L’Obbligo di motivazione delle espulsioni dei clandestini

Pavone Mario 28/05/09
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Il Decreto Sicurezza,oggetto di converzione in Parlamento,introduce importanti modifiche alla attuale disciplina del TU dell’Immigrazione.
Nel testo vengono introdotti il reato di immigrazione clandestina,il divieto di matrimonio per gli irregolari, il trattenimento fino a sei mesi nei centri di identificazione ed espulsione, il permes so a punti e il test di italiano per chi chiede la carta di soggiorno
Le novità più rilevanti contenute nel  DDL sono le seguenti
Matrimoni e cittadinanza italiana:
– La cittadinanza italiana si può ottenere per matrimonio e potrà essere richiesta, dopo due anni di residenza nel territorio dello Stato (dopo il matrimonio) o dopo tre anni nel caso in cui il coniuge si trovi all’estero;
-Tempi dimezzati in presenza di figli nati o adottati dalla coppia;
– Verrà introdotto un contributo di 200 euro sulle richieste di cittadinanza;
-Matrimonio degli irregolari
Niente più matrimoni tra irregolari, infatti, la modifica al Codice Civile prevede l’introduzione dell’obbligo di esibire il permesso di soggiorno per chi vuole contrarre matrimonio.
-Ingresso e soggiorno irregolare
Con l’introduzione del reato di ingresso e soggiorno irregolare (non punito con il carcere), è’ prevista un’ammenda da 5.000 a 10.000 euro, con la possibilità di rimpatrio senza il rilascio del nulla osta da parte dell’autorità competente.
-Favoreggiamento ingresso irregolare
Vengono Inasprite tutte le norme legate al favoreggiamento dell’ingresso irregolare, ma non le sanzioni per quanto concerne gli sfruttatori.
-Iscrizione anagrafica:
Sarà richiesta per l’iscrizione o la variazione della residenza anagrafica, e la verifica da parte del Comune dell’idoneità dell’immobile in cui abitano.
-Ricongiungimenti familiari
Per i ricongiungimenti familiari l’idoneità alloggiativa sarà rilasciata esclusivamente dal Comune.
-Esibizione del permesso di soggiorno:
Sarà obbligatorio l’esibizione del permesso di soggorno per tutti gli atti di stato civile, (registrazioni di nascita o i riconoscimenti di figli naturali)
-Centri di identificazione ed espulsione:
Viene previsto il proungamento nei Cie fino 180 giorni
-Divieto di espulsione e respingimento:
Cade il diveto di espulsione per i conviventi con parenti italiani di terzo e quarto grado.
-Visto d’ingresso per ricongiungimento familiare:
Dopo 180 giorni dal perfezionamento dalla pratica non sarà più possibile richiedere il visto d’ingresso.
-Permesso UE di lungo periodo:
Per l’ottenimento della carta di soggiorno è previsto il superamento di un test di lingua italiana.
-Reati ostativi all’ingresso:
Dovranno essere prese in considerazione anche le condanne non definitive.
-Traferimento di denaro:
Gli sportelli di money transfer avranno l’obbligo di fotocopiare il permesso di soggiorno degli stranieri e di conservarne copia per dieci anni e segnalare alle autorità quelli che ne sono privi.
-Contributo per rilascio permesso di soggiorno:
Si dovrà versare un contributo da 80 a 200 euro, per tutte le pratiche relative al rilascio o al rinnovo del permesso di soggiorno.
-Cancellazione anagrafica:
Dopo sei mesi dalla data di scadenza del permesso di soggiorno è prevista la cancellazione anagrafica.
-Registro per i senza fissa dimora:
A cura del Ministero dell’Interno verà gestito un registro per la schedatura dei cosiddetti clochard.
-Permesso di soggiorno a punti:
Obbligo per i cittadini stranieri a sottoscrivere un accordo di integrazione con un punteggio che crescerà o diminuirà in base al loro comportamento. I criteri e le modalità verranno stabiliti da un apposito regolamento. Chi esaurisce i punti, perderà il permesso e sarà espulso
Sin qui il controverso provvedimento che ha suscitato le preoccupazioni delle Organizzazioni Umanitarie e delle Associazioni che svolgono attività di volontariato in favore dell’immigrazione e che vedono in forse la propria attività sin qui svolta in nome dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali di ogni individuo.
