L’importanza dei nonni nella giurisprudenza italiana ed europea

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  1. 1.     Introduzione

Calamandrei diceva che gli eventi storici di un Paese si rispecchiano nelle sentenze[1]. Quasi fossero, queste ultime, il precipitato delle questioni socio-culturali che caratterizzano un certo Stato in un dato momento storico. In tal senso, può essere interessante rilevare come la giurisprudenza recente abbia in buona parte affrontato problemi che riguardano le c.d. nuove frontiere del diritto di famiglia. In effetti, temi come la stepchild adoption, la fecondazione artificiale, il matrimonio omosessuale o la famiglia di fatto, sembrano assumere una peculiare delicatezza sociale e politica. Delicatezza che, senza dubbio, si rispecchia inevitabilmente nelle pronunce dei giudici.

In questo scenario, altrettanto interessante è rilevare come la figura dei nonni occupi un ruolo tutto particolare non soltanto da un punto di vista sociale, ma anche in ambito giuridico[2]. Così, Legislatore e Giustizia non riescono a definire in modo netto la rilevanza giuridica della figura dei nonni. Vuoi perché si tratta di una figura difficilmente inquadrabile entro precise categorie concettuali e che muta notevolmente secondo il singolo soggetto che si prende in considerazione; vuoi perché ancora non si è riusciti a tradurre in termini giuridici la realtà sociale, sempre più complessa ed eterogenea. In ogni caso, restano ancora notevoli dubbi interpretativi sui diritti connessi a quella figura che in senso tecnico si definisce “ascendente in linea retta”. Nello specifico, è innanzitutto necessario stabilire quale sia la rilevanza giuridica dei nonni nel nostro ordinamento. E anche nell’ipotesi in cui si riesca a superare tale questione, si tratta di capire quali diritti possano scaturire dallo status di nonno.

Il presente lavoro si propone pertanto di accennare i predetti punti attraverso una rapida analisi delle recenti riforme in ambito di famiglia e ponendo l’accento su alcune rilevanti pronunce giurisprudenziali.

 

  1. 2.     Riforme del diritto di famiglia e rilevanza giuridica dei nonni

Nel panorama antecedente alle recenti riforme della filiazione, il quadro normativo aveva dato luogo a notevoli incertezze in relazione alla figura dei nonni. Infatti, se con la legge 19 maggio 1975 n. 151 si attuavano rilevanti precetti costituzionali (artt. 29, 30, 31 Cost.) nel tentativo di rafforzare la condizione dei figli, restava irrisolto il problema della rilevanza giuridica della relazione affettiva tra nonni e nipoti. Così, a fronte della realtà sociale sempre più tendente alla famiglia “nucleare”, si tralasciava il riconoscimento giuridico di certi rapporti familiari nella loro naturale estensione.

Un primo segnale fu lanciato dalla legge sull’adozione dei minori (l.n. 184/1983 con s.m.i. quali l.n. 476/1998 e l.n. 159/2001). In essa si parla di “diritto del minore ad una famiglia” ed allora si è notato che la medesima disciplina “aveva colto lo snodo centrale dei complessi percorsi delle relazioni familiari, che non si limitano ai rapporti tra genitori e figli, ma coinvolgono tutti i componenti di quella formazione sociale che è la famiglia”[3].

Un notevole passo in avanti venne poi compiuto dalla legge 8 febbraio 2006, n. 54, relativa all’affidamento condiviso. In particolare, l’art. 155 c.c. (oggi trasfuso nell’art. 337 ter c.c.), nell’attribuire al minore il diritto di “conservare rapporti significativi con gli ascendenti” anche in caso di crisi matrimoniale dei genitori, aveva indubbiamente attribuito rilevanza giuridica al rapporto tra figli e parenti, compresi i nonni, a prescindere dal fatto che i figli fossero nati all’interno del legame matrimoniale.

Ma la profonda innovazione che la materia della filiazione ha conosciuto – e così la figura degli ascendenti – è dovuta alla recente legge delega 10 dicembre 2012, n. 219 (“Disposizioni in materia di riconoscimento di figli naturali”) e al successivo decreto delegato 28 dicembre 2013, n. 154 (“Revisione delle disposizioni in materia di filiazione, a norma dell’art. 2 della legge 10 dicembre 2012, n. 219”). La riforma ha interessato la condizione giuridica dei figli nati fuori dal matrimonio, completando il processo iniziato nel 1975, nell’ottica di una piena valorizzazione delle disposizioni della Carta costituzionale (artt. 3 e 30 Cost.). Infatti, il punto qualificante della riforma è proprio l’affermazione del principio di unicità dello status giuridico filiale, come sancito dal novellato art. 315 c.c. Quale inevitabile corollario, il rapporto di parentela è giustificato in ragione di qualsiasi tipo di filiazione, anche quella avvenuta fuori dal matrimonio (art. 74 e 258 c.c.).

