La cassazione e l’adozione dei single

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Commento a Cass. Civ., sez. I, 14/2/2011 n. 3572

 

Deve quindi escludersi che in contrasto con tale principio generale, allo stato della legislazione vigente, soggetti singoli possano ottenere, ai sensi dell’art. 36, comma 4 in questione, il riconoscimento in, Italia dell’adozione di un minore pronunciata all’estero con gli effetti legittimanti anziché ai sensi e con gli effetti di cui alla L. n. 184 del 1983, art. 44”

 

Recentemente ha fatto scalpore sui mezzi d’informazione la notizia per cui la Corte di Cassazione avrebbe acconsentito l’adozione da parte di un single, “augurandosi” che l’esempio venisse seguito anche dal legislatore. La sentenza in realtà (Cass. Civ. sez. I, 14/2/2011 n.3572) diceva l’esatto contrario, il che è la dimostrazione che spesso i mezzi d’informazione fanno cronaca giudiziaria senza leggere effettivamente le sentenze; la notizia è stata successivamente smentita dalla stessa Corte, ma come spesso accade in questi casi la smentita ha avuto minor eco della notizia da smentire.

La pronuncia tuttavia si segnala perché fonte di molte riflessioni, oltre che per la delicatezza dell’argomento.

Sarà utile ripercorrere brevemente i fatti essenziali che hanno portato alla sentenza: una donna genovese residente negli Stati Uniti ha adottato una bambina di nazionalità russa, secondo le convenzioni internazionali (Convenzione dell’Aja del 29 maggio 1993) oltre che secondo le norme dell’ordinamento statunitense e russo.

Secondo questi ordinamenti, infatti, è consentita l’adozione di minori da parte di una persona single, quale era la signora in questione.

Il problema si è posto quando la signora ha deciso di tornare a vivere in Italia con la bambina, al momento di iscriverla nei registri dello stato civile.

Secondo il nostro ordinamento, infatti, l’adozione è consentita soltanto a coppie, e per giunta a coppie sposate (L. n. 184 del 1983), quindi la bambina non avrebbe potuto essere trascritta nei registri di stato civile come “figlia” della signora.

Beninteso, lo stato non aveva alcuna intenzione a spezzare il legame di fatto che si era venuto a creare: la bambina viveva in casa con la madre adottiva, i rapporti affettivi tra le due erano quelli fisiologici tra madre e figlia, a nel contesto sociale in cui vivevano le due erano riconosciute e trattate come madre e figlia: il problema era -ed è- squisitamente tecnico-giuridico, anche se dalle conseguenze pratiche importanti.

La Corte di Cassazione ha applicato la legge 184/1983 alla lettera, perché la stessa legge che vieta, in linea generale, l’adozione da parte dei single, acconsente a trascrivere un’adozione non legittimante in casi eccezionali, quale quello in questione. La legge infatti prevede come possibile l’adozione anche da parte di persona non sposata in una serie di ipotesi, legate dal criterio generale di salvaguardare un rapporto consolidato confacente agli interessi del minore1, oppure quando non sarebbe opportuno interrompere del tutto i rapporti con la famiglia d’origine2.

In tali casi l’adozione si dice “particolare” in quanto ha effetti diversi dall’adozione legittimante: mentre quest’ultima fa acquistare in capo all’adottato lo status di figlio legittimo, con tutto quello che ne consegue, l’adozione in casi particolari fa acquistare il diverso status di figlio adottivo, il che comporta che l’adottato non perde i rapporti con la famiglia d’origine, tanto che mantiene il cognome d’origine, che pospone al cognome dell’adottando3; nei confronti dell’adottante ha gli stessi diritto del figlio legittimo, ma la differenza più rilevante è che non diventa parente dei parenti dell’adottante, il che vuol dire che giuridicamente l’adottato non è nipote dei genitori dell’adottante, non è fratello/sorella dei figli dell’adottante etc. Tutto ciò naturalmente non ha nessuna influenza nei rapporti personali all’interno della famiglia adottiva (il cd. tractatus), ma vuol dire che in caso di contrasti l’adottato non ha diritto, nei confronti dei parenti dell’adottante, né agli alimenti né a diritti successori. Gli effetti sono simili a quella che era l’ipotesi di adozione dei maggiorenni, istituto ormai caduto in disuso ma tuttora esistente nel nostro ordinamento.

La bambina in questione è stata per l’appunto registrata come figlia adottiva della signora, senza far ricorso a norme eccezionali.

Peraltro anche il cosiddetto “invito” al legislatore fatto dalla Corte, a parere dello scrivente, è stato male interpretato e decontestualizzato.

La Convenzione dell’Aja del 29 maggio 1993 acconsente, ma non impone, l’adozione dei minori da parte di singoli, ma lascia la scelta ai legislatori dei singoli paesi, senza propendere per un’ipotesi o per l’altra; a commento di tale passaggio, la Corte afferma che “con riferimento al disposto della sopra menzionata disposizione dell’art. 6 della Convenzione di Strasburgo del 1967, il legislatore nazionale ben potrebbe provvedere, nel concorso di particolari circostanze, ad un ampliamento dell’ambito di ammissibilità dell’adozione di minore da parte di una singola persona anche con gli effetti dell’adozione legittimante”, il che è semplicemente una mera constatazione delle possibilità offerta dalla, non necessariamente un “invito” rivolto al legislatore ad approfittare di questa possibilità.

Il diritto internazionale privato ci presenta una vera teoria di casi simili, che ci danno anche l’opportunità di fare ulteriori considerazioni sull’adozione da parte di single4.

