L’onere di provare l’assenza dell’aliunde perceptum spetta al ricorrente e non alla PA

Lazzini Sonia 30/06/11
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Risarcimento per equivalente – lucro cessante risarcito per intero solo se non utilizzati mezzi e maestranze – va detratto quanto dalla ditta stessa percepito grazie allo svolgimento di diverse attività lucrative, nel periodo in cui avrebbe dovuto eseguire l’appalto in contestazione _ qualora vi sia l’impiego alternativo delle risorse imprenditoriali prevista una riduzione massima del 50%

l’onere di provare l’assenza dell’aliunde perceptum spetta al ricorrente e non alla PA

il lucro cessante da mancata aggiudicazione può essere risarcito per intero se e in quanto l’impresa possa documentare di non aver potuto utilizzare mezzi e maestranze, lasciati disponibili, per l’espletamento di altri servizi, mentre quando tale dimostrazione non venga offerta è da ritenere che l’impresa possa avere ragionevolmente riutilizzato mezzi e manodopera per lo svolgimento di altri, analoghi servizi, così vedendo in parte ridotta la propria perdita di utilità, con conseguente riduzione del danno risarcibile

onde evitare che a seguito del risarcimento il danneggiato possa trovarsi in una situazione addirittura migliore rispetto a quella in cui egli si sarebbe trovato in assenza dell’illecito, va detratto dall’importo dovuto a titolo risarcitorio (oltre ai costi di gestione che la ditta avrebbe comunque affrontato nell’esecuzione dell’appalto) quanto dalla ditta stessa percepito grazie allo svolgimento di diverse attività lucrative, nel periodo in cui avrebbe dovuto eseguire l’appalto in contestazione

Poiché l’appalto risulta comunque ormai espletato, va altresì accolta –ai sensi dell’art. 34 comma 3 del CPA- l’istanza risarcitoria formulata dal ricorrente, trattandosi di danno direttamente derivante dalla mancata esclusione della contro interessata e dal conseguente mancato affidamento del servizio al quale la ricorrente avrebbe avuto titolo in virtù del piazzamento acquisito in graduatoria (senza che peraltro rilevi l’accertamento della colpevolezza della PA, dopo Corte di Giustizia Ce, sez. III, 30 settembre 2010, n. C-314/09, sul punto, cfr fuditus Tar Lombardia –BS- sentenza 4552/2010).

Non può peraltro accedersi alla richiesta liquidatoria avanzata nel gravame, pari al 30% del corrispettivo di appalto che la ricorrente medesima presume essere l’utile mancato. A prescindere da altre considerazioni, occorre infatti calcolare l’ovvio e doveroso scomputo delle spese di gestione che la cooperativa interessata avrebbe dovuto affrontare nell’eseguire l’affidamento per i periodi reclamati; parimenti, non sussiste alcun automatismo in base al quale debba essere rivendicato l’integrale utile d’impresa (pur se correttamente determinato con le citate detrazioni), sulle prestazioni rimaste prive di esecuzione per l’azione illegittima della stazione appaltante; ciò in quanto, secondo giurisprudenza che il collegio condivide, il lucro cessante da mancata aggiudicazione può essere risarcito per intero se e in quanto l’impresa possa documentare di non aver potuto utilizzare mezzi e maestranze, lasciati disponibili, per l’espletamento di altri servizi, mentre quando tale dimostrazione non venga offerta è da ritenere che l’impresa possa avere ragionevolmente riutilizzato mezzi e manodopera per lo svolgimento di altri, analoghi servizi, così vedendo in parte ridotta la propria perdita di utilità, con conseguente riduzione del danno risarcibile. Trattasi anche in questo caso di un’applicazione del principio dell’aliunde perceptum, in base al quale, onde evitare che a seguito del risarcimento il danneggiato possa trovarsi in una situazione addirittura migliore rispetto a quella in cui egli si sarebbe trovato in assenza dell’illecito, va detratto dall’importo dovuto a titolo risarcitorio (oltre ai costi di gestione che la ditta avrebbe comunque affrontato nell’esecuzione dell’appalto) quanto dalla ditta stessa percepito grazie allo svolgimento di diverse attività lucrative, nel periodo in cui avrebbe dovuto eseguire l’appalto in contestazione (Consiglio di Stato, sez. VI n. 2751 del 9 giugno 2008, ove viene ben chiarito come l’onere di provare l’assenza dell’aliunde perceptum spetti al ricorrente e non alla PA, nel più generale contesto di quantificazione del danno lamentato, secondo logiche ovviamente del tutto diverse ed indipendenti dalla questione circa l’addebito di prova della colpevolezza, questione ora del tutto superata dalla citata pronuncia comunitaria del 30 settembre 2010).