In questo quadro e sulla posizione degli immigrati clandestini in Italia è intervenuta la Corte di Cassazione, con la pregevole sentenza n 394/2009 della I Sez Penale,facendo chiarezza sulla vexata quaestio dell’obbligo di motivazione dei provvedimenti espulsivi.
Secondo la Suprema Corte non sono legittime le espulsioni immotivate, soprattutto quando il clandestino è in gravi difficoltà economiche. In tal caso non può essere allontanato senza accompagnamento alla frontiera, da parte delle autorità, con un provvedimento del questore non motivato.
La Corte ha respinto il ricorso presentato dal Procuratore Generale della Repubblica presso la Corte di Appello di Venezia contro l’assoluzione pronunciata dal Tribunale della stessa città nei confronti di un immigrato clandestino che si era trattenuto sul territorio italiano e per questo era stato processato ed espulso.
Il Questore di Parma aveva infatti intimato all’imputato di allontanarsi entro cinque giorni dal territorio nazionale, ma il Tribunale aveva dichiarato illegittimo il provvedimento in quanto carente di motivazione quanto alla impossibilità di trattenere il soggetto presso un centro di permanenza.
Il procuratore generale,nel suo ricorso,aveva,invece,sostenuto come in tali casi sia sufficiente una motivazione succinta, allegando gli elementi in base ai quali l’autorità di polizia decida di procedere all’espulsione mediante “intimazione” (tale forma di espulsione, che prevede che lo straniero debba raggiungere la frontiera con i propri mezzi, si distingue da quella per accompagnamento diretto alla frontiera).
Pertanto,secondo il procuratore ricorrente,lo straniero non poteva dolersi delle modalità scelte, certamente meno gravose, ed, inoltre, il provvedimento del questore, costituendo una semplice attuazione del provvedimento del prefetto,non necessitava di “attente motivazioni”.
La Cassazione non ha accolto il ricorso e, nel motivare la sentenza ha affermato che l’obbligo di motivazione non può essere soddisfatto attraverso il “mero richiamo al provvedimento prefettizio di espulsione”, in quanto diversi sono i presupposti dell’uno e dell’altro provvedi mento e diverso ne è l’oggetto.
Il provvedimento del questore,invero,dovrebbe indicare una scelta tra diverse opzioni (espul sione coattiva immediata; espulsione coattiva previo trattenimento; intimazione) specifica mente previste e tassativamente individuate quanto a ragioni giustificatrici, rimesse a valutario ni discrezionali tecniche che danno luogo a situazioni assolutamente diverse, nessuna delle quali è priva di conseguenze giuridicamente rilevanti per l’espulso.
La Suprema Corte ha ricordato inoltre come “la normale situazione di disagio di cui versa il migrante economico, in genere, e lo straniero privo del permesso di soggiorno, in particolare, non consente davvero di presumere che l’ordine di allontanarsi con i propri mezzi entro cinque giorni pena la commissione di un delitto per il quale è minacciata (oggi) una pena minima di un anno di reclusione, sia per lui evenienza «favorevole»”, enunciando il principio di diritto secondo il quale la motivazione che assiste il provvedimento di intimazione a lasciare il territorio nazionale può essere anche particolarmente stringata e meramente enunciativa, in quanto l’impossibilità di trattenere lo straniero presto un centro di permanenza temporaneo è conseguenza di fatti aventi carattere obiettivo che non necessitano di una particolare o diffusa illustrazione, ma è sicuramente necessario, al fine di assicurare il controllo di legalità, che questi fatti vengano indicati, non bastando invece che il decreto si limiti a riprodurre letteralmente la formula della legge.
A conforto della tesi della Corte,va evidenziato come i provvedimenti espulsivi che si impugna no nelle aule di giustizia non tengano in alcun conto le circostanze di fatto e di diritto addotte dal ricorrente a propria discolpa,né enunciano con esattezza le circostanze di tempo e di luogo in cui avviene l’accertamento delle violazioni di legge poste a carico dei ricorrenti.
