L’istanza volta all’esercizio dei poteri di autotutela non genera l’obbligo di provvedere

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Abstract

L’ esercizio del potere di autotutela assurge a valutazione di merito insindacabile anche in sede giudiziale: l’atto di diffida o messa in mora del privato volto ad ottenere provvedimenti di revoca o annullamento di precedenti atti amministrativi non impugnati non configura un obbligo di provvedere ma una “mera sollecitazione” del potere amministrativo, non coercibile con il rito del silenzio rifiuto di cui agli artt 31 e 117 c.p.a

 

SOMMARIO 1. – Introduzione. L’obbligo di provvedere. . 2. – Il casus decisus. 3. – Il silenzio inadempimento e la tutela del privato.

 

1.- Introduzione. L’obbligo di provvedere.

Secondo un tradizionale orientamento, l’esercizio del potere pubblicistico può configurarsi come doveroso esclusivamente nelle ipotesi di attività totalmente vincolata, con conseguente sussistenza in capo al privato di una vera e propria situazione giuridica di diritto soggettivo ad ottenere il provvedimento sattisfattivo – ampliativo.

Laddove, invece, residui un margine di discrezionalità nell’adozione o nella determinazione del contenuto del provvedimento, non sarebbe mai configurabile un vero e proprio obbligo, o meglio, dovere di provvedere in capo alla P.A., atteso che in tali ipotesi la spettanza del bene della vita non assumerebbe i connotati della certezza ma, appunto, sarebbe condizionata ad una valutazione – effettuata discrezionalmente dalla P.A. – di conformità della pretesa del privato all’interesse pubblico.

Sennonché più di recente si è sviluppato un orientamento meno restrittivo che, alla luce dei principi generali che regolano l’azione amministrativa (imparzialità e buon andamento di cui all’art. 97 Cost.), ritiene sussistente in capo alla P.A. l’obbligo di provvedere, non solo in relazione ad istanze volte ad ottenere provvedimenti ampliativi vincolati ma anche nei casi in cui il legislatore abbia lasciato alla P.A. aspetti di discrezionalità in ordine all’esercizio del potere pubblicistico e tuttavia sia previsto dallo stesso legislatore che il procedimento inizi ad istanza di parte1.

Si è posto, quindi, il problema se l’obbligo di provvedere sia configurabile a prescindere da un’espressa disposizione normativa che tipizzi il potere del privato di presentare un’istanza.

Facendo applicazione dei succitati principi generali, la giurisprudenza ha ritenuto che l’obbligo di provvedere si debba rinvenire anche nel caso in cui l’istanza del privato non sia prevista dalla legge, ma esigenze di ragionevolezza, correttezza trasparenza dell’azione amministrativa ovvero la sussistenza di un’aspettativa qualificata in capo al privato impongano l’adozione di un provvedimento espresso.

Si è, quindi, ritenuto sussistente l’obbligo di provvedere dinanzi ad istanze (non tipizzate) volte ad ottenere: a) l’ampiamento della sfera giuridica del privato, salvo il caso della manifesta infondatezza dell’istanza medesima; b) l’esercizio di poteri di tipo sanzionatorio, inibitorio o repressivo nei confronti di terzi, sempreché l’istante si trovi in una posizione di interesse concreto e differenziato rispetto alla collettività ad ottenere tale provvedimento nei confronti del terzo.

L’obbligo di provvedere, invece, è pacificamente2 escluso nel caso di istanza volta a far esercitare alla P.A. il potere di riesame (di provvedimenti non impugnati).

Infatti, in tali ipotesi l’obbligo di provvedere si porrebbe in contrasto, sia con il principio generale di certezza delle situazioni giuridiche a cui si collega l’inoppugnabilità del provvedimento oltre il termine decadenziale previsto dalla legge, sia con la previsione normativa di cui all’art. 21 nonies della l. n. 241 del 1990 che rimette alla P.A. la scelta discrezionale di utilizzare o meno il potere di autotutela.

 

2. – Il casus decisus.

La pronuncia in commento aderisce all’orientamento giurisprudenziale prevalente che esclude la sussistenza in capo alla P.A. dell’obbligo di provvedere in ordine alle istanze del privato volte all’esercizio del potere di riesame e, più in generale, del potere di autotutela.

