L’in house providing incide sulla concorrenza? Dalla nascita all’interpretazione fornita dalla nuova direttiva 24/2014. Brevi riflessioni sull’impatto che l’applicazione di questo sistema di affidamento diretto potrebbe avere sulla concorrenzialità dei me

Redazione 29/02/16
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Le vicende relative al fenomeno dell’in house providing hanno subito, nel corso degli anni, un’evoluzione giurisprudenziale piuttosto complessa.

Per poter comprendere a fondo la portata della questione in oggetto sarà necessario dare conto delle vicende che la coinvolgono, partendo dalla definizione del concetto stesso di in house fino al commento della più recente normativa, di matrice comunitaria, che ne ha delineato la disciplina in modo molto più preciso rispetto al passato.

Ebbene, è sempre comunitaria l’origine dell’espressione stessa “in house providing”: ed invero, questa definizione venne utilizzata nel Libro Bianco sugli appalti già nel lontano 1998; tale locuzione potrebbe essere tradotta con l’espressione italiana di “provvedere con mezzi propri”.

In estrema sintesi, si tratta del fenomeno che viene in considerazione allorquando un’Amministrazione (che necessita della produzione di un bene o  di un servizio) non indice una gara pubblica, né si rivolge al mercato esterno (c.d. outsourcing) per ottenere ciò di cui abbisogna, bensì attinge a mezzi interni all’Amministrazione stessa per raggiungere gli obiettivi prefissati.

Orbene, appare subito evidente che questo sistema costituisca un’anomalia in rapporto alla normale procedura con la quale l’Amministrazione reperisce l’altra parte contrattuale (cioè quella che dovrà occuparsi di fornire all’Amministrazione stessa quanto richiesto).

Come è noto, in via ordinaria, l’A.P. indice una gara pubblica, alla quale possono prendere parte tutti i privati che siano in possesso dei requisiti richiesti dal bando, e seleziona fra  i partecipanti la ditta che appaia più conveniente in rapporto alle garanzie prestate, alla disponibilità dei mezzi da impiegare, al prezzo, etc.

La prima sentenza che portò alla luce i requisiti perché questa forma di affidamento potesse considerarsi legittima fu la c.d. Teckal del 1999, con la quale si stabiliva che la procedura in house era, dunque, da considerarsi ammissibile in presenza di due presupposti fondamentali:

 

1)    il controllo analogo;

2)    l’attività dell’aggiudicatario si svolge già per la maggior parte a favore dell’ente aggiudicante.

 

Il secondo requisito appare di più immediata comprensione: si tratta infatti di operatori economici aggiudicatari i quali prestano le proprie competenze a beneficio dell’ente aggiudicante e non  di soggetti diversi (è ammissibile la prestazione di servizi a soggetti esterni solo se in misura realmente irrilevante).

Per quanto concerne il primo punto, invece, non è così intuitivo stabilire cosa si intenda con l’espressione “controllo analogo”.

In linea generale, questa locuzione sottende il fatto che il contraente aggiudicante eserciti sull’aggiudicatario una serie di poteri e controlli su diversi fronti, egregiamente delineati in un intervento del Consigliere di Stato Roberto Giovagnoli che di seguito si riporta:

 

“- il CDA della società in house non deve avere rilevanti poteri gestionali e l’ente pubblico deve poter esercitare maggiori poteri rispetto a quelli che il diritto societario riconosce alla maggioranza sociale;

 – l’impresa non deve aver acquisito una “vocazione commerciale che rende precario il controllo” da parte dell’ente pubblico (tale vocazione risulterebbe, tra l’altro: dall’ampliamento dell’oggetto sociale; dall’apertura obbligatoria della società, a breve termine, ad altri capitali; dall’espansione territoriale dell’attività della società a tutta l’Italia e all’estero);

 – le decisioni più importanti devono essere sottoposte al vaglio preventivo dell’ente affidante;

 – il controllo analogo si ritiene escluso dalla semplice previsione nello statuto della cedibilità delle quote a privati”.