E così, i nonni, saranno pur sempre tali, oggi pure agli occhi della legge, anche se i nipoti non sono nati all’interno del legame matrimoniale. In questo senso, particolare importanza assume altresì l’art. 315 bis c.c., nella parte in cui stabilisce che “il figlio ha diritto di crescere in famiglia e di mantenere rapporti significativi con i parenti”. Parallelamente il nuovissimo art. 317 bis c.c. nel regolare espressamente i “Rapporti con gli ascendenti” dispone che “Gli ascendenti hanno diritto di mantenere rapporti significativi con i nipoti minorenni. L’ascendente al quale è impedito l’esercizio di tale diritto può ricorrere al giudice del luogo di residenza abituale del minore affinché siano adottati i provvedimenti più idonei nell’esclusivo interesse del minore. Si applica l’art. 336, secondo comma”. A prescindere dalla terminologia, è difficile dire se il legislatore abbia riconosciuto un vero e proprio “diritto” in capo ai nonni, oppure se l’unico diritto esistente sia quello dei nipoti, che riflette un dovere dei nonni[4].

Senza dubbio, da questa panoramica, può concludersi che la recente riforma ha sancito: 1) la costituzione del rapporto di parentela sulla base di qualsiasi tipo di filiazione, anche quella avvenuta fuori dal matrimonio (artt. 74 e 258 c.c.); 2) la rilevanza giuridica della relazione affettiva tra nonni e nipoti. In altre parole, il “nonno” è da considerarsi parente a tutti gli effetti ed è riconosciuto tale dalla legge; inoltre, il rapporto col nipote rappresenta una situazione giuridica rilevante. Si tratta ora di esaminare le ricadute giurisprudenziali derivanti da tali principi. Vediamo.

 

  1. 3.     Il danno da perdita del rapporto parentale: Cassazione civile n. 4253/2012

Con una pronuncia che lascia a dir poco perplessi, la Suprema Corte ha negato la risarcibilità del danno da lesione del rapporto nonno-nipote in assenza di una situazione di convivenza. La pronuncia merita un’attenta critica, specie se inserita all’interno del più generale tema del “danno da perdita del rapporto parentale”. Procediamo con ordine.

Il danno da perdita del rapporto parentale individua la conseguenza negativa, tanto sul piano patrimoniale quanto su quello non patrimoniale, patita da un soggetto legato da un rapporto qualificato e diretto con il soggetto deceduto, quale conseguenza di un fatto illecito. A tal proposito, merita precisare che  – anche nelle pronunce che di seguito esamineremo – l’attenzione si rivolge in particolare al danno non patrimoniale (art. 2059 c.c.), vale a dire alle sofferenze di carattere psicologico-esistenziale e all’eventuale compromissione all’integrità psico-fisica in conseguenza del decesso del parente. Ciò non toglie la possibilità che si prospetti anche un danno meramente patrimoniale (art. 2043 c.c.). Si pensi, ad esempio, al danno subito dal parente per il venir meno o per la riduzione del contributo economico prestatogli dal soggetto direttamente leso.

Inizialmente, questo danno veniva definito come danno di riflesso o da rimbalzo, nel senso che il medesimo danno sarebbe stato indiretto e dunque non risarcibile nei confronti di soggetti diversi dalla vittima. Successivamente, una lettura estensiva dell’art. 1223 c.c. ha portato ad una interpretazione particolare del concetto di causalità giuridica. Così, il danno sarebbe da ritenersi conseguenza immediata e diretta del fatto dell’agente quando tra illecito e danno sia accertata l’esistenza di un rapporto di normalità causale. Secondo questa prospettiva, dovrebbe ritenersi del tutto normale che dal decesso di una persona consegua un pregiudizio per i familiari. In effetti, le Sezioni Unite della Corte di Cassazione hanno di recente definito il danno da perdita del rapporto parentale come “danno morale jure proprio” (S.U. n. 557/2009).

Eppure, con sentenza n. 4253/2012, la Suprema Corte ha fortemente limitato la possibilità per i nipoti di ottenere un ristoro per la perdita dei nonni, e viceversa. Tanto sul versante del danno patrimoniale che di quello non patrimoniale, si è preteso infatti il requisito della convivenza tra nonno e nipote, ai fini del risarcimento. La pronuncia, come è stato notato “ha il sapore di una negazione pressoché generalizzata, considerato che la famiglia nucleare (…) è il modello dominante, caratterizzato dal fatto che i nonni ordinariamente non vivono sotto lo stesso tetto” [5]. Ciononostante, si potrebbe obiettare a queste ultime considerazioni semplicemente ricordando: dura lex sed lex.

