La buona amministrazione come diritto fondamentale dell’uomo alla luce della Carta di Nizza

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E’ trascorso più di un anno da quando il Trattato di Lisbona di riforma dell’Unione Europea è entrato un vigore. L’occasione è propizia per procedere ad una riflessione che consenta di cogliere sotto il profilo interdisciplinare del diritto e della scienza politica alcune problematiche essenziali con le quali l’Europa è chiamata a confrontarsi nell’attuale contesto, per vari aspetti critico e complesso. Notevoli sono gli argomenti meritevoli di attenzione: a) il quadro istituzionale europeo chiamato a sviluppare modelli più avanzati di equilibrio democratico; b) il livello di governo europeo chiamato a sintetizzare le necessità proprie di aree assai diversificate socialmente e il governo nazionale chiamato ad agire sotto la guida di una visione europea dei problemi; c) i diritti che sono propri di coloro che si trovano sotto la giurisdizione dell’ordinamento europeo che costituiscono il senso di appartenenza ad un’ampia “societas”che potrebbe declinarsi in nuove forme di cittadinanza.

A questo ultimo riguardo, assume una particolare rilevanza il diritto fondamentale alla buona amministrazione testualizzato dalla Carta dei Diritti Fondamentali dell’Unione Europea del 7 dicembre 2000 e che dal 2009 ha lo stesso valore giuridico dei Trattati.

Appare quindi utile domandarsi che cosa si intenda con l’espressione “diritto ad una buona amministrazione”, atteso che tale locuzione è, in questi termini, sconosciuta alla nostra Costituzione.

Il primo punto di riferimento deve essere quindi l’art. 41 della CDF che con l’espressione “buona amministrazione” indica l’oggetto di un diritto attinente alla cittadinanza che ogni persona vanta nei confronti delle autorità pubbliche. In tale ottica, l’amministrazione è “buona” quando tratta le questioni che riguardano qualsiasi persona in modo imparziale ed equo ed entro un termine ragionevole; quando le sue decisioni sono motivate e la persona interessata è stata ascoltata; quando consente agevolmente l’accesso di ogni persona al fascicolo che la riguarda nel rispetto degli interessi e dei diritti dei terzi.

Sembra altresì possibile affermare che anche alla cittadinanza italiana possa ormai considerarsi acquisito il diritto ad una buona amministrazione, che anzi, sotto alcuni particolari profili, è di maggiore ampiezza rispetto a quello proclamato in sede europea. Ciò nondimeno, il contesto italiano presenta alcune peculiari problematiche che pongono dubbi ermeneutici ed applicativi ancora irrisolti. In particolare un primo importante quesito cui rivolgere l’attenzione è quello di verificare se anche il cittadino italiano possa vantare un diritto ad una buona amministrazione in senso pieno. Partendo infatti dal presupposto che nell’ordinamento italiano la dicotomia diritto soggettivo – interesse legittimo non si è del tutto risolta anche dopo le riforme di fine ed inizio secolo e che non è ancora predicabile una tutela pienamente paritaria, si deve rilevare che, pur in presenza delle migliori regole procedimentali, un sistema istituzionale può garantire la “buona amministrazione” soltanto a condizione che sia completato da un adeguato sistema di tutele.

Proprio quest’ultimo versante risulta ancora insoddisfacente nell’ordinamento italiano sotto plurimi profili. Ed invero, la Costituzione del 1948 sembra soffrire dell’assenza di una espressa proclamazione del diritto ad una “ buona amministrazione” , o comunque di disposizioni che sanzionino le principali patologie, come previsto ad esempio dalla Costituzione spagnola a proposito della partecipazione e dell’accesso (art. 105). Sebbene parte della dottrina enuclea il predetto diritto dalle norme e dai principi costituzionali recati negli art 24, 97 e 111 della Costituzione italiana, non può non notarsi che permangono numerose contraddizioni ed aporie ( promiscuità delle funzioni del Consiglio di Stato, carenza di adeguate tutele pre-giurisdizionali, eccessiva frammentazione ordinamentale, ecc.).

