La causalità nei reati con evento psichico: caso dell’Aquila

Redazione 27/09/18
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Gli artt. 40 e 41 c.p. introducono il concetto del nesso causale, quale collante esistente tra l’azione od omissione umana e l’evento di danno e di pericolo, così come si rinviene dallo stesso art. 40 co 1: “nessuno può essere punito per un fatto preveduto dalla legge come reato, se l’evento dannoso o pericoloso, da cui dipende l’esistenza del reato, non è conseguenza della sua azione od omissione”.
Tale principio risente della necessità di accogliere nell’ordinamento penale alcune leggi fisiche, nello specifico quelle della dinamica di Newton relativa all’inerzia, secondo cui si stabilisce che se su un corpo non agiscono forze o agisce un sistema di forze in equilibrio, il corpo persevera nel suo stato di quiete o di moto rettilineo uniforme.
Lo stesso Lucrezio, nel De rerum natura, espresse il principio “ex nihilo nihil fit” , in forza del quale nulla nasce dal nulla.
Il nesso causale è dunque un elemento costitutivo del principio di materialità causale (nullum crimen sine actione), in forza del quale ogni evento di reato, cagionato da un’azione od omissione, deve rilevarsi estrensicamente. La materialità trova, dunque, fondamento costituzionale nell’art. 25 Cost, nel quale la locuzione “fatto commesso” lascia chiaramente intendere l’esclusione dall’area del penalmente rilevante di quei fatti che, esaurendosi nella sfera psichica dell’autore, non si rinvengono nella realtà.
Tutto l’ordinamento penale pare incentrarsi sulla codificazione di fattispecie di reato, aventi ad oggetto elementi fenomenici percepibili in concreto e dunque materialmente tangibili. Ci si è a questo riguardo interrogati sull’ammissibilità di una causalità psichica che leghi l’agente attivo a quello passivo, capace di ingenerare nell’animo di quest’ultimo un’alterazione psicologica penalmente perseguibile.
A fronte di ciò si procederà con l’esaminare alcune ipotesi di reato che per la loro stessa natura accolgono questa tipologia di nesso causale.

Reati a forma libera e a forma vincolata

Occorre preliminarmente trattare dei reati a forma libera, tra cui vi rientra il reato di atti persecutori di cui all’art. 612 bis, secondo cui: “ salvo che il fatto costituisca più grave reato, è punito con la reclusione da sei mesi a cinque anni chiunque con condotte reiterate, minaccia o molesta taluno in modo da cagionare un perdurante stato d’ansia o di paura ovvero da ingenerare un fondato timore per l’incolumità propria o di un prossimo congiunto o di una persona al medesimo legata da una relazione affettiva ovvero da costringere lo stesso ad alterare le proprie abitudini di vita”.
La fattispecie de qua va presa a modello per motivare il nesso psicologico. Difatti, secondo la stessa occorre che le condotte dello stalker siano tali da ingenerare un’alterazione della normale percezione psichica ed emotiva della vittima, al punto da cagionare una situazione di perdurante stato d’ansia o di paura ovvero di ingenerare un timore fondato; tali pressioni sono penalmente rilevanti quando siano tali da costringere lo stesso ad alterare le proprie abitudini di vita (es. variare gli orari, percorrere itinerari diversi, cambiare il numero di telefono ecc..).
Relativamente all’ipotesi di reati a forma vincolata, rilevano: l’abuso d’ufficio ex art 323 c.p.; la circonvenzione di incapace, ex artt. 643 e 649 c.p.; l’estorsione ex 629 c.p. e la truffa ex art. 640 c.p.
Le ipotesi suddette sono penalmente rilevanti, poiché si abusa della propria posizione per ingenerare uno stato di sudditanza nei confronti del soggetto passivo.
Nel caso dell’abuso d’ufficio ex art 323 c.p., in cui il pubblico ufficiale o l’incaricato di pubblico servizio intenzionalmente procura a sé un vantaggio ovvero arreca ad altri un danno ingiusto è punito per aver profittato della sua condizione di superiorità, data all’incarico ricoperto, avendo così ingenerato nella psiche del soggetto passivo uno stato di soggezione.
Quanto alla fattispecie della circonvenzione di incapace (dal latino circumvenire, girare attorno) ex artt. 643 e 649 c.p., è punito chi con inganno o raggiro trae qualche d’uno in inganno, profittano della sua incapacità o della sua inesperienza. La fattispecie regolata dall’art. 643 c.p. prevede un’ipotesi di dolo del soggetto agente, pertanto il contratto frutto di circonvenzione di incapace deve essere dichiarato nullo ai sensi dell’art. 1418 co. 1 c.c.
Il reato di estorsione di cui all’art. 629 c.p. sanziona colui che con l’impiego di violenza o minaccia costringe taluno a fare od ad omettere qualche cosa, per trarne un vantaggio economico con l’altrui danno. La violenza o la minaccia devono essere dirette a coartare la volontà della vittima, affinchè questa compia un atto di disposizione patrimoniale, rimanendo indifferenti le modalità con cui queste condotte si realizzano.
Da ultimo la fattispecie della truffa ex art 640 c.p. che sanziona colui che ricava l’illecito profitto a danno di altri avendoli indotti in errore con artefici e raggiri.
Tutte le fattispecie sin qui dedotte configurano l’ipotesi di causalità psichica, ovverosia il rapporto esistente fra l’orientamento psicologico dell’autore di reato e il comportamento dell’autore stesso, tale da ingenerare nella mente di quest’ultimo un’alterazione psichica.

