L’io nell’etica politica

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Vi è nell’uomo la necessità del riconoscimento sociale del proprio Io, questo si è trasformato negli ultimi decenni nel paradigma del riconoscimento dando vita a una pluralità di rivendicazioni che hanno plasmato quello che Fraser definisce come un “nuovo immaginario sociale”, si sono pertanto innescate una serie di politiche del riconoscimento (Taylor) che dal rispetto morale e giuridico di particolari specificità culturali si sono trasformate nella richiesta di diritti speciali e discriminazioni favorevoli al gruppo, ma anche all’interno di ciascun gruppo possono sorgere conflitti tra individuo e il gruppo stesso, l’individuo rivendica propri specifici diritti sentendosi oppresso dalla comunità specifica in cui è inserito, vi sono pertanto vari livelli di rivendicazione, in cui il riconoscimento individuale è qualcosa di differente e più dinamico dell’identità statica (Testa).

Si ha attraverso il riconoscimento individuale il tentativo di superare la frammentarietà che il riconoscimento delle identità viene a indurre sul tessuto sociale con la sempre possibile nascita di nuove fratture, il diritto viene quindi a ricomporsi in una unitarietà Culturale nel quale vi è un riconoscimento reciproco il cui legame sociale è base per il potere e la sua legittimazione, vi è un processo strutturato di attese e pretese intersoggettive che vengono a validare attraverso il riconoscimento reciproco il potere costituito (Haberman), questo tuttavia innesca possibili conflitti secondo il paradigma Hegeliano di una “lotta per il riconoscimento”, senza che peraltro questi conflitti, se circoscritti, vengano a degenerare in una destrutturazione essendo riassorbiti.

Honneth lega il riconoscimento alle attese di amore, rispetto e stima sociale in cui la lotta nasce dalla negatività dello “spregio”, inducendo alla possibile nascita di nuovi modelli sociali, dobbiamo considerare che la comprensione degli altri è possibile mediante il ricorso a categorie sociali che ci permettono la distinzione mediante tratti peculiari, i rapporti tra queste categorie ha dato luogo a un dibattito sulla loro organizzazione tra chi pone al centro in termini di esperienza alcune sensazioni forti derivanti dalla percezione e chi, al contrario, si riferisce al concetto di schema cognitivo e quindi al ruolo dei processi cognitivi nel superare la semplice informazione come griglia interpretativa precedente all’esperienza, in questa immagine l’etica è lo schema individuale su cui si cataloga l’informazione ma anche l’impulso sociale su cui si plasma l’Io, vi è pertanto sia una semplificazione dei rapporti sia, al contempo un possibile irrigidimento interpretativo, una stabilizzazione ma anche una possibile induzione alla crisi strutturale.

Secondo Fiscke e Neuberg ad una prima categorizzazione vi è una successiva utilizzazione degli stereotipi, ma sono gli scopi che influenzano l’elaborazione dell’informazione motivandola intrecciandosi strettamente con i valori etici, vi è sempre il rischio pertanto di una manipolazione dei valori che portano alla manipolazione del giudizio finale, in questo l’uso del linguaggio è fondamentale nell’acquisizione della conoscenza sociale, la scelta delle parole, gli aggettivi, i gesti modificano l’interpretazione del medesimo evento fino a rafforzare e mantenere possibili favoritismi di gruppo indipendentemente da qualsiasi giudizio negativo a livello cognitivo con un semplice “bias linguistico intergruppo”, nel quale i propri comportamenti positivi assumono aspetti più astratti rispetto agli altri gruppi.

I giudizi preformati sono una parte essenziale ai fini euristici della memoria sociale,  solo sui giudizi non preformati vi è una funzione correlata alla memoria rievocativa, da cui Schwarz ne deduce che i giudizi riflettono la facoltà di rievocazione, legata a sua volta al filtro etico, piuttosto che un suo esito quantitativo, è quindi essenziale la facilità di immaginare e simulare mentalmente gli eventi e i risultati possibili secondo un rapporto tra scopi ed etica.