 

Il Codice, comunque, taceva, in un silenzio interpretativo assordante: non v’era alcuna norma infatti che stabilisse se effettivamente lo strumento dell’in house potesse trovare applicazione, stante la totale assenza di una normativa legittimante.

A questo punto si svilupparono molte e diverse tesi, la più diffusa delle quali tendeva a giustificare l’assenza di un intervento del Codice con il fatto che l’affidamento in house non potesse trovare applicazione in tutte le materie, e specialmente nel caso di appalti pubblici; tesi che trovava appoggio nella decisione della IV sezione del Consiglio di Stato n. 1514 dell’anno 2007.

Nella succitata decisione infatti veniva stabilito il carattere di eccezionalità del sistema di detto affidamento, sancendone quindi l’applicabililtà solo in regime derogatorio.

Da questo assunto, conseguirebbe dunque che il legislatore nazionale può prevedere il modello di affidamento in house, ma in assenza della relativa previsione normativa, deve escludersi l’applicabilità di tale modello di affidamento al settore lavori pubblici e beni culturali.

Non sono mancati comunque pareri in senso contrario, che identificavano invece l’adozione della procedura in questione nell’applicazione del principio di autonomia istituzionale, facendo coincidere cioè il modello dell’affidamento in house con l’applicazione di quel paradigma che vede la P.A. libera di gestire ed organizzare le proprie risorse per conseguire gli scopi prefissati.

Di tutto ciò si è dibattuto, senza peraltro giungere ad una soluzione condivisa, fino all’emanazione della direttiva 24/2014, con la quale il legislatore comunitario è intervenuto per fornire una disciplina unitaria ed egualitaria della materia che qui ci occupa.

Diverse sono le novità introdotte,  concepite in un’ottica di maggiori garanzie per il mercato globale europeo e di massima trasparenza nelle procedure di affidamento della P.A.

Della procedura in house si occupa l’art. 12, che testualmente recita:

 

 

APPALTI PUBBLICI TRA ENTI NELL’AMBITO DEL SETTORE PUBBLICO

  1. 1.     Un appalto pubblico aggiudicato da un’amministrazione aggiudicatrice a una persona giuridica di diritto pubblico o di diritto privato non rientra nell’ambito di applicazione della presente direttiva quando siano soddisfatte tutte le presenti condizioni:

 

a)     l’amministrazione aggiudicatrice esercita sulla persona giuridica di cui trattasi un controllo analogo a quello da essa esercitato sui propri servizi;

b)     oltre l’80% delle attività della persona giuridica controllata sono effettuate nello svolgimento dei compiti ad essa affidati dall’amministrazione aggiudicatrice controllante o da altre persone giuridiche controllate dall’amministrazione aggiudicatarie di cui trattasi; e

c)     nella persona giuridica controllata non vi è alcuna partecipazione diretta di capitali privati, ad eccezione di forme di partecipazione di capitali privati che non comportano controlli o poteri di veto, prescritte dalle disposizioni legislative nazionali, in conformità dei trattati, che non esercitano un’influenza determinante sulla persona giuridica controllata.

 

Si ritiene che un’amministrazione aggiudicatarie eserciti su una persona giuridica un controllo analogo a quello esercitato sui propri servizi ai sensi della lettera a) qualora essa eserciti un’influenza determinante sia sugli obiettivi strategici che sulle decisioni significative della persona giuridica controllata. Tale controllo può anche essere esercitato da una persona giuridica diversa, a sua volta controllata allo stesso modo dall’amministrazione aggiudicante.

 

2. Il paragrafo 1 si applica anche quando una persona giuridica controllata che è un’amministrazione aggiudicatarie aggiudica un appalto alla propria amministrazione aggiudicatarie controllante o ad un altro soggetto giuridico controllato dalla stessa amministrazione aggiudicatarie, a condizione che nella persona giuridica alla quale viene aggiudicato l’appalto pubblico non vi sia alcuna partecipazione diretta di capitali privati, ad eccezione di forme di partecipazione di capitali privati che non comportano controllo o potere di veto prescritte dalle disposizioni legislative nazionali, in conformità dei trattati, che non esercitano un’influenza determinante sulla persona giuridica controllata.