A ben vedere, il vero problema non è rappresentato tanto dalle conclusioni cui giunge la Corte; quanto piuttosto dal percorso che svolge per giungervi. Le argomentazioni a sostegno della motivazione, infatti, non reggono. La Corte dapprima rileva che “le disposizioni civilistiche che specificamente concernono i nonni non sono tali da poter fondare un rapporto diretto, giuridicamente rilevante, tra nonni e nipoti”. Dopodiché, a dispetto delle premesse, non esclude in toto il risarcimento, bensì lo circoscrive, assoggettandolo a determinate condizioni. Ed è proprio questo il punto, a mio parere, dolente: la Cassazione ritiene che per ritenersi leso il rapporto parentale di soggetti al di fuori del “vincolo parentale stretto” (secondo la Corte nonni e nipoti tendenzialmente non sarebbero legati da un vincolo parentale stretto!) è necessaria la convivenza “quale connotato minimo attraverso cui si esteriorizza l’intimità dei rapporti parentali, anche allargati, caratterizzati da reciproci vincoli affettivi, di pratica della solidarietà, di sostegno economico”.

In questi passaggi si rilevano, insomma, alcune incoerenze. Viene infatti introdotta una sorta di presunzione (secondo la quale la convivenza determina un vincolo parentale stretto e dunque una comunità familiare) che, da un lato, forza i principi generali in tema di prova (artt. 2697, 2727-2729 c.c..; artt. 115 e 116 c.p.c.); dall’altro, è decisamente fuori luogo in quanto trascura la realtà sociale. Si potrebbe infatti dire che proprio la mancanza di una frequentazione costante è suscettibile di rafforzare il rapporto e di accentuare conseguentemente la sofferenza (a tal proposito, si vd. Cass. civ. n. 15019/2009, secondo la quale la sussistenza di normali rapporti nonni-nipoti, specie in assenza di coabitazione, lascia presumere come il legame affettivo tra gli stessi sia rimasto intatto e si sia rafforzato forse nel tempo).

Merita infine notare che la Corte conclude il suo ragionamento affermando che “la presenza di un dato esteriore certo, a fondamento costituzionale, che elimina le incertezze in termini di prevedibilità della prova caso per caso – della quale non può escludersi la compiacenza – di un rapporto affettivo intimo intenso, si sostituisce, così, al dato legalmente rilevante della parentela stretta all’interno della famiglia nucleare e, parificato a quest’ultimo, consente di usufruire dello stesso regime probatorio, per presunzione della particolare intensità degli affetti, che la giurisprudenza ammette per i parenti in senso stretto (…)”.

Ciò, a voler ironizzare, rappresenta quella che potremmo definire una sorta di “ammissione di colpa”, oltre che un travisamento delle regole principali relative al procedimento civile. Infatti, se da quest’ultima argomentazione della Corte si conferma la forzatura delle regole riguardanti le presunzioni, appaiono altresì trascurati alcuni principi cardine del diritto processuale civile. La “prova caso per caso”, infatti, oltre a derivare direttamente dal principio dispositivo e dal potere di allegazione che le parti hanno nel processo, si inserisce nello schema tradizionale di produzione degli effetti giuridici “norma-fatto-effetto”. Laddove una norma, nella sua fattispecie generale e astratta, sia in concreto integrata da determinati fatti, si producono di conseguenza gli effetti previsti[6]. Il ponte che collega fatto e norma è proprio la prova caso per caso. La parte che reclama un diritto dovrà provare,  in linea con l’art. 2697 c.c., quei fatti che andranno a sussumersi sotto la previsione normativa, costituendo il diritto e producendo gli effetti previsti. Ora, a prescindere dal mezzo di prova utilizzato, il procedimento logico per giungere da un fatto ignoto ad uno noto è dato dal sistema delle presunzioni. Queste ben potranno essere previste esplicitamente dal legislatore, tanto in modo relativo (iuris tantum) che assoluto (iuris et de iure). Altrimenti, spetterà al giudice applicare massime di comune esperienza (o anche massime scientifiche) a sostegno delle presunzioni (semplici). Nessun problema, insomma, si porrebbe in relazione al riconoscimento del risarcimento al nipote anche non convivente col nonno (o viceversa). Purché, ovviamente, si provi l’esistenza di un legame affettivo dalla lesione del quale sono derivati danni patrimoniali e/o non patrimoniali.

