L’azione revocatoria fallimentare rispetto al pagamento di imposte scadute

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Sommario:

1.Introduzione

2. La relazione tra “azione revocatoria” e “debito tributario scaduto ed estinto”

3.L’estensione normativa dell’inesperibilità dell’azione revocatoria ad altri pagamenti di imposte scadute

4. L’ipoteca fiscale: tra il carattere dell’ipoteca giudiziale e quello dell’ipoteca legale

 

1. Introduzione

In virtù della sentenza dichiarativa di fallimento, e dopo il suo deposito, “deve essere acquisito mediante inventario e ricostruito mediante le opportune azioni il patrimonio del fallito1, attraverso una condotta diligente e prudente del curatore, pubblico ufficiale2 della procedura concorsuale.

In ossequio al principio della par condicio creditorum, caposaldo della legge fallimentare, “La massa dei beni sui quali deve attuarsi l’esecuzione collettiva non è costituita solo dai beni che sono di proprietà del fallito al momento della dichiarazione di fallimento, ma altresì da quei beni che hanno cessato di far parte del patrimonio del fallito a seguito di atti di disposizione posti in essere prima della dichiarazione di fallimento, e che la legge ricomprende fra i beni soggetti all’esecuzione collettiva 3.

A tal fine ricorre anche l’azione revocatoria fallimentare, disciplinata dagli artt. 67 e ss. del R. d. n. 267/42, costituente valido ed efficace strumento giuridico.

Secondo l’insegnamento della Suprema Corte4, “L’azione revocatoria fallimentare, al pari di quella ordinaria, non è azione di nullità, ovvero di annullamento o risoluzione di atti compiuti dal fallito, ma tende esclusivamente a restaurare l’integrità della garanzia patrimoniale, attraverso la declaratoria di inefficacia degli atti medesimi nei confronti dei creditori, ferma restando la loro piena validità e operatività fra le parti”.

La ratio dell’azione de qua riposa nel ripartire, tra tutti i creditori dell’impresa sottoposta alla procedura concorsuale, il danno patrimoniale che potrebbe verificarsi a seguito della declaratoria di fallimento.

Il pregiudizio patibile è rappresentato dalla ridotta possibilità di recuperare l’intero credito vantato nei riguardi del fallito5 (persona fisica o ente collettivo) soprattutto allorquando, come normalmente accade, l’attivo patrimoniale si riveli piuttosto esiguo rispetto alla complessiva esposizione debitoria.

Secondo autorevole dottrina6, “In conseguenza di speciali presunzioni della legge, alcuni atti sono dichiarati inefficaci nei riguardi della massa dei creditori (quasi sempre si tratta di atti posti in essere nel periodo sospetto che corrisponde al dissesto che precede la dichiarazione di fallimento)…”.

Ergo, il curatore valuterà l’esercizio delle opportune azioni, processuali ed extraprocessuali, ogniqualvolta l’atto lesivo sia stato posto in essere prima della dichiarazione di fallimento, ossia durante il c.d. periodo di incubazione dello stato d’insolvenza.

L’interessante, delicato e fondamentale ruolo del curatore è stato più volte ribadito dal Giudice di Legittimità7, secondo cui “Il curatore è organo del fallimento che esercita una pubblica funzione nell’ambito dell’amministrazione della giustizia sotto la direzione e la vigilanza dell’autorità giudiziaria e, come tale, non in rappresentanza o in sostituzione dei creditori, ma nell’interesse generale, come un soggetto imparziale”.

La ricomposizione del patrimonio del fallito, inteso quale complesso di beni mobili ed immobili, materiali ed immateriali, costituisce, pertanto, una delle principali attività rientranti nella sfera di competenza del curatore.

Attraverso l’esercizio dell’azione revocatoria è possibile garantire a tutti i creditori del fallito, insinuatisi al fallimento, il diritto ad un’equa ripartizione del patrimonio monetizzato8, fatta salva l’ipotesi di crediti assistiti da cause legittime di prelazione.

