L’esercizio della libertà contrattuale alla luce del rischio di insolvenza

Ruggiero Calò 05/09/16
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Si intende partire dalla ineludibile considerazione dell’esistenza di un rapporto di dipendenza economica tra i contraenti in generale. Tale constatazione può essere considerata un elemento ricorrente, in quanto suscettibile di realizzarsi in tutte le “relationals contracting”, riguardando non soltanto i patti tra contraente-professionista e consumatore, bensì anche i rapporti contrattuali tra imprenditori. Il problema della giustizia contrattuale sostanziale, difatti, può ben porsi anche nell’esercizio della libertà contrattuale tra un piccolo imprenditore ed una grande impresa.

     Attualmente il diritto comunitario fornisce una tutela del professionista-contrente debole in modo frammentario e mediato, ponendosi l’obiettivo primario della tutela della concorrenza e del mercato, con provvedimenti in vigore nell’Unione Europea, fra i quali si ricordano i regolamenti 1983/83 e 1984/83 relativi, rispettivamente, agli accordi di distribuzione e di acquisto esclusivi; il regolamento CE 4087/88 in materia di franchising; il regolamento 1475/95 e successive modificazioni riguardante la distribuzione di automobili; il regolamento 2790/99 riguardante l’applicazione dell’art. 81, par. 3, del Trattato a categorie di accordi verticali e pratiche di concentrazione.

     Sul piano dell’analisi economica del diritto, partendo dal dato irrefutabile del limite concreto all’esercizio della libertà contrattuale (che trae la sua fonte direttamente dal principio di autonomia contrattuale) costituito dall’insolvenza, appare proponibile l’esame del diverso fondamento dei rimedi apprestati contro l’insolvenza nel diritto commerciale e nel diritto privato. L’analisi può, rispettivamente, dipanarsi fra i due poli della perdita della garanzia patrimoniale posta dall’art. 2740 cod. civ., con conseguente perdita del credito sul mercato, e l’insolvenza prevista dall’art. 1186 cod. civ. con conseguente semplice “pericolo” di non conseguire la controprestazione.

     Tale ricerca passa anche attraverso un’indagine dei nessi tra insolvenza; autotutela del creditore (da intendersi come le contromisure che il creditore ha diritto di assumere al fine di scongiurare la perdita definitiva del credito, che presenta alcuni parallelismi con l’omologa procedura di autotutela del diritto amministrativo); concessione abusiva del credito e conseguente ritardo della dichiarazione di fallimento, nei rapporti tra stato di insolvenza e autonomia privata.

     Più che di disciplina rilevante si dovrebbe allora parlare di discipline rilevanti, dal momento che esse sono sia nella legge fallimentare sia nel codice civile (che tratta a sua volta dell’insolvenza).     L’analisi va quindi focalizzata sui rapporti tra insolvenza civile ed insolvenza concorsuale. In assenza di una specifica e separata definizione legale, la nozione civilistica di insolvenza si desume dall’art. 5 della Legge Fallimentare [1].

     Di notevole rilievo si presenta il tema della concessione abusiva del credito per gli indubbi riflessi di carattere giuridico, economico e sociale, che ha indotto la giurisprudenza[2], in particolar modo, ma anche la dottrina a indagare tale fenomeno in relazione all’autotutela contrattuale, prevista dall’art. 1461 cod. civ., che deve ritenersi applicabile non solo nel caso di insolvenza sopravvenuta, bensì anche nel caso di insolvenza preesistente, ma non conosciuta al momento della stipulazione [3]. Altra recente opinione legge quest’ultima disposizione nel più ampio contesto della vendita internazionale di beni mobili[4] alla luce dell’art. 71 della Convenzione di Vienna, in vigore anche in Italia, che prevede la possibilità del contraente di sospendere l’esecuzione se, dopo la conclusione del contratto, risulti manifesto che l’altro contraente non adempirà una parte essenziale delle sue obbligazioni, in conseguenza di una grave insufficienza nella sua capacità di adempiere o nella sua solvibilità, che corrobora la tesi secondo la quale una condivisibile lettura dall’art. 1461 cod. civ. dovrebbe consentire l’attivazione dell’autotutela anche nell’ipotesi di pericolo asintomatico di insolvenza al momento della conclusione del contratto.