Ciò che forse ha condotto la Corte alle conclusioni predette è proprio la struttura delle norme relative alla responsabilità extracontrattuale. E così è può rilevarsi quella sorta di “ammissione di colpa” di cui si parlava. Gli artt. 2043 e 2059 c.c., infatti, sono norme che, a partire dalle note sentenze gemelle di San Martino (S.U. 26972-26976/2008), vengono interpretate in modo ampio, quali vere e proprie clausole generali capaci di attribuire il risarcimento per i danni patrimoniali e non patrimoniali derivanti da responsabilità extracontrattuale. Ciò in ragione del principio di integralità del risarcimento del danno; nonché in forza dell’effettività della tutela oggi consacrata nell’art. 24 Costituzione [7]. Così, a quella “compiacenza” di cui si vanta la Corte dovuta all’eliminazione delle incertezze in termini di prevedibilità caso per caso, a ben vedere, dovrebbe aggiungersi la conseguente perdita di effettività della tutela-integralità del risarcimento.

La pronuncia in oggetto apre scenari piuttosto inquietanti in ordine al risarcimento del danno da perdita del rapporto parentale. Ciononostante, la Suprema Corte, in sedi diverse ma in contesti analoghi, ha avuto modo di effettuare qualche timido ravvedimento operoso.

Si pensi, in particolare, a Cass. Pen. n. 29735/2013. In quel caso, si discuteva – appunto – della configurabilità della condanna al risarcimento del danno non patrimoniale in favore dei nonni della vittima di un incidente stradale, quando gli stessi non sono conviventi con il nipote. La Corte ha ritenuto che “non possa ritenersi determinante (…) il requisito della convivenza, poiché attribuire a tale situazione un rilievo decisivo porrebbe ingiustamente in secondo piano l’importanza di un legame affettivo e parentale la cui solidità e permanenza non possono ritenersi minori in presenza di circostanze diverse, che comunque consentano una concreta effettività del naturale vincolo nonno-nipote: ad esempio, una frequentazione agevole e regolare per prossimità della residenza o anche la sussistenza – del tutto conforme all’attuale società improntata alla continua telecomunicazione – di molteplici contatti telefonici o telematici.

A ben guardare, anzi, “è proprio la caratteristica suddetta di intenso livello di comunicazione in tempo reale che rende del tutto superflua la compresenza fisica nello stesso luogo per coltivare e consentire un reale rapporto parentale (…)”.

Precisando poi che occorre “prescindere da presunzioni generali juris et de jure – che ontologicamente potrebbe imporre, d’altronde, solo il legislatore entro i principi costituzionali e comunitari di tutela dei diritti dell’uomo – diversa essendo la modalità operativa dell’interprete, il quale non potrà che utilizzare quale parametro il concreto configurarsi delle relazioni affettive e parentali in ragione di peculiari condizioni soggettive e situazioni di fatto singolarmente valutabili, escludendo ogni carattere risolutivo della convivenza, che costituisce comunque un significativo elemento di valutazione in assenza del quale, tuttavia, può comunque dimostrarsi la sussistenza di un concreto pregiudizio derivante dalla perdita del congiunto.

Del resto, prosegue la Corte, “la condivisibile esigenza certezza del diritto vivente nel senso di stornare pretese risarcitorie strumentali (…) da parte di soggetti di fatto distanti dalla rete affettiva familiare è già adeguatamente garantita da una corretta gestione della causa in sede di merito per pervenire all’accertamento del diritto risarcitorio, cioè dall’adempimento completo dell’onere probatorio da parte del soggetto che chiede risarcimento – non sussistendo alcuna praesumptio a suo favore – che deve essere dal giudice attentamente verificato”.

In termini più generali, deve altresì aggiungersi, da un lato, il Tribunale di Rimini, che con sentenza del 17 giugno 2014 (Giud. La Battaglia), richiamando la precedente Cass. civ. n. 2557/2011, ha concesso il danno non patrimoniale da perdita del rapporto parentale, anche in assenza di convivenza; dall’altro, Cass. civ. n. 7128/2013 la quale ha precisato che il concetto di convivenza non deve intendersi in seno restrittivo come coabitazione, sicché uno stabile legame tra due persone ben può configurarsi a prescindere dalla coabitazione purché sia connotato da duratura e significativa comunanza di vita ed affetti.

In ogni caso, la pronuncia della Cassazione oggetto del presente paragrafo (Cassazione civile n. 4253/2012) non può dirsi superata, né priva di ricadute. Infatti, con una recente ordinanza (n. 4/2014) il Tribunale di Ascoli, richiamando la predetta sentenza, ha nuovamente negato il risarcimento ai nipoti, in assenza del requisito della convivenza. Restiamo dunque in attesa che si formi un consolidato orientamento giurisprudenziale; oppure che la Cassazione, magari pronunciandosi a Sezioni Unite, ponga fine alle incertezze.

 

  1. 4.     Il rapporto nonni-nipoti, tra giurisprudenza italiana ed europea: Cass. civ. n. 752 del 19.01.2015 e Corte EDU 20.01.2015, Manuello e Nevi c. Italia

Come già anticipato, uno dei temi che tradizionalmente viene in rilievo a proposito del ruolo degli ascendenti riguarda l’attribuzione di rilevanza giuridica alla relazione affettiva tra nonni-nipoti e la tutela giurisdizionale di tale situazione giuridica. Le sentenze in oggetto, emesse a distanza di un solo giorno l’una dall’altra, sono una utile occasione per fare il punto su tali questioni.