 

2. La relazione tra “azione revocatoria” e “debito tributario scaduto ed estinto”.

In materia tributaria l’azione revocatoria incontra una vera e propria esenzione, normativamente prescritta ed “invalicabile”, in virtù della quale “ …. I pagamenti di imposte scadute non sono soggetti alla revocatoria fallimentare 9.

Infatti, l’art. 89 del D.P.R. n. 602/73, titolato “Esenzione dell’azione revocatoria”, prescrive che “ pagamenti di imposte scadute non sono soggetti alla revocatoria prevista dall’art. 67 del r.d. 16 Marzo 1942, n. 267 “.

La disposizione de qua sottrae all’azione revocatoria i pagamenti di imposte in presenza di due essenziali condizioni: 1) l’adempimento deve essersi verificato prima della dichiarazione di fallimento; 2) l’atto adempitivo deve riferirsi a imposte scadute, per le quali sia già decorso il termine finale entro cui il contribuente (poi fallito) avrebbe dovuto adempiere.

Soddisfatte le predette condizioni, il curatore dovrebbe astenersi dall’esperire la predetta azione che, ove esercitata, sarebbe inammissibile o improponibile e, comunque, destinata ad essere paralizzata in sede contenziosa.

Il contribuente, a titolo meramente esemplificativo, può avere adempiuto l’obbligazione tributaria (scaduta) anche pochi giorni prima del deposito della sentenza dichiarativa di fallimento.

In tal caso, la semplice circostanza che si tratti di imposte scadute, costituisce ragione di per sé sufficiente ad escludere l’ esercizio dell’actio revocatoria.

Ci si domanda, a tal punto, quando l’imposta può considerarsi “ scaduta”.

Qualora il contribuente opti per un pagamento rateale, consentito dalla legge tributaria, quid iuris se il medesimo, in sede di dichiarazione dei redditi, ha optato per la rateizzazione del debito, pagando successivamente una rata non ancora scaduta e la cui scadenza sarebbe stata successiva alla dichiarazione di fallimento?

A parere di chi scrive il pagamento eseguito ante tempus riguarda, nel caso citato, un debito certo e liquido, ma non ancora esigibile (stante un piano di rateazione al quale il contribuente ha aderito in sede di presentazione della dichiarazione tributaria, in virtù del quale l’ente impositore non può pretendere ex art. 1185 c.c. il pagamento anticipato ).

Di conseguenza, il curatore potrebbe agire in revocatoria avverso l’atto adempitivo (id est il pagamento dell’imposta eseguito prima della scadenza).

L’eventuale giudizio per il recupero delle prestazioni imposte già espletate sarebbe di competenza, ossequiamente al principio della vis attractiva10, del Tribunale fallimentare.

Al riguardo, si evidenzia che il percorso argomentativo praticato dalla Suprema Corte11 renderebbe praticabile anche nell’àmbito della procedura concorsuale, ad avviso di chi scrive, l’esercizio in via subordinata dell’azione di ingiustificato arricchimento nei limiti della prestazione pecuniaria (perdita subìta dalla massa dei creditori) eseguita anticipatamente; fermo restando, comunque, la preventiva valutazione circa la convenienza dell’azione rispetto alla natura privilegiata del credito e alla sua posizione nel prescritto ordine di graduazione.

Il disposto normativo di cui all’art. 89 del D.P.R. n. 602/73, inserito in un corpus normativo titolato “Disposizioni sulla riscossione delle imposte sul reddito”, escluderebbe dall’esenzione sia i pagamenti eseguiti ante fallimento relativi a imposte diverse da quelle sui redditi, che quelli riguardanti tasse e contributi già scaduti.

Rimarrebbero, pertanto, salvi ed estranei alla revocatoria, i pagamenti eseguiti a titolo di IRPEF e IRES.

Il problema che sorge, in realtà, è quello di stabilire se l’interpretazione del citato art. 89 debba considerarsi rigidamente restrittiva o decisamente estensiva.

L’interpretazione restrittiva limita significativamente la portata applicativa del citato art. 89, rendendo irragionevole la scelta del Legislatore di riservare un trattamento di favor alle sole imposte sui redditi, senza offrire ragioni di conforto a sostegno del detto discrimen.

