L’individuo quale essere nel tempo ermeneutico

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“La finitudine una volta afferrata, sottrae l’esistenza alla molteplicità caotica delle possibilità che si offrono immediatamente  (i comandi, le frivolezze e le superficialità) e porta l’Esserci in cospetto della nudità del suo destino”

( Heidegger, Essere e tempo)

 

In un tempo lineare

Vi è nell’individuo l’esistenza di una simulazione incarnata delle altrui azioni nel sovrapporsi tra l’io e il tu in cui l’osservare è il vivere l’esistenza (de Waal, Gallese), il tempo è un eterno ritorno uno scorrere senza inizio né fine, nella sua circolarità l’esistenza si perde nel congiungersi tra il nulla e l’infinito ove la temporalità del proprio essere emerge nel riscontro dell’altro.

Nel rispecchiarsi delle altrui esperienze frutto della nostra socialità definiamo tecnica e tempo, la circolarità nel suo estendersi diventa linearità nel nostro orizzonte degli eventi, la tecnica stessa ci impone la misurazione di un tempo potenzialmente infinito ma di fatto determinato, frazionato, tutto diventa misurabile dall’economia ai rapporti sociali, lo stesso diritto si trasforma di fatto in una misurazione economica e temporale dei rapporti nella volontà di appropriarsi dello scorrere dell’esistenza.

Veniamo calati in un tempo da noi stessi creato, imposto dal dovere relazionarci nella ricerca di beni e servizi, sicurezza e supporto, nel dover creare e difenderci al contempo, la cooperazione avanzata di cui parla Cosmides permette l’adattamento dell’individuo alla collettività e la collettività all’ambiente di cui l’universo normativo ne diventa strumento (Fernandez), vi è una dimensione sociale di reciprocità che assorbe totalmente l’individuo impedendone l’uscita (Jones, Goldsmith), l’essere per tale via viene calato nel tempo del proprio esistere, egli deve creare e nel creare trova il senso del proprio permanere, la possibilità di rimanere agganciato alla fisicità con tutte le sue potenzialità e limitatezze.

Il creare contiene in sé la potenzialità di una probabilità non la certezza, in questo vi è il piacere e l’ansia del rischio che il vivere nel tempo comporta, ma anche il vantaggio adattivo proprio di una adattamento selettivo normativo al mondo (Fernandez), nella circolarità temporale è implicito un eterno ritorno, la necessità dell’accumulo nella prevedibilità del ripetersi degli eventi dove prevale il consolidarsi della consuetudine, nel tempo lineare la consuetudine evapora sostituita dalla volontà creatrice dell’onnipotenza legislativa, società come nelle scienze tecniche diviene materia da plasmare e trasformare secondo  precisi disegni; si passa dallo studio e mantenimento dell’esistere alle potenzialità dell’ideale nella necessità, vi è il desiderio di un accumulo infinito a cui tuttavia si contrappone il carpe diem che  nasce dalle vertigini del vuoto, dalla delusione del desiderio bulimico dell’essere nell’esistere.

La radicalità dell’interloquire, del rapportarsi con l’altro lega al momento, al presente nella retta del tempo, al suo rappresentarsi giuridicamente, solo nel momento della rottura, dello spezzarsi dei legami si ha la proiezione temporale verso passati e futuri non economicamente definibili, dove i principi acquistano valenze metafisiche con nuove rappresentazioni del mondo e costituzioni di senso in una diversa soggettività.

La negazione della circolarità del tempo isola l’individuo sulla retta del tempo, crea l’ostacolo della mediazione giuridica alla realizzazione dell’incontro impedendo al singolo di essere dentro la relazione, di acquisirne il senso profondo (Buber), è la circolarità che crea la realtà dell’esistere il suo rotolare sugli assi del tempo e dello spazio crea la storia, la tensione creativa si pone quindi fra questi due termini, la norma codifica quello che è già passato, plasma un divenire che è interpretazione e nell’interpretare pone già le basi per la sua negazione in cui la riuscita è sempre e solo parziale.

