla convenzione di Aarhus. Il paragrafo 3 dell’art. 6 della direttiva abitata dispone che il parere del pubblico venga acquisito se del caso.
 
     Il paragrafo 4 dell’art. 6 individua i casi in cui il progetto può essere comunque realizzato anche in presenza di una valutazione di incidenza con conclusioni negative, se sussistano motivi imperativi di rilevante interesse pubblico, inclusi motivi di natura sociale ed economica , previa adozione di misure compensative a carico dello Stato membro che garantiscano la coerenza globale della Rete Natura 2000. Nel caso di habitat prioritari i motivi di interesse pubblico considerabili sono connessi alla salute dell’uomo, alla sicurezza pubblica, a conseguenze positive per l’ambiente di primario rilievo o altri motivi considerabili previo parere della Commissione.
 
     Il paragrafo 5 dell’art. 4 della direttiva disciplina il momento a decorrere dal quale operano le misure di conservazione, individuato nell’iscrizione di un sito nell’elenco di cui al paragrafo 2 terzo comma (peraltro non si specifica se a tal fine si deve considerare rilevante la mera formazione del progetto di elenco da parte della Commissione o la sua definitiva approvazione ai sensi dell’art. 21 come sembrerebbe in base alla lettera ).
 
La normativa interna di recepimento.
 
     Il recepimento della direttiva habitat è avvenuto con il d.p.r. 8 settembre 1997 n. 357.
 
     La normativa interna di recepimento è giudicata sostanzialmente una fedele trasposizione della direttiva, fatta in modo pressoché letterale, con l’unica particolarità di limitare la procedura di incidenza ai progetti assoggettati a VIA statale o regionale (art. 5 del d.p.r. 8 settembre 1997 n.357) al di fuori delle soglie dimensionali che delimitano l’applicazione della VIA.
 
     Ritiene il Collegio, in consonanza con la dottrina che si è occupata dell’argomento, che la dizione della norma di cui all’art. 5 comma 3 del d.p.r. n. 357/1997 deve ritenersi, in ragione della natura self executing della norma di cui all’art. 6 della direttiva habitat , superato dalla dizione di tale direttiva che impone la valutazione di incidenza ratione loci e non in ragione del tipo di intervento.
 
     La normativa di recepimento lega le misure conservative alla definizione, da parte della Commissione europea dell’elenco dei siti ( art. 3 comma 2 del d.p.r. 8 settembre 1997 n. 357 ) .
 
     Fin qui i lineamenti generali dei parametri normativi rilevanti.
 
     Il primo motivo di appello, sia pure in via subordinata, chiede l’interpello della Corte di Giustizia comunitaria ai sensi dell’art. 234 del Trattato al fine di rimetterle la decisione sulla questione pregiudiziale relativa all’individuazione del momento a partire dal quale divengono applicabili le misure di conservazione di cui all’art. 6 ed è necessaria ed obbligatoria la valutazione di incidenza sui piani o progetti significativamente incidenti su habitat protetti. 
 
     La rilevanza della questione è stata ritenuta, nell’ordinanza di rimessone, chiara: nella fattispecie si discute in relazione alla necessità di applicare le misure di salvaguardia di cui all’art. 6 paragrafo 3 della direttiva (ossia la valutazione di un piano o progetto che possa avere significative incidenze su un sito protetto ai sensi della direttiva citata, alla luce degli obiettivi di conservazione del medesimo), in presenza di una mera proposta nazionale di inserzione del sito fra quelli di importanza comunitaria prioritaria ai sensi della direttiva habitat (e prima ed indipendentemente dalla sua inserzione nel progetto di elenco dei siti di importanza comunitaria elaborato ai sensi dell’art. 4 paragrafo 2 della direttiva ).
 
     Infatti la proposta nazionale di inserzione del sito “Foce del Timavo” nell’elenco dei siti comunitari prioritari protetti ai sensi della direttiva habitat è contenuta nel Decreto del Ministro dell’Ambiente del 20/4/2000 pubblicato nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica Italiana del 22/4/2000 ed è indiscusso fra le parti che i lavori si svolgano alla “Foce del Timavo” e che una parte della cassa di colmata interessata dai lavori di **o oggetto della gara di appalto aggiudicata all’attuale appellante sia indicata quale sito interessato da un habitat meritevole di protezione ai sensi della direttiva habitat .
 
