L’onere di intervento del provider

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L’esenzione di responsabilità prevista per il provider dall’art. 14 della direttiva 2000/31/CE e dall’ art. l6 D. Lgs. 70/2003 non opera, come precisato dalla stessa Corte di Giustizia, nei casi in cui il soggetto leso, titolare del diritto d’autore, abbia segnalato al provider l’illecito  e,  in seguito alla segnalazione e diffida del danneggiato della illiceità dei contenuti lesivi del diritto d’autore di quest’ultima, sorge un obbligo attivo di intervento da parte del provider per impedirne la prosecuzione

 

L’art. 16 del D. Lgs. n. 70/2003, in attuazione dell’art. 14 direttiva 2000/31/CE, che disciplina il regime della responsabilità nell’attività di memorizzazione di informazioni, prevede, quale autonomo caso di esclusione della responsabilità del provider il caso in cui l’intermediario “non appena a conoscenza di tali fatti (illeciti ndr), su comunicazione delle autorità competenti, agisca immediatamente per rimuovere le informazioni o per disabilitarne l’accesso”.

Così correttamente i giudici romani hanno chiarito che “nel caso in esame ricorre una diversa ipotesi cui è ricollegata la responsabilità di (Break Media ndr), quella della effettiva conoscenza, in seguito alla segnalazione e diffida di RTI, della illiceità dei contenuti lesivi del diritto d’autore di quest’ultima, rispetto ai quali non può sorgere dubbio in merito all’insorgenza di un obbligo attivo di intervento da parte del provider per impedirne la prosecuzione”.

Il provider che dunque è a conoscenza dell’illecito deve attivarsi immediatamente per eliminare il materiale pubblicato illecitamente e, in caso di omesso intervento, dovrà necessariamente essere considerato corresponsabile del danno arrecato al titolare dei diritti.

In questo senso è il costante orientamento della giurisprudenza nazionale: in questi termini si è già espressa la Sezione Impresa del Tribunale di Roma anche in altri casi aventi ad oggetto la pubblicazione abusiva di contenuti Mediaset sulle piattaforme digitali denominate Megavideo e Kewego (rispettivamente sentenze Tribunale Imprese di Roma n. 14279/2016 e n. 9026/2016). Anche nelle sentenze citate – come nella sentenza di primo grado afferente al caso in commento – è stato affermato il principio secondo cui di fronte all’inattività del provider che è al corrente dell’attività illecita, a prescindere dal ruolo “attivo” o “passivo” dello stesso, viene meno ogni possibilità di applicazione del regime di limitazione della responsabilità degli hosting previsto dalle norme speciali su citate.

Detto orientamento è stato confermato dalla Corte di Cassazione relativamente alla pubblicazione di un articolo diffamatorio su un sito internet. In tale circostanza, la Suprema Corte (sentenza n. 54946/2016) ha stabilito che, sebbene l’articolo incriminato fosse stato autonomamente caricato sul sito web, “il giudizio di responsabilità veniva pertanto formulato per l’aspetto dell’aver l’imputato mantenuto consapevolmente l’articolo” consentendo che lo stesso esercitasse l’efficacia diffamatoria, allorché ne apprendeva l’esistenza tramite la ricezione di una missiva a mezzo posta elettronica, suggellando così l’esistenza di un obbligo di rimozione in capo ai gestori di siti internet circa contenuti potenzialmente offensivi pubblicati dagli utenti.

Sentenza collegata

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Maffei Domenico

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