Nel caso risolto dalla Suprema Corte, sentenza n. 752/2015, una nonna ricorreva avverso la decisione dei giudici di merito che avevano negato alla stessa il diritto di visita della nipotina, diritto ostacolato dal padre della bimba a seguito della prematura morte per malattia della madre.

Due, in sintesi, le questioni che la Cassazione si trova ad affrontare. Da un lato, ci si chiede – in relazione all’audizione del minore infradodicenne – se l’accertamento della capacità di discernimento sia devoluto al libero apprezzamento del giudice oppure se sia necessaria un’indagine tecnica anticipata rispetto all’audizione. Dall’altro, ci si chiede se i nonni siano legittimati a far valere il loro diritto a mantenere rapporti significativi coi nipoti e se possa configurarsi un autonomo diritto di visita in capo ai  medesimi nonni.

Sul primo punto, v’è da dire che l’audizione del minore è disciplinata in primis dalla Convenzione di New York 1989 (ratificata in Italia con legge n. 176/1991) che riguarda principalmente la capacità di discernimento del minore; oltre che dalla Convenzione di Strasburgo 1996 (ratificata con legge n. 77/2003), la quale si concentra sulle informative da rivolgere al minore sottoposto all’ascolto. Queste disposizioni, dapprima, sono state considerate norme di carattere imperativo dalla Corte costituzionale (cf, Corte cost. n. 83/2011); dopodiché, sono confluite nella Carta di Nizza del 2000; infine, con il Trattato di Lisbona del 2007, la Carta ha acquisito la natura di Trattato internazionale e adesso ha pertanto efficacia vincolante e diretta negli ordinamenti interni. Tutto questo, in Italia, si è tradotto inizialmente nell’art. 155 sexies c.c. e oggi nell’art. 315 bis co. 3, il quale prevede che “il figlio minore che abbia compiuto i 12 anni e anche di età inferiore, ove capace di discernimento, ha diritto di essere ascoltato in tutte le questioni e i procedimenti che lo riguardano”.

Così, nella pronuncia in esame, la Corte di Cassazione, in linea con  giurisprudenza e dottrina maggioritarie, ha stabilito che il riscontro della capacità di discernimento è devoluto al libero e prudente apprezzamento del giudice e non necessita di specifico accertamento positivo d’indole tecnica specialistica, anticipato rispetto al tempo dell’audizione.

Rigettati dunque i primi due motivi di gravame, riguardanti l’ascolto del minore, la Corte giunge ad analizzare il punto che qui più interessa, vale a dire la rilevanza giuridica del rapporto nonno-nipote. A tal proposito, si stabilisce che il diritto dei minori a conservare rapporti significativi con gli ascendenti non attribuisce a questi ultimi un autonomo diritto di visita ma introduce un ulteriore elemento di indagine e valutazione nella scelta dei provvedimenti da adottare al fine di rafforzare la tutela del diritto del minore e garantirgli una crescita serena ed equilibrata. Respingendo, così, il ricorso.

Tale pronuncia merita, a mio parere, un commento positivo. Certo, ad una lettura superficiale delle conclusioni cui giunge, sembrerebbe ancora una volta negato il diritto dei nonni a vedere tutelato il legame coi nipoti. Ma non è così. La decisione è forse particolarmente criptica e fin troppo breve, data l’importanza della materia. Tuttavia, la Corte svolge un ragionamento logico-giuridico in forza del quale approda ad una interpretazione costituzionalmente orientata della normativa in questione. E, in questo senso, la sentenza in commento è ineccepibile.

Nello specifico, prima di tutto sembra ammettersi, almeno astrattamente, la legittimazione ad agire della nonna. Dopodiché, si lascia intendere che il diritto dei nonni è un riflesso di quello dei nipoti. Nel senso che esso è strumentale alla realizzazione del sereno sviluppo del minore nell’ottica di valorizzare “l’interesse preminente del minore in riferimento alla situazione attuale”. Non si tratta di una negazione del diritto dei nonni ma, a ben vedere, di un bilanciamento tra due diritti costituzionalmente garantiti: il diritto del minore e il diritto dell’ascendente. Quest’ultimo dovrà inevitabilmente soccombere “qualora emerga che è di pregiudizio per il minore il mantenimento dei rapporti con gli ascendenti”[8].

In altre parole, la Corte definisce il diritto dei nonni come “funzionale” al sereno sviluppo dei minori. Questa conclusione risponde ad un bilanciamento di interessi garantito dalla Costituzione e dalle Carte sovranazionali e, peraltro, sembra rientrare nel parametro di ragionevolezza ex art. 3 Costituzione. Si segue, inoltre, il principio generale del primario interesse del minore.