     La copia conforme scheda tecnico –scientifica in atti attesta che la Foce del Timavo è caratterizzata da pavimenti calcarei ritenuti habitat prioritario e tanto è recepito dalla delibera regionale n. 435 del 25/2/ 2000 citata nella nota impugnata della Direzione regionale dell’Ambiente.   
 
     E’ controverso invece se da tale indicazione derivi un obbligo immediato di sottoposizione del progetto dei lavori a valutazione di incidenza, ( potendo poi da questo derivare la legittimità o meno degli atti impugnati di annullamento della gara disposto per la ritenuta impossibilità di valutare positivamente il progetto ai fini della conservazione del sito ).
 
     Il Tar ha ritenuto sussistente l’obbligo immediato di sottoposizione dei piani e dei progetti a valutazione di incidenza, dopo la proposta dello Stato membro alla Comunità di un sito quale prioritario, ma la pronuncia è stata gravata in appello, sostenendosi dall’aggiudicataria che tale obbligo non possa sorgere prima della iscrizione di un sito nel progetto di elenco dei siti di importanza comunitaria approvato ai sensi dell’art. 21 della direttiva (il cui testo si riporta per comodità di lettura : “1. Il rappresentante della Commissione sottopone al Comitato un progetto delle misure da adottare. Il Comitato formula il suo parere sul progetto entro un termine che il presidente può fissare in funzione dell’urgenza della questione in esame. Il parere è formulato alla maggioranza prevista dall’articolo 148, paragrafo 2, del trattato per l’adozione delle decisioni che il Consiglio deve prendere su proposta della Commissione. Nelle votazioni al Comitato viene attribuita ai voti dei rappresentanti degli Stati membri la ponderazione definita all’articolo precitato. Il presidente non partecipa alla votazione. 
 
     2. La Commissione adotta le misure previste qualora siano conformi al parere del Comitato. Se le misure previste non sono conformi al parere del Comitato, o in mancanza di parere, la Commissione sottopone senza indugio al Consiglio una proposta in merito alle misure da prendere. Il Consiglio delibera a maggioranza qualificata. Se il Consiglio non ha deliberato entro tre mesi a decorrere dalla data in cui gli è stata sottoposta la proposta, la Commissione adotta le misure proposte” ).
 
     Attualmente non risulta che il sito Foci del Tomavo sia iscritto in un elenco adottato ai sensi dell’art. 21 ( quale ad es. quello di cui alla decisione 28/12/2001 n. 2002/11 in GUCE 9 gennaio 2002 n. L 5 ).
 
     La norma che disciplina l’applicabilità della valutazione di incidenza – come si è detto – è l’art. 4 paragrafo 5 della direttiva 92/43 CE che recita : “Non appena un sito è iscritto nell’elenco di cui al paragrafo 2 terzo comma , esso è soggetto alle disposizioni dell’art. 6 paragrafi 2,3, 4.”. Da questa norma si evincerebbe, secondo l’appellante, il valore costitutivo dell’iscrizione, prima della quale non nascerebbe alcun obbligo di salvaguardia del sito.
 
     Peraltro va considerato anche quanto disposto dall’Allegato III alla direttiva ( criteri di selezione dei siti atti ad essere individuati quali siti di importanza comunitaria e designati quali zone speciali di conservazione ). Tale allegato dopo aver descritto le fasi del procedimento di selezione dei siti , alla fase II prevede che “tutti i siti individuati dagli Stati membri nella fase I, che ospitano habitat naturali o di specie prioritari, sono considerati siti di importanza comunitaria” mentre solo per gli altri siti prevede una valutazione della Commissione secondo una pluralità di criteri dettagliatamente indicati ). Tale automatica considerazione dei siti indicati come prioritari fra i siti di importanza comunitaria imporrebbe, secondo la prospettiva interpretativa dell’amministrazione accolta dal giudice di primo grado, nel caso dei siti indicati come prioritari un’anticipazione delle misure di salvaguardia all’atto della proposta , anticipazione coerente con la natura vincolata dell’attività della Commissione Europea che non potrebbe fare altro , per i predetti siti , che recepire le indicazioni delle varie autorità nazionali ( salvo eventuale, facoltativa, richiesta, da parte dell’autorità nazionale, di applicazione più flessibile dei criteri di selezione dei siti ai sensi dell’art. 4 paragrafo 2 della direttiva ).
 