Ritiene comunque il collegio di demandare la quantificazione del risarcimento ad una determinazione concordata fra stazione appaltante e la ricorrente medesima ai sensi dell’art., 34 comma 4 del CPA, in applicazione dei seguenti criteri direttivi.

Ai sensi di quanto in precedenza puntualizzato, il metodo primario per la determinazione di base del lucro cessante va individuato nell’utile previsto nell’offerta, da esaminare nella sua disaggregazione analitica costituita dalle giustificazioni degli elementi costitutivi della stessa. Deve poi sul punto precisarsi che solo ove il pregiudizio non possa essere precisato nel suo preciso ammontare, operano in via analogica le quantificazioni basate sul cd. utile presuntivo in tema di recesso unilaterale della p.a. dal contratto di appalto di opere pubbliche, già previsto dall’art. 345 della l. 2248/1865 all. F, ripreso dall’art.122 del D.P.R. 21 dicembre 1999 n. 554, ed infine recepito dall’art. 134 del D.lgvo n.163/2006 (10% del valore dell’appalto); tale calcolo forfetario di quantificazione massima del margine di profitto dell’appaltatore nei contratti (anche non di lavori) con l’Amministrazione deve essere infatti applicato in via rigorosamente residuale, e solo in assenza di migliori e puntuali indici rilevatori del danno subito (sul punto, cfr. Tar Lazio -Roma, sez. III n. 6366 del 2 luglio 2008).

Una volta individuato –in via analitica ovvero, in subordine, in via forfetaria- l’utile d’impresa che la ditta avrebbe conseguito ove avesse svolto il servizio, occorre poi verificare se la ricorrente riesca o meno a dimostrare (attraverso agevoli prove connesse ai bilanci di esercizio) di essere stata medio tempore improduttiva senza alcun utilizzo alternativo di lavoratori e di mezzi, secondo criteri prima specificati. E ciò con la conseguenza che solo nel caso in cui sia fornita la suddetta prova di inerzia gestionale potrà essere integralmente riconosciuto l’utile d’impresa; non si ritiene invece di esigere anche il principio di prova sulle opportunità alternative alle quali l’interessato ha dovuto rinunciare (es. Consiglio di Stato sez. V n. 6393 del 18 novembre 2002), poiché si ritiene tale adempimento non proporzionato nei confronti di una ditta che –confidando nella spettanza dell’appalto- può aver comprensibilmente ritenuto per quel periodo di non monitorare il mercato.

Invece, nell’ipotesi in cui emerga in modo esatto e documentato l’impiego alternativo delle risorse imprenditoriali, occorrerà detrarre dal risarcimento il relativo fatturato con una riduzione massima del 50%, per dar modo di riconoscere comunque un disagio organizzatorio e di programmazione d’impresa che la solerzia del danneggiato non può comunque paradossalmente svilire. Qualora sussista invece solo una mancata prova di immobilismo delle risorse aziendali (senza che venga contemporaneamente fornita una trasparente documentazione su specifici ripieghi), al danneggiato dovrà direttamente operarsi una decurtazione forfetaria del 50%, secondo analoghi e consolidati principi giurisprudenziali (cfr. Cons. Stato sez. IV n. 4722 del 7 settembre 2007 e pronunce ivi richiamate).

La proposta dovrà essere comunicata alla ditta ricorrente (mediante le necessarie fasi collaborative con la ricorrente medesima che il presente istituto processuale presuppone, nei sensi e per gli effetti di quanto puntualizzato nel precedente di questo tar n. 1050/2008) entro 90 giorni dalla comunicazione e/o notificazione della presente decisione, fermo restando che in caso di mancato accordo o di mancata esecuzione dello stesso chi vi abbia interesse potrà procedere nelle forme del ricorso in ottemperanza, secondo quanto ora delineato dal quarto comma dell’art. 34 del CPA.

Sussistono ragioni per compensare integralmente le spese di lite.

Lazzini Sonia

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