In particolare il Consiglio di Stato ha ritenuto che – stante l’attribuzione in via esclusiva alla P.A. della decisone di esercitare il potere di autotutela (tanto da assurgere a valutazione di merito insindacabile anche in sede giudiziale) – l’atto di diffida o messa in mora del privato volto ad ottenere provvedimenti di revoca o annullamento di precedenti atti amministrativi non impugnati (nella specie la revoca o la decadenza di alcuni finanziamenti precedentemente erogati ad un terzo), debba considerarsi come “mera sollecitazione” del potere amministrativo, non essendovi, quindi alcun obbligo giuridico di provvedere sull’istanza, coercibile con il rito del silenzio rifiuto di cui agli artt 31 e 117 c.p.a. 3.

D’altra parte, ad opinare diversamente , verrebbe ad essere conculcata “la condizione di inoppugnabilità del provvedimento amministrativo (…) che non sia stato contestato nei modi ed entro i termini di legge, vanificando in questo modo una garanzia di certezza dei rapporti giuridici che vedono coinvolta una P. A. (certezza che è essa stessa un bene irrinunciabile posto a tutela anche dei cittadini), e avvilendo lo stesso principio di economicità dell’ azione amministrativa, che verrebbe posto nel nulla ove si imponesse, a semplice richiesta dell’ interessato, l’ obbligo di riesame di provvedimenti restati in oppugnati”.

 

3. – Il silenzio inadempimento ed i rimedi esperibili dal privato.

Nei casi in cui, invece, sia ravvisabile un obbligo di provvedere in relazione ad un’istanza del privato, la P.A. è tenuta ad adottare un provvedimento espresso come appositamente stabilito dall’art. 2, comma 1, L. 241/1990, osservando i termini finali individuati ai sensi dei successivi commi 3 e 4.

La violazione dei termini di conclusione del procedimento (c.d. silenzio inadempimento) pur non implicando la decadenza dal potere di provvedere, né rilevando ai fini della legittimità del provvedimento adottato tardivamente, comporta, in primo luogo, sul piano sostanziale, la configurabilità di un vero e proprio fatto illecito.

Ne conseguono profili di responsabilità sia in capo alla P.A. per il danno ingiusto cagionato al privato (art. 2.bis L.241/1990, introdotto dalla L. 69/2009), sia in capo al dirigente o al funzionario responsabile del procedimento che – per il solo fatto della violazione non scusabile del termine procedimentale – possono essere chiamati a rispondere a titolo di responsabilità disciplinare, contabile- erariale (e penale ove il fatto costituisca reato), nonché possono subire conseguenze negative in termini di valutazione della performance individuale (art. 2 comma 9 L.241/1990, introdotto dalla L. 69/2009).

Inoltre, la violazione del termine procedimentale consente al privato di attivare rimedi procedimentali e processuali volti all’ottenimento del provvedimento e, quindi, in caso di eventuale accoglimento dell’istanza, al conseguimento del bene della vita.

In particolare, con riferimento al primo ambito di tutela, viene in rilievo l’istituto di cui ai commi 9 bis e 9 ter dell’art 2 L. 241/1990 (recentemente introdotti dal D.L. 5/2012) che conferisce agli organi apicali delle pubbliche amministrazioni un potere sostitutivo di conclusione del procedimento da esercitarsi entro un termine pari alla metà di quello originariamente previsto, attraverso le strutture competenti o la nomina di un commissario ad acta.

A livello processuale il privato può, invece, attivare il rimedio ora previsto dagli artt. 31 e 117 c.p.a., che consente al G.A., in taluni casi (attività vincolata, mancanza di margini di discrezionalità e non necessità di atti istruttori) di pronunciarsi sulla fondatezza dell’istanza, accordando, quindi, immediatamente al privato una forma di tutela giurisdizionale piena dell’interesse sostanziale azionato.

 

 

LA SENTENZA

CONSIGLIO DI STATO, SEZ. V , SENTENZA 3 ottobre 2012 n. 5199 Pres. Baccarini – est. Buricelli.

LA MASSIMA

Non sussiste alcun obbligo per l’Amministrazione di pronunciarsi su un’istanza volta a ottenere un provvedimento in via di autotutela, non essendo coercibile dall’esterno l’attivazione del procedimento di riesame della legittimità dell’atto amministrativo mediante l’istituto del silenzio-rifiuto e lo strumento di tutela offerto (oggi dall’art. 117 c. p. a.). Il potere di autotutela si esercita discrezionalmente d’ufficio, essendo rimesso alla più ampia valutazione di merito dell’Amministrazione, e non su istanza di parte e, pertanto, sulle eventuali istanze di parte, aventi valore di mera sollecitazione, non vi è alcun obbligo giuridico di provvedere.