Secondo l’interpretazione in questione i pagamenti scaduti, aventi ad oggetto altre imposte (diverse da quelle sui redditi), nonché contributi e tasse, potranno essere legittimamente colpiti da revocatoria fallimentare, fatte salve, comunque, le cause legittime di prelazione che ben potrebbero assistere il credito tributario in ragione della causa impositionis12.

Il curatore, pertanto, dovrebbe agire con tempestività entro e non oltre tre anni dalla dichiarazione di apertura della procedura concorsuale, pena la decadenza dall’azione.13

Qualora il pagamento del tributo sia avvenuto a seguito della iscrizione del debitore nel ruolo straordinario, per il curatore sarà ancora più agevole provare che il creditore procedente fosse a conoscenza dello stato di decozione del debitore (poi fallito).

Per espressa previsione normativa, infatti, l’iscrizione dell’intero credito tributario (imposte, sanzioni ed interessi) nel ruolo straordinario può avere luogo solo quando sussista un concreto e serio pericolo di riscossione.

Costituisce inoltre principio giurisprudenziale consolidato quello secondo cui la dichiarazione di fallimento legittima l’iscrizione della pendenza debitoria nel ruolo straordinario14.

La tesi dell’interpretazione estensiva, invece, alla quale aderisce chi scrive, porterebbe ad estendere l’esenzione di cui all’art. 89 anche alle prestazioni tributarie eseguite prima della dichiarazione di fallimento e relative a contributi, tasse e altre imposte scaduti, diverse dalle imposte sui redditi.

Detta tesi si rivela più aderente ad un trattamento non differenziato, e come tale logico e razionale, per tutte le prestazioni tributarie espletate dal soggetto passivo del rapporto obbligatorio, a prescindere dal nomen iuris del prelievo (imposta, tassa e contributo).

A ciò aggiungasi la previsione normativa contenuta nel D. Lgs. n. 46/9915, a mente della quale le disposizioni dettate in materia di riscossione, di cui al D.P.R. n. 602/73, si estendono a tutte le pretese tributarie formulate dagli altri enti pubblici ( egioni, Province, Comuni e altri enti locali)16.

Si pensi, a titolo d’esempio, al pagamento eseguito dal contribuente (poi fallito) a favore del Comune a titolo di I.C.I., T.I.A. e T.O.S.A.P. o, ancora, al pagamento di tasse automobilistiche in favore della competente Regione: detti atti solutori, a parere di chi scrive, non dovrebbero essere colpiti dall’azione revocatoria.

Quid iuris, però, se il pagamento eseguito dal debitore (poi fallito) ha riguardato solo il mero tributo e non gli accessori dovuti ex lege ( nteressi, sanzioni e ulteriori oneri di riscossione)?

Il credito tributario, seppure riguarderà gli accessori dell’importo capitale già versato, potrebbe, case by case, essere assistito dai prescritti privilegi (generali o speciali) e, per tal ragione, ammesso a godere delle prescritte prelazioni in sede di riparto sia parziale che finale17.

Al riguardo, rileva aggiungere che la manovra correttiva disposta con D.L. n. 98 del 30/06/2011, convertito con legge n. 111 del 15/07/2011, ha introdotto una maggiore tutela ai fini della riscossione dei crediti tributari erariali in materia di IRPEF, IRES ed IRAP, riconoscendo alle relative sanzioni un privilegio generale su tutti i beni mobili del debitore sia in sede di esecuzione forzata che nell’àmbito della procedura fallimentare.

Ciò comporta un’espressa estensione dell’ambito di operatività dei crediti privilegiati di cui all’art. 2752, comma 1, del codice civile e la coeva equiparazione alla natura già privilegiata delle sanzioni IVA (di cui al secondo comma della stessa disposizione).

La novella normativa è dotata di efficacia retroattiva, dovendosi applicare anche ai crediti fiscali maturati prima del 6/07/2011, data di pubblicazione in Gazzetta ufficiale del citato Decreto legge.

Circa i crediti tributari vantati dagli enti locali, invece, occorre evidenziare che permane il doppio binario poichè le relative sanzioni continuano a rivestire la natura di meri crediti chirografari ( art. 2752, comma 3, cod. civile).