Di norma,gli atti espulsivi che si impugnano non consentono alcuna ricostruzione delle opera zioni svolte dai verbalizzanti e comunque,non contengono nessuna indicazione in ordine alle deduzioni dei ricorrenti, mentre inducono a ritenere che tali provvedimenti facciano riferimento unicamente all’informativa degli operatori di Polizia, rivolti,in maniera del tutto generica e non documentata,ai  Prefetti solo per la emanazione dei lapidari quanto immotivati provvedimenti di espulsione.
Pertanto,i generici riferimenti e le considerazioni poste abitualmente a base dei provvedimenti impugnati, spesso non trovano alcun riscontro negli atti e nei fatti realmente accaduti, non documentati a sufficienza dai verbalizzanti e comunque mai esaminati dal Prefetto ai fini di una corretta valutazione per la emanazione del provvedimento di espulsione in maniera rapida quanto illegittima.
La stessa giurisprudenza, intervenuta sul punto,è da tempo consolidata nell’enunciare che:“la contestazione immediata della violazione delle norme vigenti ha un rilievo essenziale per la correttezza del procedimento sanzionatorio e svolge funzione strumentale alla piena esplicazione del diritto di difesa del trasgressore, anche perché questi potrà richiedere l’inserimento nel verbale delle proprie dichiarazioni poiché la contestazione immediata rappresenta un momento essenziale atto a consentire una immediata difesa da parte del presunto trasgressore, il quale può esercitare tale diritto rilasciando o meno dichiarazioni a discolpa.
Si sottolinea, in particolare,come il mancato esercizio di tale diritto,laddove non specifica tamente motivato,costituisce,di per sé,una compressione del diritto di difesa”.(v. Trib. Di Novara, sent. n. 521 del 19.09.2000).
La stessa Cassazione ha ripetutamente stabilito che il parametro per valutare l’incidenza del vizio determinatosi è proprio la sussistenza o meno di un pregiudizio per il diritto di difesa dell’incolpato (cfr. Cass. 17 settembre 1992; Cass. 27 marzo 1996 n. 2767).
In varie  fattispecie esaminate dai GdP,la semplice mancata traduzione degli atti nella lingua del ricorrente e la mancata indicazione delle ragioni ostative a tale traduzione sono tali da giustificare la lesione del diritto del ricorrente di avere piena conoscenza dei provvedimenti a suo carico.
Inoltre,l’eventuale omissione della contestazione costituisce violazione di legge che rende illegittimi i successivi atti del procedimento amministrativo.
Con circolare n.81 prot. M/2413-12 del 02/08/2000 ad oggetto “Conte stazione a – Sent Corte di Cass n.4010 dell’1.2.2000”, diretta in primis AI PREFETTI DELLA REPUBBLICA, l’ Ufficio Studi per l’Amministrazione Generale e per gli Affari Legislativi del Ministero dell’Interno afferma che:“Nel caso in cui una motivazione sia carente in ordine alla conte stazione e formi oggetto di ricorso  si ritiene che codesti Uffici debbano acquisire presso l’organo di Polizia elementi valutativi sulle circostanze di fatto nel caso detti elementi siano idonei a comprovare la condotta del verbalizzato.”
Se le Prefetture svolgessero una adeguata istruttoria, evitando di liquidare la pratica nell’arco temporale di pochi minuti, perverrebbero a diversa conclusione in ordine alla posizione dei ricorrenti.
Va sottolineato,inolrtre,come sovente nella motivazione del provvedimento espulsivo manchi ogni riferimento ovvero disamina (e rigetto) delle giustificazioni addotte dai ricorrenti,con la conseguenza che spesso i  Prefetti pervengono alla decisione di espellere i clandestini in totale carenza di istruttoria del provvedimento emanato.
Tanto appare in aperto contrasto con quanto,per contro,sancito dalla Suprema Corte in relazione all’obbligo di riportare le dichiarazioni rese in presenza di contestazione di infrazione amministrativa (Cfr. Corte di Cassazione, Sez. III Civile – Sentenza 3 aprile 2000 n.4010).
In particolare il più delle volte non vi è traccia delle ragioni addotte dai ricorrenti in relazione all’ingresso e alla permanenza in Italia, alla durata della permanenza e quanto altro mediante l’indicazione delle circostanze di fatto effettivamente impeditive dell’adempimento della norma che si presume violata (v.Sentenza n.4010/2000 cit.).