 

IL TESTO

(omissis)

FATTO e DIRITTO

FATTO e DIRITTO

1.- Con ricorso proposto avanti al TAR Puglia –Bari nel 2011 Itel Telecomunicazioni s.r.l. (di seguito Itel), premesso:

-di operare nel campo della produzione –a mezzo di un’apparecchiatura denominata “ciclotrone”- di radiofarmaci, necessari per l’espletamento di indagini neurologiche, oncologiche e cardiologiche, attraverso apparecchiature denominate PET;

-di avere ottenuto, dal Ministero per lo sviluppo economico e dall’AIFA, tutte le autorizzazioni necessarie per la produzione, l’impiego e la commercializzazione del radiofarmaco;

-di avere avviato la propria officina radiofarmaceutica in Ruvo di Puglia avvalendosi soltanto di risorse proprie e di capitali concessi a mutuo da parte di istituti bancari;

-che a seguito di un “iter” procedimentale iniziato con un avviso pubblico nel 2005 la Regione Puglia, nell’ambito del POR Puglia 2000-2006 -Programmi Integrati di Agevolazioni -PIT n. 9 –Territorio Salentino *******, con determinazione dirigenziale del Settore Industria -Industria Energetica n. 1098 del 22.10.2007 ha concesso in via provvisoria al Consorzio Radion –che nel 2006 aveva presentato domanda di attribuzione delle agevolazioni rientranti nei PIT n. 9- un finanziamento a fondo perduto di € 4.618.640,00;

-che la somma suindicata non è mai stata ricevuta dal Consorzio Radion ma è stata ripartita, in gran parte a favore della società ******* (nella misura di circa € 4.125.000), e in parti assai più esigue alle società ISE, ***** e Realtà Virtuale;

-che avverso la concessione del finanziamento in via provvisoria a Sparkle, nel 2008 Itel ha proposto ricorso avanti al TAR Puglia – Lecce, ricorso che è stato deciso con la sentenza n. 1098 del 2010 dichiarativa, per quanto qui più rileva, della irricevibilità per tardività della impugnazione dei provvedimenti, relativi ai finanziamenti, indicati alle lettere c) e d) dell’epigrafe della sentenza n. 1098 medesima, alla quale ha fatto seguito l’appello di Itel innanzi alla quinta sezione del Consiglio di Stato (RGR 7989/10, tuttora pendente);

-che dopo l’ammissione del Consorzio Radion al finanziamento provvisorio a carico del POR Puglia 2000 -2006 si sono verificati i presupposti per la dichiarazione di decadenza e/o per la revoca del finanziamento provvisorio da parte degli enti competenti, nonché per il diniego di finanziamento in via definitiva e per il recupero delle somme già versate;

-che nel frattempo, con i Fondi ricevuti dalla Regione Puglia, la società Sparkle ha realizzato una propria ************************** nel Comune di Casarano intraprendendo, grazie ai suddetti finanziamenti, una attività di produzione di radiofarmaci in concorrenza diretta con Itel;

-di avere quindi, nel maggio del 2011, notificato alla Regione Puglia, la diffida e messa in mora meglio in epigrafe precisata;

tutto ciò premesso Itel ha impugnato, dinanzi al TAR di Bari, ai sensi degli articoli 31 e 117 c. p. a., il silenzio mantenuto dall’Amministrazione regionale sulla diffida anzidetta.

2.- Con la sentenza in epigrafe il TAR Puglia –Bari ha giudicato inammissibile il ricorso per carenza di legittimazione attiva in capo a Itel.

3.- Appella Itel rilevando, in rito, la sussistenza della propria legittimazione ad agire e ritenendo esistenti, nel merito, i presupposti per il diniego di concessione definitiva delle agevolazioni e/o per la revoca e/o la decadenza del finanziamento erogato alla scarl Radion. In particolare, ad avviso dell’appellante, la sentenza non considera che Itel è un soggetto terzo qualificato, concorrente sul medesimo mercato del radiofarmaco e nel medesimo territorio per il quale è stato concesso il finanziamento; che sussiste un obbligo di provvedere sulla istanza secondo regole di ragionevolezza, buona fede e giustizia sostanziale; che l’interesse a presentare l’istanza/diffida di revoca, sulla quale la Regione ha l’obbligo di pronunciarsi in maniera esplicita, sussiste e, oltre a essere differenziato rispetto a quello della collettività, è specifico, concreto e attuale; che Itel vanta una aspettativa qualificata a una pronuncia esplicita; che la legittimazione riconosciuta dal Tar Lecce con la sentenza n. 1098/10 riguarda il medesimo procedimento di erogazione del finanziamento in questione.