     Tale proposta sistemazione dottrinale, non manca di riflettersi sui contratti dell’impresa insolvente, alla quale potrà fare riscontro il diritto del creditore di attivare la cautela di cui all’art. 1461 cod. civ. nei confronti non solo dell’impresa divenuta insolvente, ma anche dell’impresa in crisi e già insolvente al momento della stipulazione del contratto in maniera asintomatica.

     Connesso al tema delle libertà contrattuali si presenta anche quello della tutela della parte contrattuale debole nei contratti bancari.           

     Nel 1991 sono state introdotte le norme sulla trasparenza bancaria, con le quali il legislatore ha sottolineato l’importanza di rendere chiari e comprensibili i rapporti che un utente  di media istruzione intrattenga con un istituto di credito: una banca, una finanziaria, ecc..

     Si sono avute quindi precise regole inerenti ai contratti bancari, con particolare riguardo alle clausole generali utilizzate dai professionisti nei contratti predisposti e destinati ad essere sottoscritti da un numero indeterminato di utenti, per adesione.

     Le clausole generali, intese come strumento elastico di risoluzione dei conflitti mediante l’applicazione dei principi generali dell’Ordinamento giuridico costituiscono un rinvio normativo a criteri di comportamento non previsti da norme giuridiche, affidando al giudice il potere di concretizzarne il contenuto precettivo. Le clausole generali sono state, pertanto, definite “concetti valvola” che consentono di adeguare i precetti di buona fede oggettiva, correttezza, ecc., alla realtà sociale del momento storico in cui deve applicarsi la norma giuridica.     

     Il riferito assetto di regole rivela la sua fondamentale importanza nel momento in cui consente di evitare una rapida obsolescenza normativa.            

     Agli effetti della norma generale, in riferimento alla sezione relativa all’accordo (art. 1337 cod. civ.) le parti devono comportarsi secondo buona fede nelle trattative e nella formazione del contratto. In questa stessa norma trova la sua regola generale il diritto di recesso del consumatore.

     La caratteristica fondamentale di tale diritto può essere rinvenuta nella particolare intensità con cui il Legislatore ha inteso tutelare il contraente-consumatore e l’esercizio di tale diritto avviene, non a caso, con una dichiarazione unilaterale di volontà comunicata all’altro contraente. L’istituto si contrappone ad un’altra libertà contrattuale, rappresentata dal cosiddetto “jus variandi”, finalizzata a conservare l’equilibrio tra le singole prestazioni contrattuali attraverso la valutazione del complesso delle prestazioni contrattuali. Ai fini dell’effettività di tale equilibrio, il Legislatore, ha corredato l’istituto di una sanzione, a riprova del  suo valore di “ordine pubblico”, prevista in caso di violazione di tale equilibrio con la variazione unilaterale delle condizioni contrattuali, costituita dalle nullità di protezione, suscettibili di limitare gli accordi sin dalla fase precontrattuale.

     Il diritto di recesso trova applicazione in un variegato numero di fattispecie giuridiche; è previsto dalla legge o viene stabilito convenzionalmente; in contratti ad esecuzione istantanea o di durata; prima o dopo l’inizio dell’esecuzione, e senza la possibilità di chiedere in restituzione le prestazioni già eseguite.

     Parte della dottrina ha individuato nell’art. 1373 cod. civ. la soluzione al problema [5], scorgendo in tale istituto l’aspirazione dell’Ordinamento di conservare la temporaneità dei rapporti giuridici. Altra parte della dottrina, invece, pone in evidenza che le due libertà contrattuali, dello “jus variandi” e del “diritto di recesso”, non siano della stessa intensità, rappresentando un equilibrio di posizioni meramente apparente [6] poiché l’incidenza sostanziale sul piano patrimoniale dei due istituti è diversa. A differenza dello “jus variandi”, il diritto di recesso, in caso di modifica unilaterale, non pone l’altra parte in una situazione nuova, poiché è già previsto dalla legge. Per contro, chi subisce la variazione unilaterale si trova esposto ad un non predeterminato assetto di rischi sul piano contenutistico [7].

