La associazione di stampo mafioso dal punto di vista normativo e criminologico

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L’espressione “criminalità organizzata” è stata introdotta intorno alla metà degli anni Settanta, in relazione ai fenomeni dei sequestri di persona e di diffusione degli stupefacenti ed alla com parsa dei primi gruppi terroristici.
In tale contesto sono state introdotte nel nostro codice penale le figure dell’ “Associazione con finalità di terrorismo e di eversione dell’ordine democratico”, prevista dall’art. 270 bis c.p., e della “Associazione di tipo mafioso”,  prevista dall’art. 416 bis c.p.
L’introduzione dell’art. 416 bis c.p. all’interno dell’ordinamento giuridico italiano, avvenuta a seguito della Legge 13 dicembre 1982 n. 646, esprime il tentativo di dare una definizione giuri dica all’organizzazione mafiosa,fissando in esso una categoria criminologica abbastanza com plessa, categoria che, fino al 1982 godeva di ampi spazi di impunità. 
Il legislatore del 1982 è partito  da un concetto metagiuridico, quello di mafia, per farne una categoria giuridica,qual’è quella di associazione di tipo mafioso, la cui estensione viene addirti tura dilatata, in base alla statuizione contenuta nell’ultimo comma, introdotto, per ricom prendere le altre associazioni comunque denominate, ma che presentino i caratteri di quella mafiosa.
Prima del 1982, le posizioni all’interno della dottrina erano diverse ed opposte.
Una parte della dottrina riteneva che, di per se stessa, nel caso della mafia non si realizzassero gli estremi del delitto di associazione per delinquere di cui all’art. 416 c.p. poiché, per poter ravvisare tale delitto, occorreva che fra le finalità dell’associazione vi fosse quella di realizzare determinate fattispecie criminose (Antolisei).
Altra parte della dottrina, invece, considerava la mafia associazione per delinquere (Manzini).
Secondo un altro orientamento,manifestato da molti membri della Prima Commissione Parla mentare d’inchiesta sul fenomeno della mafia in Sicilia, per sconfiggere la mafia era necessario far ricorso alle misure di prevenzione.
Per contro,la tesi dell’applicabilità della fattispecie di cui all’art. 416 c.p. era stata recepita da tempo da gran parte della giurisprudenza sebbene,dinanzi ai numerosi insuccessi giudiziari e all’intensificarsi dell’attività criminosa (basti pensare ad esempio al processo di Catanzaro), il legislatore italiano avesse emanato la Legge 31 maggio 1965, n. 575, nella quale privilegiava le misure di prevenzione.
Il termine “mafia” fa ingresso in un testo normativo della Repubblica ad opera del legislatore del 1975 il quale, per la prima volta, introduce il concetto di  “associazione mafiosa”, pur non chiarendo il significato di tale definizione.
Tanto era avvenuto in ambito giurisprudenziale da parte della Suprema Corte un anno prima, con l’ordinanza del 12 novembre 1974, nella quale l’associazione mafiosa veniva definita “ogni raggruppamento di persone che, con mezzi criminosi, si proponga di assumere o mantenere il controllo di zone, gruppi o attività produttive, attraverso l’intimidazione sistematica e l’infiltra zione di propri membri in modo da creare una situazione di assoggettamento e di omertà che renda impossibili o altamente difficili le normali forme di intervento punitivo dello Stato”.
L’affermazione del principio di non regionalità del fenomeno mafioso, unitamente alla fissazione dei parametri dell’intimidazione, dell’assoggettamento e dell’omertà, ed all’individuazione di scopi anche economici dell’associazione, fa sì che si possa riconoscere all’ordinanza 12 novembre 1974 la presenza in nuce di tutti gli elementi essenziali del futuro art. 416 bis c.p.
L’atto di iniziativa da cui è scaturito l’art. 416 bis c.p. è costituito dalla proposta di legge n. 1581, presentata il 31 marzo 1980, la c.d. “proposta La Torre”. In essa si prospetta un nuovo metodo di analisi del fenomeno mafioso il quale considera non una macro-organizzazione mafiosa, ma ogni micro -organizzazione di quel tipo. Tale visione risulta chiara a causa del fatto che si ritiene sufficiente un gruppo di tre persone a costituire un’associazione mafiosa.