Resistono la Regione e la società Sparkle.

4.- L’appello è infondato e va respinto.

Osta infatti all’accoglimento del gravame –sotto il profilo della insussistenza, in capo all’appellante, di una posizione soggettiva qualificata e differenziata, tale da legittimare Itel a presentare una istanza/diffida di revoca e/o di dichiarazione di decadenza dei finanziamenti concessi in via provvisoria alle società beneficiarie in epigrafe indicate, sulla quale la Regione abbia l’obbligo di provvedere in modo esplicito- non solo la estraneità di Itel rispetto al rapporto intercorrente tra l’Amministrazione e i soggetti beneficiari dei finanziamenti, ma anche il fatto che Itel, pur avendone i requisiti, ha deciso di non partecipare alla procedura “PIT 9” diretta alla concessione dei finanziamenti in questione, non bastando la qualità di concorrente nel medesimo mercato del radiofarmaco e nel medesimo contesto territoriale perché possa ritenersi radicata, in capo alla società, una posizione legittimante, specifica e concreta, tale da porre l’Amministrazione nella condizione di essere obbligata a pronunciarsi in maniera esplicita su una richiesta rivolta a conseguire un intervento in autotutela. Viene in rilievo una posizione simile a quella di un soggetto che, pur potendo essere considerato, in astratto, come “soggetto qualificato”, per non avere partecipato alla procedura di interesse non può utilmente proporre ricorso giurisdizionale avverso gli atti e gli esiti della procedura in questione “per carenza di interesse” (v. , “ex plurimis”, Cons. St. , V, n. 102 del 2009).

In questa peculiare situazione va ribadita la insussistenza, in capo alla Regione, di un obbligo giuridico di pronunciarsi in maniera esplicita su una “diffida –messa in mora” diretta essenzialmente a ottenere provvedimenti in autotutela, essendo l’attività connessa all’esercizio dell’autotutela (che nella specie dovrebbe concretarsi nel riesame di legittimità di atti e di provvedimenti ai fini della revoca e/o della dichiarazione di decadenza dei finanziamenti già concessi, sia pure in via provvisoria, a Radion) espressione di ampia discrezionalità e, come tale, incoercibile dall’esterno.

Sulla non percorribilità della procedura del silenzio –rifiuto con riferimento a domande dirette a sollecitare l’esercizio del potere di autotutela, è principio giurisprudenziale consolidato –al quale anche questo collegio aderisce- quello per cui “non sussiste alcun obbligo per l’Amministrazione di pronunciarsi su un’istanza volta a ottenere un provvedimento in via di autotutela, non essendo coercibile dall’esterno l’attivazione del procedimento di riesame della legittimità dell’atto amministrativo mediante l’istituto del silenzio-rifiuto e lo strumento di tutela offerto (oggi dall’art. 117 c. p. a.) ; infatti, il potere di autotutela si esercita discrezionalmente d’ufficio, essendo rimesso alla più ampia valutazione di merito dell’Amministrazione, e non su istanza di parte e, pertanto, sulle eventuali istanze di parte, aventi valore di mera sollecitazione, non vi è alcun obbligo giuridico di provvedere (v. , di recente, Cons. St. , VI, n. 4308 del 2010, ivi rif. , e sez. V n. 6995 del 2011).

In questa prospettiva non pare inutile aggiungere che:

-lo stesso art. 21 nonies della l. n. 241 del 1990, nell’affermare che il provvedimento amministrativo illegittimo può essere annullato d’ufficio sussistendone le ragioni di interesse pubblico rimette la scelta sull’annullamento a un apprezzamento di natura preventiva affidato alla P. A. ;