     Ciò premesso in punto di rilevanza va apprezzata la serietà della questione poiché l’obbligo per il giudice nazionale di sollevare questioni davanti alla corte di giustizia delle comunità europee ai sensi dell’art. 177 trattato Cee non sussiste per il solo fatto che una delle parti del giudizio abbia contestato la legittimità dell’atto comunitario o abbia chiesto la sospensione del giudizio, in quanto il giudice stesso deve sempre verificare la serietà della questione, potendo decidere se essa sia o meno manifestamente infondata. (C. Stato, sez. V, 23-04-1998, n. 478).
 
     La prospettiva interpretativa adottata dalla Tribunale amministrativo regionale non è apparsa a questo Consiglio manifestamente infondata, poiché essa, al di là della formulazione letterale del disposto di cui all’art. 4 paragrafo 5 della direttiva, muove dalla considerazione della natura dell’iscrizione dei siti di importanza comunitaria prioritaria come atto meramente dichiarativo, che non richiede l’esercizio di alcun potere discrezionale dell’organo comunitario. Tale natura sembra potersi agevolmente ricavare dalla disposizione contenuta nell’allegato III fase II alla direttiva di disciplina della procedura di individuazione dei siti e ben si armonizzerebbe con una più intensa tutela del sito anticipata al momento della proposta (vincolante) formulata dallo Stato membro. Anche il principio comunitario dell’effetto utile di una disciplina di armonizzazione potrebbe deporre nel senso della necessità di anticipare le misure di salvaguardia dei siti ospitanti habitat prioritari al momento di formulazione della proposta nazionale di inserzione del sito nell’elenco comunitario. Nella giurisprudenza della Corte quando una norma di diritto comunitario è ambigua o suscettibile di più interpretazioni, occorre dare priorità a quella idonea a salvaguardare l’effetto utile della norma (Corte giustizia Comunità europee, 24-02-2000, n. 434/97) che , nella specie, non può non considerarsi diretto a conservare integro l’habitat che si vuole prioritariamente proteggere anche nelle more dei procedimenti di formazione dell’elenco dei siti protetti. L’effetto utile della direttiva sarebbe compromesso infatti se , nelle more dell’espletamento delle procedure per la definizione dei siti protetti fosse possibile modificarli senza alcuna cautela tesa alla loro conservazione.
 
     In conclusione il Consiglio ha ritenuto di rimettere alla Corte di Giustizia la seguente questione pregiudiziale rilevante nel caso di specie, devoluto in grado d’appello a questo Consiglio di Stato quale giudice nazionale avverso le cui decisioni non può proporsi , nel merito, un ricorso giurisdizionale di diritto interno: “ se l’art. 4 paragrafo 5 della direttiva 21 maggio 1992 n. 92/43 debba interpretarsi nel senso che le misure di cui all’art. 6 ed in particolare quella di cui all’art. 6 comma 3 della stessa direttiva siano obbligatorie per gli Stati membri solo dopo la definitiva approvazione in sede comunitaria dell’elenco dei siti ai sensi dell’art. 21, o se, diversamente, al di là dell’individuazione del momento di ordinaria decorrenza ordinaria delle misure di conservazione, occorra distinguere fra iscrizioni dichiarative e costitutive, ( includendo fra le prime quelle relative a siti prioritari ) ed al fine di salvaguardare l’effetto utile della direttiva mirante alla conservazione degli habitat , nel solo caso di individuazione da parte di uno Stato membro di un sito di importanza comunitaria ospitante tipi di habitat naturali o specie prioritari, non debba ritenersi che sussista un obbligo di sottoposizione a valutazione di piani e progetti significativamente incidenti sul sito, anche prima della formazione da parte della Commissione del progetto di elenco dei siti o della adozione definitiva di detto elenco ai sensi dell’art. 21 della direttiva ed in sostanza a partire dalla formulazione dell’elenco nazionale”. 
 