 

3. L’estensione normativa dell’inesperibilità dell’azione revocatoria ad altri pagamenti di imposte scadute.

E’ stato acutamente osservato18 che “Alcune norme di carattere specifico esonerano dall’azione revocatoria fallimentare pagamenti concernenti crediti di una certa rilevanza sociale, o atti compiuti in un contesto particolare”.

Se si considera che la citata disposizione tributaria è inserita in un corpus normativo titolato “Disposizioni sulla riscossione delle imposte sul reddito”, l’esenzione sembrerebbe applicabile esclusivamente alle imposte dirette.

De iure condito, invece, i pagamenti di imposte scadute esenti dall’azione in parola sono anche quelli concernenti il tributo armonizzato per eccellenza, ossia l’imposta sul valore aggiunto.

In particolare, il D.P.R. n. 43 del 28/01/1988 ha espressamente sottratto all’azione revocatoria19 i pagamenti I.V.A. “effettuati dopo l’entrata in vigore della stessa”20 nuova normativa.

Il Giudice di legittimità, con sentenza21 n. 3131 del 30/03/1994, ha statuito che “….In attuazione della delega è stato emanato il DPR 28 Gennaio 1998 n. 43, riguardante anche l’IVA (art. 2, lett. c) [….] per cui è evidente che anche in materia di IVA, da quando è entrato in funzione il nuovo sistema, si applicherà la deroga rispetto alla revocatoria dei pagamenti ex art. 67 Legge fallimentare”.

Prima che il quadro normativo in materia di I.V.A. subisse il descritto mutamento, la giurisprudenza22 di merito aveva statuito il principio secondo cui i pagamenti relativi all’imposta sul valore aggiunto non erano esenti dalla revocatoria fallimentare.

Ciò, in quanto né l’art. 67 del R. d. n. 267/42 né le disposizioni speciali prevedevano detta esenzione.

C’è da domandarsi, ora, quale sorte toccherebbe a tutti i pagamenti di imposte e di altri tributi, non costituenti né “ imposte sui redditi”, né imposta sul valore aggiunto.

La dottrina osserva che, fatta salva la “modifica normativa di cui al d.p.r. 28 gennaio 1988, n. 43 23 in materia di I.V.A., l’esenzione dall’azione revocatoria riguarda solo le imposte sui redditi e non quelle “non definibili tali (INVIM; imposta di registro; imposta sulle successioni e donazioni; imposte ipotecarie) “.24

Ad avviso di chi scrive, invece, l’esenzione sarebbe applicabile a tutte le prestazioni tributarie eseguite prima della dichiarazione di fallimento, a titolo di imposte (diverse da quelle sui redditi) , tasse e contributi.

A parte il disposto normativo di cui all’art. 17 del D.lgs. n. 46/99 che, come già evidenziato, ha esteso l’istituto della riscossione a mezzo ruolo a tutte le entrate degli altri enti pubblici, territoriali e non, ci sarebbero altre valide ragioni idonee a supportare l’odierna tesi.

Un’interpretazione restrittiva dell’art. 89 del D.P.R. n. 602/73, si rivelerebbe contraria ai principi comunitari dettati dalla Corte di Giustizia dell’Unione Europea in materia di non discriminazione.

Gli Enti impositori sarebbero trattati diversamente, in ragione della sola tipologia di tributo oggetto dello ius impositionis, subendo, così, un ingiusto trattamento discriminatorio, privo di qualsivoglia giustificazione logica e razionale.

Si pensi, a titolo meramente esemplificativo, alle addizionali comunali e regionali all’IRPEF.

Detti tributi, rientranti nello ius impositionis di ciascun Ente impositore, rispettivamente Comune e Regione, sono calcolati prendendo quale base imponibile la stessa ricchezza tassabile ai fini IRPEF.

L’esclusione dall’ esenzione della revocatoria fallimentare, pertanto, si rivelerebbe irragionevole nel punto in cui si privilegia il tributo erariale rispetto ai citati tributi locali calcolati sulla scorta della stessa base imponibile e sottoposti alle medesime procedure di pagamento e di riscossione.