-opinare diversamente rispetto a quanto si è detto sopra, ossia seguire la tesi secondo la quale, in presenza di una istanza diretta a sollecitare l’esercizio della potestà di autotutela, l’Amministrazione è obbligata a una pronuncia esplicita sulla istanza medesima, attraverso l’utilizzo dell’istituto del silenzio –rifiuto e dello strumento processuale di cui agli articoli 31 e 117 c. p. a. vorrebbe dire neutralizzare, in pratica, la condizione di inoppugnabilità del provvedimento amministrativo (nella specie, concessivo di finanziamenti a imprese concorrenti) che non sia stato contestato nei modi ed entro i termini di legge, vanificando in questo modo una garanzia di certezza dei rapporti giuridici che vedono coinvolta una P. A. (certezza che è essa stessa un bene irrinunciabile posto a tutela anche dei cittadini), e avvilendo lo stesso principio di economicità dell’ azione amministrativa, che verrebbe posto nel nulla ove si imponesse, a semplice richiesta dell’ interessato, l’ obbligo di riesame di provvedimenti restati inoppugnati.

Condivisibilmente la difesa di Sparkle segnala come l’istanza di Itel altro non sia che un inammissibile tentativo di eludere la decadenza dei termini per impugnare i provvedimenti di concessione a terzi di finanziamenti asseritamente distorsivi della concorrenza.

Si consideri inoltre che –come è stato messo in luce nella sentenza appellata- Itel ha già impugnato dinanzi al TAR i provvedimenti regionali di concessione di finanziamenti alle società in epigrafe ma il TAR Lecce, con la citata sentenza n. 1098 del 2010, appellata con ric. n. R. G. 7898/10, pendente, ha dichiarato il ricorso “in parte qua” irricevibile per tardività, cosicché, come correttamente osserva la difesa regionale, il giudice amministrativo è già stato chiamato a pronunciarsi sulla legittimità della concessione del finanziamento, con la conseguenza che Itel non può pretendere dalla Regione –e la Regione non può ritenersi obbligata a eseguire- un nuovo riesame del procedimento e del provvedimento adottato. Quasi inutile precisare che l’orientamento giurisprudenziale sopra ricordato sulla insussistenza dell’obbligo della P. A. di pronunciarsi in modo esplicito su una istanza del privato diretta a ottenere un provvedimento in via di autotutela si applica non solo nei casi di riesame di atti divenuti inoppugnabili per l’inutile decorso del termine di decadenza, ma anche quando l’istanza rivolta all’esercizio del potere di autotutela ha a oggetto un precedente provvedimento già impugnato davanti al giudice, e “sub judice” al momento della istanza.

Infine, come rilevato dal TAR, “la legittimazione riconosciuta (dal TAR di Lecce con la sentenza n. 1098/10) nulla ha a che vedere con la vicenda in esame, che attiene invece essenzialmente alla sussistenza o meno di un obbligo di riscontro da parte della Pubblica Amministrazione in relazione ad una istanza diffida”.

Per tutte le suesposte considerazioni l’appello va respinto, non senza avere aggiunto però che la circostanza che Itel abbia chiesto alla Regione, contestualmente alla revoca/decadenza del finanziamento provvisorio, la conclusione del procedimento previsto dalla normativa, statale e regionale, che disciplina l’erogazione dei finanziamenti in questione, non sposta i termini del problema circa ipotetici inadempimenti della Regione che possano essere fatti valere nell’ambito di un giudizio diretto contro l’inerzia, tenuto conto che dall’esame della “diffida e messa in mora” emerge con evidenza:

-che Itel ha preso le mosse dalla già avvenuta erogazione di finanziamenti a Radion (e difatti l’art. 10 del regolamento reg. n. 11 del 2005 prevede la erogazione di quote in seguito alla concessione di contributi anche solo in via provvisoria), e

-che la richiesta di revoca e/o di decadenza (in una parola, l’istanza di intervento in autotutela) acquista nel contesto una valenza assolutamente centrale.

La sentenza impugnata va pertanto confermata.

Tuttavia, nella peculiarità della controversia il collegio ravvisa, in base al combinato disposto di cui agli articoli 26, comma 1, c. p. a. e 92, comma 2, c. p. c. , eccezionali ragioni per l’integrale compensazione delle spese di lite tra le parti.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quinta), definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, lo respinge e, per l’effetto, conferma la sentenza impugnata.

Spese compensate.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

 

1 Cfr. C.d.S. Sez. IV, n. 2318/2007.

2 Cons. St. , VI, n. 4308 del 2010; Sez. V n. 6995 del 2011.

3 (Cons. St. , VI, n. 4308 del 2010, ivi rif. , e sez. V n. 6995 del 2011).

Cipriano Leonardo

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