Niente da criticare, dunque, se non l’ermeticità della sentenza. Il fatto che il ricorso sia stato respinto, dipende solo dalle contingenze del caso concreto. Ciò non toglie che in situazioni analoghe si possa riconoscere il diritto in esame. Purché, come ci insegna la Corte, esso resti funzionale allo sviluppo del minore.

Più netta è la Corte EDU, che con sentenza 20.10.2015 (Manuello e Nevi c Italia) si è pronunciata su una vicenda caratterizzata dalla grave lentezza dell’apparato giudiziario del nostro Paese. Protagonisti sono due cittadini piemontesi, nonni di una minore, privati del loro rapporto con la nipotina a causa di un sospetto abuso sessuale del padre, loro figlio, nei confronti della bambina.

Tutto ha inizio nel 2002, quando il padre della minore si separa dalla moglie e viene parallelamente denunciato dalla scuola materna per molestie sessuali. Così, la moglie chiede la decadenza della potestà e da questo momento i nonni – che  da sempre vivevano a stretto contatto con la bambina – non vedono più la nipote. Così ricorrono al Tribunale per i minorenni chiedendo di poter vedere la nipote, dichiarando di essere disposti ad avere la custodia. Per circa due anni, i ricorrenti contattano la bambina solo tramite i servizi sociali con telefonate e lettere; in seguito chiedono di poterla incontrare e avviano un percorso di preparazione all’evento. Infine, nel 2006, il Tribunale concede l’autorizzazione, affidando ai servizi sociali le successive fasi. Tuttavia, poco tempo dopo, la psicologa incaricata chiede la sospensione di qualsiasi possibilità di incontro tra i ricorrenti e la minore, poiché quest’ultima continuerebbe ad associare la figura dei nonni a quella del padre, provando un sentimento di paura e angoscia. Con lettera del 13 febbraio 2007, i nonni denunciano al Tribunale le grave omissioni dei servizi sociali che, a dispetto della decisione del Tribunale, non avevano mai organizzato gli incontri autorizzati. Eppure, tali incontri, non si terranno mai.

Parallelamente, nel giugno 2007, il Tribunale di Torino assolve il padre dalle accuse penali. Tuttavia, basandosi sulle relazioni degli psicologi, dispone la sospensione degli incontri tra i nonni e la nipote. Questa decisione viene successivamente confermata dalla Corte d’Appello e dalla Cassazione.

I nonni non si fermano e ricorrono ai giudici di Strasburgo. Denunciano, in sostanza, la violazione dell’art. 8 della CEDU. La norma, rubricata “Diritto al rispetto della vita privata e familiare” prevede che “1. Ogni persona ha diritto al rispetto della sua vita privata e familiare, del suo domicilio e della sua corrispondenza. 2. Non può esservi ingerenza di una autorità pubblica nell’esercizio di tale diritto a meno che tale ingerenza sia prevista dalla legge e costituisca una misura che, in una società democratica, è necessaria per la sicurezza nazionale, per la pubblica sicurezza, per il benessere economico del paese, per la difesa dell’ordine e per la prevenzione dei reati, per la protezione della salute o della morale, o per la protezione dei diritti e delle libertà altrui”. Il disposto normativo è stato in diverse occasioni valorizzato dalla Corte nell’ambito del c.d. nuovo diritto di famiglia (a tal proposito si vd., ex multis, Corte EDU, 27.01.2015, Paradiso e Campanelli c. Italia, in tema di fecondazione artificiale). In effetti, anche in questa sede, i giudici di Strasburgo non perdono l’occasione per delineare la portata applicativa della norma. Merita, a tal proposito, riportare un estratto della pronuncia.

 

“47. Come la Corte ha ricordato molte volte, se l’articolo 8 ha essenzialmente lo scopo di premunire l’individuo contro le ingerenze arbitrarie dei pubblici poteri, esso non si limita a imporre allo Stato di astenersi da tali ingerenze: a questo impegno piuttosto negativo possono aggiungersi obblighi positivi inerenti a un rispetto effettivo della vita privata o famigliare. Questi possono implicare l’adozione di misure volte al rispetto della vita famigliare fino nelle relazioni degli individui tra loro, tra cui la predisposizione di un arsenale giuridico adeguato e sufficiente per garantire i diritti legittimi degli interessati, nonché il rispetto delle decisioni giudiziarie o delle misure specifiche appropriate (si veda, mutatis mutandis, Zawadka c. Polonia, n. 48542/99, § 53, 23 giugno 2005). (…) Lo stesso vale quando si tratta, come nel caso di specie, delle relazioni tra il minore e i nonni (Nistor c. Romania, n. 14565/05, § 71 2 novembre 2010; Bronda c. Italia, 9 giugno 1998, Recueil des arrêts et décisions 1998 IV). (…)