E’ stato acutamente25 ed autorevolmente osservato che “Il principio di ragionevolezza viene tradizionalmente inteso nella specifica accezione di ragionevolezza-razionalità. E sotto tale profilo il controllo della Corte costituzionale verte non sulle scelte operate dal legislatore, quanto sulla ragionevolezza delle medesime, con la conseguente possibilità di verificare che la decisione assunta dal legislatore di differenziare o parificare determinate fattispecie astrattamente configurate non sia espressione di mero arbitrio ma abbia dietro di sé una ragione giustificatrice coerente con l’intrinseca causa legis”.

Il trattamento discriminatorio potrebbe sollevare ulteriori seri dubbi sulla legittimità costituzionale dell’art. 89: si minerebbe, in primis, il principio dell’autonomia finanziaria di entrata e di spesa di cui all’art. 119 Cost., caposaldo del federalismo fiscale.

Quid iuris, pertanto, se dalle scritture contabili dell’impresa fallita emerge il pagamento dell’ IRAP scaduta, effettuato prima della dichiarazione di fallimento?

Quanto testè detto, circa l’estensione della portata applicativa dell’art. 89, è da considerarsi valido, a parere di chi scrive, anche per l’IRAP in virtù delle seguenti ragioni:

– L’IRAP è un’imposta reale alla pari dell’IRES;

– E’ anch’essa un’imposta diretta;

– E’ riscossa, alla pari delle imposte sui redditi, secondo le disposizioni contenute nel D.P.R. N. 602/73;

– Pur colpendo il valore della produzione netta derivante dall’attività svolta nel territorio della regione, la base imponibile è calcolata utilizzando gli stessi valori economici presi in considerazione ai fini del calcolo del reddito netto, fatte salve le prescritte ipotesi di indeducibilità26.

A ciò si aggiunga che, pur trattandosi di un “tributo regionale”, l’attività di accertamento e di riscossione è esercitata “dallo Stato e solo il suo gettito è devoluto alle Regioni “.27

 

4. L’ipoteca fiscale: tra il carattere dell’ipoteca giudiziale e quello dell’ipoteca legale

A tutela della posizione giuridico soggettiva dell’ente impositore, è giuridicamente consentita la possibilità di iscrivere ipoteca sui beni del debitore principale e su quelli degli eventuali coobbligati in solido.

Al riguardo l’art. 77 del D.P.R. n. 602/73 nonché l’art. 22 del D. Lgs. n. 472/97, contengono specifiche previsioni in materia.

La questione giuridica che si pone, pertanto, concerne la revocabilità delle ipoteche “fiscali” iscritte prima della dichiarazione di fallimento del contribuente.

L’art. 67 della legge fallimentare contempla, tra gli atti revocabili, anche le ipoteche volontarie e giudiziali28.

L’ipoteca legale, invece, rimane esclusa da qualsiasi espressa previsione normativa.

Occorre, dunque, stabilire se l’ipoteca fiscale possa essere attratta nel novero dell’ipoteca legale, rimanendo esclusa dalla revocatoria.

Ad avviso di chi scrive l’ipoteca fiscale non sarebbe assimilabile né all’ipoteca giudiziale né a quella volontaria, fatte salve le eccezioni che seguono.

Circa l’ipoteca giudiziale, giova evidenziare che l’art. 2818 del Codice civile subordina la valida iscrizione dell’ipoteca alla preventiva adozione di una sentenza di condanna o di “ … altri provvedimenti giudiziali ai quali la legge attribuisce tale effetto”.

Detta disposizione permette di far luce in ordine al prospettato problema di sussunzione: l’iscrizione di ipoteca eseguita ai sensi dell’art. 77 del D.P.R. n. 602/73 si fonda su un atto di natura amministrativa e, pertanto, sicuramente privo di qualsiasi minimo elemento che ne permetta l’assimilazione ad un atto giudiziale.

Diversa, invece, ad avviso di chi scrive, sarebbe l’iscrizione di ipoteca eseguita ai sensi del suindicato art. 22 del D. Lgs. n. 472/97, titolato “Ipoteca e sequestro conservativo “.