La sentenza della Corte di Giustizia 13 gennaio 2005
 
     Con la propria decisione prima citata la Corte europea ha statuito che l’art. 4 n. 5 della direttiva del Consiglio 21 maggio 1992 92/43/CEE, relativa alla conservazione degli habitat naturali e seminaturali e della flora e della fauna selvatiche, deve essere interpretato nel senso che le misure di salvaguardia da queste previste all’art. 6 nn. 2 -4, si impongono soltanto in relazione ai siti che siano iscritti, in conformità all’art. 4 n. 2 terzo comma, della direttiva stessa, nell’elenco di quelli selezionati come siti di importanza comunitaria adottato dalla Commissione delle Comunità europee secondo la procedura prevista dall’art. 21 del detto testo normativo.
 
     Tuttavia, per quanto riguarda i siti atti ad essere individuati quali siti di importanza comunitaria, compresi negli elenchi nazionali trasmessi alla Commissione, e segnatamente, i siti ospitanti tipi di abitati naturali prioritari o specie prioritarie, gli Stati membri sono tenuti, in forza della direttiva 92/43, ad adottare misure di salvaguardia idonee , con riguardo all’obiettivo di conservazione contemplato da quest’ultima, a salvaguardare il pertinente interesse ecologico di detti siti a livello nazionale.  
 
     Alla stregua di quest’ultimo principio gli Stati membri sono tenuti a garantire l’effetto utile della proposta di inclusione di un sito nell’elenco dei siti di importanza comunitaria, mediante la previsione di apposite misure di salvaguardia che possono richiedere interventi normativi innovativi dell’ordinamento giuridico. Naturalmente l’amministrazione è tenuta ad utilizzare tutti gli strumenti giuridici esistenti che in modo tale da orientarli al perseguimento delle finalità di conservazione fissate dall’ordinamento comunitario.
 
     Orbene, va ricordato che l’atto impugnato nella specie , è un atto di autotutela, adottato al fine di annullare una gara per i lavori di **o ed approfondimento dei fondali del Porto di Monfalcone, in ragione dell’inclusione di parte della cassa di colmata, destinata a raccogliere i materiali di scavo risultanti dai lavori suddetti, in un sito di interesse comunitario.
 
     Per C. Stato, sez. V, 11-07-2001, n. 3853, in via generale, l’interesse della p.a. alla conservazione dei propri atti non può assumere valore preminente quando essa li giudichi invalidi, per vizi di legittimità o di merito; in tali casi, infatti, l’amministrazione può sempre rimuoverli nell’esercizio di una potestà di autotutela che è direttamente fondato sul principio costituzionale di buon andamento che la impegna ad adottare gli atti il più possibile rispondenti ai fini da conseguire ed autorizza, quindi, anche il riesame degli atti adottati ove reso opportuno da circostanze sopravvenute o per un diverso apprezzamento della preesistente situazione, con l’obbligo, ovviamente, di dare esplicita e puntuale contezza del potere esercitato.
 
     La contraddittorietà con precedenti manifestazioni costituisce una figura sintomatica di eccesso di potere alla quale, spesso, si accompagna l’esistenza oggettiva del vizio; pertanto, quando tale figura viene riscontrata, il giudice non può dichiarare immediatamente l’illegittimità del provvedimento, ma deve verificare se ad essa si accompagni, in concreto, quella divergenza dell’atto dalle sue finalità istituzionali che concreta il vizio di eccesso di potere (C. Stato, sez. VI, 13-10-1993, n. 713).
 
     L’amministrazione ha annullato la procedura di gara, utilizzando un potere generale già previsto nell’ambito dell’ordinamento amministrativo, in ragione dell’irrealizzabilità del progetto posto a base di gara che avrebbe comportato l’imbonimento di tutta la cassa di colmata e, quindi, la completa ed irreversibile distruzione della flora e della fauna protette dalla proposta di istituzione del S.I.C. ( vedasi motivazione dell’atto del 19 settembre 2001 di annullamento della gara ).
 