Nella relazione alla proposta La Torre si sostiene la necessità di misure che colpiscano la mafia nel patrimonio, essendo il lucro e l’arricchimento l’obbiettivo di questa forma di criminalità, che ben si distingue per origini e funzione storico-politica dalla criminalità comune e dalla crimina lità politica strettamente intesa.
Siamo però sempre nell’ambito delle associazioni mafiose tradizionali; non si parla ancora delle associazioni di tipo mafioso.
Di associazione di tipo mafioso si parla nel testo definitivo della legge nel quale è stata aggiun ta anche l’estensione dell’applicabilità della legge alla camorra e alle altre associazioni ad essa equiparabili, contenuto nell’ultimo comma dell’art. 416 bis c.p.
Si passa da una previsione normativa nella quale si prendeva atto di una realtà criminosa concreta, appartenente alla sfera siculo-campano-calabro, ad una norma a carattere generale all’interno della quale far confluire ogni organizzazione che presenti le medesime caratteri stiche.
Dopo l’approvazione della Legge n. 646 del 1982, l’art. 416 bis c.p. non ha subito modifiche fino al 1990, anno in cui la Legge n. 55 del 19 marzo ha abrogato parte del settimo comma nel quale si prevedeva, nei confronti del condannato, la decadenza automatica di alcune licenze e concessioni e dell’iscrizione ad albi di appaltatori, materia che rimane così disciplinata esclusiva mente dalle norme in materia di misure di prevenzione.
Con il decreto-legge 8 giugno 1992, n. 306, è stato inserito nel terzo comma la possibilità di condizionare il libero esercizio di voto in occasione di consultazioni elettorali fra le possibili finalità tipiche dell’associazione.
Infine, nel 2005 il legislatore è intervenuto ancora una volta, con la Legge 251 del 5 dicembre, c.d. ex Cirielli.
Essa prevede al terzo e al quarto punto dell’art. 1 un generale inasprimento delle sanzioni per i delitti di associazione di tipo mafioso e di assistenza degli associati.
Il concetto di mafia può essere definito come insieme di organizzazioni criminali, di cui la più importante,ma non l’unica,è Cosa Nostra, che agiscono all’interno di un vasto e ramificato contesto relazionale, configurando un sistema di violenza e di illegalità finalizzato all’accumula zione del capitale e all’acquisizione e gestione di posizioni di potere, che si avvale di un codice culturale e gode di un certo consenso sociale.
Da un punto di vista psico – antropologico, la mafia appartiene al mondo del fondamentalismo con un rifiuto dell’Io soggettivo e l’adozione di comportamenti che denotano una “doppia mora le”: la prima messa in atto nei confronti delle cose pubbliche, la seconda che riguarda le cose private. La famiglia diventa così il luogo delle “regole” e della loro applicazione, mentre il “pub blico” ne è l’esatto contrario. Questo venir meno di cose ha provocato in chiave psicologica il venir meno di un senso civile del Noi a favore dell’espansione dell’Io, il quale potrebbe meglio definirsi un Noi-micro, di tipo familiare ed amicale, che viene a contrapporsi al vero Noi-socia le, ossia quello legato al senso dello Stato.
Secondo la tesi sostenuta da Hobsbawm ne “I ribelli. Forme primitive di rivolta sociale”, le “mafie” sono movimenti sociali sui generis. Egli, soffermandosi sull’analisi della mafia siciliana ne evidenzia tre aspetti originari ed essenziali.
Il primo aspetto è costituito da un particolare atteggiamento collettivo verso lo Stato e le sue leggi: il mafioso non riconosce altri obblighi se non quelli del codice di onore e di omertà, che tende a svilupparsi nelle società in cui manca un efficiente ordinamento dei pubblici poteri, e la cui norma fondamentale vieta di dare informazioni all’autorità pubblica.
Il secondo aspetto è dato dalla concentrazione del potere intorno a centri di forza locali. In questo secondo aspetto la mafia siciliana è quasi sinonimo di protezione e manifesta la propria stretta connessione storica con il feudalesimo, specialmente con il sistema latifondista presente a lungo all’interno dell’isola.