In un caso recente, una donna norvegese si trasferì in Perù e lì adottò una bambina, in ossequio alle norme peruviane che, appunto, consentono l’adozione da parte dei single. Il legame adottivo importa l’annullamento di ogni legame con la famiglia d’origine, e persino la perdita della nazionalità, per cui la bambina, secondo il Perù, era da considerarsi a tutti gli effetti figlia della madre adottiva.

Al ritorno in patria la donna incontra la resistenza dell’ordinamento norvegese, contrario alla trascrizione dell’adozione.

Il caso prosegue fino alle supreme giurisdizioni norvegesi e oltre, fino alla Corte Europea dei Diritti Umani, la quale conferma il principio stabilito nella Convenzione dell’Aja, per il quale spetta solo al legislatore stabilire se consentire o meno l’adozione da parte dei single, tuttavia, nel caso di specie, l’applicazione letterale delle norme avrebbe comportato in capo alla bambina la perdita di qualunque status, dato che il legame con la famiglia d’origine era stato cancellato, nonché lo stato di apolide, dal momento che non aveva più alcuna cittadinanza. L’esigenza di evitare tale conseguenza nonché l’opportunità di salvaguardare i legami di fatto esistenti tra madre e figlia hanno infine consentito, esattamente come nel caso italiano, ad un’adozione “minore”, che facesse acquistare in capo alla bambina il cognome della madre e soprattutto la nazionalità norvegese.

La scelta di acconsentire l’adozione da parte dei single avrebbe effetti non immediatamente percepibili da parte del comune sentire.

Attualmente, infatti, l’adozione è consentita solo a coppie sposate, quindi non possono adottare, ad es., coppie di conviventi. E poiché in Italia il matrimonio è consentito solo ad un uomo e una donna, è ovvio che l’adozione è impedita agli omosessuali, single o conviventi che siano.

L’estensione dell’adozione anche ai single non potrebbe non comportare l’estensione anche a questi casi: è chiaro che, essendo consentita ai single, l’adozione sarebbe consentita a maggior ragione anche alle coppie di conviventi.

E che dire degli omosessuali? Premettendo che non voglio assolutamente entrare nel merito dell’opportunità di estendere l’adozione alle coppie omosessuali, dal punto di vista tecnico-legislativo sarebbe impossibile acconsentire l’adozione alle persone single escludendo gli omosessuali. E infatti nel caso in cui una legge contenesse un divieto esplicito (oggi implicito, visto il riferimento alle coppie sposate), questa sarebbe tacciata immediatamente d’incostituzionalità per contrasto con l’art. 3 della Cost., oltre che per violazione della Convenzione Europea sui Diritti Umani, e di altri atti internazionali analoghi. Se invece non contenesse alcun divieto esplicito ma lo sarebbe nei fatti, ciò comporterebbe una violenta intrusione dei servizi sociali addetti alle adozioni nella vita intima e nella privacy degli aspiranti adottanti.

L’ipotesi non è peregrina, perché questo è esattamente quello che è accaduto in Francia, dove, a seguito dell’estensione dell’adozione ai single, una donna single ha adottato una bambina avvalendosi della nuova normativa, e poi ha instaurato una relazione omosessuale, circostanza che certo nessuno poteva impedirle5.

Le considerazioni precedenti non avevano l’intenzione di addurre argomenti pro o contro la scelta di estendere l’adozione ai single, ma di portare le discussioni in merito ad un livello più alto di cosapevolezza, con tutti gli strumenti necessari: se, come si è detto e ripetuto, è ovvio che è meglio che un bambino stia con una persona sola che lo ama piuttosto che in orfanotrofio, è altrettanto vero che per perseguire il miglior interesse del minore è necessario tener presenti tutti gli elementi in gioco. Da questo punto di vista la legge italiana sulle adozioni è particolarmente garantista -nei confronti dei minori, ovviamente-, e non si ravvisa, ad oggi, l’esigenza di modificarla sostanzialmente.

 

BIBLIOGRAFIA ESSENZIALE

Dogliotti, Affidamento ed adozione, in Trattato di dir. civ. e comm. Cicu-Messineo. Milano 1990; Dogliotti, in Il diritto di famiglia, Tratta di diritto privato, diretto da Bessone, Torino 1987; AAVV, Disciplina dell’adozione e dell’affidamento dei minori, in Comm. Al dir. it. Della famiglia, a cura di Cian, Oppo, Trabucchi, Padova 1993; Auletta, Il diritto di famiglia, Torino 2002.

1 V. Trib. Roma 18/3/1985 in Dir. Famiglia, 1985, 620; Trib. Bologna 29/5/1988, in Dir. Famiglia 1989, 139; Trib. Trieste 3/4/1987 in Dir. Famiglia 1988, 1392.

2 Trib. Genova 14/10/1995 in Famiglia e dir. 1996, 349

3 V. Trib. Salerno 26/4/1991 in Giur. Merito, 1993, 44; App. Salerno 2/7/1991, ibidem; Cass. Civ. 19/8/1996 n. 7618 in Dir. famiglia, 1997, 120.

4 Questo caso e i successivi sono stati oggetto di un corso di diritto internazionale privato tenuto dall’Ordina degli Avvocati di Ragusa presso la locale Facoltà di Giurisprudenza.

5 Per un caso simile, v. Corte EDU 22/1/2008, E.B. c Francia, n. 43546/02, in http://www.osservatoriocedu.it/Database/Sentenze/EB%20c%20Francia.pdf

 

 

 

Avv. Chiricosta Giovanni

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