48. Per essere adeguate, le misure (…) devono essere attuate rapidamente, in quanto il trascorrere del tempo può avere conseguenze irrimediabili [nei rapporti tra minore e parente](…)”

 

Applicando tali premesse, la Corte giunge al punto centrale della decisione affermando che:

 

(…) i ricorrenti non hanno più visto la nipote dal 2002 e, (…) a tutt’oggi, è vietato loro qualsiasi contatto con la minore. A questo proposito essa rammenta che, secondo i principi elaborati in materia, delle misure che portano a rompere i legami tra un minore e la sua famiglia possono essere applicate solo in circostanze eccezionali (si vedano Zhou c. Italia, n. 33773/11, § 46, 21 gennaio 2014; Clemeno e altri c. Italia, n. 19537/03, § 60, 21 ottobre 2008). La Corte ritiene che questi principi si applichino anche nel caso di specie. A tale proposito, essa rammenta di avere già dichiarato che i legami tra nonni e nipoti rientrano nei legami famigliari ai sensi dell’articolo 8 della Convenzione (si vedano Kruškić c. Croazia (dec.), n. 10140/13, 25 novembre 2014; Nistor c. Romania, n. 14565/05, § 71, 2 novembre 2010; Bronda c. Italia, 9 giugno 1998, Recueil des arrêts et décisions 1998 IV)”. 

 

Prosegue osservando che, nel caso di specie, l’impossibilità per i ricorrenti di vedere la nipote è stata la conseguenza, in un primo momento, della mancanza di diligenza delle autorità competenti e, in un secondo tempo, della decisione di sospendere gli incontri.  Considerato quanto sopra esposto e nonostante il margine di apprezzamento dello Stato convenuto in materia, la Corte considera che le autorità nazionali non si siano impegnate in maniera adeguata e sufficiente per mantenere il legame familiare tra i ricorrenti e la nipote e che abbiano violato il diritto degli interessati al rispetto della loro vita familiare sancito dall’articolo 8 della Convenzione. Pertanto, la Corte ritiene che vi sia stata violazione della predetta disposizione. La conclusione è la condanna dell’Italia a pagare 16.000 euro per danno morale e 5.000 euro per spese di giustizia.

 

  1. 5.     Rilievi conclusivi

In fin dei conti, si potrebbe provare a leggere lo scenario descritto nell’ottica di quella sorta di “antologia giudiziaria” di cui parlava Calamandrei. Si potrebbe, cioè, utilizzare le sentenze selezionate per documentare in che modo certi eventi storico-sociali si sono rispecchiati nelle decisioni dei giudici. A ben vedere, in relazione alla questione giuridica “nonni-nipoti”, emerge una certa difficoltà per i giudici (e per il legislatore) di tradurre in termini giuridici determinate realtà sociali. Ne consegue un disallineamento, insomma, una sfasatura, a causa della delicatezza e della complessità che presentano certi settori della società, specie in uno scenario in cui il concetto di famiglia è in continua evoluzione.

Ciononostante, è pur sempre possibile giungere a qualche conclusione.

Quanto al risarcimento del danno al nipote per la perdita del nonno (o viceversa), già abbiamo detto che il quadro giurisprudenziale – che si inserisce nel più ampio tema del danno da perdita del rapporto parentale – è frammentato. In particolare, la sentenza della Suprema Corte n. 4253/2012 merita le più dure critiche. Non tanto perché nega il risarcimento in difetto del requisito della “convivenza”; quanto perché le argomentazioni addotte sono irragionevoli e trascurano alcuni fondamentali principi di diritto processuale civile. In questo senso, la pronuncia è aberrante e conferma come al ragionamento logico-giuridico si sostituiscano, molto spesso, scelte di politica del diritto. Il problema, allora, diventa l’interpretazione del sostrato sociale di riferimento e, soprattutto, la selezione dei valori che vengono posti alla base delle decisioni (a tal proposito, è doveroso il rinvio a Vallauri, Corso di filosofia del diritto, Cedam, 2007).

Sentenza e sentimento: tema di studio di grande attualità” diceva, ancora, Calamandrei[9].

Si noti però che, come detto, la presenza di sentenze di segno opposto (cfr. Cass. pen. n. 29735/2013) può aprire le porte al risarcimento anche in assenza di convivenza. In questo senso, non ci resta che attendere.

Quanto, invece, al tema del rapporto nonno-nipote, senza dubbio deve essere accolta con plauso la pronuncia della Corte EDU 20.01.2015, Manuello e Nevi c. Italia. Anche se, a prescindere dal risultato, Cass. civ. n. 752 /2015 non è da meno. Entrambe le pronunce, infatti, pur essendo giunte a esiti differenti, mirano alla valorizzazione dell’interesse dei minori coinvolti. Al tempo stesso, cercano di contemperare questo interesse con la situazione giuridica degli avi che, seppur “riflessa”, risulta meritevole di tutela.