Il Gambetta definisce, infatti, la mafia come “un’industria che produce, promuove e vende protezione privata”. Secondo il suo punto di vista, tale mercato ha origine a partire da “fattori endogeni” quali la mancanza di fiducia all’interno della società siciliana, prodotta dalla domina zione spagnola e dalla lunga permanenza del latifondo. Si tratta quindi si una mancanza di fiducia pubblica, che genera la ricerca di protezione privata fornita da Cosa Nostra, la quale in tal modo verrebbe a “specializzarsi” in tale attività proponendola e svolgendola attraverso l’uso di un marchio.
Il terzo aspetto,colto da Hobsbawm,consiste nel controllo della vita della comunità mediante un sistema segreto di bande, denominate cosche o famiglie, reciprocamente collegate in vari mo di, ciascuna delle quali controlla una determinata porzione di territorio.
Le quattro mafie italiane presentano aspetti diversi fra loro: Cosa Nostra, dotata di una struttu ra verticistica all’interno della quale ogni ruolo è connotata da una forte matrice gerarchica, sta vivendo dopo le stragi degli anni ’90 un periodo di silenzio che è cominciato con il potere di Provenzano e continua anche dopo la cattura del boss dei boss;
Caratterizzata da spontaneismo delinquenziale,la Camorra sorge agli inizi del 1800 come feno meno urbano e si presenta subito come organizzazione dinamica, duttile e suscettibile di cam biamenti e mimetizzazioni che le consentono di sopravvivere a reiterare repressioni.
La conversione sempre più massiccia della criminalità napoletana ad un’imprenditoria di tipo mafioso e l’assorbimento di risorse pubbliche che essa comporta fanno sì che i capi camorristi vengano strettamente integrati nelle catene politico-clientelari, secondo una logica non molto dissimile da quella che aveva conosciuto la Camorra di un secolo prima tramite l’intervento politico e il condizionamento dei poteri locali;
La ‘Ndrangheta si presenta in origine come una associazione di mutuo soccorso, una aggre gazione primitiva e prepolitica, composta da contadini, pastori, uomini di umile condizione in genere, i quali, in un ambiente chiuso e arretrato, si organizzano in setta secreta e ricorrono alla violenza e alla prevaricazione per difendersi dal potere feudale, statale o poliziesco, e per ottenere quella considerazione, quel rispetto e quella dignità altrimenti irraggiungibili da parte di nullatenenti e miserabili.
A partire dagli anni ’90 essa costituisce elemento di raccordo, di cerniera e di collegamento tra le mafie peranti negli altri territori del Mezzogiorno;
La Sacra Corona Unita nasce in un periodo abbastanza recente (1978-80), in un momento in cui all’interno degli istituti penitenziari pugliesi sono stati reclusi soggetti appartenenti a soda lizi criminosi della ‘Ndrangheta e della Camorra, pertanto non esiste una vera e propria crimino genesi pugliese con l’ideazione di modelli criminali tipici.
Come nell’organigramma di un clan della Camorra, il primo livello di affiliazione della Sacra Corona Unita è costituito dalla “picciotteria” ed il successivo dalla qualifica di “camorrista”, cui seguono fino a tredici differenti qualifiche.
L’organizzazione piramidale svolge un ruolo pienamente simbolico in quanto accade di frequente che il potere effettivo detenuto dal singolo affiliato non corrisponda alla sua posi zione nella gerarchia formale.
L’approccio tradizionale con il quale la scienza penalistica si accosta all’analisi delle forme organizzate delle attività delittuose è di tipo causale. Recita, infatti, l’art. 40, comma 1, c.p., rubricato Rapporto di causalità: “Nessuno può essere punito per un fatto preveduto dalla legge come reato, se l’evento dannoso o pericoloso, da cui la legge fa dipendere l’esistenza del reato, non è conseguenza della sua azione o omissione”.
Il rapporto di causalità costituisce il collegamento logico-cognitivo relativo al verificarsi della successione fra gli eventi: la spiegazione del verificarsi di un evento, che può essere anche connessa ad un insieme di fattori concomitanti (concause).
Si tratta di un modello prescrittivo basato sull’ottica causa-effetto.
Tale logica può essere definita ontologica, in quanto poggia su principi essenziali di identità e non contraddizione, secondo cui, rispettivamente A è A e non è non-A.
La dimensione “formale” che si è fondata, riguarda la definizione di tipi generali, definitori delle “identità”, entro cui sono riconducibili gli eventi considerati.
Tale nozione costituisce, in effetti, il risultato di un giudizio secondo il quale A è causa di B.