In ogni caso, spesso risultaviolato il principio generale vigente in tema di procedimento amministrativo, in base al quale i provvedimenti che incidono sfavorevolmente sulla posizione giuridica di un soggetto abbisognano di una motivazione particolarmente congrua e rigorosa che consenta l’immediato riscontro e/o verifica della legittimità dell’operato della P.A.
Da ultimo va ricordato che la giurisprudenza più autorevole ha ritenuto che l’autorità emanan te i provvedimenti di espulsione dello straniero deve sempre valutare ed esternare le ragioni di ordine pubblico che consigliano l’allontanamento dello straniero (cfr. Cons Stato sez. IV, sent. n. 356 del 25/3/1993).  
Va pure sottolineato come il più delle volte anche il decreto di rigetto del rinnovo del permesso di soggiorno per motivi di lavoro subordinato venga emesso sulla base del fatto che “il richie dente ha presentato istanza di rinnovo del citato titolo di soggiorno con oltre sessanta giorni di ritardo”.
Tale contestazione, contenuta nel decreto espulsivo,può facilmente essere confutata alla luce dei recenti orientamenti giurisprudenziali che oramai affermano, pacificamente, il carattere non perentorio dei termini previsti dalla legge per la presentazione della richiesta di rinnovo del permesso di soggiorno (quindi oltre i sessanta giorni successivi alla scadenza)(v. ex multis Cass.Sez.Uni. sent. 7892/2003) anche a conferma, peraltro, di un identico orientamento che era stato espresso anni fa dal Consiglio di Stato, con la sentenza n. 870 del 1999.
Tali previsioni, da ritenersi di stretta interpretazione per la loro incidenza negativa sul diritto di soggiorno, non consentono che il rinnovo del permesso possa essere rifiutato per la semplice tardiva proposizione della domanda in mancanza di una espressa sanzione di irricevibilità della domanda presentata fuori del termine, sicché il ritardo non rileva quando, pur dopo il decorso del termine di tolleranza, non siano venute meno le condizioni di legge per il soggiorno dello straniero il quale, ove ciò si verifichi, non ha alcun interesse a ritardare la presentazione della domanda di rinnovo.
Diverso è, invece, il caso in cui lo straniero,essendo incorso in una delle situazioni che precludono il rinnovo del permesso di soggiorno, si trattenga illecitamente sul territorio nazionale e presenti la domanda di rinnovo solo quando sia venuto nuovamente a trovarsi nelle condizioni richieste dalla legge, come si verifica, ad esempio,nel caso di perdita del posto di lavoro subordinato non stagionale e infruttuosa iscrizione nelle liste di collocamento per tutta la residua durata di validità del permesso di soggiorno e, comunque, per un periodo non inferiore a sei mesi ai sensi dell’art. 22, co. 11, del D.Lgs. n. 286 del 1998 (come sostituito dall’art. 18 della legge 30 luglio 2002, n. 189).
In tal caso, infatti, il ritardo nella presentazione spontanea della domanda di rinnovo fino al ripristino delle condizioni di legge per il soggiorno dell’interessato potrà essere valutato agli effetti del diniego del rinnovo del permesso, sanzionandosi non già la mera inerzia dell’interessato,bensì il ritardo nella presentazione di una domanda di rinnovo che, tempesti vamente presentata,non avrebbe trovato accoglimento.
Pertanto, non potendo darsi prevalenza ad una interpretazione che subordini il riconoscimento del diritto al rinnovo del permesso di soggiorno alla mera osservanza dei termini stabiliti dalla legge per la sua presentazione,deve essere ribadita la interpretazione già sancita dalla giurisprudenza della Suprema Corte a sezione semplice, secondo cui la spontanea ma tardiva presentazione della domanda di rinnovo del permesso di soggiorno oltre il termine di sessanta giorni dalla sua scadenza, oltre a non consentire l’espulsione "automatica" della posizione straniero,potrà costituirne solo indice rivelatore nel quadro di una valutazione complessiva della situazione in cui versa l’interessato.