     La tutela del consumatore nei contratti bancari si riconnette alla legge sulla trasparenza bancaria, che vede nella norma dell’art. 118 del Testo Unico Bancario il suo raggio di esplicazione.

     Il potere di gestione unilaterale del contratto da parte della banca o più in generale del professionista, pone il problema di controbilanciare il diritto di apportare unilateralmente variazioni alle clausole contrattuali. E se, da un lato, tale libertà non ha una fonte giuridica (essa rappresenta infatti una clausola generale), dall’altro, il Legislatore ha inteso predisporre il ricordato meccanismo di tutela del contraente più debole, con la libertà di recedere, che si attiva automaticamente all’introduzione della variazione. Tale automaticità costituisce la specificità dell’istituto in questione.

     La qualità di “contraente banca” pone il problema della diseguaglianza. Sennonché, la tutela del consumatore si pone uno scopo molto più ambizioso: quello di evitare che l’attività della banca abbia degli effetti incisivi, se ripetuti all’infinito, sull’”economia” in generale ed abbia conseguenze distorsive della “concorrenza” in particolare. Il vero anelito della norma è quindi quello di salvaguardare gli equilibri della concorrenza[8]. In tal modo, si predispone un meccanismo che sottopone il potere contrattuale prevalente sotto il diretto controllo dell’altro contraente. Tale contropotere di autonomia ha fonte legale a differenza dello “jus variandi[9]

     Non appare quindi priva di fondamento l’affermazione secondo la quale, il contraente con minore forza contrattuale è da porsi sullo stesso piano del contraente consumatore. E, mentre quest’ultimo è da considerarsi soggetto del mercato finale, la banca è da considerarsi soggetto della filiera intermedia.

     Nei contratti del mercato finale non vi è il potere unilaterale della banca visto innanzi, ma possono esservi clausole che determinano uno squilibrio di potere contrattuale e viene meno anche la contromisura del diritto di recesso. Tale criticità viene risolta con un rimedio caducatorio, ovvero la nullità, nel caso di violazione di una delle norme a carattere imperativo. Per quanto, in questo caso, la tutela sia meno automatica, può anche essere dichiarata abusiva la clausola che determini un significativo squilibrio nel rapporto contrattuale. 

SGUARDO COMPARATIVO

     Il “favor” del Legislatore nei confronti del contraente-cliente, è un modo di legiferare che si pone in rapporto di totale incompatibilità con il codice civile, poiché presuppone una preconcetta idea di discriminazione contrattuale che delinea un modello di autotutela del tutto inedito, concomitante alla necessità di dare un’adeguata disciplina ai rapporti di un particolare comparto, quello bancario.

     Alla logica binaria dell’ottocento (di cui è imbevuto il codice civile), secondo la quale, tutto ciò che non è vietato è permesso, si sostituisce la più sofisticata logica del secolo scorso, secondo la quale, l’unico modo per controllare il soggetto predominante è l’analisi complessiva del contratto per adesione, partendo dalla singola clausola.

     Alla mancanza del divieto di introdurre clausole suscettibili di determinare un significativo squilibrio, e considerata l’oggettiva difficoltà del contraente più forte di dedicare un contratto personalizzato a ciascun cliente, il Legislatore ha introdotto la logica della “clausola abusiva”, che diviene rilevante nel momento in cui, sommata alle altre, va ad influire sul tenore complessivo dell’atto. Si può, a tal proposito, notare che, mentre il riferito meccanismo della clausola abusiva risponde ad una logica quantitativa, il meccanismo di tutela previsto nella disciplina della trasparenza, di cui al T.U.B.[10], risponde ad una logica qualitativa, riferita, appunto, alla, non indifferente, qualità dei soggetti del negozio.

     Le presenti discipline, consumeristica e bancaria, non possono ritenersi compatibili con la disciplina del codice civile: la logica binaria “divieto-permesso” di quest’ultimo potrà essere implementata dal codice del consumo, ma non sostituita. Ancorché vi sia stata la doppia sottoscrizione delle clausole abusive, difatti, queste potranno essere comunque dichiarate abusive. Il professionista può sempre dimostrare l’equilibrio complessivo del contratto, non essendoci un divieto di introdurre clausole, ma, per contro, tutte le norme dispositive sono utilizzabili dal consumatore.

