L’ Io normativo

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Si parla di agire eterotropico (Conte) sia nell’ipotesi di agire degli atti sociali che nell’agire delle intenzioni e delle azioni collettive, questi due aspetti distinti evidenziano l’esistenza del ruolo svolto dall’individuo e della direzione dell’intenzione, le intenzioni e azioni collettive sono partecipate e condivise in modo paritetico dagli agenti soggettivi e pertanto devono essere percepiti e condivisi necessariamente mediante atti linguistici costitutivi, a differenza degli atti sociali in cui vi è la controparte, a sua volta la direzione intenzionale nelle azioni collettive necessita della fiducia nella cooperazione all’azione comune, mentre negli atti sociali persiste una intenzionalità a doppio raggio verso la controparte e verso l’oggetto a cui le parti si riferiscono con l’intenzionalità, l’oggetto diventa il fine di cui la controparte è un mezzo (De Vecchi).

Se gli atti sociali o le intenzioni collettive ci impegnano normativamente o più semplicemente moralmente nel compiere una determinata azione, questo non vuol dire che tale azione sarà compiuta in quanto i motivi per cui ci si è “obbligati” possono non corrispondere ai nostri desideri ecco intervenire la possibilità di scelta, il libero arbitrio quale espressione di quella “lacuna causale” posta nello svolgersi dell’agire sociale.

Vi è un acceso dibattito tra la concezione universalistica del linguaggio e del pensiero e l’ipotesi di un pensiero plasmato da parte delle varie lingue umane, recenti prove sembrano confermare che le dimensioni fondamentali esperenziali dello spazio, tempo, causalità e rapporti sociali variano con il variare del costrutto linguistico, questo permette di inventare e riorganizzare il mondo secondo obiettivi, adattandosi al mutare dell’ambiente, la lingua viene quindi a costituire l’armamentario cognitivo di una determinata Cultura che permette di percepire, categorizzare e fornire significato agli accadimenti del mondo (Boroditsky).

Per i biologi l’idea di un “contratto sociale” originario è quanto di più sbagliato possa esservi, l’ipotesi avanzata è quella di una “economia comportamentale” fondata su una miscela di cooperazione e competizione come si riscontra nella società, il contratto sociale quale costituzione o insieme di regole fondante una società è successivo all’originaria spinta comportamentale, tanto che Trives ha formulato in termini evoluzionistici moderni la “Teoria dell’altruismo reciproco” in cui la “reciprocità” base di un comportamento cooperativo utile divide il mondo tra “amici” e “non amici” in un rapporto tra favori concessi e sincerità, se questo è vero nel mondo dei primati altrettanto accade nel comportamento umano dove, al fine di semplificare la complessa contabilità sociale, ci si concentra a conservare la memoria dei favori scambiati con estranei e terzi piuttosto che in famiglia o con gli amici più stretti, dove dovrebbe prevalere la fiducia e la necessità di rinsaldare la collaborazione con ricompense collettive (de Waal).

La scarsità di risorse crea un “mercato biologico” con il suo potere distributivo nel quale si pongono le posizioni morali che vengono a variare tra giudizi teorici astratti e risposte emotive concrete a seconda dell’urgenza della risposta, infatti eventi con prospettive lontane favoriscono la riflessione teorica mentre l’urgenza di eventi incombenti attivano processi emotivi veloci di risposta, specularmente in questo conflitto si avrà che nella prima ipotesi la posizione morale rimane rigida nella seconda interviene un relativismo maggiore, è quindi l’esperienza che aumenta la probabilità di risposte morali relative in un rapporto tra altre possibili esperienze (Knobe).

Pertanto è il rapporto tra la prospettiva dell’analisi teorica con l’urgenza e la conseguente esperienza dell’urgenza degli eventi che forma la possibile morale, in questo interviene l’analisi cognitiva individuale, ossia il carattere dell’individuo così come si è formato, la cultura sociale che esercita la pressione esterna, nonché la neurobiologia quale la ricerca di una gratificazione che accompagna il piacere inconscio e la sua rappresentazione cosciente necessaria alla sopravvivenza dell’essere, una gratificazione che si estende dai bisogni materiali alla comunicazione sociale secondo scale di valori con livelli personali (Kringelbach-Berridge).

Solo nel gruppo l’individuo può comunque spogliarsi delle norme generali aderendo a norme situazionali, vi è quindi la possibilità di modificare la propria azione secondo etiche collettive momentanee, emerge la vera profondità della cognizione etica dell’individuo a seguito del conformarsi a un sé collettivo e delle relative norme quali proiezioni del contesto sociale e storico in cui opera il gruppo, che solo può fornire al comportamento collettivo del gruppo stesso il senso e lo scopo “Teoria dell’identità sociale”, ma l’identificazione può essere anche solo periodica con la necessità di contemperare l’etica derivante dall’identità del gruppo con l’etica individuale nel contesto sociale (Simon).

Le esigenze della comunità nella loro evoluzione storico tecnologica determinano nel tempo dei salti di soglia con il sorgere di nuove esigenze e il conseguente rimodularsi dell’etica individuale che viene a riflettersi anche in un’estetica collettiva tesa tra simmetria e asimmetria, figurativo e astratto, dobbiamo considerare che il piacere estetico è legato al piacere dell’esplorazione ma anche alla nostra visione del mondo, il sentimento estetico viene a sovrapporsi ad altri aspetti del vissuto emotivo, è una sorta di “metaemozione” che crea un valore il quale impronterà il vissuto dell’individuo esprimendolo anche in termini etici nella commozione e nella tensione creativa dell’espansione dell’essere, fino a definirne l’identità sociale (Paàl-Zeki).