La disposizione de qua prescrive “ …… l’ufficio o l’ente, quando ha fondato timore di perdere la garanzia del proprio credito, può chiedere, con istanza motivata, al presidente della commissione tributaria provinciale l’iscrizione di ipoteca sui beni del trasgressore e dei soggetti obbligati in solido e l’autorizzazione a procedere, a mezzo di ufficiale giudiziario, al sequestro conservativo dei loro beni, compresa l’azienda “.

Come è agevole osservare l’ipoteca iscrivibile in ossequio alla regola giuridica che precede, si fonda su un provvedimento giudiziale (nella forma di sentenza29) adottato dal giudice tributario competente a norma dell’art. 4 del D. Lgs. n. 546/92.

Ergo, l’ente è legittimato ad iscrivere ipoteca o a procedere a sequestro conservativo solo dopo il deposito della sentenza che accoglie l’istanza “cautelare”, fatta salva l’ipotesi “di eccezionale urgenza o di pericolo nel ritardo “ di cui al comma 4 del citato art. 22.

Il provvedimento giudiziale favorevole all’ente, presupponendo il positivo accertamento di un rapporto obbligatorio, costituisce, a parere di chi scrive, implicita condanna all’adempimento dell’obbligazione pecuniaria.

Dette osservazioni permettono di considerare l’indubbia natura giudiziale, e come tale revocabile ex art. 67 della legge fallimentare, della sola ipoteca iscritta sulla base della sentenza pronunciata dalla Commissione Tributaria Provinciale.

Per quanto riguarda l’ipoteca volontaria, invece, mancano per l’ipoteca fiscale i presupposti giuridici di cui all’art. 2821 del c.c.: l’ente impositore può iscrivere ipoteca in assoluto difetto di accordo o di dichiarazione unilaterale resa dal debitore.

Alla luce delle considerazioni testè formulate, l’ipoteca fiscale, fatta salva l’ipotesi di cui all’art. 22 del D. Lgs. n. 472/97, potrebbe essere considerata una “specie” di ipoteca legale e, in quanto tale, sottratta al regime dell’azione revocatoria.

Pur rispettando l’autorevole30 tesi che sostiene la tipicità delle fattispecie previste dall’art. 2817 c.c., in tema di ipoteca legale, si osserva che una simile interpretazione restrittiva precluderebbe, de iure condito, la giuridica qualificazione dell’ipoteca fiscale.

Anche se l’orientamento giurisprudenziale di legittimità31 si pone a favore dell’assoluta irrevocabilità dell’ipoteca fiscale, stante la sua sussunzione nel novero dell’ipoteca legale, occorre valutare se l’iscrizione del diritto reale di garanzia sia stato, di fatto, preceduto da un provvedimento (sentenza o decreto motivato) del giudice tributario nel qual caso l’atto sarebbe revocabile, a parere di chi scrive32, in quanto rientrante nella categoria dell’ipoteca giudiziale.

 

1 P. PERLINGIERI – S. DI AMATO, in AA. VV., ISTITUZIONI DI DIRITTO CIVILE, Napoli, 2005, 437.

2 Sulla qualità di pubblico ufficiale del curatore e sulla sua responsabilità, sia consentito rinviare a GENNARO DI GENNARO, IL FALLITO E LA SUA LEGITTIMAZIONE AD IMPUGNARE GLI ATTI IMPOSITIVI, in RIVISTA DELLA SCUOLA SUPERIORE DELL’ECONOMIA E DELLE FINANZE, n. 2 Aprile – Settembre 2010

3 A. GRAZIANI – G. MINERVINI – U. BELVISO, MANUALE DI DIRITTO COMMERCIALE, Padova, 2004, 743.

4 Cassazione, 13/07/1977, n. 3135.

5 Merita di essere citata la sentenza n. 8374 del 20/06/2000, pronunciata dalla Suprema Corte di Cassazione, con cui è stata statuita la fallibilità degli enti no-profit esercenti in via esclusiva o prevalente l’attività commerciale; si rinvia,al riguardo, all’autorevole commento di A. SOCCI, ITALIA OGGI, del 24/04/2001.