     L’articolo 36 del Codice del consumo, invece, vieta un elenco di clausole abusive che non possono essere mai inserite. Le regole del Codice del consumo sono in parte diverse da quelle del’art. 118 del T.U.B. [11]. Da un lato, si hanno regole per tutti i contratti bancari (che comprendono anche quelli con soggetti non consumatori), dall’altro, regole per tutti i consumatori (che comprendono anche i contratti non bancari).

     I due Testi Unici recano discipline in rapporto di specialità e, al contempo, di generalità reciproche. Di talché, esistono norme di rango speciale e generale in entrambe le fonti con la loro diversa influenza nell’ambito dell’interpretazione. Le diverse tutele realizzano la massimizzazione sommandosi. Al preesistente T.U.B. si aggiunge il codice dei consumatori, i quali, in realtà, non entrano in conflitto, poiché le loro discipline si integrano.

     Si viene, così, a realizzare un controllo della libertà contrattuale, non attraverso il potere imperativo, bensì contenendo il potere dispositivo del professionista.    

 

 


[1] Cfr. C.M. Bianca, Diritto Civile, IV, L’obbligazione, Milano, 1991, p. 221, nota 47.

Sulle diverse vicende dell’insolvenza civile e dell’insolvenza commerciale, sia in prospettiva storica che comparatistica: cfr.E. Frascaroli Santi, Insolvenza e crisi d’impresa, cit., e per una rassegna di diritto comparato: G. Schiano di Pepe, Insolvenza in diritto comparato, in Digesto discipline privatistiche, sez. comm., VII Torino, 1992, p. 410). Sulle differenze concettuali tra le due nozioni: cfr. E. Frascaroli Santi, Insolvenza e crisi d’impresa, cit., specialmente le pagine 72 e ss., e G. Ragusa Maggiore, L’insolvenza quale presupposto delle procedure concorsuali, in Dir. Fall., 1992, I, p. 707. Per una rimeditazione del concetto alla luce dei riferimenti  a principi, nozioni ed elementi di natura economica contenute nella legge sulla riforma dell’amministrazione straordinaria: cfr. G. Schiavon, L’insolvenza nell’amministrazione straordinaria, cit., p. 945; F. Corsi, Crisi, insolvenza, reversibilità, temporanea difficoltà, risanamento, cit., p. 948; R.Rossi, Insolvenza, crisi d’impresa e risanamento, Milano, 2003.

[2] Cfr. Cass. Civ. 15 maggio 2002, n. 7060, secondo cui “L’eccezione dilatoria di cui all’art. 1461 cod. civ. può essere opposta in via di autotutela e con funzione cautelare …, anche nel caso in cui la causa sospensiva sia stata conosciuta successivamente e non l’abbia potuta conoscere con la normale diligenza”. Cfr. anche: Cass. Civ. 24 febbraio 1999, n. 1574; Cass. Civ. 22 gennaio 1999, n. 602. 

[3] Cfr. M. Tamponi, La risoluzione per inadempimento, in C.M. Bianca, Diritto Civile, V, La responsabilità, p. 1537.

[4] Cfr. F. Addis, La sospensione dell’esecuzione: dalla vendita con dilazione di pagamento alla Unsicherheitseinrede, testo della relazione tenuta al convegno su Tradizione civilistica e complessità del sistema, Foggia e Lucera, 25-27 settembre 2003.

[5] Cfr. P. Shlesinger, Poteri unilaterali di modificazione (“jus variandi”) del rapporto contrattuale, in Giur. Comm., 1992, I, p. 16.

[6] Cfr. V. Roppo, Il Contratto, Milano, 2001, p. 555.

[7] Cfr. V. Roppo, cit..

[8] Art. 106 TFUE, già art. 86 TCE.