Il riconoscimento su cui si è insistito da parte della dottrina ha due valenze, sia simbolica che economica, le quali, come riconosce Honneth, sono strettamente inestricabili, in quest’ambito si è acceso un dibattito etico-politico sui “beni relazionali”, ossia su quei beni che possono essere usufruiti solo in quanto condivisi quali, stima  e rispetto (Nussbaum), considerata la loro importanza per lo sviluppo delle capacità umane si pone il problema della loro condivisione, anche se alcuni autori post-strutturalisti, sulla scia di Althusser, ne reclamano il carattere ideologico di assoggettamento alle strutture del dominio, tuttavia non può negarsi, sebbene manipolabili, la necessità di tali “beni relazionali” se non si vuole ottenere una “alienazione” (Butler).

Il progresso tecnologico e in particolare della genetica e delle neuroscienze pone una serie di problemi etici e politico-normativi sulla legittimazione delle attese individuali, che si sono risolte in riflessioni sulle politiche della cura strettamente collegate ad un ripensamento del welfare nel suo insieme (Nussbaum), i costi crescenti della tecnologia medica si sono intrecciati con i diritti individuali di una popolazione in fase di invecchiamento e le richieste di riconoscimento di sempre diversi gruppi e realtà.

Le contraddizioni di sostenibilità economica, sociale ed ecologica così emerse hanno indotto a formulare diverse proposte con riflessi etici, da approcci neoliberisti in cui l’allocazione delle risorse avviene tramite il mercato e secondo preferenze individuali a modelli nei quali si propone di correggere eticamente i dislivelli tenendo comunque distinti cura e giustizia, in modo da ottenere una sostenibilità democratica temperata del welfare (Held, Tronto) in un equilibrio tra economia, sociologia ed etica individuale, in cui l’allungamento dell’esistenza e delle cure non si trasformi in un congelamento della capacità creativa dell’essere premessa per una crisi implosiva del sistema sociale.

La naturalizzazione che il progresso medico induce sulle questioni normative di legittimità e giustizia, sembrano opporsi alla concezione foucaultiana della giustizia come espressione di potere derivante dal risultato di lotte sociali e appare in realtà possibile che su una preesistente naturalizzazione si innestino le espressioni di potere derivanti dalle lotte sociali che vengono a conformare un concetto storico di giustizia ( Binmore, Foucault), si ottiene mediante la bio-tecnologia quello che Foucault definisce come una “governabilità della vita” che nella sua uni direzionalità viene a sostituire in una apparente normalità penetrativa quello che originariamente era solo uno “scopo” della politica.

Si crea inavvertitamente una stretta connessione tra biotecnologia e scopi individuali, in un progressivo spostamento in avanti dei limiti nei quali emerge progressivamente la rilevanza del potere di governabilità, si ha pertanto uno spostamento dalle relazioni con gli altri al singolo individuo con la conseguente rimodulazione etica dell’Io, questo ha riflessi sui limiti che comunque naturalmente sorgono sulla giustizia di opportunità (Rawly), ossia sull’impossibilità di una rivendicazione astratta dai parametri economici e sociali di sostenibilità, considerando l’elasticità del concetto di opportunità e degli elementi costituenti.

Interviene la necessità etica della responsabilità individuale nella scelta e allocazione delle risorse, ma questo è anche il risultato di una Cultura e quindi di un contesto sociale, circostanza che non può tuttavia esimersi dall’adozione del concetto di responsabilità quale criterio per favorire una distribuzione  razionale e quindi sostenibile delle risorse disponibili senza negare per questo un rapporto di giustizia sociale nell’ambito del welfare, anche considerando la necessità della sostenibilità intergenerazionale in cui le scelte avvengono in funzione del tempo, ossia dalla distanza temporale dalla fonte della scelta non potendo basarsi su un concetto di reciprocità (Meyer).

Dott. Sabetta Sergio Benedetto

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