Il caso dell’Aquila

Di assoluto rilievo, in tema di responsabilità psichica, risulta essere la sentenza del 2015, relativa al terremoto dell’Aquila. La Suprema Corte, in tale occasione, ha espresso importanti principi sul tema dell’accertamento della condotta colposa e del nesso di causalità psicologica.
Si è affermata, a tal riguardo, la sussistenza di una posizione di garanzia a carico dell’organo della protezione civile, Commissione Grandi Rischi, che provvedeva a fornire informazioni alla pubblica opinione circa la previsione, l’entità o la natura di paventati eventi rischiosi per la pubblica incolumità, che impone di adeguare il contenuto della comunicazione pubblica ad un livello ottimale di trasparenza e correttezza scientifica delle informazioni diffuse e ad adattare il linguaggio comunicativo ai canoni della chiarezza, oggettiva comprensibilità e in equivocità espressiva.
In tale occasione la Corte d’Appello prima ed la Suprema Corte poi, hanno evidenziato un nesso causale psicologico, tra le comunicazioni ufficiali rilasciate dalla Commissione Grandi Rischi e l’evento morte dei cittadini. Difatti scorrendo le motivazioni, ambo le Corti si sono soffermate sul nesso psichico che aveva provocato l’evento morte, dando rilievo agli avvertimenti antecedenti al cataclisma, secondo i quali non veniva prospettato un sisma a forte impatto, a fronte di questa indagine si sollecitavano i cittadini a non uscire dalle proprie abitazioni.
L’analisi, dunque, si concentrava sull’ammissibilità e la rilevabilità di un nesso psicologico tale da ingenerare un consapevole convincimento nell’animo dei cittadini a rimanere nelle proprie dimore.
La Suprema Corte concludeva, individuando il nesso tra la comunicazione ufficiale e l’evento morte degli abitanti ex art. 40 co 1 c.p.
Ma vi di più, la Commissione de qua veniva riconosciuta ai sensi dell’art. 40 co 2 c.p. quale garante, in forza del quale: “non impedire un evento, che si ha l’obbligo giuridico di impedire, equivale a cagionarlo”.

La pronuncia si è rilevata, altresì, pregnante per il principio di diritto secondo cui la c.d. causalità psichica, pur ponendosi in termini del tutto peculiari, rispetto alle forme tradizionali della causalità relativa ai fenomeni d’indole fisico-naturalistica, non sfugge, ai fini del giudizio penale, alla necessità della preventiva ricerca di possibili generalizzazioni esplicative delle azioni individuali, sulla base di consolidate e riscontrabili massime di esperienza, capaci di selezionare ex ante le condotte condizionanti (socialmente o culturalmente tipizzabili), da sottoporre successivamente all’accertamento causale ex post.

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