Un’ altra importante constatazione conduce a ritenere che l’amministrazione pubblica non può e non deve essere ridotta al mero rispetto delle regole. La buona amministrazione si sviluppa anche nell’atteggiamento di comprensione e di rispetto delle ragioni del cittadino e nella assunzione di comportamenti ispirati alla lealtà ed allo spirito di collaborazione (friendly administration), con l’ovvio corollario che eventuali scostamenti dai citati canoni comportamentali dovrebbero condurre ad adeguate sanzioni.

In realtà alcuni dei doveri in discorso possono considerarsi già codificati nel diritto positivo italiano sia a livello legislativo che a livello regolamentare (circolari, raccomandazioni), ma è da dubitare che essi siano effettivamente adempiuti, posto che l’attività burocratica stenta ad essere concepita come un servizio al cittadino (service minded) e non solo come attività ausiliaria verso le autorità governative. In definitiva, ricercare e sviluppare i nuovi significati della buona amministrazione consentirà di superare gli ormai angusti limiti dei tradizionali vizi dell’atto amministrativo, aprendo l’orizzonte politico-amministrativo a nuovi e più moderni strumenti di tutela della cittadinanza.

Volendo dunque ricercare un nuovo significato di “buona amministrazione”, soprattutto nella prospettiva della qualità della vita della generalità dei cittadini, bisogna preliminarmente rilevare che lo scopo ultimo dell’amministrazione è la cura degli interessi pubblici. Sotto tale aspetto vengono allora in evidenza altre esigenze afferenti la qualità dell’amministrazione, richiedendosi, ad esempio, una amministrazione che sappia dialogare con il cittadino evitando di imporre oneri non strettamente funzionali allo svolgimento del servizio, od ancora un’amministrazione trasparente da realizzare attraverso l’utilizzo di una pluralità di strumenti come la pubblicità di taluni atti, una maggiore digitalizzazione dell’attività o la estensione dell’ammissibilità dell’accesso ai documenti amministrativi. Invero, sotto quest’ultimo aspetto, le recenti riforme legislative al di là delle enfatiche proclamazioni (cd. operazione trasparenza), appaiono prive di reale efficacia sostanziale. Occorrerebbero piuttosto riforme profonde tese a trasformare, sulla scorta del modello svedese, il diritto di accesso in un’actio popularis utilizzabile come mezzo per un controllo generalizzato dell’amministrazione. Se infatti è condivisibile l’auspicio di Einaudi che avrebbe voluto trasformare la pubblica amministrazione italiana in una “ casa di vetro”, si deve conseguenzialmente rilevare che la trasparenza è il miglior antidoto contro la piaga della corruzione. E’ altresì importante sviluppare un’amministrazione che sappia valorizzare il procedimento come luogo in cui possono essere contemperati gli interessi pubblici e privati in modo che possa addivenirsi alla elaborazione delle decisioni amministrative di maggiore impatto con la partecipazione delle comunità interessate. Sotto questo profilo il procedimento non si configura come tecnica per assumere la “ decisione migliore”, ma come strumento principe per realizzare una democrazia diretta che non può più essere assicurata dal solo fatto di soggiacere agli indirizzi degli organi politici elettivi.

Sulla scorta dei superiori rilievi risulta evidente che l’obiettivo del sistema giuridico italiano dei prossimi anni sarà quello di elaborare e concettualizzare la nozione di “ buona amministrazione” alla luce delle penetranti influenze della normativa europea. In primo luogo tale obiettivo potrà essere raggiunto attraverso un’azione legislativa tesa a realizzare ed incrementare le politiche comunitarie. In secondo luogo sarà necessaria una più radicale riforma della pubblica amministrazione che assuma sempre più come “mission” della sua azione il benessere e la cura dei cittadini. Ciò potrà essere ottenuto valorizzando quei canoni di efficienza, efficacia ed economicità, accolti come valori fondamentali nel nostro ordinamento, in modo che vengano evitati sprechi di risorse umane ed economiche, dotando altresì gli uffici del personale necessario a svolgere le funzioni assegnate, in modo da realizzare “standards” amministrativi che siano in grado di fornire adeguate risposte al diritto dei cittadini ad una buona amministrazione.

Trozzo Maurizio

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