     Non si tratta di un atto adottato solo con riguardo al fine di sottoporre a valutazione di incidenza il progetto, ma, con tutta evidenza, di un atto adottato al fine di proteggere il bene ambientale, nella logica di estrema difesa della utilità della proposta avanzata alla Commissione in considerazione dell’effetto di manifesta violazione del vincolo istituendo che sarebbe derivato dall’esecuzione dei lavori.
 
     L’atto di autotutela adottato, quindi, è un atto mirante a garantire gli obiettivi di conservazione rilevanti in via generale nell’ordinamento comunitario, anche prima della formale adozione, da parte dell’ordinamento italiano, con d.p.r. 12 marzo 2003 n. 120 , di un atto di novellazione del regolamento 8 settembre 1997 n. 357, che prevede l’assoggettamento espresso dei piani e degli interventi che interessano i siti anche meramente proposti, alla valutazione di incidenza.
 
     Ciò è reso evidente dal sintetico ma eloquente riferimento alla irrealizzabilità del progetto, che avrebbe comportato l’eliminazione totale della zona umida del SIC, e che, rende illegittimi gli atti di gara per contrasto con le determinazioni precedentemente prese di inserimento del sito fra quelli da proporre alla Commissione.
 
     La coerenza dell’azione amministrativa è un valore perseguito dall’ordinamento.
 
     Al fine di tutelare tale valore è ammissibile l’uso dei poteri di autotutela al fine di rimuovere atti viziati per contraddittorietà.
 
     E’ pacifico infatti che la discrezionalità di cui gode la p.a. nel fissare le condizioni di una gara d’appalto, e cioè sia le coordinate progettuali sia i requisiti da richiedere agli aspiranti sia le modalità da osservare nella presentazione dei documenti e dell’offerta, in aggiunta, ove possibile, a quelli già previsti in via generale dalla normativa di settore nella richiesta dei quali è vincolata, è di ampia latitudine ma deve comunque essere esercitata in conformità dei principi di ragionevolezza, non contraddittorietà, imparzialità e correlazione al fine di interesse pubblico perseguito atteso che l’eventuale inosservanza di detti principi si risolve in vizio di eccesso di potere delle scelte effettuate.
 
     Nella specie, come risulta dalla completa ed analitica disamina del procedimento effettuata nelle premesse dell’atto impugnato, risultava contraddittoria la scelta dell’amministrazione regionale di autorizzare con nota n. 13386 del 21 giugno 2000 il riempimento della cassa di colmata con distruzione completa dell’ecosistema proposto per la protezione comunitaria rispetto alla precedente scelta – effettuata con delibera di Giunta regionale n. 435 del 25 febbraio 2000 – di includere la predetta cassa di colmata fra i siti proposti per l’inserimento nell’elenco dei siti di importanza comunitaria.
 
     Tale contraddittorietà finiva per viziare gli atti di gara, determinando la paradossale conseguenza, colta nella motivazione dell’atto impugnato , della distruzione del sito proposto per l’inserzione fra i S.I.C..
 
     Di tale perplessità irrisolvibile dell’azione amministrativa ha preso atto il provvedimento adottato dall’amministrazione statale, che ha rimosso un atto viziato , per illegittimità derivata, dalla contraddittorietà dell’azione della Regione Friuli Venezia Giulia.
 
     Tanto è sufficiente per ritenere la legittimità dell’atto impugnato.
 
     Sussistono giusti motivi per compensare le spese processuali, in relazione alla novità ed alla complessità delle questioni. 
 
P. Q. M.
 
       Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, Sezione Sesta, respinge il ricorso indicato in epigrafe.
 
       Compensa integralmente fra le parti le spese del giudizio.
 
       Ordina che la presente decisione sia eseguita dall’Autorità amministrativa.
 
       Così deciso in Roma, il 5 maggio 2006 dal Consiglio di Stato in sede giurisdizionale – Sez.VI -, DEPOSITATA IN SEGRETERIA – il………………14/09/2006……………….

Lazzini Sonia

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