Si tratta di un modello di tipo binario (A-B) formale il quale, concernendo la comparazione fra l’insieme definito degli eventi del tipo A e l’insieme anch’esso definito degli eventi di tipo B, presuppone un’operazione di astrazione e di generalizzazione.
Questo tipo di analisi perde astrattezza e generalità appena si comincia a contestualizzare poiché assume caratteri probabilistici dati dal fatto che se non ci fosse stato A non ci sarebbe stato neppure B, ma essendoci A si ha una certa probabilità che vi sia B.
Il contributo del palo alla realizzazione di un delitto è causale solo nel senso del contributo alla causalità generale, non in quello – che in ipotesi sarebbe definitorio del tipo di contributo – della condizione necessaria, nonché sufficiente secondo una certa misura, del verificarsi del risultato.
La nozione di “relazione funzionale” appare, invece, di carattere più generale, sia in quanto relativa alle discipline scientifiche, sia in quanto più adatta alla rappresentazione delle diverse problematiche che ineriscono ai modelli complessi.
Il metodo funzionale si basa su un’analisi di tipo contestuale e, in quanto multifattoriale considera ogni singolo evento all’interno di un sistema che influenza una molteplicità di eventi diversi.
All’interno di un sistema il numero delle variabili che possono essere prese in considerazione è tendenzialmente infinito e dipende dall’analiticità dell’osservazione e dall’ampiezza della porzione di realtà esaminata entro cui i fenomeni sono considerati tenendo conto, nel sistema sociale, dell’infinita possibilità di scelta degli individui.
La nozione di relazione funzionale esprime, in generale, la dipendenza fra l’evolversi dell’elemento di un insieme e l’evolversi di uno o più elementi dello stesso o di un altro insieme.
Idee correlate a tale concezione sono quella di “relatività”, intesa come riferibilità del dato alle condizioni mutevoli del contesto e di “ricorsività” in quanto la relazione funzionale è definibile entro il modello che contribuisce, nello stesso tempo, a definire.
Richiamando alla mente l’esempio del palo nella rapina si può ora comprendere come il suo contributo non sia causale, bensì funzionale, nel senso appunto dell’utilità, dell’accrescimento della probabilità di successo e della riduzione dei rischi d’insuccesso. Questa, infatti, può avvenire anche senza palo, ma può riuscire meglio con due pali o con tre se è particolarmente complicata, secondo l’Aleo.
Accanto alle categorie di associati gravita inoltre una moltitudine di persone che, anche talvolta non essendo “ritualmente” inserite nella organizzazione, quindi non “uomini d’onore” a pieno titolo, con essa prestano costante collaborazione per il raggiungimento dei suoi scopi criminali, secondo specifiche attribuzioni proprie dell’attività esercitata: medici, avvocati, commercialisti o esercenti altre varie professioni, la cui opera viene di volta in volta richiesta ed esercitata al di là dei limiti imposti dalla scrupolosa osservanza delle regole e della deontologia professio nale.
È il caso del concorso eventuale, tema controverso in dottrina e in giurisprudenza.
Quest’ultima, a differenza della dottrina ancora frastagliata, passando attraverso una serie di pronunce delle Sezioni Unite che vanno dalla Sentenza Demitry alla Mannino passando per la Sentenza Villecco e la Carnevale, percorre un iter che giunge alla configurabilità del concorso esterno in associazione di tipo mafioso. La Cassazione definisce Concorrente esterno il soggetto che, non inserito stabilmente nella struttura organizzativa dell’associazione e privo dell’affectio societatis, fornisce tuttavia un concreto, specifico, consapevole e volontario contributo, sempre che questo abbia un’effettiva rilevanza causale ai fini della conservazione o del rafforzamento delle capacità operative dell’associazione e sia comunque diretto alla realizzazione, anche parziale, del programma criminoso della medesima.
Nella Sentenza Mannino si specifica: “non è sufficiente una valutazione ex ante del contributo, risolta in termini di mera probabilità di lesione del bene giuridico protetto, ma è necessario un apprezzamento ex post, in esito al quale sia dimostrata l’elevata credibilità razionale dell’ipo tesi formulata in ordine alla reale efficacia condizionante della condotta atipica del condor rente”.
 
 
Angela Allegria
Ricercatrice CS Delle Migrazioni  

Avv. Allegria Angela

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