[9]  Cfr. in tema di credito ai consumatori cfr. G. CARRIERO, La riforma del credito ai consumatori e le nuove policies di tutela del risparmiatore nel settore bancario, in Eur. dir. priv., 2011, 505 ss.; G. DE CRISTOFARO, La nuova disciplina dei contratti di credito ai consumatori e la riforma del t.u. bancario, in Contr., 2010, 1041 ss.; M. GORGONI, Spigolature su luci (poche) e ombre (molte) della nuova disciplina dei contratti di credito ai consumatori, in Resp. civ. prev., 2011, 755 ss.; M. GORGONI, Sui contratti di finanziamento dei consumatori, di cui al Capo II Titolo VI TUB, novellato dal Titolo I del d.lg. n. 141 del 2010, in Giur. di Merito, 2011, 323 ss.; S. PELLEGRINO, Le disposizioni attuative in materia di credito al consumo, in Obbl. e contr., 2011, 296 ss.; Id., Le nuove regole sui contratti di credito ai consumatori (d.lg. 13.8.2010, n. 141), in Obbl. e contr., 125 ss.; G. ROSSI, Il collegamento contrattuale nel credito al consumo alla luce del nuovo d.lgs. 13 agosto 2010, n. 141, in Contr. impr., 2010, 1432 ss.

[10] Cfr. sullo ius variandi dopo le recenti riforme del 2010 e 2011:  A. CENTINI, Il procedimento di modifica dell’art. 118 T.U.B. dopo il “Decreto Sviluppo”, in Contr., 2011, 1033 ss.; Id., La disciplina delle modifiche unilaterali (ius variandi) nel Testo unico bancario dopo il d.lgs. n. 141 del 2010, in Contr., 2011, 391 ss.; G. OLIVIERI, Usi e abusi dello “ius variandi” nei contratti bancari, in Analisi giuridica dell’economia, 2011, 157 ss.; S. PAGLIANTINI, La nuova disciplina del cd. ius variandi nei contratti bancari: prime note critiche, in Contr., 2011, 191 ss.; A. SPENA, Commento all’art. 118, in Testo unico bancario. Commentario. Addenda di aggiornamento ai d.lgs. 141/2010 e 218/2010, a cura di M. Porzio-F. Belli-G. Losappio-M. RispoliFarina-V. Santoro, Milano, 2011, 45 ss.

[11]  Cfr. in materia di art. 118 t.u.b. cfr. M. DE POLI, Commento all’art. 118 t.u.b., in Commentario breve al diritto dei consumatori, a cura di G. DeCristofaro e A. Zaccaria, Padova, 2010, 1425 ss.; M. GORGONI, Il ventaglio delle opzioni a protezione del correntista che subisce l’esercizio dello ius variandi riservato alla banca, in Giur. di Merito, 2010, 2102 ss.; C. GRANELLI, Modificazioni unilaterali del contratto: c.d. ius variandi, in Obbl. e contr., 2007, 967 ss.; C. IURILLI, ius variandi e testo unico bancario. La nuova formulazione dell’art. 118, e l’art. 10 del c.d. “Decreto Bersani”. Una proposta interpretativa (Prima parte), in StudiumIuris, 2007, 131 ss.; Id., ius variandi e testo unico bancario. La nuova formulazione dell’art. 118, e l’art. 10 del c.d. “Decreto Bersani”. Una proposta interpretativa (Seconda parte), in StudiumIuris, 2007, 298 ss.; F. MOLITERNI, Clausole abusive e contratti bancari: azione inibitoria, ius variandi nei rapporti regolati in conto corrente e limitazione pattizia della responsabilità della banca nel contratto di utilizzazione di cassette di sicurezza, in Banca borsa tit. cred., 2009, II, 678 ss.; U. MORERA, Commento all’art. 118, in Testo unico bancario. Commentario, a cura di M. Porzio-F. Belli-G. Losappio-M. RispoliFarina-V. Santoro, Milano, 2010, 984 ss.; P. RIGHINI, Rialzo degli spread applicati sui finanziamenti in conto corrente e ius variandi unilaterale, in Contabilità finanza e controllo, 2011, 952 ss.; G. SANTONI, Lo jusvariandi delle banche nella disciplina della l. n. 248 del 2006, in Banca borsa tit. cred., 2007, I, 249 ss.; P. SIRENA, ius variandi, commissione di massimo scoperto e recesso dal contratto, in Contr., 2009, 1169 ss.; Id., Il ius variandi della banca dopo il c.d. decreto-legge sulla competitività (n. 223 del 2006), in Banca borsa tit. cred., 2007, I, 262 ss.

Ruggiero Calò

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