Anche le decisioni del TAR affermano che il ritardo nella presentazione della richiesta di rinnovo del permesso di soggiorno non determina automaticamente né il diniego di rinnovo né la espulsione, dovendosi procedere ad una attenta disamina dell’istanza stessa per accertare se siano venuti meno i presupposti, originariamente esistenti, per il rinnovo del permesso e della cui mancanza il ritardo può solo costituire indice rilevatore.
“La presentazione intempestiva della domanda di rinnovo non esime la competente Amministra zione dalla valutazione circa l’immeritevolezza dello straniero a permanere sul territorio nazionale, con il vaglio di tutti i requisiti necessari, quali le condizioni di vita e lavorative, signi ficative di un radicamento del medesimo nel territorio “ (cfr. T.A.R. Piemonte, sez. II, 25 maggio 2000, n. 866; T.A.R. Piemonte, sez. II, 25 maggio 2000, n.736).
Recentemente, anche il Consiglio di Stato ha ribadito come “il termine per la presentazione dell’istanza di rinnovo del permesso di soggiorno, dei cittadini extracomunitari, non è perentorio e dalla sua violazione non discende automaticamente l’espulsione dell’interessato” (sent. n. 8063 del 14.12.2004, IV sez.).
Secondo la Dottrina prevalente,non può e non deve essere accolta una concezione prettamente “formalistica” del permesso di soggiorno, secondo la quale gli aspetti "formali" (quali, per l’appunto, il mancato rispetto dei termini) finiscono per prevalere costantemente su quelli "sostanziali" (le condizioni di vita e lavorative, il radicamento nel territorio, ecc.) e le relative irregolarità amministrative, anziché essere considerate "sanabili" a fronte di una condizione di sostanziale regolarità del soggiorno, costituiscono un ostacolo irreparabile al proseguimento del percorso di integrazione. Una impostazione di tal tipo non può che condurre a brusche interruzioni del percorso di integrazione e alla continua e ciclica riproduzione delle condizioni di irregolarità nei confronti di quanti non riescono a rinnovare il permesso già conseguito.
Di segno completamente opposto rispetto a tale concezione, che ancora influenza la prassi delle questure, è la citata giurisprudenza,nella quale si coglie soprattutto un elemento di grande importanza:gli aspetti di "regolarità sostanziale" del soggiorno dello straniero in Italia devono prevalere su quelli di "irregolarità formale", laddove ovviamente l’interpretazione "costituzionalmente orientata" delle leggi lo consenta.
In questo senso, gli ostacoli frapposti al mantenimento della condizione di regolare soggiorno da un’interpretazione troppo rigorosa e formalista della legge sono considerati "manife stamente irragionevoli" (Cons. Stato, sentenza n. 870/99), nella misura in cui, anziché perseguire lo scopo di garantire un efficiente controllo dei flussi migratori, finiscono per avere l’effetto opposto, ovvero per costringere all’ingresso in clandestinità soggetti cui vengono addebitate soltanto mere irregolarità formali.
Il Consiglio di Stato afferma che "la mancata richiesta del permesso di soggiorno ovvero il mancato rinnovo del permesso già concesso, non legittimano sempre ed in ogni caso di per sé l’allontanamento dello straniero dal territorio nazionale, dovendo l’Autorità di pubblica sicurezza valutare, specie in presenza di particolari situazioni, le ragioni di ordine pubblico che consigliano l’eventuale allontanamento dello straniero". Infatti, "Anche se allo straniero – diversamente dal cittadino – non è riconosciuta una posizione di libertà in ordine all’ingresso e alla permanenza nel territorio italiano per la mancanza di un legame ontologico con la comunità nazionale (…), la discrezionalità, sia pure ampia, dell’amministrazione è limitata dalla non manifesta irragionevolezza delle sue scelte".
L’interesse pubblico attinente alla sicurezza dell’ordinato vivere civile, che giustifica le limitazioni alla libertà di ingresso e soggiorno nello Stato nei confronti degli stranieri, "non può ritenersi compromesso dal solo comportamento omissivo di oneri che la legge richiede; allorché, per altri versi, la condotta dello straniero sia improntata ad una vita normale e dignitosa, irrinunciabile per ogni individuo”.