 

3. Un’amministrazione aggiudicatrice che non eserciti su una persona giuridica di diritto privato o pubblico un controllo ai sensi del paragrafo 1 può nondimeno aggiudicare un appalto pubblico a tale persona giuridica senza applicare la presente direttiva quando sono soddisfatte tutte le seguenti condizioni:

 

a)     l’amministrazione aggiudicatrice esercita congiuntamente con altre amministrazioni aggiudicativi un controllo sulla persona giuridica di cui trattasi analogo a quello da esse esercitato sui propri servizi;

b)     oltre l’80% delle attività della persona giuridica controllata sono effettuate nello svolgimento dei compiti ad essa affidati dalle amministrazioni aggiudicatrici controllanti o da altre persone giuridiche controllate dall’amministrazione aggiudicatarie di cui trattasi; e

c)     nella persona giuridica controllata non vi è alcuna partecipazione diretta di capitali privati, ad eccezione di forme di partecipazione di capitali privati che non comportano controlli o poteri di veto, prescritte dalle disposizioni legislative nazionali, in conformità dei trattati, che non esercitano un’influenza determinante sulla persona giuridica controllata.

 

Ai fini del primo comma, lettera a), le amministrazioni aggiudicatrici esercitano su una persona giuridica un controllo congiunto quando sono soddisfatte tutte le seguenti condizioni:

 

i)      gli organi decisionali della persona giuridica controllata sono composti da rappresentanti di tutte le amministrazioni aggiudicatrici partecipanti;

ii)     tali amministrazioni aggiudicatrici sono in grado di esercitare congiuntamente un’influenza determinante sugli obiettivi strategici e sulle decisioni significative di detta persona giuridica; e

iii)    la persona giuridica controllata non persegue interessi contrari a quelli delle amministrazioni aggiudicatrici controllanti.

 

4. Un contratto concluso esclusivamente tra due o più amministrazioni aggiudicatrici non rientra nell’ambito di applicazione della presente direttiva, quando sono soddisfatte tutte le seguenti condizioni:

a)     il contratto stabilisce o realizza una cooperazione tra le amministrazioni aggiudicatrici partecipanti, finalizzata a garantire che i servizi pubblici che esse sono tenute a svolgere siano prestati nell’ottica di conseguire gli obiettivi che esse hanno in comune;

b)     l’attuazione di tale cooperazione è retta esclusivamente da considerazioni inerenti all’interesse pubblico; e

c)     le amministrazioni aggiudicatrici partecipanti svolgono sul mercato aperto meno del 20% delle attività interessate dalla cooperazione.

 

5. Per determinare la percentuale delle attività di cui al paragrafo 1, primo comma, lettera b), al paragrafo 3, primo comma, lettera b) e al paragrafo 4, lettera c), si prende in considerazione il fatturato totale medio, o una idonea misura alternativa basata sull’attività, quali i costi sostenuti dalla persona giuridica o amministrazione aggiudicatrice in questione nei campi dei servizi, delle forniture e dei lavori per i tre anni precedenti l’aggiudicazione dell’appalto.

Se, a causa della data di costituzione  o di inizio dell’attività della persona giuridica o amministrazione aggiudicatrice in questione, ovvero a causa della riorganizzazione delle sue attività, il fatturato, o la misura alternativa basata sull’attività, quali i costi, non è disponibile per i tre anni precedenti o non è più pertinente, è sufficiente dimostrare, segnatamente in base a proiezioni dell’attività, che la misura dell’attività è credibile.

 

 

 

 

Orbene, la prima considerazione da svolgere in ordine all’articolo sopra riportato inerisce alla formulazione dell’articolo stesso.

Il legislatore comunitario, ictu oculi, ha inteso prevedere quanto più nel dettaglio ogni possibile aspetto della questione, redigendo una norma articolata e complessa, che contempla tutti i casi di affidamento in house, comprendendo anche le ipotesi di in house frazionato e in house inverso, che possono dare luogo a contestazioni e contenziosi.