 

L’ermeneutica nella comunicazione giuridica moderna

Il principio fondamentale da cui parte Schleiermarcher è un rapporto di reciprocità tra le parti e il tutto del testo fondato sul libero esame, il circolo ermeneutico quale principio base a cui associare quale ulteriore principio l’intuizione necessaria a penetrare la nascita del testo, che Jaspers definisce n termini di assimilazione e che Dilthey allarga al complesso dell’insieme sociale che ne ha permesso la formazione, si collega all’altro principio del parricidio dove non vi è un soggetto parlante verso altri soggetti, bensì diversi cogiti pensanti e dialoganti, se l’obiettività è data dalle comuni regole linguistiche vi è comunque una soggettività nella generazione del pensiero in funzione della vita spirituale individuale.

La concezione diltheyana distingue tra organizzazioni della società fondata su costrizioni e sistemi culturali in cui l’individuo viene a trovarsi aderendone  naturalmente, con una accettazione sostanzialmente libera che presuppone la possibilità di esprimere una scelta, si ha quindi la coscienza storica della finitezza di ogni sapere, nella vita psichica può esservi solo una comprensione in antitesi alla spiegazione propria della natura fisica, dove il soggetto percepisce dall’esterno l’oggetto, la comprensione di ogni individuo è storicamente condizionata dal legame con luogo e ambiente in un condizionamento reciproco nella ricerca dell’intendere e comprendere, vi è una interrelazione continua dei singoli individui che si esplica in una “connessione dinamica” fino a diventarne l’autocentralità (Dilthey), costituendone valore, scopo e significato.

L’individuo esiste in quanto relazione, nella relazione sociale assume ruoli e significato, in essa dà senso al proprio esistere, difficilmente può trovare solo in se stesso il significato dell’esistere quale essere completo, o vi è una alienazione o un lungo affinamento spirituale, in questo vi è quella familiarità storica costitutiva, frutto di una stessa tradizione che permette un’interpretazione generale storicizzata di cui parla Gadamer dove l’idea dello stesso pregiudizio acquista un proprio valore necessario e naturale.

Il mio “orizzonte” viene a fondersi con gli altri “orizzonti” in un processo interminabile e sempre provvisorio, storia e tradizione letti attraverso l’esperienza sono pertanto alla base dell’interpretazione,dove l’ontologia della nostra storia risede nel linguaggio quale mezzo generatore di senso nella lettura del mondo e delle sue regole.

Se nell’ermeneutica classica vi è il solo testo con i suoi riferimenti in Ricoeur emerge l’esistenza con tutte le problematiche dell’io, l’unico elemento che congiunge i due poli è lo scorrere del tempo che rende omogenei gli estremi, ma l’interpretazione non è che un continuo ricostruire tra il fondo oscuro della coscienza e la storicità dell’essere espressione degli eventi e della cultura del suo tempo, dove ad un passato perso nella nebbia si contrappone un futuro probabile ma non anticipabile, in cui vive il carattere interpretativo di ogni relazione umana (Pareyson) con la conseguente necessità dell’infinita interpretazione della verità.

Essendo la verità una compenetrazione di verità la libertà dell’individuo nell’esplicarsi nella sua personalità può diventare minaccia all’interpretazione stessa, negazione alla possibile valutazione, in questo la libertà traligna nell’errore, spezzando il legame tra essere e individuo (Pareyson), la norma non è quindi un oggetto del discorso bensì la fonte del discorso, nella ricerca di un pensiero che non sia meramente storico e ideologico ma anche rivelativo della persona nel suo tempo attraverso l’atto.

Vi è pertanto alla base un pensiero dialettico il quale esprima le contraddittorietà dell’individuo nella realtà, non può esservi perciò una esplicitazione completa del sottinteso con lo svuotamento dell’intervallo tra detto e non detto, in quanto mentre l’implicito risiede nella struttura del discorso il sottinteso è nascosto tra le pieghe della parola, nel dialogo infinito tra implicito ed esplicito la parola è sia rivelativa che espressiva, l’universo logico del pensiero sistematico razionale viene a convergere nel pensiero ermeneutico dove l’esperienza è interpretata, in una interpretazione riflessa di una interpretazione reale (Pareyson).

La funzione di accompagnamento che Vattino rivendica all’ermeneutica fa sì che nel linguaggio si vedano non tanto verità certe e date quanto piuttosto modelli culturali da trasmettere, circolazione costante di significati e discorsi che stimolano gli individui ad allargare le prospettive (Rorty), facendo emergere i limiti del linguaggio e il non detto, ossia il mascheramento della retorica che si  allarga sull’insieme della comunicazione umana, mascherata nel giuridico dalla pretesa tecnicità.

Dott. Sabetta Sergio Benedetto

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