6 A. TRABUCCHI, ISTITUZIONI DI DIRITTO CIVILE, PADOVA, 1990, 561.

7 Cassazione, sentenza n. 1154 del 06/05/1966.

8 Salva l’ipotesi dell’assegnazione in pagamento ( datio in solutum), ovvero dell’assegnazione vendita con eventuale conguaglio.

9 Più approfonditamente, U. APICE – S. MANCINELLI, MANUALE BREVE DI DIRITTO FALLIMENTARE, Milano, 2006, 77.

10 Più approfonditamente, U. APICE – S. MANCINELLI, Op. cit., 30

11 Cassazione civ., sentenza n. 570 del 21/01/1994

12 Sulla rilevanza del “ servigio”, inteso quale “ causa dell’imposta”, si rinvia a O. RANELLETTI, LEZIONI DI DIRITTO FINANZIARIO, a cura di N. D’AMATI e C. COCO, Padova, 2009, pag. 7.

13 L’art. 69-bis del R. d. n. 267 del 16/03/1942 dispone che “ Le azioni revocatorie disciplinate nella presente sezione non possono essere promosse decorsi tre anni dalla dichiarazione di fallimento e comunque decorsi cinque anni dal compimento dell’atto “.

14 Cassazione, sentenza n. 242 del 9/01/2009

15 Il D. Lgs. n. 46 del 26/02/1999 contiene disposizioni in materia di “ Riordino della disciplina della riscossione mediante ruolo, a norma dell’art. 1 della legge 28 Settembre 1998, n. 337 “.

16 L’art. 17, comma 2, del D,Lgs. n. 46/99, dispone che “ Può essere effettuata mediante ruolo affidato ai concessionari la riscossione coattiva delle entrate delle regioni, delle province, anche autonome, dei comuni e degli altri enti locali “.

17 Sulla natura privilegiata del credito accessorio per interessi rispetto al credito ( principale e privilegiato) tributario, si veda Cassazione, sentenza n. 14812/2011

18 S. BONFATTI – P. F. CENSONI, LA RIFORMA DELLA DISCIPLINA DELL’AZIONE REVOCATORIA FALLIMENTARE, DEL CONCORDATO PREVENTIVO E DEGLI ACCORDI DI RISTRUTTURAZIONE, Padova, 2006, 167.

19 Con decorrenza dal 01/01/1990.

20 S. BONFATTI – P.F. CENSONI, Op. cit., 167

21 In Giur. It., I, 1, 1359.

22 Tribunale di Genova, 25/10/1984, in Dir. Fall., 1986, II, 72

23 S. BONFATTI – P.F. CENSONI, Op. cit., 167

24 S. BONFATTI – P.F. CENSONI, Op. cit., 167

25 Presidente VALERIO ONIDA, Relazione conferenza stampa su “ LA GIUSTIZIA COSTITUZIONALE NEL 2004”, tratta dal sito della CORTE COSTITUZIONALE.

26 Si pensi, a titolo d’esempio, alle fattispecie di indeducibilità di cui all’art. 5 del D. Lgs. n. 446/97

27 Cassazione, sentenza n. 5383 del 5/03/2010. La Suprema Corte ha altresì statuito la non configurabilità di un litisconsorzio necessario con la Regione che “ imponga l’integrazione del contraddittorio nei suoi confronti”.

28 Art. 67 R.d. 16/03/1942, n. 267, comma 1, numm. 3) e 4).

29 Fatta salva l’ipotesi in cui si provveda con decreto motivato, “ in caso di eccezionale urgenza o di pericolo nel ritardo”.

30 TAMBURRINO, Della tutela dei diritti, Le ipoteche, COMM. UTET, Torino, 1976, 147.

31 Cassazione, Sez. I, sentenza n. 3462 del 9/04/1999; contra Tribunale di Genova, decreto n. 19 del 2/11/2010

32 Rileva comunque precisare che la Suprema Corte nella sentenza di cui alla precedente nota ha negato la sussunzione dell’ipoteca di cui all’art. 26 della legge n. 4 del 7/01/1929 nell’àmbito dell’ipoteca giudiziale.

33 Paragrafi 1,4

34Paragrafi 2,3

Gennaro Di Gennaro

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