Il solo fatto di aver dato alla materia una disciplina organica costituisce di per sé una novità assoluta, poiché in molti Stati membri si registravano problemi in ordine all’applicazione dell’affidamento in house.

Ben presente è il riferimento alla già citata sentenza Teckal: in definitiva, i requisiti del controllo analogo e della attività prevalente sono presenti anche all’interno del testo dell’art. 12, anche se definiti in modo particolareggiato e con qualche differenza: ora, è di ben più agevole comprensione, ad esempio,  il predetto requisito dell’attività prevalente, calcolato nella misura dell’80% dell’attività, rispetto alla precedente espressione di “misura irrilevante”.

Bisogna altresì rilevare che il paragrafo 5 dell’art. 12 detta i sistemi da utilizzare per poter determinare con certezza la presenza di tale requisito, sia sulla base del fatturato sia su altri elementi sui quali può effettuarsi una valutazione obiettiva dell’operatore economico in questione. Ed invero, questa precisazione costituisce una presa di distanza dall’orientamento giurisprudenziale italiano, secondo il quale il requisito della prevalenza era da identificare sostanzialmente con il concetto di esclusività.

Inoltre, come accennato in precedenza, si sono per la prima volta introdotti i concetti di:

 

  1. 1.    in house inverso (cit. Claudio Contessa), prevedendo con il paragrafo 2 che una concessione o un appalto possa venire affidata/o ad un organismo controllato o alla sua controllante, purché quest’ultima non sia partecipata da capitali privati;
  2. 2.    in house frazionato, previsto dal paragrafo 3, il quale ammette l’aggiudicazione di un appalto da parte di un aggiudicatario partecipato e controllato in modo congiunto da una molteplicità di amministrazioni aggiudicatrici.
  3. 3.    cooperazione fra amministrazioni aggiudicatrici: questa forma di affidamento, trattata nel paragrafo 4, non costituisce un vero sistema in house ma fa riferimento a situazioni nelle quali una pluralità di amministrazioni aggiudicatrici si uniscono per realizzare scopi contrattuali che coinvolgano interessi comuni senza però fondare delle vere e proprie società a tale scopo dedicate.
  4. 4.   

Dal punto di vista del tradizionale concetto dell’affidamento in house, invece, si deve notare che la  richiamata disposizione dell’art. 12 rafforza il già citato principio di autonomia istituzionale: si sottolinea infatti che spetta proprio alla P.A. decidere se rivolgersi al libero mercato nella forma dell’outsourcing o optare per la forma di affidamento in house.

Tale libertà di scelta può rivelarsi però, nella prassi, un’arma a doppio taglio: è infatti indubbiamente vero che la P.A., per garantire indipendenza e convenienza dovrebbe essere libera nell’elezione della parte contrattuale; è altrettanto vero che, purtroppo, nella prassi  un eccesso di flessibilità nella possibilità di scegliere il proprio contraente potrebbe condurre a fenomeni distorsivi nella concorrenza sul mercato.

Ed invero, è inevitabile domandarsi se il modello di affidamento in house sia da considerarsi legittimo in sé: il solo fatto di aver fornito una disciplina organica e dettagliata della materia non protegge certo dagli effetti sul mercato cui sopra si accennava; ed anzi, nonostante l’art. 12 delimiti le ipotesi nelle quali è possibile ricorrere a questa modalità di aggiudicazione, si può pensare che, in effetti, ricorrere all’outsourcing per il reperimento della parte contraente risulterà quasi antieconomico, dati i tempi e i costi per emanare il bando di gara ed espletare tutte le procedure necessarie per la scelta del concorrente affidatario.

Al recepimento della direttiva, con la sua effettiva applicazione nell’ordinamento, sarà forse possibile dirimere questo dubbio.