L’etica definisce quindi sia il rapporto con se stessi che la percezione sociale del contesto in questo interviene lo schema che l’individuo realizza quale connessione tra concetti, esso è funzione delle esperienze concrete (oggettive), dell’ambiente socio-culturale (schemi culturali) e delle istanze emotive e motivazionali (schemi soggettivi), gli schemi permettono di dare significato e quindi interpretare quello che viene percepito dando una rappresentazione della conoscenza in continuità e orientamento (Bartlett), si hanno pertanto elementi etici che attraverso i concetti si trasformano in schemi con contenuto etico, gli schemi possono essere vari a seconda dei contesti quello che li collega fra loro è la visione etica posseduta dal soggetto.

L’interazione e la comunicazione quotidiana forniscono i dati cognitivi necessari alla percezione e all’organizzazione del reale secondo bisogni, desideri, regole sociali e fattori culturali del soggetto oltre che al contesto in cui avviene l’interazione, i fattori personali modificano la percezione delle informazioni, l’uso della logica e della memoria configurando il modo di giudicare, valutare e affrontare gli eventi, l’etica creata dal contesto si riflette in essa adattandosi nell’influenzarlo, la cognizione è quindi una ricostruzione della realtà che dipende dal confluire di schemi, concetti, bisogni e scopi interni in cui si manifestano inconscio e suggestioni in cui vi è una modulazione dell’etica quale attrattore (Moscovici), fino a divenire normazione interna dell’agire.

La rappresentazione sociale è il principale organizzatore del contenuto del pensiero soggettivo, essa aiuta l’individuo a controllare ed attribuire un significato al mondo, facilitando al contempo la comunicazione, questa tuttavia incontra difficoltà nel preciso momento in cui vi sono rappresentazioni etiche differenti, ma la natura convenzionale che si ha del mondo sociale si può risolvere in illusioni e stereotipi, ecco che la conoscenza concettuale viene a radicarsi in una conoscenza empirica che garantisce la possibilità di creare nuovi concetti (Dellantonio) e per tale via una certa flessibilità etica in rapporto al contesto, senza che questo faccia cessare la necessità etica e il suo dover affondare le radici nella natura biologica umana.

Tra linguaggio e pensiero vi è una reciproca influenza, esso esprime l’etica del soggetto in relazione con gli altri come d’altronde influenza la formazione della stessa etica, come nell’ipotesi di un linguaggio edonista che nel suo manifestarsi fa intravvedere l’impossibilità del saldarsi delle etiche individuali in una etica pubblica, i vincoli che l’etica manifesta nel singolo si trasformano in vincoli organizzativi per l’intero sistema se aderente alla cultura del sistema, si creano processi teleodinamici che nel generare modelli conformano la causalità dell’ambiente con valutazioni normative che da soggettive vengono oggettivate mediante processi formali (Deacon), l’etica una volta formata può essere sia adattamento all’ambiente che motore di un cambiamento di stato una volta intercettate le “esigenze” sociali del contesto.

La posizione etica viene a rapportarsi in ciascun individuo con la legge della percezione selettiva per cui nella comunicazione di massa vi è una selezione dell’informazione per esperienza, cultura e aggiungerei etica, ma “cumulazione” e “consonanza” può portare ad una “neutralizzazione della selettività” in mancanza di una opinione preesistente e quindi anche di un’etica, ancor più necessaria in presenza del sempre possibile isolamento ambientale a seguito della mancanza di conformazione secondo un processo di riallineamento con dinamica a spirale, che induce il singolo a forzare la propria etica non scegliendo un’opinione ma con chi stare (spirale del silenzio –Neumann ).

Emerge pertanto un possibile concetto di “giustizia” che, partendo dalla reciprocità come eguaglianza, raccoglie in sé le necessità morali della “libertà” Kantiana come moderna liberazione sia dalle necessità che delle potenzialità dell’essere, in quanto tali identificabili nella classica “utilità” degli antichi diretta socialmente oltre che alla semplice conservazione della pace e dell’ordine (Hume-Hobbes), anche alla necessaria crescita sociale ed economica in sistemi altamente complessi, in questo la variabilità etica ha necessità di rispondere a una conformità normativa interna al fine di non sciogliersi nel tentativo di conseguire l’efficienza (Abbagnano).

Osserva Harbemes che da almeno due secoli vi è una crescente deregulation etica con un proliferare non coordinato ma conflittuale di fonti normative, si dissolve in tal modo la consuetudine quale base etica, con la necessità per Rawls di rinnovare la tradizione contrattualistica al fine di unificare la frammentarietà esperienziale ricorrendo a modelli trascendentali kantiani, la commensurabilità della giustizia viene elaborata mediante accordi razionali in cui vi è la necessità di una gerarchia di valori connessi intrinsecamente alla dignità della persona quale “bene primario” natura non negoziabile.

La libertà è quindi il bene costituente su cui si deve distribuire la giustizia al fine di contenere le disuguaglianze entro aspetti fisiologici ineliminabili in natura e quindi nelle stesse forme sociali, questa contemperanza permette di mantenere la flessibilità nella coesione rispondendo alle necessità morali di ciascun individuo (Bodei).

Dott. Sabetta Sergio Benedetto

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