Merita di essere ricordata l’importante affermazione che si apre il documento varato, di recente,dal Consiglio d’Europa sui temi dell’immigrazione ed asilo.
“Le migrazioni internazionali sono una realtà che persisterà in particolare finché resteranno i divari di ricchezza e di sviluppo tra le diverse regioni del mondo.
Possono rappresentare un’opportunità poiché sono un fattore di scambi umani ed economici e consentono inoltre alle persone di concretare le loro aspirazioni.
Possono contribuire in modo decisivo alla crescita economica dell’Unione europea e degli Stati membri che hanno bisogno di migranti a motivo della situazione del loro mercato del lavoro o della loro situazione demografica.
Infine, apportano risorse ai migranti e ai loro paesi d’origine, contribuendo in tal modo al loro sviluppo”.
In base al contenuto del Patto europeo sull’immigrazione ed asilo politico,approvato dal Consiglio d’Eurpa,l’Unione Europea ha introdotto alcune norme comuni circa l’allontanamento ed il rimpatrio degli stranieri irregolari,contenute nella Direttiva del Parlamento e del Consiglio 2008/115/CE,pubblicata il 24 dicembre 2008 sulla Gazzetta Ufficiale della Unione Europea a cui tutti i Paesi comunitari dovranno uniformarsi entro il 24 dicembre 2010.
Le linee guida richiamano i diritti tutelati dalla Convenzione europea per la protezione dei diritti umani e le libertà fondamentali,contenute in cinque capitoli
          Voluntary return,
          The removal order
          Detention pending removal
          Readmission
          Forced removals
riguardanti i vari aspetti del rimpatrio forzato.
Un capitolo specifico venne dedicato alla detenzione in attesa dell’allontanamento in cui sono indicate,tra l’altro,le circostanze in cui la detenzione può essere ordinata e le condizioni minime di detenzione.
E’ stato sottolineato che lo stato ospite dovrebbe prendere misure di promozione del ritorno volontario più che coattivo; l’ordine di allontanamento dovrebbe essere perseguito solo in accordo con le leggi nazionali e non dovrebbe essere applicato se presente il rischio di violenze, torture o trattamenti inumani e degradanti nel paese di ritorno sia da parte del governo sia da parte di “non-state actors”.
Al fine di verificare l’ assoluta assenza di pericolo nel paese di ritorno, dovrebbero essere valu tate e prese in considerazione le informazioni provenienti da tutte le fonti, governative e non, e dall’UNHCR, l’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati.
Non dovrebbe inoltre essere portato a termine un’ordinanza di rimpatrio se lo stato in cui il migrante deve far ritorno rifiuti il rientro del migrante stesso.
In ogni caso è proibita l’espulsione collettiva e la mancata adempienza dell’analisi individuale dei diversi casi.
Merita attenzione,in particolare,il terzo capitolo riguardante le modalità di detenzione dopo l’ordine di rimpatrio.
  • La persona detenuta dovrebbe, innanzitutto, essere informata in una lingua che conosce e dovrebbe avere la possibilità di contattare giudici e avvocati.
  • La detenzione dovrebbe essere più breve possibile e rispettosa dei diritti umani.
  • Il personale presente all’interno dei luoghi detenzione dovrebbe essere altamente qualificato e in grado di affrontare la situazione specifica.
  • Le persone trattenute, inoltre, dovrebbero ricevere degna assistenza medica e ascolto psicologico e non dovrebbero essere detenute insieme a ordinary prisoners;
  • dovrebbero avere libero accesso ad avvocati, ONG e familiari.
I centri di detenzione dovrebbero essere costantemente monitorati da enti esterni e l’accesso dovrebbe essere liberamente consentito a membri dell’UNHCR, del parlamento europeo e altri soggetti qualificati.
Il nuovo pacchetto di regole e procedure,introdotto con la Direttiva 115/2008,è,in conseguen za,basato sul pieno rispetto dei fondamentali diritti umani e della dignità dei clandestini ed appare pienamente coerente con le regole dettate nel non lontano 2005 che non possono essere ignorate da alcuno e tanto meno dal nostro Parlamento.
 
                                                                                       
Mario Pavone
Presidente ANIMI Onlus

Pavone Mario

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