Intanto a livello nazionale (e, quindi, ancora prima dell’effettivo recepimento della nuova normativa) il Consiglio di Stato ha emanato in data 30.01.2015 un parere su richiesta dal MIUR (Ministero dell’Istruzione, Università e Ricerca), circa la possibilità di operare un affidamento in house di servizi informatici al Consorzio Interuniversitario (CINECA).

Questo quesito ha rappresentato la prima occasione per l’interprete del diritto nazionale di esprimersi circa le modalità di tale affidamento alla luce del nuovo orientamento comunitario nell’ambito delle procedure di aggiudicazione degli appalti pubblici.

Ed invero, il Consiglio di Stato, nel verificare la legittimità dell’ipotesi in esame, ha effettuato una valutazione obiettiva della sussistenza dei requisiti di cui all’art. 12 sopra integralmente riportato: il controllo analogo e l’attività prevalente nella misura dell’80%, nonché (elemento di assoluta novità) l’assenza di una partecipazione diretta di capitali privati.

Verificata la presenza di tutti i requisiti richiesti, il Consiglio di Stato ha espresso parere favorevole all’affidamento  al CINECA della fornitura dei servizi informatici richiesti dal MIUR.

Orbene, a parere di chi scrive sarebbe legittimo chiedersi se al di fuori  del Consorzio aggiudicatario tramite procedura in house, non fosse possibile che un operatore economico esterno disponesse di mezzi altrettanto validi e proponesse la stessa fornitura di servizi ad un prezzo inferiore.

In effetti, non è possibile evitare di domandarsi se il ricorso sempre più frequente al sistema di “autoproduzione” di beni, servizi e forniture di ogni genere non conduca inesorabilmente a una distorsione del sistema concorrenziale tale che i contratti in questo modo conclusi si rivelino poi antieconomici, tenuto conto che l’affidamento diretto impedisce di per sé all’ente affidante di conoscere il trattamento economico che altri operatori avrebbero potuto applicare per fornire lo stesso bene/servizio.

Certamente, una tale riflessione entra in collisione con il già citato principio di autonomia istituzionale, che vuole la P.A. libera di scegliere se ricorrere a una gara pubblica o all’affidamento diretto in house. Non convince, però, l’idea che per garantire l’indipendenza e la trasparenza dell’organo pubblico, si debba necessariamente lasciare allo stesso una libertà di contrattazione che è potenzialmente lesiva di evidenti interessi collettivi.

L’interpretazione fornita in precedenza dalla giurisprudenza nazionale, che tendeva a una maggiore restrittività nelle possibilità per la P.A. di ricorrere al modello di affidamento diretto, era (a parere di scrive) indubbiamente da preferire in rapporto alla maggiore apertura della nuova normativa comunitaria.

Ma, in linea generale, ulteriormente preferibile sarebbe sarebbe stato imporre sistemi più rigidi per l’accesso delle pubbliche amministrazioni alle modalità di affidamento diretto.

Maggiormente equo e più consono alle regole ordinarie del mercato sarebbe stato modellare presupposti di straordinarietà e urgenza per il ricorso all’affidamento diretto in house da parte delle P.A. e con relative motivazioni allegate, ai fini della garanzia di trasparenza che dovrebbe caratterizzare ogni atto degli organi pubblici.

Trasparenza che, spesso, è solo un velo di apparenza disteso a coprire una sostanza del tutto diversa.

 

 

 

 

BIBLIOGRAFIA

 

Roberto Giovagnoli, “Gli affidamenti in house tra lacune del codice e recenti interventi legislativi”

 

Claudio Contessa, “L’in house providing quindici anni dopo: cosa cambia con le nuove direttive”, Roma, novembre 2014, intervento in Convegno di Studio

 

C. Volpe, “L’affidamento in house”

 

www.diritto.it, contributo Dott. Francesco Guida

 

www.altalex.it, contributo Dott.ssa Valeria Tevere

 

www.forumpa.it contributo Dott.ssa Sarah Ungaro

 

www.giustizia-amministrativa.it

www.iusexplorer.it

 

www.filodiritto.com

 

www.quotidianoentilocali.ilsole24ore.com, “Appalti pubblici, in house providing e grandi infrastrutture”

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