Così, la più volte citata Cassazione n. 752/2015, pur rigettando il ricorso, sembra confermare quell’orientamento che riconosce rilevanza all’interesse dei nonni, purché ovviamente sia funzionale ad una serena crescita del minore.

Ancor più rilevante è, evidentemente, la pronuncia della Corte EDU. Sia perché, in un Paese affetto da una cronica lentezza del sistema giudiziario, afferma per l’ennesima volta l’importanza del fattore “tempo” volto alla tutela della crescita del minore. Ma soprattutto per la configurazione giuridica del diritto degli ascendenti. Seppur tenendo sullo sfondo l’imprescindibile interesse del minore, la Corte sembra quasi attribuire (per la prima volta) una sorta di valenza assoluta al diritto degli ascendenti. In ogni caso, se anche si volesse continuare a ritenerlo un diritto riflesso, senza dubbio la pronuncia dei giudici di Strasburgo parifica la relazione tra genitori e figli a quella nonni nipoti. Così riallineando, in un certo senso, quella sfasatura tra giurisprudenza e realtà sociale di cui si parlava in precedenza.

In quell’ottica di “antologia giudiziaria”, ciò equivale a dire, in un certo senso, che la Corte Europea dei diritti dell’Uomo ha rilevato, da un punto di vista giuridico, ciò che a livello sociale da sempre è noto a tutti: l’importanza dei nonni.

 

[1] Cfr. Calamandrei, Opere giuridiche, Napoli, 1965, (a cura di) Cappelletti, vol. I, 590.

[2] Bibliografia essenziale:  Attias-Donfut, Segalen, Le siècle des grands-parents. Une génération phare, ici et ailleurs, Paris, 2011; Basini, Violazione del così detto “diritto di visita dei nonni” e risarcimento del danno, dopo l’entrata in vigore della l.n. 219/2012, in Resp. Civ. Prev., 1, 2013, 7B; Id., Ascendenti, diritto di mantenere rapporti significativi con i nipoti minorenni e risarcimento del danno. Il, così detto, “diritto di visita” degli avi dopo il d.lgs. n. 154, 2013, in Resp. Civ. Prev., 2, 2014, 367B; C.M. Bianca, Il diritto del minore all’amore dei nonni, in Riv. Dir. Civ., 2006, 155; Casaburi, nota a Corte EDU 20.01.2015, in Il Foro It., 2015, 3, IV, 126; Danovi, Il d.lgs. n. 154/2013 e l’attuazione della delega sul versante processuale: l’ascolto del minore e il diritto dei nonni alla relazione affettiva, in Fam. Dir., 2014, 535; Galli, Il diritto del minore a conservare il rapporto con gli ascendenti dopo la separazione dei genitori, in ilfamiliarista.it, 25.11.2015; Lume, Il rapporto fra nonni e minore e la sua tutela giurisdizionale, in questionegiustizia.it, 17.02.2015; Morani, Ancora sulla legittimazione attiva dei nonni a chiedere l’instaurazione di normali, adeguati rapporti con i nipoti in età minorile, in Dir. Fam., 1, 2012, 446; Murgo, Il diritto degli avi e l’interesse dei minori: due corti a confronto, in GiustiziaCivile.com, 10.06.2015; Palmieri, nota a Cass. civ. n. 4253/2012, in Il Foro Italiano, banca dati online; Sapio (a cura di), Famiglie, reti familiari e cohousing. Verso nuovi stili del vivere, del convivere e dell’abitare, Milano, 2010; Savi, L’esercizio dell’azione degli ascendenti nel nuovo art. 317-bis c.c., in Riv. Trim. Dir. Proc. Civ., 2, 2015, 547.

[3] Murgo, op. cit., par. 1.

[4] Cfr. Lume, op. cit., par. 1.

[5] Palmieri, cit.

[6] Cfr. Proto Pisani, Lezioni di diritto processuale civile, Napoli, 2010, 171.

[7] Sul principio di effettività della tutela, mi permetto di rinviare a Laddomada, La tutela cautelare nel diritto processuale civile, in Diritto & Diritti – Rivista giuridica elettronica pubblicata su Internet 16/05/2016; Id., La tutela cautelare nell’Unione Europea: evoluzione giurisprudenziale e nuovo Regolamento (UE) n. 1215/2012, ivi, 31/05/2016.

[8] Galli, op. cit.

[9] Op. cit., 584. Ma, in questo senso, si vd. il celeberrimo Elogio dei giudici scritto da un avvocato.

Laddomada Marco

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